(6.7.06) UNA LETTERA AL NUOVO SINDACO (di Raffaela Cuppari) - Buenos Aires - Egregio Sr. Sindaco Carmelo Panetta,
congratulazioni per la vittoria e per il risultato elettorale. Ho letto il caloroso saluto ai numerosi galatresi emigrati, nei quali mi riconosco.
Mi fa molto piacere vedere nel suo scritto l´intenzione di rafforzare i legami con le comunitá galatresi di ogni parte del mondo, per tener vivo un rapporto con la storia e la cultura del luogo d´origine.
Attendiamo con speranza e con fervore le iniziative che si progettino per e con i galatresi del mondo: io in particolar modo per i galatresi di Buenos Aires (Argentina), dove abbiamo una Associazione della Vergine della Montagna per la quale un gruppo di Galatresi (molti di loro scomparsi per raggiungere un mondo diverso) ha lavorato tantissimo per portare avanti e mantenere i legami con la nostra cultura.
Oggi continuiamo questa tradizione quei pochi rimasti, con l´aiuto dei figli e dei nipoti di quelli emigrati.
Abbiamo anche il Coordinamento Donne italo-argentine, che fa parte dell'Unione, con il quale abbiamo portato avanti tutta la campagna elettorale per sviluppare il programma delle politiche del Prof. Romano Prodi.
Auguri di buon Lavoro nella gestione.
Disponibili per portare avanti qualsiasi iniziativa e collaborare attivamente, distinti saluti. Raffaela Cuppari Emigrata da Galatro (Novembre 1954)
Pres. Coordimento Donne italo-argentine
Av. La Plata 303 8° "B" Capital
T.E./Fax 0054-114903-7766
E-mail: donneitarg@fibertel.com.ar www.coorditar.com.ar
(16.11.06) UN GRAZIE ALLA REDAZIONE (di Guerino De Masi) - Desidero ringraziare la Redazione per avermi ospitato così calorosamente.
Infatti, la mia richiesta di aiuto è stata pienamente soddisfatta.
Quando ho chiesto notizie di Vincenzo, mio amico d'infanzia, ricevevo il giorno dopo una e-mail dalla nipote che mi ha così messo in contatto telefonico con questo mio caro lontano amico.
Ho scoperto così che in molti gli avevano telefonato dicendogli che qualcuno lo cercava! "Gli devi forse qualcosa?"!
Non mi resta adesso che andare nella vicina Arona ed abbracciare Vincenzo che tra l'atro non ricorda niente di me...!
Devo confessare che da allora, settimanalmente, visito il sito. E' un po come tornare al mio caro paese di origine. Leggo le firme e scopro che i tanti nomi mi sono familiari per averli spesso sentiti dai miei genitori. Dai Demasi ai Furfaro, Raschellà, Marazzita, Cirillo, Pettinato, Ocello, Zito, Panetta...
Rammento che ho dei cari cugini ancora a Galatro: Paolo Pettinato per esempio; purtroppo recentemente è mancato suo fratello Ferruccio (Peppe) che molti ricorderanno. Questo mi riporta all'Agosto del '65, quando mio fratello Pasquale, deceduto in seguito ad un incidente stradale in Francia, venne sepolto a Galatro. Avevo solo 15 anni. E poi a Galatro c'è anche mio cugino Domenico Mannella, sposato con una delle figlie di Rocco Demasi, cugino di mio padre Peppe 'Imasi! Certamente non sto parlando di giovanotti... ma ho scoperto che su internet viaggiano soprattutto dei ragazzini ultracinquantenni come me!
Vorrei chiedere alla Redazione se è possibile intervenire anche su argomenti religiosi riguardo alla fede. Sono di fede Evangelica e la piccola chiesa evangelica di Galatro è nata con la semplice testimonianza di mio zio Antonio Simari e di mio nonno Michele che, rimpatriati dall'Argentina negli anni '20, hanno iniziato quel modesto lavoro di testimonianza tuttora presente a Galatro. Successivamente, grazie a Rocco Marazzita (adesso mio cognato), la nostra famiglia, emigrata in Francia nel '58, ritorna a contatto con gli Evangelici e uno dopo l'altro abbracciamo la fede evangelica.
Penso che questo fatto possa interessare qualcuno dei Galatresi sparsi per il mondo.
Grazie ancora alla Redazione per quanto fa con il sito che è veramente ben presentato ed attivo.
Dio vi benedica e faccia prosperare Galatro e tutti i miei compaesani. Guerino De Masi - Vimercate (Milano)
(19.11.06) SULL'ARTICOLO DI MASSIMILIANO MERCURI (di Guerino De Masi) - Ho letto con interesse l’articolo di Massimiliano Mercuri del 24.8.06 sul tema della crisi del Cristianesimo.
Pur ritrovandomi in molte parti della sua analisi, in quanto Cristiano, di fede Evangelica, non ho potuto fare a meno di pensare a quanto è scritto nella Bibbia.
Per questo è forse necessaria una premessa rifacendomi al motto dei riformatori: "sola grazia, sola fede, sola scrittura".
Nell’articolo sopra menzionato si fa uso di citazioni eccellenti di uomini di Chiesa e di scrittori di tutto rispetto.
Mi compiaccio anche delle numerose citazioni della Bibbia che, pur non essendo specificamente indicate, hanno il loro posto in questo libro, “Il Libro” per eccellenza che è Parola di Dio.
Senza voler essere apocalittico e polemico, vorrei qui ricordare delle affermazioni fatte da quello che è stato definito “il primo dopo l’unico”, cioè Paolo.
San Paolo, l’Apostolo che, scrivendo ai Romani, al primo capitolo descrive la decadenza pagana usando queste espressioni:
(uomini) …ricolmi di ogni ingiustizia, malvagità, cupidigia, malizia; pieni d'invidia, di omicidio, di contesa, di frode, di malignità; calunniatori, maldicenti, abominevoli a Dio, insolenti, superbi, vanagloriosi, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, insensati, sleali, senza affetti naturali, spietati. Essi, pur conoscendo che secondo i decreti di Dio quelli che fanno tali cose sono degni di morte, non soltanto le fanno, ma anche approvano chi le commette.
Purtroppo, è questa la realtà che spesso ci circonda. Ma, ahimè, è una storia che si ripete.
E nella sua seconda lettera al giovane Timoteo dice:
Or sappi questo: negli ultimi giorni verranno tempi difficili; perché gli uomini saranno egoisti, amanti del denaro, vanagloriosi, superbi, bestemmiatori, ribelli ai genitori, ingrati, irreligiosi, insensibili, sleali, calunniatori, intemperanti, spietati, senza amore per il bene, traditori, sconsiderati, orgogliosi, amanti del piacere anziché di Dio, aventi l'apparenza della pietà, mentre ne hanno rinnegato la potenza.
Ora, da quanto ho recepito dall’articolo di Massimiliano Mercuri, questa crisi sarebbe derivata dalla non sottomissione alla gerarchia ecclesiastica e dalla mancanza di obbedienza (presumo, alla dottrina della Chiesa).
Vorrei qui dire che la sua eloquente disserzione, pur richiamando alcuni passi della Bibbia, riduce comunque questa “crisi del Cristianesimo” alla non sottomissione al magistero della chiesa più che alla non sottomissione a Dio e la Sua Parola.
Si legge in 1’ Samuele al capitolo 15 e verso 22:
Il Signore gradisce forse gli olocausti e i sacrifici quanto l'ubbidire alla sua voce? No, l'ubbidire è meglio del sacrificio, dare ascolto vale più che il grasso dei montoni;
E l'ubbidienza che Dio richiede ad ognuno di noi è di ascoltare la Sua Parola che dà vita abbondante in Gesù Cristo quando c'è pentimento, ravvedimento e conversione.
Ciò è ancora possibile oggi malgrado la deriva di questa società occidentale assalita da tutti quei mali da Mercuri enunciati, non per ultimo l'islamizzazione che ricatta e condiziona il nostro essere Cristiani.
(30.11.06) RISPOSTA A "RIFLESSIONI SULLA LIBERTA'" (di Guerino De Masi) - Ciao caro concittadino Furfaro. Grazie delle tue riflessioni sulla libertà e soprattutto dell’invito a rispondere.
Inizierei con un’espressione che troviamo nella Bibbia e più specificamente nei Vangeli che ci riportano le parole del Signore Gesù: “Conoscerete la Verità e la Verità vi renderà Liberi” (Giov. 8:32).
In un altro passo dello stesso vangelo troviamo questa espressione unica: “Io sono la via, la verità e la vita”.
Non posso fare a meno di pensare a quegli schiavi di colore che in America cantavano i loro “Gospels” (Negro Spirituals), pregustando o aspettando la libertà che nella loro anima era già ben presente pur essendo in catene (Oh when the saints… Swing low… Sommeting… Lord a want…)
Alla tua domanda: siamo davvero liberi? Risponderei: si, se conosciamo la Verità. Quella verità proclamata dai vangeli.
Per quanto mi riguarda, ho scoperto che la verità ha un nome ed è Gesù che mi ha liberato dalla schiavitù del peccato e dalla morte, dall’egoismo e dall’odio. Perché, a mio parere, quello che manca, o che non è evidente per l’uomo di oggi, è di poter identificare la verità in questa giungla di opinioni dove tutto è ridotto al relativismo e ciò che è per me verità non lo è necessariamente per l’altro.
E questo in ogni campo di pensiero; filosofico, religioso, politico o etico. Siamo arrivati al fatto che il concetto di verità è un’opinione!
- Rubare è un reato, ma se sei capace di evadere il fisco, sei un dritto.
- Falsa testimonianza e menzogna dovrebbero essere bandite dalla nostra società ma, poiché il fine giustifica i mezzi, secondo Machiavelli, ci possono stare anche le bugie.
- La vita è sacra e va difesa, ma poi si mandano a morire giovani in piena salute nelle guerre contro i propri simili o si ammazzano nuove creature abortendole perché malate, deformi o semplicemente indesiderate, dimostrando che non è poi così sacra come si va dicendo.
- Pace, pace. Una bella parola che oramai colora tanti balconi e manifestazioni di piazza. Ma... quanti portatori di queste bandiere sono in pace con il loro vicino di casa, con il proprio coniuge, con il genitore, con se stessi?
Tu ci parli di autodistruzione e fai bene. Un po' tutti siamo responsabili di questa distruzione se non siamo portatori della “verità”. Quel famoso uomo passato alla storia per essersene “lavato le mani”, Pilato, aveva posto la domanda a Gesù: che cos'è verità? Concludendo “crocifiggetelo”. Disconoscendo la verità, rimase schiavo dell’odio di quegli uomini religiosi che a tutti i costi hanno voluto la condanna dell’Innocente. Pilato non era libero come non lo è l’uomo di oggi relativizzando la verità.
Tu dici: Liberi di fare cosa? E poi denunci l’ipocrisia dello studiare ogni gesto per apparire quello che non si è. Gli uomini "liberi", sono sempre stati controcorrente. Rinunciando ai compromessi si è derisi ed emarginati quando non addirittura imprigionati o ammazzati. Non sto esagerando. Possiamo trovare questi riscontri in tutti i luoghi ed in ogni tempo.
Per amore della verità e della libertà ci furono le rivoluzioni (conosco bene quella francese per averla studiata a scuola sin dalle elementari: Liberté, Egalité, Fraternité) ma mi piace pensare anche al nostro Rinascimento, penso anche alla Riforma e di conseguenza alle “sacre inquisizioni”, penso alla triste epoca del nazi-facismo, ma penso anche all’attuale situazione dei paesi islamici e dei paese a regime totalitario.
Ancora oggi si muore se si esprime la verità là dove è imposto un pensare unico e dove dunque non esiste la libertà.
Il senso dell’esistenza dell’uomo? Sono parole tue. Grossa domanda… Questione che ha da sempre impegnato il pensiero umano. Chi sono? Perché sono? Dove vado?
Ringrazio Dio perché la risposta è a disposizione di tutti. La verità s’è fatta Uomo. Per utilizzare le parole del prologo del vangelo di Giovanni: il verbo si è incarnato. E questa verità (che è Gesù) vi farà liberi.
Nel salutare, desidero ringraziare la Redazione per questa pagina dove posso ascoltare ed interloquire con galatresi sparsi nel mondo e che non si accontentano di superficialità ma sono impegnati ognuno là dove vive con dedizione e serietà.
Non potrebbe forse nascere una "rubrica" da dedicare come Forum con vari temi dove si potranno leggere interventi di nostri compaesani?
Ancora grazie della vostra gentile ospitalità.
(30.11.06) ANCORA SULL'ARTICOLO DI BARTOLO FURFARO (di Montagna Lauro) - Volevo rispondere a Bartolo sulle sue "riflessioni sulla libertà".
Libertà dovrebbe essere pensare, muoversi e decidere da sé sempre, ma purtroppo non è così, perché siamo sempre schiavi di qualcosa o qualcuno, più volte schiavi di noi stessi perché bisogna salvare l’apparenza che ci fa rimanere radicati nell’ignoranza.
Ai tempi della guerra ci si metteva in fila per prendere qualcosa da mangiare, adesso non ci si mette in fila ma bisogna fare i conti con chi le fila le muove per noi e, giorno dopo giorno, ci mette in condizioni sempre più precarie e questo perché non si ha il coraggio di dire basta. Abbiamo una mente: usiamola invece di adattarci a ciò che ci viene offerto.
Ci siamo adagiati e non ci rendiamo conto che il benessere che si è creato ci sta portando indietro, perché l’ingordigia ha preso il sopravvento e non riusciamo a renderci conto che la libertà, che è stata ottenuta con tante battaglie, non è nostra, noi siamo solo dei robot al servizio della tecnologia che ci sterminerà, perché non siamo in grado di gestirla nel
modo giusto. Un caro saluto a tutti.
(12.12.06) IL PROGETTO "PRO-GALATRO" (di Bartolo Furfaro) - Vorrei ringraziare Guerino De Masi e Montagna Lauro per avere espresso le proprie idee riguardo il mio articolo sulla libertà. Ringrazio anche Mario Sofrà, anche se devo dire che il progetto "Pro-Galatro" non si è fermato ad una sola idea.
Un gruppo di galatresi molto affiatato e pieno di voglia di fare ha fatto nascere la suddetta associazione. Saranno adesso quasi 10 anni che, per scarsa o minima partecipazione di galatresi, abbiano dovuto chiudere i battenti.
Certo, ognuno è libero di fare quello che ritiene che sia bene per se stesso, ma nessuno ha trovato il "tempo" o solo la curiosità per intervenire alle molteplici manifestazioni che la Pro-Galatro ha organizzato, con quasi sempre la presenza del Sindaco di Galatro che era in carica in quel momento.
A settembre del 2006 mi sono incontro con il sindaco Panetta. Abbiamo discusso sulla riapertura della Pro-Galatro e di alcuni servizi che vorremmo nella Pro-Galatro.
Caro Mario, io non vorrei aprire nessuna polemica. Non faccio riferimento specifico all'esperienza passata della Pro-Galatro,
ma ancora oggi sto cercando di far vivere quello che con amore abbiamo creato.
(16.12.06) DUE RIGHE PER BARTOLO FURFARO (di Mario Sofrà) - Caro Bartolo, nel leggere il tuo bell'articolo olistico intitolato "Il progetto Pro-Galatro" mi sono accorto che nel mio intervento non viene citato il tuo bell'articolo sulla libertà, e mi scuso per l'inconveniente.
E' evidente che senza il tuo bell'articolo promotore non ci sarebbero nemmeno le risposte citate, neanche la mia.
In riferimento alla Pro Galatro nessuna polemica: il passato è passato e fa molto piacere sentire che, grazie a te, qualcosa si muove e sono molto apprezzabili e lucidanti le righe 8 e 9, ben venga. Galatro ha bisogno dei galatresi come i galatresi di Galatro... con un'occhio d'interesse al progresso e all'equità dello sviluppo della Persona nel terzo millennio
della tecnica (grazie anche a Tesla).
Se la mia e-mail sulla Pro Galatro ha generato incomprensione ed ho svegliato problematiche a me sconosciute, mi puoi contattare telefonicamente o su skype. Sarò felice di mettere a tua disposizione tutto quello che è rimasto in mio possesso.
In riferimento alla libertà: Libertà è anche il non bisogno di dare una risposta.
(31.12.06) "PEPPI 'I MASI" (di Guerino De Masi) - Prima di tutto complimenti a Liliana Esher Ambesi per "Ricordando mio padre". Inizio quindi il mio racconto:
15 Agosto 1910, un’altra ondata di emigranti Italiani arriva a Buenos Aires.
Tra questi semplici uomini e donne ci sono braccianti, contadini e tutti quanti in cerca di lavoro e fortuna.
Raffaele Demasi è tra questi. Ha lasciato a Galatro sua moglie incinta e due figlie femmine. Il suo primo maschio, Domenico, è in età di fare il soldato. Il viaggio è stato lungo e scomodo e certamente ignora che, in quel preciso giorno, nasce il suo quarto figlio Giuseppe, che avrebbe visto solo dieci anni dopo.
Lui, Raffaele, terzo figlio di un certo Demasi che in precedente matrimonio aveva avuto altri due figli discendenti dei “Juhhà”: Lorenzo, alto, biondo, con occhi azzurri, adone ammirato da tante donne galatresi e Pasquale, uomo fine e rispettato dall’"ambiente".
Fin qua la mia conoscenza storica di questa famiglia Demasi (“'i Masi”) che annovera tanti discendenti un po’ dappertutto per il mondo.
Giuseppe nasce dunque il 15 Agosto 1910 e, poco dopo, resta orfano “anche” di madre che gli viene tolta da una semplice malattia oggigiorno normalmente curabile.
Si ritrova così, presto, solo uomo in casa, avendo perso anche il fratello maggiore Domenico, morto in un banale incidente di camion presso Treviso durante la tragica guerra del 1915-18.
A dieci anni Peppi era il tassista che da Galatro portava i passeggeri alla stazione di Rosarno con un calesse. Non è necessario dire che così precocemente maturò in lui il senso di responsabilità e di dedizione al lavoro nonché al risparmio.
Nel 1920 ritorna il padre Raffaele e si risposa, avendo altri due figli, il primo dei quali morì nell’infanzia ed il secondo, Salvatore, fece il calzolaio ed ora vive a Seveso, in provincia di Milano.
La prima figlia Carmela ("’a baruna!") sposa Pettinato e la seconda, Stella, va in sposa a mastro Peppino Manduci. Purtroppo Carmela rimane vedova con un nugolo di figli, i più grandi ancora adolescenti.
Dopo il periodo di leva a Napoli, (è là che imparò a leggere e scrivere) Giuseppe, che chiameremo d’ora in poi Peppi 'i Masi, all’età di ventitre anni, sposa Carmeluzza Simari, figlia di Michele e sorella di Antonio Simari, gli “evangelici” che hanno portato a Galatro la loro fede da Buenos Aires. Il fatto fece discutere non poco in quanto i “Simari” erano chiamati “protestanti” e, in quegli anni, non erano purtroppo ben accetti!
Dalla loro unione nacque prima Domenico, poi Rachele e infine Palma (nome imposto all’anagrafe) ma che lui decise di chiamare Auriemma.
Purtroppo, in quel periodo, ci fu un furto a Galatro e qualcuno indicò il Peppi 'i Masi come possibile autore del reato in quanto uomo che vestiva “elegante” con pantaloni alla zuava, stivali di pelle nera e giacche di velluto! Passando la sua vita nei boschi della "longa” a fare carbone, quando tornava in paese amava andare 'a "cantina" con i compari e dunque sfoggiare la sua eleganza. Per questo suo apparire, destò sospetti e fu dunque incarcerato a Polistena con relativo “interrogatorio” che non badava a dichiarazioni di innocenza.
Richiamato durante la seconda guerra mondiale, Peppi 'i Masi fu inviato come guardia frontiera in Tripolitania e precisamente a Bengasi, altra tappa che lasciò la sua impronta in Peppi ' Masi. Il fatto che lo colpì fu, durante la visita di un capitano cappellano che disse messa per i soldati in mezzo al deserto, seguita dalla consueta omelia, che non sembrò consueta per Peppi 'i Masi, quando lo sentì pregare per il Duce, il Principe e tutta la casa Savoia senza dire una parola per le famiglie dei soldati rimaste in patria. Indubbiamente fu una dimenticanza involontaria (me lo auguro) del cappellano ma che spinse il Peppi 'i Masi ad abbracciare l’ateismo, allora in voga, del partito socialista, più vicino ai lavoratori secondo la sua visione.
Di ritorno a casa, ebbe un altro figlio che chiamò Nazzareno, in ricordo delle sofferenze subite ingiustamente per quei quaranta giorni trascorsi in carcere a Polistena, e che non fece battezzare così come pure tutti gli altri quattro figli successivi: Pasquale, Guerino, Alfredo e Mario.
Ma ecco che il Nazzareno, iscritto alle scuole medie di Polistena, fa decidere Peppi 'i Masi a battezzare tutti i suoi figli per non creare difficoltà alla prosecuzione degli studi del figlio. La cosa fu interpretata in paese come: “Peppi 'i Masi si fici democristianu!”
La famiglia numerosa e il bisogno spinsero Peppi 'i Masi a cercare fortuna lavorando fuori. Un periodo in Sicilia, poi il Piemonte e finalmente in Francia dove, con il figlio Domenico, i nipoti Pettinato e diversi galatresi, lavorò come boscaiolo nelle montagne del sud est della Francia fino al settembre 1958, quando decise di far arrivare anche la sua numerosa famiglia. Appassionato ed esperto nel suo campo, si era specializzato in impianti teleferici a carrucola o a sbalzo per il trasporto dei tronchi a porto trattore. Era, tra l’atro, in grado di effettuare giunti alle funi col solo intreccio dei capi d’acciaio, tecnica non facilmente eseguibile senza una notevole esperienza.
L’anno successivo, dà in sposa la prima figlia Rachelina ad Adriano Signorini, bergamasco emigrato in Francia ancora in fasce. Nel 1960 nasce l’ultimo dei figli, Raffaele, poco dopo l’arrivo della prima nipote Christianne. Qualche anno dopo Auriemma sposa Rocco Marazzita, simpatizzante di quella fede evangelica portata dai Simari, e inizia a riallacciare rapporti con l’Italia, poiché questi abitavano nei pressi di Gorgonzola. Fu poi il tempo del primogenito Domenico che sposò Caterina Tomas di Rosarno, ma dimorò qualche tempo ancora in Francia dove ebbe il primo figlio Palmiro.
Il 1965 è stato l’anno che più marcò la vita di Peppi 'i Masi. Avendo accusato dolori al petto ed al braccio sinistro, si fece visitare da uno specialista di Grenoble, tradotto dal figlio Guerino quindicenne. Diagnosi: angina pectoris. Costretto a lasciare il duro lavoro di boscaiolo, dedica maggior tempo ai figli in Francia ed in Italia. E’ a Pasqua di quell’anno che, visitando Auriemma e Rocco a Gorgonzola, incontra un “evangelico” quasi analfabeta come lui, ma che lo colpisce per la sua chiarezza e dimestichezza col vangelo. Disse: “Ah, chistu sì ch'è ‘nu credenti!”. Tornano in Francia, completamente trasformati, Peppi 'i Masi, Carmeluzza la moglie (che lui chiamava affettuosamente “Meluzza”) e i figli Domenico e Pasquale. Non più litigi tra padre e figlio, ma canti di lode a Dio. Era un uomo completamente nuovo. Da quel giorno iniziano, lui e la sua famiglia, a leggere assiduamente la Bibbia tutti i giorni. Non conoscevano e non frequentavano in Francia alcun gruppo o qualsivoglia chiesa evangelica. La famiglia era trasformata da questa novità e Carmeluzza diceva: “finalmente la pace di Dio è entrata nella mia famiglia”.
Il primo agosto di quello stesso anno Pasquale, travolto da un’auto in corsa, muore sul colpo allorché Peppi 'i Masi è a Gorgonzola dalla figlia. In casa c’era solo la mamma e i tre più piccoli: Alfredo, Mario e Raffaele, rispettivamente di 9, 7 e 5 anni. Nazzareno era in Finanza nel Brennero e Guerino in una scuola alberghiera presso Ginevra.
Il lutto fu difficile da affrontare per l’improvviso mancato sostegno finanziario, essendo Pasquale l’unico in famiglia ad avere un reddito. La salma fu trasportata al cimitero di Galatro.
Quello stesso anno vede la famiglia intera entrare per la prima volta in una chiesa evangelica a Grenoble, meravigliosa cittadina capoluogo del dipartimento dell’Isère, circondata dalle alte montagne innevate del Vercors, la Chartreuse e il Beldonne, sulla confluenza dei torrenti Isère e Drac, prima di risalire quel sifone geografico che porta il sempre pieno fiume verso la valle del Rodano che poi sfocerà nel mediterraneo attraverso quella caratteristica zona ricca di cavalli allo stato brado che è la Camargue.
La cittadina di Grenoble, che contava circa cinquecentomila abitanti compresa la “banlieu”, comprendeva ben centoventimila stranieri e, di questi, centomila erano italiani. Non fu dunque strano vedere una famiglia d’italiani entrare in quella “chiesetta evangelica”, ma la straordinarietà era che questa famiglia occupò ben dodici posti a sedere tra familiari di Peppi 'i Masi e di Rachelina.
Poco dopo, Peppi 'i Masi con “Meluzza” e Nazzareno, su loro richiesta, vengono battezzati per immersione (secondo la scrittura biblica). Seguirono poi a breve tempo, l’anno successivo, quelli di Guerino e Rachelina, poi Alfredo e Adriano... e così via. Dopo tanti anni, tutti i suoi figli, generi e nuore, compresi i nipoti e pronipoti passano per le acque del battesimo. Inevitabile ripensare al nonno e allo zio Simari che morirono senza vedere alcuno dei familiari abbracciare la loro fede, pur avendo operato per l’apertura di due chiese evangeliche: quella di Galatro ed una a Ribolla (Grosseto).
I figli crescono. Nazzareno, congedatosi dalla Finanza, consegue la maturità in meccanica e lavora presso la Merlin-Gerin di Grenoble, grande azienda elettromeccanica Francese. Guerino lavora pure in quell’azienda, dopo gli studi serali di elettrotecnico. Alfredo completa gli studi professionali di modellista meccanico. Mario vuole fare il meccanico ma... precedenza ai francesi in quella scuola tecnica. Opzioni proposte: agricoltura o edilizia... contadino o muratore. Quindicenne già forte di carattere, decide di tornare in Italia e iscriversi in una scuola tecnica di Milano. Cosa che fa, trasferendosi in casa di Rocco e Auriemma e consegue la maturità meccanica presso il "Cesare Correnti" di Milano. Rimane il piccolo Raffaele, il più coccolato, che ha solo dodici anni. Guerino, innamoratosi di una bella italiana di Gorgonzola, decide anche lui di tornare in Italia e gli tocca subito sorbirsi quindici mesi di naia a Cividale del Friuli.
Peppi 'i Masi decide di tornare in patria ed acquista una cascina a Gessate presso Gorgonzola.
Nazzareno convola in matrimonio con Jolanda Panetta (figlia di “Cheli 'i Renna”) a Galatro, con cerimonia inusuale per la nostra cittadina. Prima davanti al sindaco prof. Bruno Marazzita, e poi con festa nella casa in costruzione nelle vicinanze del “calvario”, vicino al macello, appena sotto “'a villa”. Cerimonia che passò alle cronache per l'avvelenamento di quasi tutti gli invitati da “dolci” nuziali avariati.
Guerino sposa la sua amata Rita Pace a Gorgonzola. Alfredo prende le vie di Parigi prima e poi di Londra, dove sposa la sua Jane Marshal. Invece Mario trova e sposa in Finlandia la sua Meini Pasanen. Tutti e due restano più di venti anni lontani dall’Italia. Raffaele sposa la sua Lucia Gentile a Monza.
Numerosi dunque sono i nipoti di Peppi 'i Masi: da Domenico, quattro maschi e due femmine; Rachele, tre maschi ed una femmina; Auriemma, un maschio e quattro femmine; Nazzareno, due maschi, una femmina e poi ancora un maschio a più di cinquant’anni; Guerino, un maschio e due femmine; Alfredo, un maschio ed una femmina; Mario, un maschio ed una femmina; così pure Raffaele, un maschio ed una femmina. In tutto ventotto e attualmente ventitre pronipoti!
Poi, negli anni '90, inizia un periodo di sofferenze causate da un tumore alla prostata che lo vedono peregrinare negli ospedali di Cassano d’Adda, Gorgonzola, Cernusco sul Naviglio, Modena. Essendo anche diabetico, le complicazioni si sommano fino a quel fatidico giorno in cui, colpito da coma diabetico, nessuno si avvede della reale causa e, invece dello zuccherino che lo avrebbe sanato, viene ricoverato ,e in seguito a questo episodio, decede in casa il 25 Novembre 1993 alle 20,35 tra le cure dei figli presenti.
La sua fede nel Signore era palese a tutti e non perdeva occasione per raccontare quanto Dio era stato buono con lui. In occasione di uno dei primi ricoveri in ospedale a Cassano d’Adda, il primario chiamò a colloquio il figlio Guerino (ricoverato anch’esso nello stesso ospedale e nella stessa stanza per appendicite) chiedendo della fede di quest’uomo Peppi 'i Masi. Gli disse che in sala operatoria, prima dell’intervento dell’anestesista, Peppi chiese di poter pregare e, seduto sul tavolo operatorio, pregò per tutti i presenti, per le loro famiglie e poi si rimise alla volontà di Dio per la sua salute. Dopodiché disse ai chirurghi: “adesso fate pure tutto quello che dovete fare”.
Non mancò di parlare del suo Salvatore ai suoi numerosi parenti invitandoli, nella sua semplicità, all’accettazione del Signore Gesù come personale Salvatore. Non indirizzava le persone ad una chiesa in particolare, ma alla persona di Gesù soltanto.
Le sue preghiere, dopo le giornate di pesante lavoro da boscaiolo, quando ancora non aveva fatto quella scelta di fede evangelica, erano: “Oh Dio, se ci sei, aiuta i giusti e colpisci i peccatori, me per primo se ho mancato”.
Dopo la sua conversione commentava il suo vecchio modo di pregare come la preghiera di uno sciocco, perché diceva: meno male che Dio non mi prendeva sul serio, altrimenti chissà quante volte avrebbe dovuto castigarmi. Aveva capito dalla lettura della Bibbia che non c’è nessun giusto, neppure uno, e che tutti sono peccatori e privi della gloria di Dio, dunque bisognosi di salvezza e di perdono in Cristo Gesù.
Oramai, negli ultimi anni, aveva un caratteristico modo di pregare. Ogni sera diceva: ecco, ancora un giorno in meno. E sì, perché desiderava incontrare il suo Salvatore e Signore. Gli piaceva anche ricordare le parole del salmista: vale più un giorno nei Tuoi cortili che mille altrove. Memore delle famose parole di “quello” che diceva: meglio un giorno da leone che cento da pecora.
Egli credeva nella promessa di Gesù che disse: vado a prepararvi un luogo, quando l’avrò preparato tornerò e vi porterò nella casa del Padre mio dove ci sono molte stanze.
L’epitaffio che volle sulla sua tomba è:
Gesù disse: io sono la risurrezione e la vita, colui che crede in me vivrà quand’anche fosse morto e chiunque vive e crede in me non morrà mai.
Credi tu questo?
Evangelo di Giovanni cap. 11 vv. 25 e 26.