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25.4.03 - Crisi e cambiamento
di Domenico Distilo

21.6.03 - Al fuoco, al fuoco!
di Antonio Demasi

8.7.03 - Dopo l'articolo di Antonio Demasi
di Domenico Distilo

6.9.03 - La politica si sveglia a ferragosto
di Domenico Distilo

6.11.03 - I Lavoratori Socialmente Utili sono i nostri figli
di Rino Dell'Ammassari

19.11.03 - Ricordando i caduti di Nassiriya
di Bruno Zito e Laura Mandaglio





(25.4.03) CRISI E CAMBIAMENTO (di Domenico Distilo) - L’articolo di Umberto Di Stilo, apparso il 22 aprile scorso sulla Gazzetta del Sud, riguardante i dati dell’ultimo censimento e lo spopolamento di Galatro (clicca qui per visualizzarlo) offre lo spunto per alcune riflessioni:
I dati oggettivi del censimento, non ci sono dubbi, corroborano la tesi secondo cui Galatro s’è avvitata in una spirale di decadenza di cui il calo demografico è l’aspetto più vistoso. Un’analisi seria non può però attenersi alla mera fenomenologia, non può limitarsi a descrivere. Deve sforzarsi di analizzare le cause, che sono di ordine economico, sociale, politico e, infine, culturale e morale.
Le cause economiche sono sotto gli occhi di tutti. Il decollo indotto dalle terme è ancora solo una speranza, mentre la diga, per la cui costruzione negli anni Settanta sono state fatte tante battaglie, è rimasta una cattedrale nel deserto e nessuno riesce a capire se dovrà servire al rilancio dell’agricoltura nella Piana o fare da attrattiva turistica – vale a dire da monumento di se stessa. Si aggiunga che l’artigianato, una volta fiorente, è praticamente scomparso e poche rondini – qualche impresa di piccole o piccolissime dimensioni - non possono fare primavera, che i progetti pubblici e/o privati di rilanciare l’agricoltura in chiave moderna sono falliti e non si sono registrati finora – che si sappia - tentativi di sviluppare iniziative innovative puntando sulle potenzialità della new-economy.
L’impossibilità o l’incapacità di determinare il take off sembrerebbe accomunarci alla stragrande maggioranza dei comuni della Calabria. Quel che però non ci consente di cullarci nel “mal comune mezzo gaudio” è la rilevanza degli atout di cui disponevamo e di cui fortunatamente ancora disponiamo. Proprio il fatto di non aver saputo costruire il futuro nonostante le positive specificità di Galatro, nonostante le risorse storico-naturali, deve indurci a ritenere che il problema sia soprattutto culturale ed investa l’adeguatezza della classe dirigente, soprattutto politica, di governo e d’opposizione, la sua capacità (o volontà) di dare risposte all’altezza dei problemi e delle sfide dei tempi.
Orbene, che cosa avrebbero richiesto i tempi? In primo luogo, diciamo, che i programmi elettorali non fossero esercitazioni letterarie, ma che si costruisse una politica imperniata su un’idea di ciò che si sarebbe voluto che il paese diventasse. Non aver capito questo ha fatto sì che non si capisse il resto, cioè che erano finiti gli anni Settanta ed Ottanta e, a partire dalla riforma del ’93 e in forme in seguito vieppiù accentuate, si aprivano spazi di autonomia che rappresentavano la contropartita della riduzione degli spazi della legislazione (e con essa delle risorse) statale.
La Politica galatrese (di governo e d’opposizione) ha così continuato a mediare il consenso dei cittadini come se non fosse cambiato il suo rapporto con lo Stato e non fosse necessario passare da una mediazione ricettiva e distributiva a una mediazione dinamica e creativa (cosa che ha invece ben capito il sindaco di Soveria Mannelli, le cui idee e pratiche innovative diamo la possibilità di seguire col bannerino sulla home page del nostro sito) che imponeva un cambiamento radicale nella concezione del rapporto politica-amministrazione con il passaggio dalla centralità dei poteri di gestione alla centralità dei poteri d’indirizzo, di promozione e di coordinamento.
Insomma, nei primi anni ‘90 non si è capito – ma lo si è capito ancora oggi? - che il mondo stava cambiando (si stava compiendo la rivoluzione informatica e il passaggio all’accumulazione flessibile, con la crisi del vecchio Welfare) e che l’essenza di questo cambiamento era la possibilità per ogni comunità locale di controbilanciare la spinta uniformante, massificante della globalizzazione facendosi “faber fortunae suae”, artefice del proprio destino.
Per una piccola comunità come quella di Galatro l’essere rimasti ancorati a una forma anacronistica, obsoleta della mediazione politica rappresenta un pericolo esiziale, sì che adesso il dissolvimento appare a molti dietro l’angolo. Che cosa è infatti chiamata ad offrire la mediazione politica? In primo luogo ragioni esistenziali, vitali (leggi: possibilità di lavorare e vivere, di accedere a servizi scolastici e sanitari di qualità accettabile) in forza delle quali ciascun cittadino possa affermare o riaffermare il proprio legame con la comunità di appartenenza. All’evidenza questo non c’è stato, la nuova sintesi non è stata costruita, al punto che sono fuggite via financo famiglie in cui i coniugi lavoravano entrambi.
Rebus sic stantibus, colmare il vuoto che si è prodotto (“le strade e la piazza deserte anche nei giorni di festa”) richiede una difficile, certamente improbabile, metanoia, un cambiamento del modo di pensare, che induca a ragionare partendo da un dato di fatto inoppugnabile: il mondo è cambiato. Chi non lo capisce e non si adatta è destinato a soccombere.

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(21.6.03) AL FUOCO AL FUOCO (di Antonio Demasi) - L’articolo del 22 aprile di Umberto Di Stilo, sembra essere l’urlo estremo, quasi afono, dei tanti che hanno già gridato a squarciagola, senza essere ascoltati. Ripreso con una acuta analisi da Domenico Distilo, che mi ha provocato un momento di riflessione, mi riporta alla mente numerose discussioni più volte intrattenute in fugaci incontri in giro per il paese.
Quando la casa brucia è necessario che ciascuno si attivi per spegnere le fiamme, contenere i danni, nel più breve tempo possibile.
Ora non serve capire perché nessuno ha ascoltato, non ha capito, è stato passivo, o ha finto di non vedere.
Non serve neanche cercare colpe o colpevoli.
Non serve assolutamente fare dietrologia o una sterile retrospezione di quel che è accaduto.
Del perché si è arrivati fin qui. Come mai …non doveva succedere. E’ utile in termini futuri.
Galatro è un paese di grandissime potenzialità. Importanti risorse naturali.
La società galatrese è composta da cittadini con notevoli capacità culturali, ha prodotto e produce importanti professionisti, affermati responsabili di azienda, esperti di arti e mestieri, professori di chiara fama.
Personalità che si sono più o meno impegnati a produrre uno sforzo positivo per le prospettive del paese, inesorabilmente andato a vuoto.
Come mai una società composta da un gran numero di personalità non riesce ad esprimere il potenziale di cui è dotata?
Come mai un gran numero di persone impegnate a fare il bene comune, non riesce ad attuare i buoni propositi auspicati?
Come mai tutte queste personalità non passano da classe professionale, intellettuale, artigianale ecc, a classe dirigente?
Il fallimento della società galatrese sta tutto qui.
La casa brucia, continua a bruciare e forse nessuno se ne accorge o pensa che non c’è nulla da fare, tanto tutto è andato perso.
L’incapacità di assumere i problemi come momento organico di analisi, elaborazione dei possibili approcci e attuazione delle soluzioni, è tutta in uno.
Né basta che nel tessuto sociale si sia prodotta, negli anni 80, una spaccatura trasversale che ha fiaccato tutte le prospettive possibili. Ma anche qui, i cervelli, si sono svuotati di intelligenza, per produrre solo e soltanto insipienza, abbandonando il paese al proprio triste destino.
La politica. La politica è alla base di tutto.
Quanti hanno pensato che è portatrice di brutti momenti, sterili contrapposizioni, diatribe personali, ed invece….
Di fatto in paese non si è mai fatto politica in senso appropriato, salvo pensare di farlo solo discutendo o interessandosi agli aspetti della vita amministrativa.
Ma così non è!
Non basta essere, sentirsi o rivestire, ruoli pubblici per fare politica.
La politica è, infatti, impegno e partecipazione, analisi e approfondimento dei problemi, elaborazione e studio degli approcci possibili, individuazione delle soluzioni più utili e successive attuazioni, passione e determinazione, audacia e pragmatismo e quant’altro…
Soprattutto è ricerca del consenso sulle cose che si intende fare per il bene comune, facendo percepire le utilità delle proprie idee, contaminando positivamente i cittadini, formando la coscienza collettiva sulle strade da percorrere e gli obiettivi da raggiungere.
Non è ricerca del proprio interesse. Ma chi ci è cascato ha di fatto annullato sia quello generale che il proprio che pensava di difendere e far proliferare.
Infatti non si è ancora capito che a Galatro fare l’interesse di tutti significa fare anche il proprio. E più si fa quello collettivo più quello individuale si accresce.
Il paese è legato, dalla stessa identica possibilità. Come d’altra parte tutti i centri interni e di piccole dimensioni.
Quello che è successo è la negazione di ogni possibile positività.
Di tutte le cose che lo spettro delle decisioni dava come ammissibili si è sempre scelta la più sbagliata. Neanche fosse sfortuna.
La responsabilità resta condivisa e distribuita a tutti i cittadini di Galatro. Nessuno escluso. Chi più chi meno, come è possibile e naturale che sia.
Ricercare le maggiori o minori colpe è un esercizio che allo stato non serve a nessuno e produrrebbe ulteriori lacerazioni.
La casa continua a bruciare ed occorre spegnere il fuoco per ripartire verso nuove prospettive. Basti pensare al danno patrimoniale in termini di valore dei beni immobiliari depauperato; ed al danno morale, la possibilità di avere una migliore condizione di vita, più servizi più opportunità, più solidarietà.
Di tante cose si scorgono solo i tizzoni.
E allora perché non riprendere un percorso. Perché non impegnarsi per il bene comune, o meglio e più indirettamente per il proprio bene?
Vogliamo proclamare lo stato di fallimento per far arrivare il curatore fallimentare...?
Non credo che ciò sia possibile, ma chi può faccia e chi non può lasci fare. Sapendo che ci vuole competenza, conoscenza e capacità, senza improvvisazione.
Le dimostrazioni hobbistiche hanno avuto più tempo e spazio di quanto ragionevolmente se ne poteva concedere.
L’analisi di Domenico Distilo ha il pregio di riprendere un ragionamento da un punto di vista che è comunque utile. Ora non si tratta soltanto di ripopolare le strade o di pensare a far ripartire il processo economico (take-off), con un semplice approccio consequenziale.
Si tratta, invece, di determinare le precondizioni di partecipazione, condivisione e coinvolgimento necessarie a produrre una nuova e diversa fase di elaborazione e impegno, per individuare una nuova classe dirigente.
Legittimare nuove soggettività, dar loro fiducia. In definitiva scegliere un nuovo management. Investire anche nell’ignoto, sapendo che è molto meglio di quello che è stato fatto fin qui.
Se non si è capaci di rincorrere i sogni non si può pensare di realizzarli. Neanche in parte!!!
Galatro ha bisogno di ritornare a sognare, sapendo semplicemente che tutto è possibile.
L’ottimismo contro lo sconfittismo. L’audacia contro la rassegnazione. Impegno e partecipazione contro lassismo e latitanza.
Tutti, in tale direzione, sono utili ed importanti.
Animati da uno spirito di riscatto e di rinnovata vitalità.
Le potenzialità permangono intatte, occorre ripartire proprio dalle proprie risorse, sia naturali che immateriali.
Rimettere in gioco le capacità individuali, contribuire ad una nuova fase di sviluppo.
Intanto esprimere piena fiducia nel futuro, abbandonando steccati e vecchie ruggini, rancori o sentimenti negativi. D’altra parte, che senso avrebbero se l'escalation degli eventi prosegue su questa china?
Invertire la tendenza significa passare dal circolo vizioso che si è creato ad un circolo virtuoso. Ogni cosa, ogni segnale costruttivo potrebbe rappresentare una novità.
Ed allora su cosa puntare? Alcuni spunti … Sono sempre le stesse cose: Terme, Diga, sviluppo urbano, sana gestione del territorio e delle contrade montane. Sostegno alle attività commerciali ed artigianali.
Proporre una immagine del paese, tramite specifiche iniziative pubblicitarie e di promozione sulla stampa, di accoglienza e di valorizzazione delle proprie risorse. Riscoperta delle tradizioni da proporre come momento divulgativo e commerciale.
Chiamare tutti i galatresi, ovunque si trovino, a suonare la carica. Organizzare un incontro dove si possa avviare un confronto di merito e di prospettiva.
Tutti devono dare il proprio contributo anche in termini lobbystici, incidendo sulle proprie sfere di influenza.
In sostanza si tratta di fare collettivo contro l’individualismo imperante. Mettere insieme piuttosto che dividere. La forza della volontà contro la triste realtà.
Il senso di angoscia che mi prende quando giro per il paese, credo che pervada molti galatresi. Non potrò mai dimenticare la sensazione di soffocamento che ho provato il 1 gennaio 2002. Ero a Galatro per far compagnia ai miei e per ripartire l’indomani per Reggio, in piazza ed in giro mi sentivo sperduto, quasi a disagio, in quelli che sono i miei luoghi, i miei riferimenti, i miei ricordi. Da quella volta, quando mi avvicino a Galatro mi sale un groppo alla gola. Non so perché … o meglio non voglio esternarlo o manifestarlo. Forse mi farebbe molto male e non solo per quel che mi riguarda individualmente, ma per i miei affetti.
Riprendere si può. Ma se qualcuno pensasse, per un istante, che il problema è dell’altro, sappia che inesorabilmente si va a fondo tutti. Perché gli altri siamo noi tutti.
La "pentidattilite" è dietro l’angolo, se non già diffusa, si spera, in modo insanabile. Non si tratta di interpretare gli eventi pensando semplicemente che il mondo sia cambiato. Il punto è un altro ed è legato a quanto ho cercato di esporre, per sintesi. Occorre prendere atto della drammaticità degli eventi e delle intrinseche motivazioni che le hanno determinate.
Impegniamoci, impegnatevi, poi si vedrà.

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(8.7.03) DOPO L'ARTICOLO DI ANTONIO DEMASI (di Domenico Distilo) - L’articolo di Antonio Demasi sviluppa il lato sociologico di un’analisi che ho svolto da quello politico-amministrativo.
Il fallimento della classe dirigente si rende manifesto nell’incapacità di far evolvere il Volksgeist, lo spirito del popolo, per renderlo congeniale allo Zeitgeist, lo spirito dei tempi, che ha le sue esigenze che non possono essere disattese, pena la crisi e il rischio di dissolvimento della comunità.
Antonio Demasi è, nonostante gli accenti accorati, ottimista. E’ convinto che in fondo basti rimettersi insieme e superare le fratture degli anni Ottanta per tornare, come collettività, a marciare spediti.
Io, che sono meno ottimista, penso che si rischia di perdere solo tempo se ci si mette (o ci si rimette) assieme soltanto per tornare a dividersi...
Quel che serve è invece una rottura che faccia emergere una nuova classe dirigente – che evidentemente potrà emergere solo se, pur essendo sommersa, c’è, esiste - che abbia col passato, possibilmente anche in virtù dell’anagrafe, un rapporto privo di complessi. Capace, insomma, di non farsi condizionare da un passato che non passa perché la generazione degli attuali cinquanta-sessantenni, poco adusa per forma mentis generazionale a dubbi e autocritiche, non ha nessuna intenzione di operare quella metanoia di cui parlavo nel mio articolo.
Un punto sottolineato da Antonio Demasi mi pare però indiscutibile. Il superamento della crisi dovrà investire in primis la sfera prepolitica, dei rapporti sociali e della cultura diffusa, vale a dire della mentalità. Per rispolverare il vecchio Gramsci – della cui lezione sembrerebbe che in Italia abbia fatto tesoro il solo Berlusconi, che pur vitupera i suoi eredi storici - è necessario conquistare tutte le “casematte” prima di attaccare la roccaforte, il potere. Come dire che l’egemonia culturale deve precedere e non seguire la conquista del potere politico, per non rischiare di apparire astratti proprio nel momento in cui si pongono problemi estremamente concreti. Speriamo bene.

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(6.9.03) LA POLITICA SI SVEGLIA A FERRAGOSTO (di Domenico Distilo) - Dopo mesi di letargo la politica galatrese ci ha regalato un sussulto. Un botta e risposta tra minoranza (tutta la minoranza) e maggioranza all’insegna dei toni forti, dello scontro quarantottesco, dell’arroccamento sulle rispettive posizioni, di una visione manichea della realtà troppo datata per essere vera o anche solo plausibile per i suoi stessi interpreti.
L’attacco della minoranza consiste nell’elenco delle cose che non vanno, delle questioni sulle quali l’Amministrazione appare latitante. Il taglio demagogico, elettoralistico, non è neppure dissimulato. Il clou della violenta requisitoria è nella domanda (che affetta indignazione implacabile) sull’entità della tariffa RSU corrisposta dalla Terme Service, come se quella tariffa di favore fosse la summa di tutte le nequizie di una cattiva amministrazione. In ogni rigo è implicita un’affermazione apodittica: noi faremmo meglio. Peccato che manchi totalmente il cosa e il come. Peccato che neppure s’intraveda l’idea di cosa il Paese dovrebbe essere. Peccato che sia assente qualsiasi respiro strategico. Una cosa è certa: il cittadino di un paese che muore (e le minoranze è evidente che ritengono, al di là di ogni dubbio, che Galatro stia morendo) vuol sapere se il medico dispone effettivamente di una terapia efficace. Non gli basta l’analisi, la descrizione delle cause della malattia. Non è una gran consolazione sapere di che muoio, dal momento che muoio. Per potermi consolare ci dev’essere qualcuno che mi dica come posso salvarmi, che ha un progetto e i mezzi per salvarmi. Ora, gratta gratta i mezzi di questo medico che si propone al capezzale di Galatro (il morente) non sono proprio all’avanguardia. Sono gli stessi che, da sempre, consentono al medico di tentare di curare (invariabilmente con scarso successo) il paziente (fuor di metafora: governare Galatro), non di guarirlo. Il paradosso (nessuno finora se ne è accorto, o se se ne è accorto non lo dice) è che tra ciò che serve per proporsi con successo a tentare la cura e ciò che serve per curare effettivamente il paziente c’è un’incompatibilità radicale, assoluta e che un’opposizione (soprattutto un’opposizione) che voglia porre in essere una svolta epocale, storica, dovrebbe in primo luogo sciogliere questo nodo, venire a capo di questo paradosso. Se non scioglie il nodo o, peggio, non è neppure consapevole della sua esistenza, dovrà, giocoforza, continuare a combattere la sua battaglia su un terreno che è, naturaliter, più congeniale agli avversari e con schemi di gioco che inevitabilmente li favoriscono. In breve. Si condanna a non fare nient’altro che puro autolesionismo.
Quanto alla maggioranza, l’immagine che viene fuori dalla risposta non è certo esaltante. L’impressione che se ne trae è che manchi, anche alla maggioranza, una strategia, un’idea di ciò che Galatro dovrà e potrà essere, che si navighi a vista prendendo un po’ quello che viene, purché sia qualcosa che si possa presentare come “buono per il paese”.
L’elenco delle cose fatte, o da fare, non emoziona se non si percepisce con chiarezza che saranno “quelle cose”, e non altre, fungibili, sostituibili a piacere, a trarci fuori dalla stanca routine nella quale si è adagiati ormai da troppo tempo, dall’eccesso di realismo che uccide la fantasia e tronca, in tutti, l’aspettativa di futuro (a meno che non si voglia ragionare in termini strettamente personali e privati).
Per concludere con un’ellittica (e antipatica) autocitazione: la svolta che avrebbe dovuto esserci non c’è stata. Il tempo perché ci sia si riduce sempre più.


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(6.11.03) I LAVORATORI SOCIALMENTE UTILI SONO I NOSTRI FIGLI (di Rino Dell'Ammassari) - I Lavoratori Socialmente Utili (LSU) rappresentano una categoria di lavoratori gia' precari, ossia oltre alla normale precarieta' che affligge diverse categorie di lavoratori, i LSU sono veramente atipici. Perche' dico questo? Perche' la loro categoria si basa su lavori di improvvisazione a richiesta, o su progetti regionali che non trovano applicabilita' nel reale, poiche' il loro servizio non e' riconosciuto ne' dalla gente, quindi dall'utenza, ne' dall'ente che dovrebbe avvalersene come servizio.
Conoscendoli sempre di piu', devo riconoscere che sono ragazzi che vivono un disagio, vivono costantemente senza un minimo di garanzia che gli prospetti un futuro migliore, anzi c'e' l'aspetto piu' frustrante che ogni ente puo' mandarli a casa, senza piu' richiederli. Ripeto sono ragazzi! Anche se tra di loro ci sono padri o madri di famiglia, con figli e con tutti i problemi che ci sono in ogni famiglia, soprattutto quelli economici. Oggi abbiamo avuto con loro una riunione in Comune, che doveva servire ad organizzarli, ma soprattutto responsabilizzarli, fargli capire il senso del dovere, del lavoro, ecc. e poi stasera ho sentito il bisogno di esternare questo mio pensiero e di scriverlo. Continuo costantemente a pensare: SONO RAGAZZI!!!
Sono i nostri figli, con i loro pregi ed i loro difetti, siamo noi da giovani. Se per un momento pensiamo alla loro precarieta', ed al fatto che tutti i giorni devono essere presenti sul lavoro per 400 euro, io personalmente non me la sento di infierire piu' di tanto su dei lavoratori superprecari, che come tali pagano gia' lo scotto di essere e di chiamarsi LSU.


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(19.11.03) RICORDANDO I CADUTI DI NASSIRIYA (di Bruno Zito e Laura Mandaglio) - ANCHE IL MIO CUORE STA CON TUTTI VOI - Con poche parole voglio dirvi che il mio cuore sta con voi, con tutti gli italiani sparsi per il mondo, e soprattutto con le mamme che hanno perso i loro figli in questa tragedia che soffre il popolo italiano.
Oggi più che mai bisogna difendere la Patria, il Tricolore, la Pace e la Libertà, valori questi che sempre dobbiamo portare con noi per sentirci orgogliosi d'essere italiani.
Bruno Zito - Buenos Aires (Argentina) La bandiera tricolore italiana

IL VALORE DI UN SORRISO
Donare un sorriso
rende felice il cuore,
arricchisce chi lo riceve
senza impoverire chi lo dona.
Non dura che un istante,
ma il suo ricordo rimane a lungo.
Nessuno è così ricco
da poterne fare a meno,
né così povero da non poterlo donare.
Il sorriso crea gioia in famiglia;
un sorriso dona sollievo a chi è stanco,
rinnova il coraggio nelle prove
e nella tristezza è medicina.
E se poi incontri chi non te lo offre,
sii generoso e porgigli il tuo.
Nessuno ha tanto bisogno di un sorriso
come colui che non sa darlo.
Dedicato a tutti i nostri veri EROI sparsi nel mondo.
Laura Mandaglio (Svizzera)


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