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< 1999 Commenti 2000 2001 >

6.4.00 - Calabria, Mediterranean to change
di Massimo Distilo

19.4.00 - Strane sensazioni
di Daniela Raschellà

11.5.00 - Affascinanti Peripatetici
di Mariarosa Galimberti

13.11.00 - Patrimonio territoriale: come riscoprire identità e risorse
di Anna C. Sturniolo

18.11.00 - ...E intanto il tempo scorre
di Daniela Raschellà





(6.4.2000) CALABRIA, MEDITERRANEAN TO CHANGE (by Massimo Distilo) - Calabria is maybe the region with the largest number of negative primacies of all the South. It has a record of unemployment, low incomes, spreading crime, incompetent politicians. Certainly it's no a chance if it's probably the only Italian region which has never produced a Prime Minister. For a long time our representatives in the regional council have confined themselves, with proud spite, to try to make prevail their own faction in the play of alliances for power, without worrying about population and territory needs. In conclusion it's more important to order than to govern. This is characteristic of the Calabrian mentality which is imbued with the most negative components of the oriental conception of society. Generally the Calabrian doesn't care about the things to do and how do it, but only about the people he will meet in a definite business, trying to find their weak point and, cunningly, turn the situation to his own advantage. The negative effects of this mentality are under the eyes of all: unsuccessful development, young people without legitimate prospects.
One of the principal weak points of the Calabrian is the conviction that he's more cunning and crafty than other people. Convinced that 'Our Lord' has endowed him with distinctive potentialities and gifts (debatable opinion), he wastes the best part of his energies in the attempt to cheat his neighbour with slyness to give himself the confirmation of that. From this derives his diffidence toward other people, his insufficient spirit of collaboration and, consequently, the failure of the few legitimate initiatives undertaken.
The Calabrian admires the power and doesn't have his own idea of things. Instead he imitates, even if with delay, all that that he sees other people do. Additionally, as he will do anything to become the object of admiration, he detests the neighbour who has a better car than his or a bigger satellite dish. Then he makes every efforts to buy one better or, for want of this capability, to destroy that of the neighbour. For this mentality the South of Italy is a flourishing market for all national and international industries that make luxury goods. In any case the goods which have the most success in the population are foodstuffs. Always you will see the food shops full of people, but you will often see the few bookshops empty.
Besides the Calabrian has insufficient interest for things of public utility. The only things that really interest him are his private things. He doesn't worry about the filthiness that is in the near-by road, it suffices him that it's not in his house. The Calabrian is almost devoid of aesthetic sense. It's proved by the inconceivable number of houses in Calabria which are without plaster on the façade, things that makes the landscape very sad and, consequently, saddens the foreigners that arrive and see this butchery.
An other negative element of the Calabrian character is cowardliness. A Calabrian will never speak frankly expressing a criticism or his own opinion about anything, accepting the consequences. He will hide behind half phrases and silences and he will try to act under the counter to change the situation to his own advantage taking no interest in the other.
Moreover the Calabrian doesn't admit his faults when things go badly. There is always something that is guilty, though it's always a generic corporate body and not an individual. Generally it's the State or the Government that is answerable for the disasters.
Certainly we can't hope that the situation will change by confiding in the aged generations that already have an encrusted mentality that is difficult to eradicate. Perhaps luckily a solution is possible. About a hundred years ago there was a miraculous invention of Guglielmo Marconi that permitted us to communicate at distance by making a signal run on invisible supports. Now the Calabrian is daily bombarded by messages. There is a young generation of Calabrian teenagers that don't have sly and malicious eyes like those of the past. The message transmitted to them by their own ancestors is strongly reduced by that of the mass-media. Certainly they will bring a remarkable, favourable and, we hope, rapid change in the things of Calabria.
In any case hope is a healthy sport.


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(19.4.2000) (Ringraziamo la dott.ssa Daniela Raschellà che ci invia un suo commento in cui esprime apprezzamento riguardo alcuni interventi apparsi sul nostro giornale, ma polemizza nei confronti di altri. Si tratta in ogni caso di una fattiva collaborazione che contribusce a rendere il dibattito più vivace e interessante.)

STRANE SENSAZIONI (di Daniela Raschellà) - Leggendo le pagine web che "dovrebbero dare notizie" su Galatro, ho provato una strana sensazione, sicuramente poco gradevole. A parte l'encomio per i commenti della Galimberti e la spassionatezza di giudizio di Francesco Distilo, il resto è "la villanella a cui la roba manca".
Quello che più mi sbalordisce, e già forse è questo solo il risultato che lor scrittori volevano raggiungere, è l'acredine di giudizio, l'accusare un certo "laboratorio di antropologia" e "varietà di soggetti", ma a che pro? E soprattutto, quali soluzioni propongono lor signori, che a mansalva, scrivono di Tizio e/o di Mevio, trascurando di fare nome e cognome, per evitare che cosa? Forse una denuncia per diffamazione? Temerari nei pensieri che risolvono in scrittura, eppure audaci, poiché criticano tutti e tutto senza ritegno; si erigono a "Giudici", dormienti, dei loro simili, di un popolo e dei suoi usi, costumi, del suo linguaggio scritto e parlato, ignorando la grande, sapiente introspezione. Io dico che lor signori trarrebbero gran giovamento, si rasserenerebbero, già da una terapia psicologica, fatta da e con persone "titolate", e non leggendo "solo" libri, o sfogando le proprie frustrazioni ad libitum. Spero che il loro sito sia un commo e non un monopsonio.
Grazie dello spazio concessomi e, "dell'eventuale pubblicazione". Sono a loro disposizione per qualsiasi chiarimento e, spero di avere più tempo e più materiale, la prossima volta. Aggiungo soltanto, che sarebbe come sparare sulla Croce Rossa, rispondere ad un "opinion maker" o più d'uno del sito, allorché scrivono "di voler andarsene da Galatro, in tempi brevi". E la coerenza? "Qual è quel cane ch'abbaiando agugna".


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(11.5.2000) AFFASCINANTI PERIPATETICI (di Mariarosa Galimberti) - L'articolo della dott.ssa Raschellà mi dà il coraggio di esprimere un'impressione...
Sono partita dall'idea, comune all'intellighentia italiana, che la questione meridionale sia un problema di malgoverno, il quale "mal agisce" su una popolazione di grande cultura e di grande cuore. Dopo la frequentazione, sia pure on-line, dello spaccato di cultura calabrese che offre questo giornale, ho un'idea un po' più complessa.
Se dovessi trovare un'immagine-simbolo della Calabria, sarebbe un materasso di gommapiuma, dove ogni stimolo fa pof... cade e viene abbandonato. Fuor di metafora, dagli scritti colti e raffinati si coglie l'utopia di un mondo armonico e funzionante, che è l'utopia delle persone civili di tutto il mondo. I modi per raggiungere l'ideale sono affatto curiosi: emerge una modalità, per così dire, peripatetica, fatta di discussioni, pur animate da vis polemica, che non hanno però alcuno sbocco nell'azione, come se il canale dall'idealità alla realizzazione fosse interrotto. Non ho visto mai traccia di iniziative di cultura, di volontariato, di pulizia del letto del fiume...per fare degli esempi.
Noi tutti siamo ampiamente determinati dalla situazione in cui siamo inseriti, non è mia intenzione colpevolizzare nessuno, ma se la grande cultura puo' essere confermata, il grande cuore molto meno. Da un punto di vista femminile, trovo che il fascino di questi uomini, che ben maneggiano lingua italiana e filosofia e storia, che hanno arcaiche piacevoli raffinatezze, sia un fascino tutto da contemplare; non si puo' interagire perchè non c'è azione.
Adesso capisco perchè Alarico, grande condottiero dei Goti, dopo aver attraversato l'Europa intera, morì sul Busento: perchè l'aria oppiacea della Calabria gli fece perdere ogni capacità di azione e lo fece optare per il riposo definitivo!


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(13.11.2000) PATRIMONIO TERRITORIALE: COME RISCOPRIRE IDENTITA' E RISORSE (di Anna C. Sturniolo) - L'opportunità, gentilmente offertami da "Galatro Terme News", vuole proporre un nuovo tema di dibattito su "pensieri, parole ed opere" che investono il nostro territorio: la Piana di Gioia Tauro.
Non sono un'intellettuale, tantomeno una giornalista, ma una semplice studentessa che, attraverso la modesta comprensione di alcuni testi, tenta di promuovere una rubrica che dia spazio e voce, alle nuove generazioni: considerazioni, ideali e sentimenti sul nostro patrimonio territoriale e su come si sta agendo su esso. Guidati da questi elementi, pertanto, noi potremmo riscoprire un'identità e di conseguenza dei "valori territoriali" che permettano di aprirsi a nuove prospettive.
La proposta di una Convenzione Europea del Paesaggio, sottolinea che natura e cultura costituiscono aspetti contemporaneamente presenti in ogni paesaggio, pertanto, pone fine alla dicotomia tra natura e cultura, ed alle gradazioni assolute di valore tra paesaggi se non in termini operativi: conservazione, innovazione, recupero del degrado.
Il campo d'interessi dei beni culturali vede allargati i propri orizzonti all'intero territorio visto come patrimonio, ed ai valori che lo costituiscono; il patrimonio territoriale, pertanto, deve essere inteso indipendente dalle forme specifiche e temporanee del suo uso, ma definito "come il prodotto del processo storico di territorializzazione" ( A. Magnaghi, Il Progetto locale, Boringhieri, 2000), ed i valori che lo costituiscono, come aspetti che possono trasformarsi in risorse se la società, in un dato tempo e di uno specifico luogo, li reinterpreta attivamente.
L'attribuzione di valore ad un'alta quantità di beni comporta una molteplicità di soggetti che, in tempi diversi e con modalità diverse, agiscono ed interpretano gli stessi; conseguentemente diventa alquanto difficile affidare a pochi l'opera di verifica e controllo su tutto il territorio.
Uno strumento in grado d'indirizzare e coordinare a monte una coscienza diffusa, potrebbe sciogliere alcuni nodi del problema, ma lo stesso dovrebbe essere informato alla visione del patrimonio territoriale come "giacimento di lunga durata che precisa la propria identità ed i propri caratteri nel modo in cui si integrano le sue componenti ambientali, edificate ed antropiche" (A. Magnaghi, op.cit.), ed insieme a queste, frutto dell'azione dell' uomo, l'intreccio "della natura che obbliga a un continuo lavoro d'indirizzo delle trasformazioni" (L. Scamozzi, Politiche e culture del paesaggio: esperienze internazionali a confronto, Gangemi, 1999).
In questa chiave dovrebbe essere promosso un approccio complessivo per aree vaste (regionali e sub-regionali, provinciali e sub-provinciali), capace di salvaguardare e di mettere nella giusta luce i valori esistenti, ma allo stesso tempo attuare politiche di recupero di aree degradate che vadano ad aggiungere qualità a quelle porzioni di territorio che ne risultano prive.
La Scamozzi a tal proposito sintetizza che l'elaborazione culturale attuale sulla qualità sottolinea come la stessa avviene, o può avvenire, attraverso "il mantenimento e la valorizzazione delle specificità storiche, culturali, naturali ed architettoniche proprie di ogni territorio, ossia rispettando e valorizzando le differenze tra luogo e luogo"; quest'interpretazione di qualità si collega alla tesi del Magnaghi sull'esigenza di fare un passaggio, da descrizioni funzionali dello spazio, a descrizioni "identitarie dei luoghi, dei milieu, degli ambienti insediativi, dei sistemi ambientali", ma anche di elaborare e promuovere uno sviluppo sostenibile che deve, necessariamente, prendere in considerazione, come indicatori, i fattori locali.
Il concetto di rete ecologica, che si va divulgando, vorrebbe focalizzare i valori specifici di un territorio ed indirizzare verso la loro trasformazione in risorse; essere, pertanto, uno strumento ed una "infrastruttura" guida per uno sviluppo sostenibile che permetta di ritrovare gli originari legami socio-territoriali ed economici tra le diverse realtà di un medesimo ambito che, nel caso calabrese, erano costa-entroterra-costa.
Tutto ciò implica l'individuazione ed il collegamento dei principali siti ed habitat di particolare interesse naturalistico, culturale e produttivo che non si esplicano esclusivamente e necessariamente con l'infrastrutturazione stradale, ma principalmente attraverso: realtà quali corridoi ecologici spontanei o reinventati in grado di essere motivo di relazione tra ambiti; percorsi ideali per una conoscenza delle bellezze paesaggistiche di un territorio ed anche percorsi reali per la sopravvivenza delle specie animali e vegetazionali che popolano e caratterizzano l'ambiente naturale dello stesso.
Questa tipologia di pianificazione territoriale tende a promuovere un'osmosi tra ambiente naturale ed artificiale (tra uomo e natura), dove l'idividuo possa ritrovare se stesso come essere pensante, in grado di esprimersi con serenità "senza le animosità innescate dalla necessità di una reazione" (G. Pettena, Radicals: architettura e design 1960/1975, Il Ventilabro s.r.l., 1996).


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(18.11.2000) ...E INTANTO IL TEMPO SCORRE (di Daniela Raschellà) - Se c'è qualcosa di cui abbiamo sofferto, e soffriamo, è di un difetto, di un'impotenza, che finora non abbiamo saputo dire e che abbiamo percepito fin qui come un fastidio costante in tutti questi anni di oblomovismo, "anche" telematico.
E non è il rischio di debordamento della rete sull'umano, e viceversa.
E non è il pericolo di non saper tracciare la linea di demarcazione tra il reale e il virtuale e di non saper definire quante e quali qualità debba avere un netizen per essere considerato tale in quanto tale, "E non è come una febbre alta o un delirio..."
Neppure sono in gioco i dati di bilancio delle nostre "povere, sbraitanti, striminzite individualità", delle nostre vite piccine, piccinamente immense. Non l'abbiamo saputo dire, né si lasciava dire, giustamente.
"Dal punto di vista di una definizione metacritica, la critica non può essere identificata con una singola funzione, nel senso che essa non è solo storia o teoria o giudizio valutativo, ma è una struttura che si costituisce attraverso la relazione di quei tre momenti dell'interpretazione" (Filiberto Menna, Critica della critica).
Il critico fa sempre parte del quadro che descrive, anche quando ritiene di poterlo osservare con imparzialità o da una certa distanza. Ogni descrizione (o valutazione) è necessariamente parziale, in quanto filtrata da criteri soggettivi spesso inconsapevoli.
Partendo da una visione ecocentrica, qualcosa dalla forza incontenibile, mi fa pensare a Galatro... E' così imponente da farmi fare paragoni, forse troppo grandi per lui, forse incomprensibili per le persone mediocri, borghesi, che come dice Rimbaud "schiacciano sulla panca il loro grosso culone, carezzano i neonati per adescare le servette i tronfi burocrati che trascinano le loro grasse signore; accanto a loro vanno, guide compiacenti dame tutte in ghingheri che sembrano réclames..."
La scena galatrese ben si adatta all'interpretazione dei due famosi vagabondi in bombetta di Aspettando Godot di Beckett. Il dato fondamentale è sempre un mondo desolato, spento, un immenso e silenzioso deserto, un catastrofico "nulla" contro cui, come il Fato della tragedia classica, è inutile ribellarsi.
Casi pratici: nell'era del DIGITALE, ISDN, UMTS... e via dicendo, a Galatro un "palo" della luce rimane rovinosamente a terra per tre o più giorni, impedendo il transito sull'unica via d'uscita dal paese! La luce elettrica, misteriosamente, non viene fornita agli utenti anche per un giorno intero, quindi niente acqua calda! Di solito salta "qualcosa" e veniamo tagliati fuori dal mondo minimo per 6 ore al giorno! Ad onor del vero, certo non tutti i santi giorni! Impedendoci lo svolgimento di qualsiasi attività, intellettuale e materiale! E vorrei ricordare, inoltre, che a certi "livelli", (comunque sempre in Italia!), si parla di "terza telefonia", "copriamo il 99% della popolazione e il 98% del territorio"! Invece, oltre ogni limite alla fantascienza, Galatro forse non è un territorio, e noi non siamo popolazione; oppure rientriamo nel 1-2%, ed è solo una questione di... sfiga! Fatto è, che i cellulari anche quelli di giurassica epoca, sono lettera morta! Della serie..."Lasciate ogni speranza, Voi che entrate"!
Mi aspetto un inverno...da ridere, con telefonate all'Enel, al Comune, il solito "scaricabarile" per quanto riguarda le responsabilità! Certo questo è il federalismo! Che tanto abbiamo osannato! La devolution, amministrativa e non, che ci ha portato...tutte queste migliorie, vantaggi e gioie!
Senza parlare, per ovvie ragioni, dei suoi precedessori, il sindaco potrà ritenersi soddisfatto del suo operato su Galatro, da ben dieci anni! Le terme sono il nostro...orgoglio! La diga poi...non ne parliamo! E' arrivato pure il "Gabibbo" a ricordarci...dei miliardi, che sono finiti, DOVE?
Le attività economiche sono fiorite...come splendidi fiori di campo! Se la serenità...si respira negli sguardi degli abitanti, dal commerciante all'imprenditore, dall'operaio all'intellettuale! Dobbiamo ringraziare anche il parroco! Il quale, ha messo a disposizione dei giovani, oltre alla parola di Dio, quella tecnologica di internet, nell'apposito ORATORIO! Invece che a casa propria!...La cena delle beffe!
Ma, suvvia, niente da criticare...un centro ricreativo-sociale, dotato di computers e ove si svolgano attività fisiche e culturali, può aspettare! Il sindaco è impegnato a "portare i panini agli operai"...Gesto umanamente solidale, ma che non lo porterà a raggiungere la "santità", ci vuole ben altro...credo!
E come i protagonisti di Aspettando Godot, siamo contenti di rivederci.
Pur credendo tutti di essere partiti per sempre.
E per far passare il tempo, Vladimiro vuole raccontare ad Estragone (protagonisti dell'opera di cui sopra), la storia dei ladroni della Bibbia..."Erano due ladri e furono crocefissi insieme al Salvatore. Si dice che uno fu salvato dall'inferno e l'altro dannato. E tuttavia come si spiega che dei quattro Evangelisti, uno solo racconti il fatto in questo modo? Eppure erano là tutti e quattro, da quelle parti. E uno solo dice che un ladrone s'è salvato. Uno su quattro. Quanto agli altri tre, due non ne parlano affatto, e il terzo dice che hanno insolentito il Salvatore tutti e due, perché non ha voluto salvarli dalla morte, e allora sono stati dannati tutti e due. Erano là tutti e quattro. E uno solo parla di questo ladrone salvato. Perché si dovrebbe credere a lui piuttosto che agli altri?...Andiamocene. Non si può. Perché? Aspettiamo Godot. Già è vero. Sei sicuro che sia qui? Cosa? Che lo dobbiamo aspettare...potrebbe darsi! E se non viene? Torneremo domani. E magari dopodomani. Forse. E così di seguito. Insomma...fino a quando non verrà. Cosa abbiamo fatto ieri?...Sì. Per seminare il dubbio sei un campione. Io dico che eravamo qui. Forse che il posto ti sembra familiare? Aspettiamo".
Il loro tempo è interrotto da qualche visita di passanti, un altro buon motivo per far scorrere il tempo di un'altra giornata! Indimenticabile. E non è finita. Sembra di no. E' appena cominciata. E' terribile. Sembra di essere a teatro. Al circo. Al varietà. Al circo.
Saremo salvati da Godot, prima...o poi..arriverà!
Allora andiamo? Andiamo. Non si muovono.
I "pasticcioni" di Beckett, sono molto meno ingenui e incoscienti di quanto non appaia a prima vista: fingono di ignorare la loro condizione di vinti, di superstiti, solo per combatterla meglio. I loro discorsi a vanvera sono in realtà un disperato espediente per popolare il silenzio: i loro gesti più goffi, i loro più grotteschi appetiti, le loro smanie più insulse nascondono l'intenzione di movimentare la metafisica paralisi dell'universo.
E' questa gara o sfida perduta in partenza, che non solo dà il colore della tragedia, ma fa ritrovare le note più calde della pietà umana e quelle di un tenace accanimento a vivere che non è lontano dall'eroismo.
Sarà troppo tardi. Troppo tardi è un tempo allegorico, e la sua estenuazione è la convergenza digitale. E poi, troppo tardi per il nostro orgoglio, e anche il più salutare degli orgogli, si sa, preso alla lettera, può far male. Realizzare la convergenza digitale ci tocca, dunque: ci tocca di non essere ancora pronti, ci tocca di non capire se abbia o no oggettivamente un significato, ci tocca di lasciarci prendere dal potere vagamente evocativo che la parola in sé ha.
Ci tocca di andare ogni giorno più lontani dalle cose fatte...


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