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6.7.06 - Una lettera al nuovo sindaco
di Raffaela Cuppari

24.8.06 - La crisi del Cristianesimo
di Massimiliano Mercuri

1.9.06 - Congratulazioni alle donne di Galatro
di Biagio Cirillo

14.9.06 - In ricordo di Enzo Letizia
di Pasquale Furfaro

18.10.06 - Tanta nostalgia di Galatro
di Guerino De Masi

27.10.06 - Risvegliamoci!
di Bruno Zito

16.11.06 - Un grazie alla Redazione
di Guerino De Masi

19.11.06 - Sull'articolo di Massimiliano Mercuri
di Guerino De Masi

26.11.06 - Riflessioni sulla libertà
di Bartolo Furfaro

30.11.06 - Risposta a "Riflessioni sulla libertà"
di Guerino De Masi

30.11.06 - Ancora sull'articolo di Bartolo Furfaro
di Montagna Lauro

30.11.06 - La Galatro che non esiste più
di Biagio Cirillo

5.12.06 - Considerazioni e proposte
di Mario Sofrà

12.12.06 - Il progetto "Pro-Galatro"
di Bartolo Furfaro

16.12.06 - Due righe per Bartolo Furfaro
di Mario Sofrà

18.12.06 - L'albero calabrese
di Bruno Zito

29.12.06 - Ricordando mio padre
di Liliana Esther Ambesi

31.12.06 - "Peppi 'i Masi"
di Guerino De Masi





(6.7.06) UNA LETTERA AL NUOVO SINDACO (di Raffaela Cuppari) - Buenos Aires - Egregio Sr. Sindaco Carmelo Panetta,
congratulazioni per la vittoria e per il risultato elettorale. Ho letto il caloroso
saluto ai numerosi galatresi emigrati, nei quali mi riconosco.
Mi fa molto piacere vedere nel suo scritto l´intenzione di rafforzare i legami con le comunitá galatresi di ogni parte del mondo, per tener vivo un rapporto con la storia e la cultura del luogo d´origine.
Attendiamo con speranza e con fervore le iniziative che si progettino per e con i galatresi del mondo: io in particolar modo per i galatresi di Buenos Aires (Argentina), dove abbiamo una Associazione della Vergine della Montagna per la quale un gruppo di Galatresi (molti di loro scomparsi per raggiungere un mondo diverso) ha lavorato tantissimo per portare avanti e mantenere i legami con la nostra cultura.
Oggi continuiamo questa tradizione quei pochi rimasti, con l´aiuto dei figli e dei nipoti di quelli emigrati.
Abbiamo anche il Coordinamento Donne italo-argentine, che fa parte dell'Unione, con il quale abbiamo portato avanti tutta la campagna elettorale per sviluppare il programma delle politiche del Prof. Romano Prodi.
Auguri di buon Lavoro nella gestione.
Disponibili per portare avanti qualsiasi iniziativa e collaborare attivamente, distinti saluti.
Raffaela Cuppari
Emigrata da Galatro (Novembre 1954)
Pres. Coordimento Donne italo-argentine
Av. La Plata 303 8° "B" Capital
T.E./Fax 0054-114903-7766
E-mail: donneitarg@fibertel.com.ar
www.coorditar.com.ar


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(24.8.06) LA CRISI DEL CRISTIANESIMO (di Massimiliano Mercuri) - “Oggi siamo alle prese con la cultura della pura e semplice apertura della libertà senza contenuti, del niente esistenziale. Questa è la più grande tragedia del nostro tempo, che diventa ancora più grande quando a questo niente e a queste aperture, si attribuisce, per amore di dialogo, qualche ingannevole etichetta cristiana. Fuori di Cristo, persona concreta, realtà viva, avvenimento, c’è solo il mito dell’uomo e la sua disperazione. In Cristo l’uomo trova la sua pienezza e la sua sola speranza”.
Questo è quanto scrive il Cardinale Giacomo Biffi (ahimé in pensione) nel suo libro “Pinocchio, Peppone, l’Anticristo e altre divagazioni”, ed è a mio avviso la causa della crisi del Cristianesimo ai giorni nostri.
Ma è proprio ciò che il poeta e filosofo russo Vladimir Sergeevic Solovev, aveva già preannunciato due secoli fa: la diffusione e l’affermazione del pacifismo, dell’ecologismo, dell’ecumenismo, del laicismo, del materialismo, dell’anticristianesimo, temi assai cari all’Anticristo.
Oggi la fede è ridotta ad azione umanitaria, e (come scrive lo stesso Biffi) il messaggio evangelico viene identificato e ridotto solo al confronto con tutte le filosofie e con tutte le religioni. La stessa Chiesa è scambiata per un’organizzazione di promozione sociale.
La cosa più grave è che ad acuire la crisi del Cristianesimo ci sia oggi una parte del clero (e tra questi non solo parroci e frati, ma anche vescovi e cardinali) che all’obbedienza al Papa (e alle gerarchie ecclesiastiche) preferiscono la libertà di espressione, alternandosi nell’esternare suggerimenti e idee che affossano quei temi sociali assai cari alla Chiesa stessa e che sono alla base della via civile: difesa della vita, difesa della famiglia, difesa della libertà di educazione.
Questi presunti esponenti del clero ormai curano, da “intellettuali catto-comunisti impegnati”, temi astratti come il pacifismo a senso unico, la solidarietà e la rettitudine, esaltandoli ed assolutizzandoli fino a sradicarsi del tutto dalla loro oggettiva radice cristiana.
Ne “Il racconto dell’Anticristo” di Solovev, lo staretz Giovanni risponde all’Anticristo: “quello che noi abbiamo di più caro nel cristianesimo è Cristo stesso. Lui stesso e tutto ciò che viene da Lui, giacché noi sappiamo che in Lui dimora corporalmente la pienezza della Divinità”.
Questo è ciò che bisognerebbe ricordare a quei frati che concedono con spirito di fratellanza le palestre parrocchiali per il Ramadam (e peccato che i “fratelli musulmani” nel loro paese ti sgozzano soltanto nel vederti indossare un crocifisso); a quei cardinali, il cui nome si differenzia da una vocale finale, che propongono, l’uno l’introduzione dell’ora di religione islamica a scuola, l’altro l’eutanasia, l’apertura alle coppie di fatto; al settimanale cattolico, che di cristiano gli è rimasto solo il nome, che ha contribuito a ridurre argomenti morali (quali la fecondazione, l’aborto, la contraccezione, l’eutanasia) su cui la Chiesa ha un magistero preciso, a livello (come dice Antonio Socci) dell’opinabile dove non esistono autorità, ma ciascuno, cattolico o no, può avere la sua idea e fare come crede.
Forse la deriva di questi clericali è la mancanza di un’educazione all’obbedienza e all’osservanza dei principi della dottrina sociale della Chiesa.
S. Ignazio di Loyola nel 1547, in una lettera agli studenti della Compagnia, così si esprimeva in merito a tale tema: “chi non fosse disposto ad ubbidire e lasciarsi guidare dall’autorità del rettore, si disponga a prendere altra via, lasciando la vostra comunità e il suo comune modo di vivere”.
Il vero male della Chiesa è la mancanza di obbedienza, forse perché Giovanni Paolo II prima e Benedetto XVI dopo, non si sono sottomessi alla sindrome della clerico-onnipotenza che pervade la cultura catto-comunista dossettiana, e che in tutti questi anni ha cercato di distruggere (poveri illusi) due tra i maggiori movimenti cattolici: Comunione e Liberazione e l’Opus Dei. Diceva S. Gregorio: “L’obbedienza non è tanto una virtù, quanto la madre delle virtù”. Obbedienza ai principi sociali della Chiesa che ha saputo interpretare quella dottrina sociale sempre esistita fra gli uomini, dandole vigore e fondamento. Dice don Giussani nel libro “Alla ricerca del volto umano”: “Obbedienza vuol dire abbandonare sé per seguire un Altro, perciò è l’unico completo sacrificio. Il che non è necessariamente solo dolore o rinuncia, ma è anche la legge che ci rende grandi e lieti, che ci fa avere, secondo il Vangelo, il centuplo ora, in questo tempo”.
Il bene più grande che Dio ha donato all’uomo (Papa Benedetto XVI, Enciclica “Deus Caritas est”) è la sua vita e la sua libertà cioè la sua persona. E la famiglia è il luogo in cui la vita umana nasce e la libertà dei figli viene educata. Questo è il messaggio che il clero deve far proprio e diffondere con spirito cristiano fra la gente. Solo così si diventa veri cristiani in quanto all’origine c’è un incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva.


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(1.9.06) CONGRATULAZIONI ALLE DONNE DI GALATRO (di Biagio Cirillo) - Volevo congratularmi con le donne di Galatro che, con la loro voglia di fare qualcosa per tenere vivo il paese, hanno regalato a noi emigranti, e non solo, due serate a Montebello con i vari artisti dell’artigianato locale, le famose e sempre buone zeppole, il nostro "Peppi 'u poeta" con i sui flauti, la musica improvvisata dai ragazzi di Galatro che con fisarmoniche, tamburelli e stornelli calabresi hanno fatto ballare le tarantelle a grandi e piccoli, ad uomini e donne e anche ad alcuni turisti.
Con immenso piacere ammiro i Galatresi che, nonostante ci fossero feste con manifestazioni importanti nei vicini paesi, hanno preferito rimanere uniti e cogliere l’occasione per visitare Montebello e dialogare con i propri paesani: io in prima persona, dopo lunghi anni, ho potuto riabbracciare la mia professoressa della 1a media (Concetta), che saluto con affetto.
Adesso sono a Bolzano, ma pronto a ripartire per Galatro per la festa in onore della Madonna della Montagna, dove spero saremo numerosi noi emigranti. Invito il mio amico Giuseppe Ocello a non mancare a questa festa ("Cannone" fra 50 anni forse non ci saremo più e, se ci saremo, forse non avremo la forza di seguire una ricorrenza così importante, quindi datti da fare).
Colgo l’occasione per salutare tutti i miei paesani, i miei parenti, i miei genitori, mia figlia Deborah che è rimasta ancora a Galatro, la mia maestra della scuola elementare (Distilo) e faccio un augurio di buon compleanno alla mia cara nipotina Serena.
Ciao Galatro!


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Allo stadio Granillo di Reggio Calabria, uno striscione in ricordo di Enzo portato dalla zio Pasquale Furfaro. (14.9.06) IN RICORDO DI ENZO LETIZIA (di Pasquale Furfaro) - Il 9 settembre scorso sono passati cinque anni dalla scomparsa in un incidente stradale di Enzo Letizia, mio nipote diciannovenne, tifosissimo della Juve. Enzo, io me lo sentivo dentro il cuore che l'Italia vinceva questi mondiali, e cosi è stato. Sono contento di poter fare una dedica a Enzo Letizia che sta in paradiso. Io ho fatto 2000 sms a RTL, ma non mi hanno accontentato. Spero che portiamo ancora fortuna: Enzo Letizia che sta in paradiso e io che sto in pasticceria a Galatro Terme, provincia di Reggio Calabria. Io ho fatto tante e-mail e devo dire che mi sento fortunato e contento di avere sostenuto l'Italia a vincere i mondiali in Germania.
Io ci sono stato per 22 anni in Germania e so cosa significa. Mio cognato Francesco Letizia, papà di Enzo, da 2 anni ha fatto in suo ricordo la "Juveenzo Novara", squadra di calcio di 3a categoria e ha vinto i play-off e il prossimo anno giocherà in 2a categoria. Speravo che radio RTL 102.5 facesse una dedica e dicesse che Enzo Letizia di Novara ha portato bene, insieme allo zio Pasquale Furfaro della pasticceria di Galatro Terme, provincia di Reggio Calabria. Per chi mi vuole contattare il mio telefono é: 333.2987716 - 0966.903137. Il sito internet è
www.galatroterme.it/eurobar.htm; l'e-mail è: ada44@tiscali.it.
A RTL ho mandato per mio nipote qualcosa come 2000 sms, me lo merito. Avevo richiesto che RTL spedisse a casa di Enzo Letizia, Piazza Macello, pescheria Letizia, 28100 Novara, i suoi gadget. Lui dal paradiso sarebbe stato contento, lui ascoltava spesso RTL 102.5 e salutate la Juveenzo Novara.
Mi sono rivolto a Massimo Discenza, inviato speciale di radio RTL ai mondiali di calcio, chiedendo che mi facesse contento. Poi avrei pensato io a sdebitarmi, facendo arrivare tutto il ben di Dio dalla Calabria. Questo aiuto sarebbe stato per me molto importante, fare questo per mio nipote Enzo Letizia. Che venisse detto agli azzurri, anzi ai campioni del mondo: "grazie Italia". Nella partita ho fatto tantissimi sms come durante i mondiali ed ancor prima che iniziassero. Ho sostenuto sempre che l'Italia vinceva e così è stato.
Ciao Martina, ciao Germania, ciao Sarleti, ciao per tutti dalla Calabria, Galatro Terme. Ciao.
Ho un rammarico per non avere parlato prima con la Gazzetta dello Sport, rubrica "Porto Franco", della mia avventura sportiva, mi sono fidato di radio RTL 102,5 e di Massimo Discenza, inviato speciale ai mondiali. Ho fatto prima di quasi tutte le partite una e-mail a Discenza ed ho portato tanta fortuna. Sì, abbiamo vinto alla grande un mondiale che si aspettava da 24 anni. Io volevo che fosse dedicato a mio nipote Enzo Letizia, scomparso il 9-9-01 a Novara in un incidente stradale, il giorno che doveva esordire con la sua squadra del cuore U. S. Olimpia Santo Agabbio, Novara. Aveva solo 19 anni, era il capitano ed era amato da tutti. Suo papà Francesco Letizia da 2 anni ha fondato la Juveenzo perchè Enzo era tifosissimo della Juve, la Juve era la sua vita calcistica. La Juveenzo l'11-06-06 ha vinto i play-off a San Rocco, Novara, e il prossimo anno giocherà in 2a categoria novarese. Io ho detto: "vinciamo i mondiali", e cosi è stato. A radio RTL 102.5 ho fatto una marea di sms e di e-mail e mi sono fidato male. Se l'avessi fatto con la Gazzetta dello Sport sarebbe stato bello fare dedicare il mondiale a mio nipote Enzo, ma lui dal paradiso di Dio lo sa lo stesso quello che io avevo fatto per lui, anche se avrei preferito che lo sapesse tutto il mondo.
Però lo faccio lo stesso. Io la Gazzetta dello Sport la compro tutti i giorni per il mio bar e prima la compravo in Germania, e lì dovevo fare 30 km per trovarla. Anni addietro avevo parlato per telefono proprio con il responsabile della rubrica "Porto Franco". Stiamo cercando ancora qualche sponsor. Avevamo pensato pure alla Gazzetta. Stiamo contattando "Stocco & Stocco", il numero uno dello stoccafisso e campione dello stocco di Cittanova, provincia di Reggio Calabria. Ci vorrebbe un grande sponsor come Tim o Vodafone, o ci potrebbe aiutare la Gazzetta a trovarlo. Aiutateci ad andare avanti, se lo fate, grazie di cuore. Saluto tutti.
Ringraziamo già quelli che ci hanno dato la possibilità di andare avanti, ma per primo viene mio cognato Francesco Letizia, papà di Enzo, la mamma Carmela Raso e sua sorella Veronica, Antonio Abbazia, l'allenatore De Lucia e tutti i giocatori e dirigenti della nuova società sportiva Juveenzo che è nata purtroppo per ricordare Enzo, un ragazzo d'oro, pieno di vita sportiva e sociale, amato da tutti.

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(18.10.06) TANTA NOSTALGIA DI GALATRO (di Guerino De Masi) - E' stato un vero piacere scoprire un sito ufficiale di Galatro!
A dire il vero, l'occasione mi è stata data dalla necessità di rivolgermi all'anagrafe per un certificato di nascita per mia mamma Giovannina Simari (Carmeluzza), figlia di Michele Simari "Spogghiaddio". Il colloquio telefonico (breve) con un signore dell'ufficio comunale mi ha stimolato a fare un giretto virtuale nel paese.
Mi chiamo Guerino De Masi. Sono emigrato in Francia con la mia famiglia nel settembre 1958. Piccola nota necessaria: sono l'unico in famiglia ad avere il cognome con il "De" staccato! Inconvenienti di una errata iscrizione alla nascita a Catanzaro, dove mio padre Giuseppe Demasi stava facendo "carbone" nelle montagne di quella provincia. Sono figlio di Peppe 'Imasi "u carvunaru"!
Ho ancora diversi cugini a Galatro: Paolo Pettinato, figlio di mia zia Carmela, sorella di mio padre; Domenico Mannella, figlio di mia zia Rosa, sorella di mia madre... e poi altri che sono nei dintorni.
E' vero, sono purtroppo tanti anni che non torno a Galatro. Ne ho un pò vergogna... scusatemi. Ma il motivo per cui scrivo qui è soprattutto nella speranza di poter contattare un mio amico d'infanzia (parliamo degli anni dal 1950 al 1958). Vorrei avere notizie di Vincenzo Fazio. Credo che sia del '49, un anno più di me, ed era emigrato con la sua famiglia prima di noi Demasi per andare nella zona di Arona. Ha un fratello maggiore che si chiama Antonio. Sua mamma si chiamava "Teresuzza". Noi abitavamo "a curva", via Regina Margherita, di fronte ai "guardiafili", la cara famiglia Simari, e Vincenzo stava poco prima a sinistra della "curva", scendendo dalla piazza.
Dando queste indicazioni, ho grande nostalgia di Galatro che dalla mia partenza ho rivisto quattro, o forse cinque volte soltanto. Sono comunque tornato in patria dal 1972 a Gorgonzola, dove ho conosciuto mia moglie. Vivo ora da tanti anni a Vimercate (vicino ad Arcore).
Se qualcuno può darmi delle indicazioni, gliene sarei grato. Magari sarà Vincenzo a rispondermi! Il mio indirizzo e-mail è:
rinogdm@hotmail.com
Comunque colgo l'occasione per salutare i miei paesani che vedo sono sparsi per il mondo. Dio benedica Galatro e tutti i galatresi nel mondo.
Guerino De Masi

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L'avv. Bruno Zito (27.10.06) RISVEGLIAMOCI! (di Bruno Zito) - Buenos Aires - Quando partii da Galatro, provincia di Reggio Calabria, sebbene fanciullo, ricordo che il mio caro paese era molto povero e senza opportunità per i giovani. Sicuramente la guerra, da poco finita, è stata la causa di tutto quello. Questa situazione era generale in tutta l’Italia, ma si sentiva ancora di più in Calabria. Dal 1949 fino al 2006 sono trascorsi molti anni, nonostante nel mio ultimo viaggio fatto a settembre ho visto con molta tristezza che la nostra regione occupa l’ultimo posto nel confronto con le altre per quanto riguarda il progresso, in tutti in sensi. Anzì penso che la colpa sia di noi calabresi che aspettiamo sempre l’aiuto del governo centrale, oppure un miracolo, per stare all’altezza di tutti gli altri connazionali.
Parliamo sempre della Calabria come terra d’amore, d’affetto e di bellezza, e queste sono cose vere perchè si tratta di un posto meraviglioso nel mondo. Abbiamo il mare, le montagne, i fiumi, eppure un clima invidiabile.
Sono convinto che tutti i calabresi dovremmo farci un’autocritica e vedere che cose si potrebbero fare per raggiungere lo sviluppo delle altre regioni.
Non basta aspettare il contributo del governo centrale. Bisogna risvegliarci dal lungo sonno in cui stiamo sommersi ed incominciare a camminare in fretta verso un futuro di gioia e di benessere per tutti. Altrimenti resteremo sempre indietro.
Abbiamo a nostra disposizione tutte le risorse naturali, anche la nostra intelligenza e capacità per raggiungere quest’obbiettivo.
L’anno scorso il nostro presidente, on. Agazio Loiero, ha chiesto scusa per le condizioni dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria, e ha detto che vuole fare della nostra regione un giardino.
Per questo c’è bisogno di portare avanti grosse imprese che permettano la crescita del flusso turistico e la creazione di posti di lavoro, soprattutto per i giovani che tanto si lamentano della loro mancanza.
Sono sicuro che tutti uniti, governo e cittadini, potremo realizzare il sogno di vedere la nostra regione con la testa alta. Se non raggiungeremo il traguardo, la colpa sarà solamente nostra.
Sono convinto che certamente arriveremo, e soltanto così ci sentiremo orgogliosi d’essere italiani, nati in un vero giardino, qual è la nostra tanto amata Calabria.


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(16.11.06) UN GRAZIE ALLA REDAZIONE (di Guerino De Masi) - Desidero ringraziare la Redazione per avermi ospitato così calorosamente.
Infatti, la mia richiesta di aiuto è stata pienamente soddisfatta.
Quando ho chiesto
notizie di Vincenzo, mio amico d'infanzia, ricevevo il giorno dopo una e-mail dalla nipote che mi ha così messo in contatto telefonico con questo mio caro lontano amico.
Ho scoperto così che in molti gli avevano telefonato dicendogli che qualcuno lo cercava! "Gli devi forse qualcosa?"!
Non mi resta adesso che andare nella vicina Arona ed abbracciare Vincenzo che tra l'atro non ricorda niente di me...!
Devo confessare che da allora, settimanalmente, visito il sito. E' un po come tornare al mio caro paese di origine. Leggo le firme e scopro che i tanti nomi mi sono familiari per averli spesso sentiti dai miei genitori. Dai Demasi ai Furfaro, Raschellà, Marazzita, Cirillo, Pettinato, Ocello, Zito, Panetta...
Rammento che ho dei cari cugini ancora a Galatro: Paolo Pettinato per esempio; purtroppo recentemente è mancato suo fratello Ferruccio (Peppe) che molti ricorderanno. Questo mi riporta all'Agosto del '65, quando mio fratello Pasquale, deceduto in seguito ad un incidente stradale in Francia, venne sepolto a Galatro. Avevo solo 15 anni. E poi a Galatro c'è anche mio cugino Domenico Mannella, sposato con una delle figlie di Rocco Demasi, cugino di mio padre Peppe 'Imasi! Certamente non sto parlando di giovanotti... ma ho scoperto che su internet viaggiano soprattutto dei ragazzini ultracinquantenni come me!
Vorrei chiedere alla Redazione se è possibile intervenire anche su argomenti religiosi riguardo alla fede. Sono di fede Evangelica e la piccola chiesa evangelica di Galatro è nata con la semplice testimonianza di mio zio Antonio Simari e di mio nonno Michele che, rimpatriati dall'Argentina negli anni '20, hanno iniziato quel modesto lavoro di testimonianza tuttora presente a Galatro. Successivamente, grazie a Rocco Marazzita (adesso mio cognato), la nostra famiglia, emigrata in Francia nel '58, ritorna a contatto con gli Evangelici e uno dopo l'altro abbracciamo la fede evangelica.
Penso che questo fatto possa interessare qualcuno dei Galatresi sparsi per il mondo.
Grazie ancora alla Redazione per quanto fa con il sito che è veramente ben presentato ed attivo.
Dio vi benedica e faccia prosperare Galatro e tutti i miei compaesani.
Guerino De Masi - Vimercate (Milano)

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(19.11.06) SULL'ARTICOLO DI MASSIMILIANO MERCURI (di Guerino De Masi) - Ho letto con interesse l’articolo di Massimiliano Mercuri del 24.8.06 sul tema della crisi del Cristianesimo.
Pur ritrovandomi in molte parti della sua analisi, in quanto Cristiano, di fede Evangelica, non ho potuto fare a meno di pensare a quanto è scritto nella Bibbia.
Per questo è forse necessaria una premessa rifacendomi al motto dei riformatori: "sola grazia, sola fede, sola scrittura".
Nell’articolo sopra menzionato si fa uso di citazioni eccellenti di uomini di Chiesa e di scrittori di tutto rispetto.
Mi compiaccio anche delle numerose citazioni della Bibbia che, pur non essendo specificamente indicate, hanno il loro posto in questo libro, “Il Libro” per eccellenza che è Parola di Dio.
Senza voler essere apocalittico e polemico, vorrei qui ricordare delle affermazioni fatte da quello che è stato definito “il primo dopo l’unico”, cioè Paolo.
San Paolo, l’Apostolo che, scrivendo ai Romani, al primo capitolo descrive la decadenza pagana usando queste espressioni:

(uomini) …ricolmi di ogni ingiustizia, malvagità, cupidigia, malizia; pieni d'invidia, di omicidio, di contesa, di frode, di malignità; calunniatori, maldicenti, abominevoli a Dio, insolenti, superbi, vanagloriosi, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, insensati, sleali, senza affetti naturali, spietati. Essi, pur conoscendo che secondo i decreti di Dio quelli che fanno tali cose sono degni di morte, non soltanto le fanno, ma anche approvano chi le commette.

Purtroppo, è questa la realtà che spesso ci circonda. Ma, ahimè, è una storia che si ripete.
E nella sua seconda lettera al giovane Timoteo dice:

Or sappi questo: negli ultimi giorni verranno tempi difficili; perché gli uomini saranno egoisti, amanti del denaro, vanagloriosi, superbi, bestemmiatori, ribelli ai genitori, ingrati, irreligiosi, insensibili, sleali, calunniatori, intemperanti, spietati, senza amore per il bene, traditori, sconsiderati, orgogliosi, amanti del piacere anziché di Dio, aventi l'apparenza della pietà, mentre ne hanno rinnegato la potenza.

Ora, da quanto ho recepito dall’articolo di Massimiliano Mercuri, questa crisi sarebbe derivata dalla non sottomissione alla gerarchia ecclesiastica e dalla mancanza di obbedienza (presumo, alla dottrina della Chiesa).
Vorrei qui dire che la sua eloquente disserzione, pur richiamando alcuni passi della Bibbia, riduce comunque questa “crisi del Cristianesimo” alla non sottomissione al magistero della chiesa più che alla non sottomissione a Dio e la Sua Parola.
Si legge in 1’ Samuele al capitolo 15 e verso 22:

Il Signore gradisce forse gli olocausti e i sacrifici quanto l'ubbidire alla sua voce? No, l'ubbidire è meglio del sacrificio, dare ascolto vale più che il grasso dei montoni;

E l'ubbidienza che Dio richiede ad ognuno di noi è di ascoltare la Sua Parola che dà vita abbondante in Gesù Cristo quando c'è pentimento, ravvedimento e conversione.
Ciò è ancora possibile oggi malgrado la deriva di questa società occidentale assalita da tutti quei mali da Mercuri enunciati, non per ultimo l'islamizzazione che ricatta e condiziona il nostro essere Cristiani.

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(26.11.06) RIFLESSIONI SULLA LIBERTA' (di Bartolo Furfaro) - Winterthur, Svizzera - Ciao a tutti. Tante volte mi trovo a pensare alla libertà: siamo davvero liberi?
Libertà: cos'è la liberta ai nostri giorni? Quella libertà che i nostri padri hanno conquistato con guerre, con lotte contro la burocrazia, contro ogni forna di dittatura, con tanto sudore, ci ha portato oggi ad essere liberi di far cosa?
Forse siamo liberi nello spirito, nel pensiero, ma non nella mente. I molteplici problemi della vita ci portano ad avere paura nell'esprimere i nostri pensieri. Ogni nostro gesto va studiato nei minimi dettagli per far contenti tutti, per apparire quello che non si è, perdendo la nostra stessa identità come persona, come individuo.
Penso che ormai siamo schiavi della politica mondiale, con le potenze militari di cui basterebbe un capriccio per far scoppiare una terza guerra mondiale. Quindi mi chiedo: sono tutte queste guerre in corso indispensabili per conquistare cosa?
Abbiamo costruito L`Unione Europea per fare forse una nuova super potenza, mentre gli stessi europei non sono liberi di muoversi oltre i confini del loro paese di provenienza.
Siamo liberi come persone di uguale provenienza, o di fare i conti con le discriminaziani giornaliere, con la sola colpa di far parte di questo mondo. Non riesco a capire il senso dell'esistenza dell'uomo, l'unico sovrano sulla terra che riesce ad autodistruggersi.
Siamo davvero liberi? Chi mi risponde?


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(30.11.06) RISPOSTA A "RIFLESSIONI SULLA LIBERTA'" (di Guerino De Masi) - Ciao caro concittadino Furfaro. Grazie delle tue riflessioni sulla libertà e soprattutto dell’invito a rispondere.
Inizierei con un’espressione che troviamo nella Bibbia e più specificamente nei Vangeli che ci riportano le parole del Signore Gesù: “Conoscerete la Verità e la Verità vi renderà Liberi” (Giov. 8:32).
In un altro passo dello stesso vangelo troviamo questa espressione unica: “Io sono la via, la verità e la vita”.
Non posso fare a meno di pensare a quegli schiavi di colore che in America cantavano i loro “Gospels” (Negro Spirituals), pregustando o aspettando la libertà che nella loro anima era già ben presente pur essendo in catene (Oh when the saints… Swing low… Sommeting… Lord a want…)
Alla tua domanda: siamo davvero liberi? Risponderei: si, se conosciamo la Verità. Quella verità proclamata dai vangeli.
Per quanto mi riguarda, ho scoperto che la verità ha un nome ed è Gesù che mi ha liberato dalla schiavitù del peccato e dalla morte, dall’egoismo e dall’odio. Perché, a mio parere, quello che manca, o che non è evidente per l’uomo di oggi, è di poter identificare la verità in questa giungla di opinioni dove tutto è ridotto al relativismo e ciò che è per me verità non lo è necessariamente per l’altro.
E questo in ogni campo di pensiero; filosofico, religioso, politico o etico. Siamo arrivati al fatto che il concetto di verità è un’opinione!
- Rubare è un reato, ma se sei capace di evadere il fisco, sei un dritto.
- Falsa testimonianza e menzogna dovrebbero essere bandite dalla nostra società ma, poiché il fine giustifica i mezzi, secondo Machiavelli, ci possono stare anche le bugie.
- La vita è sacra e va difesa, ma poi si mandano a morire giovani in piena salute nelle guerre contro i propri simili o si ammazzano nuove creature abortendole perché malate, deformi o semplicemente indesiderate, dimostrando che non è poi così sacra come si va dicendo.
- Pace, pace. Una bella parola che oramai colora tanti balconi e manifestazioni di piazza. Ma... quanti portatori di queste bandiere sono in pace con il loro vicino di casa, con il proprio coniuge, con il genitore, con se stessi?
Tu ci parli di autodistruzione e fai bene. Un po' tutti siamo responsabili di questa distruzione se non siamo portatori della “verità”. Quel famoso uomo passato alla storia per essersene “lavato le mani”, Pilato, aveva posto la domanda a Gesù: che cos'è verità? Concludendo “crocifiggetelo”. Disconoscendo la verità, rimase schiavo dell’odio di quegli uomini religiosi che a tutti i costi hanno voluto la condanna dell’Innocente. Pilato non era libero come non lo è l’uomo di oggi relativizzando la verità.
Tu dici: Liberi di fare cosa? E poi denunci l’ipocrisia dello studiare ogni gesto per apparire quello che non si è. Gli uomini "liberi", sono sempre stati controcorrente. Rinunciando ai compromessi si è derisi ed emarginati quando non addirittura imprigionati o ammazzati. Non sto esagerando. Possiamo trovare questi riscontri in tutti i luoghi ed in ogni tempo.
Per amore della verità e della libertà ci furono le rivoluzioni (conosco bene quella francese per averla studiata a scuola sin dalle elementari: Liberté, Egalité, Fraternité) ma mi piace pensare anche al nostro Rinascimento, penso anche alla Riforma e di conseguenza alle “sacre inquisizioni”, penso alla triste epoca del nazi-facismo, ma penso anche all’attuale situazione dei paesi islamici e dei paese a regime totalitario.
Ancora oggi si muore se si esprime la verità là dove è imposto un pensare unico e dove dunque non esiste la libertà.
Il senso dell’esistenza dell’uomo? Sono parole tue. Grossa domanda… Questione che ha da sempre impegnato il pensiero umano. Chi sono? Perché sono? Dove vado?
Ringrazio Dio perché la risposta è a disposizione di tutti. La verità s’è fatta Uomo. Per utilizzare le parole del prologo del vangelo di Giovanni: il verbo si è incarnato. E questa verità (che è Gesù) vi farà liberi.
Nel salutare, desidero ringraziare la Redazione per questa pagina dove posso ascoltare ed interloquire con galatresi sparsi nel mondo e che non si accontentano di superficialità ma sono impegnati ognuno là dove vive con dedizione e serietà.
Non potrebbe forse nascere una "rubrica" da dedicare come Forum con vari temi dove si potranno leggere interventi di nostri compaesani?
Ancora grazie della vostra gentile ospitalità.

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Montagna Lauro (30.11.06) ANCORA SULL'ARTICOLO DI BARTOLO FURFARO (di Montagna Lauro) - Volevo rispondere a Bartolo sulle sue "riflessioni sulla libertà".
Libertà dovrebbe essere pensare, muoversi e decidere da sé sempre, ma purtroppo non è così, perché siamo sempre schiavi di qualcosa o qualcuno, più volte schiavi di noi stessi perché bisogna salvare l’apparenza che ci fa rimanere radicati nell’ignoranza.
Ai tempi della guerra ci si metteva in fila per prendere qualcosa da mangiare, adesso non ci si mette in fila ma bisogna fare i conti con chi le fila le muove per noi e, giorno dopo giorno, ci mette in condizioni sempre più precarie e questo perché non si ha il coraggio di dire basta. Abbiamo una mente: usiamola invece di adattarci a ciò che ci viene offerto.
Ci siamo adagiati e non ci rendiamo conto che il benessere che si è creato ci sta portando indietro, perché l’ingordigia ha preso il sopravvento e non riusciamo a renderci conto che la libertà, che è stata ottenuta con tante battaglie, non è nostra, noi siamo solo dei robot al servizio della tecnologia che ci sterminerà, perché non siamo in grado di gestirla nel modo giusto. Un caro saluto a tutti.

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(30.11.06) LA GALATRO CHE NON ESISTE PIU' (di Biagio Cirillo) - Io, come tanti altri miei paesani, nel maggio del 1978 ho avuto la voglia di emigrare. All’età di 17 anni non ancora compiuti, ho messo in una valigia quattro stracci, ho preso per la prima volta un treno, e con mio fratello andai a Bolzano dove un carissimo amico ci attendeva con ansia.
Non posso negare che i primi giorni pensavo alla nuova vita che mi attendeva e nient’altro. Come tutte le cose nuove, alla fine ci si abitua e, mio malgrado, al risveglio dell’avventura appena iniziata, nella mia mente c’era posto solo per i miei fratellini, le mie sorelline, i miei genitori, il nonno che con noi faceva parte del calore e dell’amore di questa famiglia, e tutti gli amici che purtroppo erano lontani.
Ogni volta che pensavo a qualunque cosa che riguardava il mio paese, mi si stringeva lo stomaco e, di nascosto, quelle volte che mi trovavo da solo non riuscivo a trattenere le lacrime.
Come penso altri hanno fatto prima e anche dopo di me, ogni qualvolta mi veniva la nostalgia, mi sforzavo di pensare ad altro prima che spuntasse la lacrima; è forse questo il motivo per cui tuttora non riesco a piangere di fronte ai tanti dispiaceri della vita.
Ora mi sono creato una famiglia e la possibilità di ritornare a vivere al paese è cosa impossibile, anche se la voglia è tanta. L’unica cosa di cui sono contento è d’essere capitato in una regione bellissima dove ho quattro fratelli e una sorella che abitano nella stessa città. Il dispiacere più grande è stare lontano dai genitori, da mia sorella e dalla sua bella famiglia.
Per fortuna, ogni qualvolta che ho la possibilità, prendo e parto senza pensare tanto al lungo viaggio. Adesso siamo tutti adulti, sposati e con figli orgogliosi di noi genitori, del nostro paese, delle amicizie che si sono creati e che non vedono l’ora di rivederli.
Forse abbiamo cambiato un po’ la mentalità di vedere le cose, ma non abbiamo perso l’amore di tutto ciò che rimane in quel piccolo paese quasi abbandonato. Che tristezza vedere le case chiuse e mezze diroccate, e ricordare che una volta erano abitate da famiglie, camminare per strada, passare nei vicoli e non vedere tutti quei negozi, quelle attività artigiane come calzolai, sarti, falegnamerie, bar e cantine vinicole, c’era persino la sala giochi, la radio che trasmetteva da Galatro e noi tutti, riservati, facevamo le dediche dicendo "da un anonimo", ma per chi era dall’altra parte della cornetta non era un segreto. C’era il parco giochi che adesso è distrutto (per colpa nostra e della nostra infanzia) e mai rimesso a nuovo.
Se poi ci spostiamo dal paese non vediamo più quei bei vigneti che davano a Galatro un vino speciale, quelle distese di uliveti coltivati e tenuti come giardini, quegli orti pieni d’ogni ben di Dio. Non bastava la terra da coltivare: persino il fiume Metramo era tutti orti, e che orti! Ora notiamo, guardando dal paese, quella distesa di uliveti chiamata "Sannaì" abbandonata, e non solo quella purtroppo.
Come potete notare ci sono bei ricordi di una Galatro attiva e produttiva, persone dedicate al lavoro dei campi, lavoro artigiano, il vino, l’olio buono e il paese popolato, cose che adesso ci mancano. Vogliamo incolpare qualcuno? Forse chi ci ha governati? forse chi come me è andato via pensando egoisticamente al proprio futuro? forse chi è rimasto e ha cercato un posto statale? forse le nostre amministrazioni comunali che non hanno fatto niente per trattenere i giovani? forse ci sono altri motivi e non li so trovare.
Penso che si può fare ancora qualcosa. La prima cosa che mi viene in mente è: aiutare i giovani a creare qualcosa dando loro un incentivo. La seconda cosa è un messaggio a residenti ed emigrati: ripariamo le vecchie case, facciamo un pò di pubblicità al Nord e affittiamole alle famiglie che vogliono venire al mare in Calabria, così abbiamo una Galatro nuova, per diversi mesi popolata e ci sono introiti e lavoro. Forse per me tutto questo è un sogno, forse potrebbe essere realtà.
Sperando di non essere troppo noioso vi abbraccio tutti.
Un saluto alla Redazione che con pazienza ci aiuta ad esprimerci.


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(5.12.06) CONSIDERAZIONI E PROPOSTE (di Mario Sofrà) - Nel salutare, desidero ringraziare la Redazione per questa pagina dove posso ascoltare ed interloquire con galatresi sparsi nel mondo e che non si accontentano di superficialità, ma sono impegnati, ognuno là dove vive, con dedizione e serietà.
Non potrebbe forse nascere una "rubrica" da dedicare come Forum con vari temi dove si potranno leggere interventi di nostri compaesani?
Con piacere noto che il sito galatroterme.it si fa sempre più interessante e la partecipazione aumenta, anche di qualità... molto belli gli ultimi interventi di Cirillo, De Masi, Lauro e Furfaro.
Il finale di De Masi, riportato sopra, mi ricorda la vecchia idea di organizzare la "Pro Galatro" che, per motivi funzionali, è rimasta un'idea. Comunque io credo che quell'idea sia ancora valida sia per i paesani che per il paese e, considerando i tempi, il know-how (anche culturale), internet, nonché l'Adsl che sta per arrivare, credo che si possa creare una "Pro Galatro" virtuale. Con skype, ma non solo, si possono organizzare video conferenze a costi zero.
Questo sito ormai è diventato un'istituzione per i galatresi e con tale evento si farebbero felici oltre ai tanti che l'hanno richiesto esplicitamente anche chi l'ha richiesto implicitamente, sia essi che vivano a Galatro o altrove. Frà Internet unisce e illumina.


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(12.12.06) IL PROGETTO "PRO-GALATRO" (di Bartolo Furfaro) - Vorrei ringraziare Guerino De Masi e Montagna Lauro per avere espresso le proprie idee riguardo il mio articolo sulla libertà. Ringrazio anche Mario Sofrà, anche se devo dire che il progetto "Pro-Galatro" non si è fermato ad una sola idea.
Un gruppo di galatresi molto affiatato e pieno di voglia di fare ha fatto nascere la suddetta associazione. Saranno adesso quasi 10 anni che, per scarsa o minima partecipazione di galatresi, abbiano dovuto chiudere i battenti.
Certo, ognuno è libero di fare quello che ritiene che sia bene per se stesso, ma nessuno ha trovato il "tempo" o solo la curiosità per intervenire alle molteplici manifestazioni che la Pro-Galatro ha organizzato, con quasi sempre la presenza del Sindaco di Galatro che era in carica in quel momento.
A settembre del 2006 mi sono incontro con il sindaco Panetta. Abbiamo discusso sulla riapertura della Pro-Galatro e di alcuni servizi che vorremmo nella Pro-Galatro.
Caro Mario, io non vorrei aprire nessuna polemica. Non faccio riferimento specifico all'esperienza passata della Pro-Galatro, ma ancora oggi sto cercando di far vivere quello che con amore abbiamo creato.

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(16.12.06) DUE RIGHE PER BARTOLO FURFARO (di Mario Sofrà) - Caro Bartolo, nel leggere il tuo bell'articolo olistico intitolato "Il progetto Pro-Galatro" mi sono accorto che nel mio intervento non viene citato il tuo bell'articolo sulla libertà, e mi scuso per l'inconveniente.
E' evidente che senza il tuo bell'articolo promotore non ci sarebbero nemmeno le risposte citate, neanche la mia.
In riferimento alla Pro Galatro nessuna polemica: il passato è passato e fa molto piacere sentire che, grazie a te, qualcosa si muove e sono molto apprezzabili e lucidanti le righe 8 e 9, ben venga. Galatro ha bisogno dei galatresi come i galatresi di Galatro... con un'occhio d'interesse al progresso e all'equità dello sviluppo della Persona nel terzo millennio della tecnica (grazie anche a Tesla).
Se la mia e-mail sulla Pro Galatro ha generato incomprensione ed ho svegliato problematiche a me sconosciute, mi puoi contattare telefonicamente o su skype. Sarò felice di mettere a tua disposizione tutto quello che è rimasto in mio possesso.
In riferimento alla libertà: Libertà è anche il non bisogno di dare una risposta.

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(18.12.06) L'ALBERO CALABRESE (di Bruno Zito) - Buenos Aires - Tutto il mondo può vedere l'albero di Natale portato dalla Regione Calabria in Piazza San Pietro.
Certamente ha un grande significato. Un sentimento d'amore e di pace per tutti senza distinzioni di nazionalità o religione. Bianchi o neri siamo tutti uguali. Soltanto l'amore per il prossimo e il rispetto reciproco potrà evitare guerre e sangue.
Invoco Dio affinchè in queste feste di Natale i governanti riflettano e facciano di tutto per contribuire col significato di questo albero che, con la sua presenza, sta richiedendo un mondo migliore.
Come italiano e calabrese auguro a tutte le persone del mondo, di ogni razza e religione, Buon Natale e Capodanno.


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(29.12.06) RICORDANDO MIO PADRE (di Liliana Esther Ambesi) - Buenos Aires - Vi scrivo dall’Argentina e voglio mandare le felicitazioni per il vostro sito web. Cosi si può sentire vicino il paese dove è nato mio padre e che, attraverso le parole e le storie raccontate, noi conosciamo da tutta una vita.
Io mi chiamo Liliana Esther Ambesi e sono figlia di Arnaldo Ambesi, nato a Galatro il 28 gennaio 1936. I miei nonni sono Giuseppe Maria Ambesi e Annunziata Piccolo, entrambi nati a Galatro nel 1895.
Nel sito ho visto una lista di laureati galatresi e ho sentito il desiderio di scrivere qualche parola riguardo mio papá (il suo nome non è nella lista) che purtroppo non è più tra noi.
Lui è emigrato in Argentina nel 1949 insieme a mia nonna (mio nonno era partito prima per lavorare) e i miei zii (Giuseppina, Franco e Espedito), mentre era rimasto a Milano mio zio Raffaele e a Galatro mia zia Teresina Ambesi in Sigillò, che ancora abita in paese.
Quando arrivò in Argentina mio papà aveva 13 anni. Qui ha fatto gli studi alla scuola media e, dopo, all'universitá (sempre studiando e lavorando allo stesso tempo) diventando un professionista Chimico rinomato. Per ragioni lavorative ha viaggiato per quasi tutta l’Argentina, il Brasile e anche la Germania.
Mi sento orgogliosa di lui, del suo sforzo per progredire, ma sopratutto per il fatto che era una persona eccellente.
Noi, suoi figli, abbiamo seguito il suo esempio studiando e lavorando onestamente. In quattro abbiamo studiato all’Università: mio fratello José Alberto è professore, mia sorella Silvia è avvocato, io sono fonoaudióloga e il più piccolo, Sergio Arnaldo, quest'anno si è laureato da Nutrizionista nella Facoltà di Medicina dell`Università di Buenos Aires.
Ma la cosa più importante è che, insieme a mia mamma, siamo una famiglia molto unita e non abbiamo mai dimenticato nostro papà. Scrivo questo non per vanità, ma come un omaggio a mio padre, un emigrante che partì da Galatro da piccolo, lasciando parte della sua famiglia, e che ha saputo formare, insieme a mia mamma, una famiglia in un'altra terra (che lui voleva bene pur ricordando sempre la sua). Ha lasciato ai suoi figli i migliori valori e il suo esempio per vivere la vita da buone persone.
Buon 2007 e saluti a tutti coloro che hanno conosciuto mio padre, i miei nonni o i miei zii. Baci per mia zia Teresina e i miei cugini.
(Chiedo scusa per la grammatica, la sintassi e l’ortografia, sono argentina e non domino la lingua italiana).
Liliana Esther Ambesi - Buenos Aires (Argentina)

Gentile Sig.ra Ambesi,
molte grazie per averci fatto rivivere l'interessante storia della sua famiglia e di suo padre che, partito in tenera età da Galatro, ha saputo raggiungere importanti traguardi in un altro continente, conservando e trasmettendo ai propri cari i migliori valori dell'esistenza.
Naturalmente abbiamo aggiornato l'
elenco dei laureati galatresi inserendo il nome di suo padre.
Da Galatro i migliori auguri per un felice 2007 a lei ed ai suoi familiari.
LA REDAZIONE


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(31.12.06) "PEPPI 'I MASI" (di Guerino De Masi) - Prima di tutto complimenti a Liliana Esher Ambesi per "Ricordando mio padre". Inizio quindi il mio racconto:
15 Agosto 1910, un’altra ondata di emigranti Italiani arriva a Buenos Aires.
Tra questi semplici uomini e donne ci sono braccianti, contadini e tutti quanti in cerca di lavoro e fortuna.
Raffaele Demasi è tra questi. Ha lasciato a Galatro sua moglie incinta e due figlie femmine. Il suo primo maschio, Domenico, è in età di fare il soldato. Il viaggio è stato lungo e scomodo e certamente ignora che, in quel preciso giorno, nasce il suo quarto figlio Giuseppe, che avrebbe visto solo dieci anni dopo.
Lui, Raffaele, terzo figlio di un certo Demasi che in precedente matrimonio aveva avuto altri due figli discendenti dei “Juhhà”: Lorenzo, alto, biondo, con occhi azzurri, adone ammirato da tante donne galatresi e Pasquale, uomo fine e rispettato dall’"ambiente".
Fin qua la mia conoscenza storica di questa famiglia Demasi (“'i Masi”) che annovera tanti discendenti un po’ dappertutto per il mondo.
Giuseppe nasce dunque il 15 Agosto 1910 e, poco dopo, resta orfano “anche” di madre che gli viene tolta da una semplice malattia oggigiorno normalmente curabile.
Si ritrova così, presto, solo uomo in casa, avendo perso anche il fratello maggiore Domenico, morto in un banale incidente di camion presso Treviso durante la tragica guerra del 1915-18.
A dieci anni Peppi era il tassista che da Galatro portava i passeggeri alla stazione di Rosarno con un calesse. Non è necessario dire che così precocemente maturò in lui il senso di responsabilità e di dedizione al lavoro nonché al risparmio.
Nel 1920 ritorna il padre Raffaele e si risposa, avendo altri due figli, il primo dei quali morì nell’infanzia ed il secondo, Salvatore, fece il calzolaio ed ora vive a Seveso, in provincia di Milano.
La prima figlia Carmela ("’a baruna!") sposa Pettinato e la seconda, Stella, va in sposa a mastro Peppino Manduci. Purtroppo Carmela rimane vedova con un nugolo di figli, i più grandi ancora adolescenti.
Dopo il periodo di leva a Napoli, (è là che imparò a leggere e scrivere) Giuseppe, che chiameremo d’ora in poi Peppi 'i Masi, all’età di ventitre anni, sposa Carmeluzza Simari, figlia di Michele e sorella di Antonio Simari, gli “evangelici” che hanno portato a Galatro la loro fede da Buenos Aires. Il fatto fece discutere non poco in quanto i “Simari” erano chiamati “protestanti” e, in quegli anni, non erano purtroppo ben accetti!
Dalla loro unione nacque prima Domenico, poi Rachele e infine Palma (nome imposto all’anagrafe) ma che lui decise di chiamare Auriemma.
Purtroppo, in quel periodo, ci fu un furto a Galatro e qualcuno indicò il Peppi 'i Masi come possibile autore del reato in quanto uomo che vestiva “elegante” con pantaloni alla zuava, stivali di pelle nera e giacche di velluto! Passando la sua vita nei boschi della "longa” a fare carbone, quando tornava in paese amava andare 'a "cantina" con i compari e dunque sfoggiare la sua eleganza. Per questo suo apparire, destò sospetti e fu dunque incarcerato a Polistena con relativo “interrogatorio” che non badava a dichiarazioni di innocenza.
Richiamato durante la seconda guerra mondiale, Peppi 'i Masi fu inviato come guardia frontiera in Tripolitania e precisamente a Bengasi, altra tappa che lasciò la sua impronta in Peppi ' Masi. Il fatto che lo colpì fu, durante la visita di un capitano cappellano che disse messa per i soldati in mezzo al deserto, seguita dalla consueta omelia, che non sembrò consueta per Peppi 'i Masi, quando lo sentì pregare per il Duce, il Principe e tutta la casa Savoia senza dire una parola per le famiglie dei soldati rimaste in patria. Indubbiamente fu una dimenticanza involontaria (me lo auguro) del cappellano ma che spinse il Peppi 'i Masi ad abbracciare l’ateismo, allora in voga, del partito socialista, più vicino ai lavoratori secondo la sua visione.
Di ritorno a casa, ebbe un altro figlio che chiamò Nazzareno, in ricordo delle sofferenze subite ingiustamente per quei quaranta giorni trascorsi in carcere a Polistena, e che non fece battezzare così come pure tutti gli altri quattro figli successivi: Pasquale, Guerino, Alfredo e Mario.
Ma ecco che il Nazzareno, iscritto alle scuole medie di Polistena, fa decidere Peppi 'i Masi a battezzare tutti i suoi figli per non creare difficoltà alla prosecuzione degli studi del figlio. La cosa fu interpretata in paese come: “Peppi 'i Masi si fici democristianu!”
La famiglia numerosa e il bisogno spinsero Peppi 'i Masi a cercare fortuna lavorando fuori. Un periodo in Sicilia, poi il Piemonte e finalmente in Francia dove, con il figlio Domenico, i nipoti Pettinato e diversi galatresi, lavorò come boscaiolo nelle montagne del sud est della Francia fino al settembre 1958, quando decise di far arrivare anche la sua numerosa famiglia. Appassionato ed esperto nel suo campo, si era specializzato in impianti teleferici a carrucola o a sbalzo per il trasporto dei tronchi a porto trattore. Era, tra l’atro, in grado di effettuare giunti alle funi col solo intreccio dei capi d’acciaio, tecnica non facilmente eseguibile senza una notevole esperienza.
L’anno successivo, dà in sposa la prima figlia Rachelina ad Adriano Signorini, bergamasco emigrato in Francia ancora in fasce. Nel 1960 nasce l’ultimo dei figli, Raffaele, poco dopo l’arrivo della prima nipote Christianne. Qualche anno dopo Auriemma sposa Rocco Marazzita, simpatizzante di quella fede evangelica portata dai Simari, e inizia a riallacciare rapporti con l’Italia, poiché questi abitavano nei pressi di Gorgonzola. Fu poi il tempo del primogenito Domenico che sposò Caterina Tomas di Rosarno, ma dimorò qualche tempo ancora in Francia dove ebbe il primo figlio Palmiro.
Il 1965 è stato l’anno che più marcò la vita di Peppi 'i Masi. Avendo accusato dolori al petto ed al braccio sinistro, si fece visitare da uno specialista di Grenoble, tradotto dal figlio Guerino quindicenne. Diagnosi: angina pectoris. Costretto a lasciare il duro lavoro di boscaiolo, dedica maggior tempo ai figli in Francia ed in Italia. E’ a Pasqua di quell’anno che, visitando Auriemma e Rocco a Gorgonzola, incontra un “evangelico” quasi analfabeta come lui, ma che lo colpisce per la sua chiarezza e dimestichezza col vangelo. Disse: “Ah, chistu sì ch'è ‘nu credenti!”. Tornano in Francia, completamente trasformati, Peppi 'i Masi, Carmeluzza la moglie (che lui chiamava affettuosamente “Meluzza”) e i figli Domenico e Pasquale. Non più litigi tra padre e figlio, ma canti di lode a Dio. Era un uomo completamente nuovo. Da quel giorno iniziano, lui e la sua famiglia, a leggere assiduamente la Bibbia tutti i giorni. Non conoscevano e non frequentavano in Francia alcun gruppo o qualsivoglia chiesa evangelica. La famiglia era trasformata da questa novità e Carmeluzza diceva: “finalmente la pace di Dio è entrata nella mia famiglia”.
Il primo agosto di quello stesso anno Pasquale, travolto da un’auto in corsa, muore sul colpo allorché Peppi 'i Masi è a Gorgonzola dalla figlia. In casa c’era solo la mamma e i tre più piccoli: Alfredo, Mario e Raffaele, rispettivamente di 9, 7 e 5 anni. Nazzareno era in Finanza nel Brennero e Guerino in una scuola alberghiera presso Ginevra.
Il lutto fu difficile da affrontare per l’improvviso mancato sostegno finanziario, essendo Pasquale l’unico in famiglia ad avere un reddito. La salma fu trasportata al cimitero di Galatro.
Quello stesso anno vede la famiglia intera entrare per la prima volta in una chiesa evangelica a Grenoble, meravigliosa cittadina capoluogo del dipartimento dell’Isère, circondata dalle alte montagne innevate del Vercors, la Chartreuse e il Beldonne, sulla confluenza dei torrenti Isère e Drac, prima di risalire quel sifone geografico che porta il sempre pieno fiume verso la valle del Rodano che poi sfocerà nel mediterraneo attraverso quella caratteristica zona ricca di cavalli allo stato brado che è la Camargue.
La cittadina di Grenoble, che contava circa cinquecentomila abitanti compresa la “banlieu”, comprendeva ben centoventimila stranieri e, di questi, centomila erano italiani. Non fu dunque strano vedere una famiglia d’italiani entrare in quella “chiesetta evangelica”, ma la straordinarietà era che questa famiglia occupò ben dodici posti a sedere tra familiari di Peppi 'i Masi e di Rachelina.
Poco dopo, Peppi 'i Masi con “Meluzza” e Nazzareno, su loro richiesta, vengono battezzati per immersione (secondo la scrittura biblica). Seguirono poi a breve tempo, l’anno successivo, quelli di Guerino e Rachelina, poi Alfredo e Adriano... e così via. Dopo tanti anni, tutti i suoi figli, generi e nuore, compresi i nipoti e pronipoti passano per le acque del battesimo. Inevitabile ripensare al nonno e allo zio Simari che morirono senza vedere alcuno dei familiari abbracciare la loro fede, pur avendo operato per l’apertura di due chiese evangeliche: quella di Galatro ed una a Ribolla (Grosseto).
I figli crescono. Nazzareno, congedatosi dalla Finanza, consegue la maturità in meccanica e lavora presso la Merlin-Gerin di Grenoble, grande azienda elettromeccanica Francese. Guerino lavora pure in quell’azienda, dopo gli studi serali di elettrotecnico. Alfredo completa gli studi professionali di modellista meccanico. Mario vuole fare il meccanico ma... precedenza ai francesi in quella scuola tecnica. Opzioni proposte: agricoltura o edilizia... contadino o muratore. Quindicenne già forte di carattere, decide di tornare in Italia e iscriversi in una scuola tecnica di Milano. Cosa che fa, trasferendosi in casa di Rocco e Auriemma e consegue la maturità meccanica presso il "Cesare Correnti" di Milano. Rimane il piccolo Raffaele, il più coccolato, che ha solo dodici anni. Guerino, innamoratosi di una bella italiana di Gorgonzola, decide anche lui di tornare in Italia e gli tocca subito sorbirsi quindici mesi di naia a Cividale del Friuli.
Peppi 'i Masi decide di tornare in patria ed acquista una cascina a Gessate presso Gorgonzola.
Nazzareno convola in matrimonio con Jolanda Panetta (figlia di “Cheli 'i Renna”) a Galatro, con cerimonia inusuale per la nostra cittadina. Prima davanti al sindaco prof. Bruno Marazzita, e poi con festa nella casa in costruzione nelle vicinanze del “calvario”, vicino al macello, appena sotto “'a villa”. Cerimonia che passò alle cronache per l'avvelenamento di quasi tutti gli invitati da “dolci” nuziali avariati.
Guerino sposa la sua amata Rita Pace a Gorgonzola. Alfredo prende le vie di Parigi prima e poi di Londra, dove sposa la sua Jane Marshal. Invece Mario trova e sposa in Finlandia la sua Meini Pasanen. Tutti e due restano più di venti anni lontani dall’Italia. Raffaele sposa la sua Lucia Gentile a Monza.
Numerosi dunque sono i nipoti di Peppi 'i Masi: da Domenico, quattro maschi e due femmine; Rachele, tre maschi ed una femmina; Auriemma, un maschio e quattro femmine; Nazzareno, due maschi, una femmina e poi ancora un maschio a più di cinquant’anni; Guerino, un maschio e due femmine; Alfredo, un maschio ed una femmina; Mario, un maschio ed una femmina; così pure Raffaele, un maschio ed una femmina. In tutto ventotto e attualmente ventitre pronipoti!
Poi, negli anni '90, inizia un periodo di sofferenze causate da un tumore alla prostata che lo vedono peregrinare negli ospedali di Cassano d’Adda, Gorgonzola, Cernusco sul Naviglio, Modena. Essendo anche diabetico, le complicazioni si sommano fino a quel fatidico giorno in cui, colpito da coma diabetico, nessuno si avvede della reale causa e, invece dello zuccherino che lo avrebbe sanato, viene ricoverato ,e in seguito a questo episodio, decede in casa il 25 Novembre 1993 alle 20,35 tra le cure dei figli presenti.
La sua fede nel Signore era palese a tutti e non perdeva occasione per raccontare quanto Dio era stato buono con lui. In occasione di uno dei primi ricoveri in ospedale a Cassano d’Adda, il primario chiamò a colloquio il figlio Guerino (ricoverato anch’esso nello stesso ospedale e nella stessa stanza per appendicite) chiedendo della fede di quest’uomo Peppi 'i Masi. Gli disse che in sala operatoria, prima dell’intervento dell’anestesista, Peppi chiese di poter pregare e, seduto sul tavolo operatorio, pregò per tutti i presenti, per le loro famiglie e poi si rimise alla volontà di Dio per la sua salute. Dopodiché disse ai chirurghi: “adesso fate pure tutto quello che dovete fare”.
Non mancò di parlare del suo Salvatore ai suoi numerosi parenti invitandoli, nella sua semplicità, all’accettazione del Signore Gesù come personale Salvatore. Non indirizzava le persone ad una chiesa in particolare, ma alla persona di Gesù soltanto.
Le sue preghiere, dopo le giornate di pesante lavoro da boscaiolo, quando ancora non aveva fatto quella scelta di fede evangelica, erano: “Oh Dio, se ci sei, aiuta i giusti e colpisci i peccatori, me per primo se ho mancato”.
Dopo la sua conversione commentava il suo vecchio modo di pregare come la preghiera di uno sciocco, perché diceva: meno male che Dio non mi prendeva sul serio, altrimenti chissà quante volte avrebbe dovuto castigarmi. Aveva capito dalla lettura della Bibbia che non c’è nessun giusto, neppure uno, e che tutti sono peccatori e privi della gloria di Dio, dunque bisognosi di salvezza e di perdono in Cristo Gesù.
Oramai, negli ultimi anni, aveva un caratteristico modo di pregare. Ogni sera diceva: ecco, ancora un giorno in meno. E sì, perché desiderava incontrare il suo Salvatore e Signore. Gli piaceva anche ricordare le parole del salmista: vale più un giorno nei Tuoi cortili che mille altrove. Memore delle famose parole di “quello” che diceva: meglio un giorno da leone che cento da pecora.
Egli credeva nella promessa di Gesù che disse: vado a prepararvi un luogo, quando l’avrò preparato tornerò e vi porterò nella casa del Padre mio dove ci sono molte stanze.
L’epitaffio che volle sulla sua tomba è:
Gesù disse: io sono la risurrezione e la vita, colui che crede in me vivrà quand’anche fosse morto e chiunque vive e crede in me non morrà mai.
Credi tu questo?
Evangelo di Giovanni cap. 11 vv. 25 e 26.

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