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2.4.10 - Che cos'è la Pasqua
Giuseppe Romeo

4.4.10 - Resurrezione
Pasquale Cannatà

6.4.10 - Cattolici e politica
Domenico Distilo

8.4.10 - Siamo o non siamo italiani veri?
Bruno Zito

11.4.10 - Lettera per un angelo
Biagio Cirillo

20.4.10 - Chiesa sotto attacco
Michele Scozzarra

24.4.10 - Ateismo e paura della morte
Pasquale Cannatà

26.4.10 - Primo Maggio a Rosarno
Rocco Cutrì

1.5.10 - La paura della morte fa parte dell'uomo, sia esso ateo o credente
Stefano Ceravolo

6.5.10 - Calcio e matematica (parte III)
Vittorio Cannatà

30.5.10 - Il rischio di default e la mossa del cavallo
Domenico Distilo

2.6.10 - Festa della Repubblica... festa della Patria
Michele Scozzarra

6.6.10 - Consumazione di un crimine storico e ambientale
Alfredo Distilo

10.6.10 - Una poesia di attualità per Galatro
Alfredo Distilo

12.6.10 - Contro la legge bavaglio

16.6.10 - Non è tempo di "stridi"
Maria Grazia Simari

16.6.10 - Dialogando nell'aldilà
Angelo Cannatà





(2.4.10) CHE COS'E' LA PASQUA (Giuseppe Romeo) - La Pasqua è il centro della nostra fede, e senza di essa l’evento della Resurrezione, sarebbe privo di senso. La Pasqua è un evento gioioso, di allegria e letizia, vale a dire la certezza che Cristo vince il male, la morte e il peccato. Ecco, dobbiamo seguirlo con la massima fiducia.
Anche la liturgia si adatta alla Pasqua. La liturgia non è un fatto memoriale esteriore, quanto simbolico, infatti troviamo l’acqua, che ci porta al battesimo, il fuoco, ovvero la fiamma della fede, e anche i paramenti del sacerdote, da viola (simbolo della penitenza) diventano bianchi, simbolo della festa, della letizia. La chiesa torna ad intonare il Gloria e l’Alleluia. Insomma anche la liturgia si veste di allegria.
Ma basta solo questo? No. I segni esteriori sono importanti, ma con la resurrezione di Cristo deve risorgere anche la nostra anima. Dobbiamo liberarci dalla schiavitù del peccato che ci attanaglia, eliminare tutte le cose inutili, saper essere uomini nuovi e puri in tutti i sensi. Questo ci chiede il Signore con la Resurrezione. Allora che cos’è la Pasqua? Che cosa deve essere?
Un incontro con Cristo, un incontro personale. Se cosi è la Pasqua, assume un aspetto di un fatto molto originale e interessante, molto bello. La prima cosa riguarda il dove e come avviene l’incontro pasquale con Cristo. L’incontro è interiore, cioè avviene dentro noi stessi, nella nostra anima, nell’intimo della personalità. Dovremmo aggiungere anche nella chiarezza della nostra coscienza, nella misteriosa presenza di Cristo in noi. Ciò che importa è che l’incontro con Cristo avviene dentro di noi nell’ambito della vita interiore, nella sfera personale della nostra religiosità, e innanzi tutto nella nostra fede.
Il punto di incontro naturale con Dio è nel cuore umano. Tutto parte dal cuore. Se l’uomo ha il cuore teso verso Cristo, se ha questa tensione del cuore verso di lui, allora il miracolo dell’incontro accadrà.

Nella foto: Giuseppe Romeo.


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(4.4.10) RESURREZIONE (Pasquale Cannatà) - Ho letto e sentito parecchie volte da parte di molti grandi esponenti del pensiero di sinistra affermazioni lusinghiere riguardo alla 'filosofia sociale cristiana', ma mi stupisco sempre del fatto che essi non colgano la contraddizione insita nel fare una distinzione tra l'umanità di Gesù (il Gesù storico di Corrado Augias e di altri non-credenti che si vogliono cimentare in analisi del fenomeno che va sotto il nome di Cristianesimo) e la divinità di Cristo: se infatti Gesù è semplicemente un uomo, allora è anche un pazzo, perchè si è sempre proclamato figlio di Dio e Dio lui stesso, ed il suo messaggio non sarebbe altro che il vaneggiamento di un folle. Mi si potrebbe obiettare che la pazzia è sopraggiunta alla fine della sua predicazione, e che è stata questa a portarlo ad accettare la morte di croce: il messaggio del Vangelo (secondo loro) era già stato annunciato in tutta la sua grandezza, e gli apostoli che lo avevano seguito ed erano stati testimoni della sua predicazione e delle sue opere ce lo hanno trasmesso. In ogni caso si deve rilevare una grande incoerenza nel fatto che gli atei accettano come autentica la testimonianza dei Vangeli se riferita all'aspetto 'filosofico e sociologico', ma se si parla di miracoli e della divinità di Cristo, allora obiettano di testimonianze tardive, fantasiose e non prodotte da spettatori e protagonisti diretti.
Nei Vangeli si citano persone che erano ancora vive al tempo dell'inizio della predicazione della Buona Novella, e che avrebbero potuto smentire (loro o i loro figli) ciò che di essi veniva raccontato; si citano anche luoghi ed in alcuni casi addirittura l'ora in cui un fatto si era verificato o un discorso era stato pronunciato: si può ben dire che la storicità dei Vangeli non è meno valida dei racconti di Tito Livio ('ab urbe condita' sulla storia di Roma dalla nascita ad Augusto) o di Tacito ( gli 'annales' sulle vite degli imperatori romani del I secolo), dell'autobiografia di Cesare o degli scritti di tutti gli altri storici latini e greci di cui viene riconosciuta l'autenticità e su cui si basa la storia antica che conosciamo. Per quanto riguarda i reperti archeologici vale lo stesso discorso: ce ne sono in abbondanza tanto da convalidare per lo meno i dati storici, e di conseguenza anche tutto il resto.
Eccoci dunque al punto cruciale della questione: come dice San Paolo, 'se Cristo non è risorto, vana è la nostra fede'.
Chi non crede nella resurrezione di Cristo dovrebbe chiedersi che cosa ha trasformato Pietro da quell'uomo impaurito che pochi giorni prima aveva rinnegato il suo Maestro, in un testimone dalla fede incrollabile e pronto ad affrontare la morte: lui ha visto la tomba vuota, le bende, ed il sudario non per terra con le bende, ma arrotolato nel medesimo luogo (lo stesso punto cioè dove era prima quando avvolgeva il capo di Gesù). Se il corpo di Gesù fosse stato portato via, non si capisce perchè i trafugatori (che certamente avevano interesse a compiere la loro opera in tutta fretta) avrebbero perso tempo per togliergli le bende, ed in ogni caso mai e poi mai avrebbero potuto lasciare arrotolato ed al suo posto, nella sua posizione originale, il fazzoletto che gli avvolgeva la testa per tenere chiusa la bocca (il sudario): questa circostanza ha scosso Pietro dal suo torpore, gli sono divenuti chiari gli insegnamenti di Gesù Cristo ed infine ha fatto si che egli credesse così fermamente da trasmettere la sua fede a tutti quelli che a suo tempo lo hanno seguito anche nel martirio, e poi a tutte le generazioni che si sono susseguite fino a oggi ed a quelle che verranno fino alla fine dei tempi.
Solitamente la delusione per la morte di un profeta mette fine al fervore dei suoi seguaci che si ritirano tristi e sconsolati, come era appunto accaduto ai discepoli di Emmaus: ci suona normale il loro ragionamento « … noi speravamo che fosse lui a liberare Israele … con tutto ciò son passati tre giorni da quando queste cose sono accadute…»; infatti sembrava che tutto fosse finito ed essi andavano via da Gerusalemme: la tristezza ed un opaco pragmatismo oscuravano il loro sguardo, tanto che camminavano insieme al Risorto senza riconoscerlo « ma poi, riconosciutolo, si aprirono loro gli occhi … ed essi si dissero l'un l'altro: 'Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?'». Questo fatto ci incoraggia e ci aiuta a ricordare ed a credere che Dio non ci abbandona mai nelle nostre difficoltà e cammina a fianco a noi anche quando ci sentiamo soli e non Lo riconosciamo, ascolta le nostre storie personali e ce ne fa capire il significato così che a ripensarci, quando il peggio è ormai passato, ci arde il cuore nel petto. Rincuorati da questa presenza e pronti ora ad affrontare qualsiasi avversità, i due discepoli « … partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: 'Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone'.»
E' apparso dunque ai discepoli, che nonostante lo avessero avuto vicino per alcuni anni, ancora non avevano capito chi fosse veramente Gesù e le prime volte che si era manifestato a loro dopo la Resurrezione avevano addirittura avuto paura di Lui, credendo che fosse un fantasma.
Immagino già qualche commento che potrebbero fare quelli che si rifiutano di avere fede: ' è apparso ai suoi amici, che avrebbero tutto l'interesse a farci credere alla resurrezione di Gesù anche se non fosse vero: non sono credibili!' Invece è apparso anche al più crudele dei suoi nemici, a quel Paolo di Tarso che perseguitava i seguaci di questa nuova religione: egli credette, e fu in seguito il più fervente, convinto e capace tra tutti gli annunciatori della Buona Novella.
Che non sia cosa semplice per chi non ha vissuto da vicino i fatti accaduti (anzi, abbiamo visto che è stato difficile anche per loro) accettare la resurrezione è facilmente riscontrabile già da subito, e San Paolo ne fa esperienza diretta quando cerca di parlare di Gesù risorto, agli ateniesi… Quando sentirono parlare di risurrezione di morti, alcuni lo deridevano, altri dissero: «Ti sentiremo su questo un'altra volta»(Atti 17,32): essi veneravano (oltre ai tanti dei dell'Olimpo) anche un dio sconosciuto, perchè avevano paura della vendetta di un essere potente di cui avessero eventualmente trascurato di prendere in considerazione le qualità, a patto che si inserisse nel contesto del loro 'sistema' che rispetto agli altri stati vicini era molto avanzato culturalmente e sul piano delle istituzioni sociali e dei centri di aggregazione. Ma la nuova religione era ancora superiore alla loro cultura, perchè si basava tra l'altro (oltre che sull'insegnamento diretto di Gesù) sul precetto sabbatico ereditato dagli ebrei (non sono venuto per abolire la legge, ma per completarla) che prevedeva oltre al riposo settimanale dal lavoro, anche un riposo settennale della terra dal suo sfruttamento e la liberazione di schiavi e prigionieri dopo sette anni di servizio: questo istituto si opponeva allo sfruttamento delle classi più povere ed il suo accoglimento doveva portare nei secoli successivi al tracollo economico dell'impero romano, così come ancora più tardi l'abolizione della schiavitù ha messo in crisi l'economia degli stati confederati del sud che hanno lottato contro i nordisti durante la guerra di secessione americana.
La Pasqua, la Resurrezione, sono il segno che la vita vince la morte, anzi che l'Amore vince la morte: è morto, anzi E' Risorto! dice San Pietro, volendo sottolineare che è cosa della massima importanza (anzi la sola cosa che conti veramente) annunziare il fatto che Gesù è risorto, piuttosto che soffermarsi sulla passione e sulla croce.
La storia della salvezza è anche la storia dell'incessante giudizio dell'uomo su Dio scrive Messori nell'intervista a G.P.II: ma Dio non è l'Assoluto che sta al di fuori del mondo, che lo domina e lo guida senza esserne coinvolto, è invece l'Emmanuele, il Dio-con-noi che condivide la sorte dell'uomo e partecipa al suo destino. Cristo crocifisso è una prova della solidarietà di Dio con l'uomo sofferente.
Dopo averlo crocifisso, gli ebrei gli chiedevano di scendere dalla croce ed avrebbe potuto farlo, ma il fatto che abbia accettato di rimanere fino alla fine gridando addirittura Dio mio, Dio mio, perchè mi hai abbandonato? ci rivela la Sua condivisione delle nostre sofferenze e delle nostre debolezze. Il miracolo non sarebbe stato se fosse sceso, ma lo è stato per il fatto che è rimasto: se fosse sceso, che cosa avrebbe potuto dire a tutti i crocifissi della storia che non possono scendere, a tutti coloro che gridano e non hanno risposta, a tutti coloro che confidano in Dio e non sono liberati? È rimasto a condividere, ha cancellato la distanza e nello stesso tempo ci ha insegnato a confidare nonostante tutto scrive Angelo Casati.
Se è il figlio di Dio lo liberi ora, gridavano sul Golgota: la differenza tra chi crede e chi è scettico sta in questo 'ora'. Vorremmo imporre a Dio l'ora della liberazione, della fine di tutti i mali e delle sofferenze: il figlio di Dio è modello a tutti i giusti sconfitti e lascia a Lui decidere l'ora, ma sa che lo libererà, e questa fede nel Padre lo ha portato alla vittoria sulla morte.

Nell'immagine in alto: Cristo risorto.


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(6.4.10) CATTOLICI E POLITICA (Domenico Distilo) - Appena eletti, alcuni giorni fa, i governatori del Veneto e del Piemonte hanno annunciato che non avrebbero dato corso alla legge sulla pillola RU486, essendo essi cattolici ed essendo stati eletti da un elettorato cattolico. Una motivazione incongrua per una decisione palesemente illegale e incostituzionale che, avendo trovato oppositori nella stessa maggioranza di governo, è stata ritirata a stretto giro di posta.
La vicenda offre lo spunto per tentare di porre alcuni punti fermi in un dibattito che, soprattutto a causa dell’insipienza di alcuni politici cattolici o sedicenti tali, è diventato molto confuso, con prese di posizione quasi sempre strumentali, prive delle necessarie coordinate sia storiche che ideologiche.
Il principio costitutivo ideologico, la stessa ragion d’essere della vecchia Democrazia Cristiana stava nella supposta compatibilità tra cattolicesimo e democrazia, la cui forma – e la cui sostanza - era la separazione di Stato e Chiesa, politica e religione.
Ne conseguiva la concezione laica dello Stato e il pari diritto di cittadinanza dei principi etici e politici in competizione.
La democrazia e le istituzioni rappresentavano così lo spazio della mediazione, che implicava la scissione tra il cattolico e il cittadino. L’etica della convinzione si assoggettava, nel politico cattolico, all’etica della responsabilità e il possibile dettato dalle contingenze faceva premio sulle presunte necessità predicate dagli integrismi.
I democristiani avevano ben chiaro che il loro compito era di tradurre in politica democratica l’ispirazione cattolica, che proprio perché doveva tradursi in politica, che come si sa è l’arte del possibile, non avrebbe mai potuto prendere la forma di quelli che oggi si chiamano “valori non negoziabili”.
Anzi, l’unico valore non negoziabile era l’autonomia della politica, difesa inflessibilmente da De Gasperi contro Pio XII quando, nel 1952, in vista delle elezioni amministrative nella Capitale, il Pontefice avrebbe voluto imporre alla DC la partecipazione a un unico fronte anticomunista con le destre, compreso il Movimento Sociale Italiano. De Gasperi non avallò la cosiddetta operazione Sturzo mostrando di saper ben distinguere tra il cattolico e il cittadino. Di fronte alla ripicca di Pio XII che rifiutò di riceverlo per l’anniversario del suo matrimonio, pronunciò in Consiglio dei ministri una frase che racchiude tutta la sua visione del rapporto tra politica e religione per un politico cattolico: “Come cattolico accetto l’umiliazione, anche se non la capisco; come presidente del Consiglio e ministro degli Esteri la dignità delle cariche che ricopro e delle quali non posso spogliarmi neppure nei rapporti privati (la richiesta di essere ricevuto dal Papa era un fatto privato, [n.d.a.]), mi impone di provocare un chiarimento della Segreteria di Stato”.
Altri tempi, si dirà. Nei quali politici autenticamente cattolici e cattolici autenticamente politici non degradavano il cattolicesimo a strumento di propaganda, a foglia di fico di un’ideologia identitaria o, perfino peggio, a maschera di un sostanziale ateismo consumistico ed edonistico.
Purtroppo, però, la politica cattolica in Italia è in mano, oggi, a personaggi del tipo di Cota, Zaia, Calderoli, lo stesso Berlusconi. Il grave limite di una psicologia e un linguaggio da bar è che con essi non si possono affrontare questioni politiche ed etiche complicate. Sarebbe come pretendere che un somaro, di punto in bianco, si metta a discutere di metafisica.
E se i leghisti sono la voce della pancia del proprio popolo e Berlusconi non va oltre la devozione affettata, cioè la propaganda, la dimensione che gli è più congeniale, il suo elemento più proprio, tutti gli altri, a destra e pure a sinistra, non fanno altro che mostrare devozione sperando di essere ripagati con i voti. Francamente desolante!
Quel che sarebbe necessario è invece un ritorno alla chiarezza della distinzione tra stato laico e stato teocratico, tra cattolicesimo clericale e cattolicesimo democratico, tra principi che in quanto cattolici non si può non sostenere e diritti individuali universali, incomprimibili per usare il vocabolario dei giuristi.
Tenendo ben presenti i limiti della ragione umana e l’impossibilità/inopportunità di imporre a chi non è cattolico prescrizioni etiche che derivano da assunzioni dogmatiche.
Nella consapevolezza che l’alternativa non può essere altro che una versione più o meno aggiornata del vecchio clerico-fascismo. Di cui né la Chiesa né la società italiana hanno bisogno, nel XXI secolo ormai inoltrato.

Nella foto: Domenico Distilo.


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(8.4.10) SIAMO O NON SIAMO ITALIANI VERI? (Bruno Zito) - In questi ultimi mesi si parla molto del diritto degli italiani all’estero. Per chiarire questa confusione bisogna sapere, o ricordare, che l’articolo 3 della Costituzione Italiana stabilisce che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzioni.
Questo vuol dire che tutti i cittadini italiani hanno gli stessi diritti, compreso quello di votare e di siedere in Parlamento.
Quindi tutti i cittadini italiani, riconosciuti come tali, che abitiamo all’estero, siamo italiani veri per disposizione della Costituzione Italiana. Per questo, fare una discriminazione fra gli italiani all’estero e quelli che abitano nel territorio dello Stato Italiano non ha nessun senso. Oggi, 2010, bisogna accettare che l’Italia non termina ai suoi confini, ma aldilà, dove abitano cittadini italiani riconosciuti secondo le leggi dello Stato.
Si deve anche capire che l’Italia non è una piccola nazione, ma una grande potenza riconosciuta da tutti i paesi del mondo. A questa grandezza noi italiani all’estero, emigrati principalmente dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, abbiamo dato il nostro contributo attraverso la cultura, il lavoro, lo studio, l’interscambio turistico, economico e sociale, facendo onore all’Italia, principalmente con l’amore che sentiamo per la nostra patria lontana, portandola sempre nel cuore.
Sebbene accettiamo che la legge di cittadinanza possa essere perfezionata, come pure la legge Tremaglia Nº 459 del 27 Dicembre 2001, per questioni di sicurezza, in tutti i sensi, MAI però ABOLITA. Siamo sicuri che il Parlamento Italiano respingerà qualsiasi progetto che qualche deputato o senatore “ubriaco” possa presentare.
Il diritto al voto degli italiani all’estero non è un omaggio, è un diritto uguale per tutti, riconosciuto ai sensi della legge.

Nella foto: l'avv. Bruno Zito


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(11.4.10) LETTERA PER UN ANGELO (Biagio Cirillo) - Mercoledì 31 Marzo 2010 sono stato a Winterthur a salutare il mio grande amico del cuore, ma a differenza delle altre volte Lui non mi ha salutato e non per sua volontà ma perché era già in cielo insieme agli Angeli.
Giuseppe Ocello, un nome che non potrò mai dimenticare, il nome di un vero amico, un uomo fantastico e amico di tutti, un marito innamorato, un genitore perfetto e affettuoso, un figlio di due genitori meravigliosi, un fratello speciale, una parte di storia della mia infanzia, di un compagno di classe e sempre compagno di banco, l’amico inseparabile. Così fino a questa estate ci ha descritti la nostra maestra delle scuole elementari.
Le mie lacrime non servono a riportarlo in vita, ma solamente a colmare una parte della mia rabbia e della mia disperazione.
Oggi posso solo pregare Dio perchè dia la forza di andare avanti ai suoi genitori, ai fratelli e alla sorella, alla moglie Concetta e ai figli Michele e Enzo.
Giuseppe, ti lascio nelle mani del Signore. A me personalmente mi mancherai per il resto della mia vita, ti tengo nel mio cuore insieme ai miei cari, e adesso lascia che ti saluto come ho sempre fatto da "merlu… "Ciao cannuni".


Giuseppe Ocello e Biagio Cirillo in una foto di alcuni anni fa


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(20.4.10) CHIESA SOTTO ATTACCO (Michele Scozzarra) - Proprio in questi giorni Benedetto XVI ha compiuto 83 anni (il 16 aprile) e compirà cinque anni di pontificato (il 16 aprile). Sono passati cinque anni da quando la voce del Cardinale Medina Estevez, ha proclamato al mondo “Annuntio vobis gaudium magnum: habemus Papam. Josephum cardinalem Ratzinger”. La piazza applaude Benedetto XVI che si è affacciato… sembrava un bambino. Era candido: ha detto le parole più semplici che gli siano uscite dal cuore. Ricordo che si è impappinato... ma i suoi occhi si sono allargati, così come le braccia. Non è Wojtyla il Grande, uno che faceva forza al destino e ha spezzato le reni anche al mutismo dei suoi ultimi anni. Lui è Joseph il Servo, l’operaio che viene dopo il conquistatore dei continenti. Giovanni Paolo II ha abbattuto i muri, lui riparerà la vigna, curerà le piante avvizzite: “Cari fratelli e sorelle, dopo il Gran Papa Giovanni Paolo II, i Signori Cardinali hanno eletto me, un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore. Mi consola il fatto che il Signore sa lavorare e agire anche con strumenti insufficienti e soprattutto mi affido alle vostre preghiere”.
Oggi, a distanza di cinque anni dall’inizio del suo pontificato, Papa Benedetto XVI è “sotto il fuoco di Satana” che cerca di chiudere i conti con l’ingombrante Nemico posto a capo della Chiesa Cattolica. Anche New York Times arriva a mistificare i casi di pedofilia pur di trascinare nel fango Benedetto XVI, e cerca di innescare una campagna di opinione che mira ad ottenere addirittura le dimissioni del Pontefice.
Ma, il duro attacco a Benedetto XVI sconcerta, non solo per il fatto che la sua posizione è stata nettissima nel riconoscere gli abusi di cui si sono macchiati alcuni ecclesiastici, ed a prendere provvedimenti per l’allontanamento di quanti, anche tra le gerarchie ecclesiastiche, se ne sono fatti complici. Sconcerta perché è evidente come, negli attacchi a Benedetto XVI, la pedofilia di alcuni preti non c’entra niente, ma è una buona scusa per attaccare la Chiesa: non perdiamo di vista che l’obiettivo è la Chiesa.
Dietro tutta questa campagna scandalistica c’è il tentativo luciferino di privare la Chiesa di tutto ciò che le è più caro e più sacro. Nonostante tutto questo, la Chiesa non ha mai perso la speranza. In un dialogo con i sacerdoti di Albano, qualche anno addietro, Benedetto XVI alla domanda se c’è ancora speranza per la Chiesa, disse: “Rispondo senza esitazione: sì! Naturalmente abbiamo speranza: la Chiesa è viva! Abbiamo duemila anni di storia della Chiesa con tante sofferenze, anche con tanti fallimenti: penso alla Chiesa in Asia Minore, la grande e fiorente Chiesa dell’Africa del Nord, che con l’invasione musulmana è scomparsa. Quindi porzioni di Chiesa possono realmente scomparire… Ma, d’altra parte, vediamo come tra tante crisi la Chiesa è sempre risorta con una nuova giovinezza, con una nuova freschezza. Nel secolo della Riforma, la Chiesa Cattolica appariva in verità quasi finita. Sembrava trionfare questa nuova corrente, che affermava: “adesso la Chiesa di Roma è finita”. E vediamo che con i grandi santi, come Ignazio di Loyola, Teresa d’Avila, Carlo Borromeo ed altri, la Chiesa risorge. Trova nel Concilio di Trento una nuova attualizzazione e una rivitalizzazione della sua dottrina. E rivive con grande vitalità. Vediamo il tempo dell’Illuminismo, nel quale Voltaire ha detto: “Finalmente è finita questa antica Chiesa, vive l’umanità!”. E cosa succede, invece? La Chiesa si rinnova. Il secolo XIX diventa il secolo dei grandi santi, di una nuova vitalità per tante Congregazioni religiose, e la fede è più forte di tutte le correnti che vanno e vengono. E’ così anche nel secolo passato. Ha detto una volta Hitler: “La Provvidenza ha chiamato me, un cattolico, per farla finita con il cattolicesimo. Solo un cattolico può distruggere il cattolicesimo”. Egli era sicuro di avere tutti i mezzi per distruggere finalmente il cattolicesimo. Ugualmente la grande corrente marxista era sicura di realizzare la revisione scientifica del mondo e di aprire le porte al futuro: “la Chiesa è alla fine, è finita!”. Ma la Chiesa è più forte, secondo le parole di Cristo. E’ la vita di Cristo che vince nella sua Chiesa. Anche in tempi difficili…”.
Il vecchio e fragile Ratzinger sa benissimo cosa vuol dire essere Papa, essere il successore di Pietro e anche se ha scritto più di settecento libri, si è presentato al mondo con la fede di un bambino... vestito di bianco come un fanciullo portato a ricevere i sacramenti con la veste immacolata del battesimo, non ha avuto esitazione nell’affermare che “Il Magistero ecclesiale protegge la fede dei semplici; di coloro che non scrivono libri, che non parlano in televisione e non possono scrivere editoriali nei giornali... Esso deve dare voce a quelli che non hanno voce. Non sono i dotti a determinare ciò che è vero della fede battesimale, bensì è la fede battesimale che determina ciò che c’è di valido nelle interpretazioni dotte. Non sono gli intellettuali a misurare i semplici, bensì i semplici misurano gli intellettuali. Non sono le spiegazioni intellettuali la misura della professione di fede battesimale, bensì la professione di fede battesimale, nella sua ingenua letteralità, è la misura di tutta la teologia. Il battezzato, colui che sta nella fede del battesimo non ha bisogno di essere ammaestrato. Egli ha ricevuto la verità decisiva e la porta con sé con la fede stessa... La Chiesa deve poter dire ai suoi fedeli quali opinioni corrispondono alla loro fede e quali no. Questo è un suo diritto e un suo dovere, affinché il sì rimanga sì e il no no, e si preservi quella chiarezza che essa deve ai suoi fedeli ed al mondo”.
Ecco, in queste parole possiamo intravedere la ragione per cui attaccano Benedetto XVI, teologo e filosofo, il Papa che non accetta di piegare la schiena e, soprattutto, la sua fede e intelligenza, al servizio degli idoli del nostro tempo. Nel quinto anniversario di pontificato di Benedetto XVI ho voluto rivolgere il mio pensiero, e la mia preghiera, al Papa che non ha paura di affrontare le sfide che il “maligno” gli mette sulla sua strada.
E io, in questa sfida, sicuramente sarò con il Papa!

Nella foto: Papa Ratzinger.


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(24.4.10) ATEISMO E PAURA DELLA MORTE (Pasquale Cannatà) - Nell’estate del 2009 sono stato a Galatro come tutti gli anni per le vacanze estive, ed ho notato su un muretto la seguente frase: "u malandrinu di muntagni si calau i cazi".
Ho immaginato due giovanotti del paese intenti a contendersi il primato in una qualche vicenda di comando sul gruppo, o a risolvere una questione personale (magari le grazie di una bella ragazza): quello dei due che veniva dalla Cona o da Prateria o dalle altre colline (di muntagni) che circondano la nostra bella cittadina e che aveva la fama di essere un duro (u malandrinu) non aveva accettato la sfida dell’altro o avendola prima accettata si era poi ritirato oppure l’aveva persa (si calau i cazi).
Sono cose che succedono tra ragazzi di ogni età e di ogni tempo, ma quella frase mi ha fatto pensare a certi atei incalliti che in punto di morte hanno paura di ciò che viene dopo, chiedono la presenza di un sacerdote e si convertono (l’ultimo che mi viene in mente è stato Spadolini) e mi ha fatto ricordare anche la storia di Davide che ha dovuto lottare contro il potere nelle sue forme più varie:

- un malandrinu della specie militare e della forza fisica è stato Golia che si calau i cazi nel famoso duello
- la specie politica è rappresentata da Saul che non voleva lasciare la guida del regno che pure gli era stata tolta dalla stessa autorità che gliel’aveva conferita
- una terza e più subdola lotta è stata poi quella interna al proprio animo contro le degenerazioni cui può portare la gestione del potere. Disporre delle vite degli altri è una grande responsabilità e spesso porta a fare delle scelte sbagliate se ci si lascia sopraffare dalle passioni.

Quando il profeta Samuele è incaricato da Dio di ungere come re di Israele uno dei figli di Iesse, osserva uno per uno quelli presenti al momento, ma per ognuno di essi sente una voce interiore che gli dice: “Non guardare al suo aspetto né all’imponenza della sua statura. Io l’ho scartato, perché io non guardo ciò che guarda l’uomo. L’uomo guarda l’apparenza, il Signore guarda il cuore”.
Viene così scelto il più giovane di essi, Davide, che in quel momento non era presente perché stava pascolando il gregge.
Era questa la seconda volta che Samuele sceglieva un re per il popolo di Israele, perché in precedenza era stato consacrato Saul, che aveva le caratteristiche apparentemente adatte ad un re (potremmo dire le fisique du role) come richiesto dal popolo, ma che non possedeva le doti morali necessarie per ben governare.
Fino a quel momento gli israeliti erano stati guidati da condottieri (giudici) affiancati da sacerdoti e profeti, ma ad certo punto hanno voluto essere come le altre popolazioni che abitavano quelle terre, e dunque hanno chiesto di avere un re che li guidasse: avvertiti del pericolo che correvano per le inevitabili pretese che un re avrebbe avuto nei loro confronti, hanno insistito nella richiesta e Dio li accontenta facendo eleggere Saul, il cui cuore però non è completamente rivolto al Signore, ma è pieno di paure, orgoglio, sete di potere e invidia che poco alla volta si manifestano quando se ne presenta l’occasione, dopo un primo periodo di obbedienza alla volontà di Dio.
La paura di non avere l’approvazione del Signore gli fa commettere il primo errore quando compie un sacrificio propiziatorio senza aspettare l’arrivo di Samuele, che essendo un Sacerdote e Profeta era l’unico autorizzato a farlo; l’orgoglio, il volere far pesare la propria autorità, lo inducono a dare disposizioni tattiche che potrebbero compromettere la vittoria in battaglia ed a non seguire alla lettera tutte le indicazioni ricevute per annientare il nemico; l’invidia nei confronti di Davide, che dopo aver sconfitto in duello il gigante Golia stava crescendo nell’ammirazione della gente, lo porta infine a cercare di ucciderlo per mantenere il potere di cui ormai non voleva fare a meno per se e per la sua discendenza.
Samuele aveva avvisato Saul che a causa dei suoi peccati Dio si era già scelto un altro re che avrebbe governato al suo posto, ma non ne aveva svelato il nome, per cui quando Davide si offrì di affrontare Golia in duello, Saul rispose a Davide:“Tu non puoi andare contro questo Filisteo a batterti con lui: tu sei un ragazzo e costui è uomo d’armi fin dalla sua giovinezza”. Ma Davide disse a Saul: “Il tuo servo custodiva il gregge di suo padre e veniva talvolta un leone o un orso a portar via una pecora dal gregge. Allora lo inseguivo, lo abbattevo e strappavo la preda dalla sua bocca. Se si rivoltava contro di me, l’afferravo per le mascelle, l’abbattevo e lo uccidevo. Il tuo servo ha abbattuto il leone e l’orso. Codesto Filisteo non circonciso farà la stessa fine di quelli, perché ha insultato le schiere del Dio vivente” e Saul approvò la sua richiesta.
Quando Golia vide avvicinarsi Davide senza armi gli disse: “Sono io forse un cane, perché tu venga a me con un bastone? ”. E quel Filisteo maledisse Davide in nome dei suoi dei. Poi il Filisteo gridò a Davide: “Fatti avanti e darò le tue carni agli uccelli del cielo e alle bestie selvatiche”. Davide rispose al Filisteo: “Tu vieni a me con la spada, con la lancia e con l’asta. Io vengo a te nel nome del Signore degli eserciti, Dio delle schiere d’Israele, che tu hai insultato”.
“Io vengo a te nel nome del Signore”: questa è la superiorità di Davide e dimostra da che parte stava il suo cuore, pieno di coraggio e di amore.
Saul aveva promesso di dare in sposa sua figlia a colui che fosse riuscito a sconfiggere Golia, ma per paura di perdere il regno, prima di mantenere la promessa sottopone Davide a delle prove dalle quali spera che ne esca morto: visto che ciò non si verifica acconsente alle nozze continuando comunque a tramare contro di lui nonostante il parere contrario di suo figlio Gionata che è uomo giusto ed ammira Davide. Per questo Saul gli grida: “Figlio d’una donna perduta, non so io forse che tu prendi le parti del figlio di Iesse, a tua vergogna e a vergogna della nudità di tua madre? Perché fino a quando vivrà il figlio di Iesse sulla terra, non avrai sicurezza né tu né il tuo regno. Manda dunque a prenderlo e conducilo qui da me, perché deve morire”. Rispose Giònata a Saul suo padre: “Perché deve morire? Che ha fatto? ”. Saul afferrò la lancia contro di lui per colpirlo e Giònata capì che l’uccisione di Davide era cosa ormai decisa da parte di suo padre. Giònata si alzò dalla tavola acceso d’ira e non volle prendere cibo in quel secondo giorno della luna nuova. Era rattristato per riguardo a Davide perché suo padre ne violava i diritti.
Davide era stato consacrato re, era ben voluto da tutto il popolo per le imprese che continuava a compiere a favore di Israele ed avrebbe potuto affrontare Saul per prenderne il posto dopo averlo sconfitto: quando però si è trovato vicino a lui che dormiva in una grotta non ne ha approfittato per ucciderlo, ma ha dato dimostrazione di non nutrire sete di potere o invidia nei suoi confronti ed ha tagliato un pezzettino del suo mantello per potergli poi gridare: “Perché ascolti la voce di chi dice: Ecco Davide cerca la tua rovina? Ecco, in questo giorno i tuoi occhi hanno visto che il Signore ti aveva messo oggi nelle mie mani nella caverna. Mi fu suggerito di ucciderti, ma io ho avuto pietà di te e ho detto: Non stenderò la mano sul mio signore, perché egli è il consacrato del Signore. Guarda, padre mio, il lembo del tuo mantello nella mia mano: quando ho staccato questo lembo dal tuo mantello nella caverna, vedi che non ti ho ucciso”.
Come Abramo ha atteso con fede per lunghissimi anni prima che si avverasse la promessa di avere una discendenza; come il popolo ebreo attese in schiavitù per più di 400 anni che arrivasse il liberatore; come lo stesso Mosè attese per 40 anni insieme agli altri israeliti prima di raggiungere la terra promessa, così Davide era pronto ad attendere per tutto il tempo necessario che si avverasse la promessa di salire al trono cui era destinato dopo l’unzione da parte di Samuele.
Davide sapeva che i tempi del Signore non sono i nostri tempi e che le sue vie non sono le nostre vie, perché come sempre la Giustizia divina entra in azione dopo che la sua Misericordia è stata a lungo rifiutata: non pretende quindi di avere tutto subito ed aspetta con fede che giunga il suo tempo senza compiere azioni contrarie alle leggi di Dio.
Anzi, per una seconda volta ha occasione di eliminare Saul che aveva ripreso a cercare di ucciderlo, ed ancora una volta Davide si comporta come aveva fatto già in precedenza: la vicenda terrena di Saul si chiude con un ulteriore peccato quando trasgredisce una legge che lui stesso aveva emanato contro maghi e indovini, e cerca una negromante per evocare lo spirito del defunto Samuele, che però gli predice la sconfitta e la morte in battaglia.
Davide diventa finalmente re di Israele e con l’aiuto del Signore (che consulta continuamente prima di ogni decisione importante) sconfigge tutti i suoi nemici assicurando frontiere sicure al suo popolo: ne segue un periodo di pace durante il quale fa costruire una reggia per se ed un tempio per l’Arca dell’alleanza che fino a quel momento era custodita in una tenda. Ma i nemici, per ogni uomo, non sono solo le persone che vogliono fargli del male: le insidie più pericolose vengono dal nostro cuore ed ho accennato all’inizio di questo articolo che disporre delle vite degli altri è una grande responsabilità e spesso porta a fare delle scelte sbagliate se ci si lascia sopraffare dalle passioni. Queste ultime sono delle forze difficilmente controllabili, che all’interno del nostro cervello sono in gado di disegnare traiettorie imprevedibili capaci di collegare territori della nostra mente che siamo portati a considerare lontanissimi tra loro ed apparentemente incompatibili come il bene ed il male: ma Saverio Strati scrive che “I BUCHI NERI, dove non esiste il tempo e lo spazio, sono dentro di noi. Il mondo del non-essere è terrificante: è un mondo dove pietra e uomo, fumo e uomo, niente e uomo sono la stessa cosa benché fatti di sostanza diversa”. La distanza tra bene e male può dunque essere quasi nulla ed il confine tra queste due forze è sottile come il foglio di una pagina di quaderno; san Paolo conferma: "Io so (...) che in me, (...) nella mia carne, non abita il bene: ... infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio". Don Giorgio Carraro incalza:” la luce e l’ombra, il bene e il male, la vita e il nulla si contendono lo spazio dell’esistenza in un crepitare incandescente di elettroni attorno al nucleo centrale dell’amore”.
E’ successo così a Davide che benché il nucleo centrale del suo essere fosse rivolto al Signore, benché cioè avesse il cuore pieno di amore e di bontà, alla vista di Betsabea si invaghisce di lei e vuole averla per se anche se è già sposata: non bastasse il peccato di desiderare la donna di un altro, Davide è preso in una spirale di ingiustizie perché per coprire il fatto che la donna è rimasta incinta circuisce il marito di lei per fargli credere che il nascituro è figlio suo ed alla fine, rivelatisi vani tutti i tentativi di ingannarlo, lo manda in prima linea in battaglia per far si che dopo la sua morte tutto possa essere messo a tacere. Ma, attraverso una parabola raccontatagli dal profeta Natan, Davide prende coscienza dei peccati commessi e si pente di quello che aveva fatto: egli peccò come tutti noi uomini, ma poi fece penitenza, pianse come i re non sono soliti fare per salvare le apparenze o per orgoglio e rimise la sua vita nelle mani del Signore perché aveva fiducia nella realizzazione dei piani di Dio su di lui.
Questa fede nell’amore infinito di Dio che "dimentica il nostro peccato" è ciò che era mancato a Saul e che poi mancherà a Giuda, così che come succede a molte persone si sono fatti sopraffare dalla disperazione commettendo quel “ peccato contro lo Spirito Santo” ( cioè non credere nella Misericordia divina che tutto perdona), che è l’unico che non può essere perdonato (in effetti se non si crede nella Misericordia divina non si chiede il Suo perdono e ciò porta praticamente ad autocondannarsi).
Chiudiamo constatando che Davide è ricordato come un grande re non tanto per le vittorie in battaglia, ma più per i salmi in cui canta questo amore di Dio per l’uomo ed il suo grande amore per il Signore.


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(26.4.10) PRIMO MAGGIO A ROSARNO (Rocco Cutrì) - E' veramente molto tempo che non scrivo su Galatro Terme News ma ciò non vuol dire che io non abbia visitato il sito che trovo costantemente aggiornato ed ammodernato.
A Torino, come in tutto il paese, per via della crisi stiamo vivendo una delle pagine più dure della nostra storia recente. E' oramai un anno e mezzo che ci occupiamo solo di crisi e con tutte le forze tentiamo di tutelare lavoratori e lavoratrici dalla perdita massiccia d'occupazione. Sappiamo che gli strascichi di questi tristi eventi si trascineranno per anni ed il sindacato è chiamato ad elaborare e rendere operative nuove strategie che sappiano dare le giuste risposte.
I fatti di Rosarno mi hanno riportato alla durissima realtà del lavoro in Calabria, in cui la disoccupazione è sempre a due cifre, in cui troppo spesso il non rispetto delle regole e lo sfruttamento del più debole è la normalità, in cui l'apartheid contrattuale è il "contratto", in cui l'emigrazione non è mai cessata.
Don Ciotti dice che bisogna rendere libero chi libero non è. Chi lavora sfruttato dai caporali, chi lavora in nero, chi lavora sottopagato e senza diritti LIBERO NON E'! Ma anche chi finge di non vedere e non sapere LIBERO NON E'!
Sono certo che in un paese le cose cominciano a cambiare quando vi è una presa di coscienza tale da imporre una svolta culturale che condiziona e coinvolge la comunità fin nel profondo della propria stratificazione. I fatti di Rosarno hanno fatto si che tanti cittadini si indignassero nel vedersi accusati di razzismo e di collusioni con le mafie e che senza timori dichiarassero il proprio sdegno agli organi di stampa. So che i cambiamenti sono lunghi e difficili ma so che la Calabria ed i calabresi hanno il diritto di non essere considerati gli ultimi d'Europa ed il "ponte di Messina" non cambierebbe questo triste primato. Questo sarà possibile partendo dalle scelte di vita che ognuno di noi compie nella propria quotidianità, nella scelta della legalità, nella giustizia, dell'accoglienza, nel voler dare la giusta retribuzione al lavoro, nella condivisione, nell'offerta e non nella pretesa del rispetto.
La festa Nazionale del primo maggio, con mia grande soddisfazione, sarà a Rosarno. Questa è la comunicazione ufficiale:
Cgil, Cisl e Uil festeggeranno quest'anno la Festa del lavoro nel centro della Piana di Gioia Tauro, a Rosarno, la località della Calabria dove lo scorso gennaio c'è stata la rivolta di alcune centinaia di lavoratori extracomunitari impegnati in agricoltura e accampati in condizioni inumane in una vecchia fabbrica in disuso e in un'altra struttura abbandonata.
L'iniziativa sarà incentrata oltre che sui tradizionali temi del lavoro e dello sviluppo economico, anche su quelli dell'integrazione e dell'accoglienza. "Lavoro, Legalità e Solidarieta" lo slogan della manifestazione.
Previsto un corteo con concentramento alle ore 9,00 nell'area dello stabilimento ex Rognetta, situato sulla strada statale n. 18, all'esterno del centro abitato, che seguirà il seguente percorso: SS n. 18, via Diaz, via Crucicella, piazza Calvario, via Regina Elena ed arrivo a piazza Valarioti.
Il comizio conclusivo, al quale come di consueto parteciperanno i tre Segretari generali Guglielmo Epifani, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti, si svolgerà la mattina all'arrivo del corteo in piazza Valarioti.
Spero e confido in una grande partecipazione con l'augurio che possa essere solo l'inizio di una grande spinta di cambiamento.


Il manifesto del 1° Maggio 2010

Nella foto in alto: Rocco Cutrì, autore dell'articolo.


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(1.5.10) LA PAURA DELLA MORTE FA PARTE DELL'UOMO, SIA ESSO ATEO O CREDENTE (Stefano Ceravolo) - Ho l'impressione che alcuni lettori hanno bisogno di far sentire a quale fede appartengono e quindi ogni tanto snocciolano salmi, parabole, etc.
La
paura della morte è paura in quanto tale, fa parte dell'uomo, sia esso ateo o credente.
Allora disse loro: «L'anima mia è oppressa da tristezza mortale; rimanete qui e vegliate con me».
39 E, andato un po' più avanti, si gettò con la faccia a terra, pregando e dicendo: «Padre mio, se è possibile, passi oltre da me questo calice! Ma pure, non come voglio io, ma come tu vuoi».
40 Poi tornò dai discepoli e li trovò addormentati. E disse a Pietro: «Così, non siete stati capaci di vegliare con me un'ora sola?
46 E, verso l'ora nona, Gesù gridò a gran voce: «Elì, Elì, lamà sabactàni?» cioè: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?»
Allora, se il figlio di Dio in questi versi ha paura, dovremmo noi mortali essere coraggiosi?

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(6.5.10) CALCIO E MATEMATICA (PARTE III) (Vittorio Cannatà) - Sovente si ritiene che la matematica si occupi solamente di numeri e di misure; invece la matematica è sempre stata molto di più che una scienza quantitativa che si applica in campo commerciale e monetario. Quanto detto ci mostra solo l’aspetto esteriore della matematica senza pensare che la matematica è profondamente interessata e legata alla logica e alle strutture.
La "Teoria dei Gruppi" è uno degli importanti rami, non quantitativi, della matematica. Numerose sono le applicazioni della teoria dei Gruppi come per esempio nella cristallografia.

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(30.5.10) IL RISCHIO DI DEFAULT E LA MOSSA DEL CAVALLO (Domenico Distilo) - Le cause della crisi esplosa due anni fa con l’impossibilità di rimborsare i mutui sub prime e col conseguente crollo del castello di carte (i cosiddetti derivati) su di essi costruito non pare siano state minimamente comprese se, soprattutto in Europa ma anche negli USA, l’opinione più diffusa è che per uscirne non ci sia altra strada che la riduzione della spesa pubblica, cioè l’attacco finale al Welfare.
L’insostenibilità di tale posizione è però solare, così come solare è la sua coerenza con le tesi che, a partire dalla fine degli anni Settanta, hanno indotto a immaginare che la rivoluzione tecnologica andasse assecondata col ritorno a un liberismo arcaico, ottocentesco, peraltro reso ancora più truce e devastante dalla finanziarizzazione dell’economia.
La demonizzazione del pubblico, assimilato in modo del tutto indebito al socialismo sovietico, ha costituito il presupposto ideologico, da parte dei paesi più avanzati protagonisti dei vertici annuali prima del G7 e poi del G8, dell’abbassamento della guardia nei confronti di quantità enormi di capitali che crescevano esponenzialmente fuori di ogni controllo politico democratico – spesso con implicazioni e risvolti di tipo criminale - per effetto della stessa libertà di movimento. Crescevano fino al punto, in cui siamo, di disporre di un enorme potere di condizionamento e ricatto delle politiche economiche degli stati, la cui effettiva autonomia è ormai ridotta al lumicino.
E’ mancato proprio quello che i vertici annuali avrebbero dovuto assicurare, il governo globale dell’economia globalizzata. Ed è mancato per una volontà politica precisa, in quanto si è stabilito che la terapia più idonea consistesse nel lasciare espandere la malattia, nella convinzione che alla fine il paziente sarebbe guarito da solo, per l’azione della smithiana “mano invisibile”.
Il problema, lo si sarebbe dovuto capire subito, ha la sua radice nella presa dell’economia finanziaria su quella reale, con masse immani di capitali che si spostano là dove pensano di trovare prospettive di maggiore rimuneratività, incidentalmente determinando il crollo dei sistemi nazionali i cui parametri sembrano collidere con le loro aspettative.
La soluzione è stata perciò individuata nell’aggiustamento dei parametri mediante la chiusura dei rubinetti della spesa, con la conseguenza inevitabile dello strozzamento dell’economia reale per garantire il debito e scongiurare il default. In tal modo i governi si sono consegnati legati mani e piedi ai mercati, rinunciando alla loro sovranità in nome della sovranità dei mercati.
Invece ci vorrebbe chi pensasse alla “mossa del cavallo”: provocare deliberatamente il default. Intanto per “rovinare” gli speculatori in possesso dei titoli di debito; in secondo luogo per far capire che chi comanda davvero è il potere sovrano, il solo che possa decidere la cancellazione del debito con decisione, appunto, sovrana.
Il default deciso e guidato dai governi sarebbe l’unico modo per non rovinare i ceti a basso reddito e riorganizzare l’economia globale su basi razionali. E’ però sicuro che nessuno vorrà attuarlo. Si tratterebbe di un cambio di paradigma che richiede un coraggio fuori del comune e una capacità di pensare fuori degli schemi che non ci si può aspettare dai politici, perlomeno fino a quando essi si faranno consigliare da economisti di scuola, bravi a risolvere “rompicapi” ma non a immaginare la rivoluzione che serve in questo momento.
E che serva un cambiamento dei paradigmi, una rivoluzione nel modo di pensare l’economia, appare sempre più manifesto. Ma se la crisi degli anni Trenta del secolo scorso ha fatto emergere J. M. Keynes, nel XXI secolo tocca accontentarsi di Giulio Tremonti, noto commercialista di Pavia.

Nella foto: il ministro dell'economia Giulio Tremonti.


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(2.6.10) FESTA DELLA REPUBBLICA... FESTA DELLA PATRIA (Michele Scozzarra) - Oggi 2 giugno è la Festa della Repubblica Italiana, in questo giorno viene ricordata la nascita della Repubblica: il cerimoniale ha sempre previsto la deposizione di una corona d’alloro al Milite Ignoto e una parata militare alla presenza della più alte cariche dello Stato.
Negli ultimi anni sono state le parate militari, forse più che le partite di calcio, che hanno fatto sì che gli italiani tirassero fuori il Tricolore e provassero un brivido alle note del nostro Inno Nazionale.
Sono i nostri “ragazzi“ che rischiano e danno la vita nelle varie missioni di pace, per costruire angoli di pace in parti della terra distrutti dalla guerra, che hanno risvegliato il nostro “amor di Patria”, perché la Patria è al di sopra di ogni fazione.
A ricordo di questo, mi piace riportare un mio piccolo pensiero, del periodo di quando anche io ho indossato la divisa, come omaggio a tutti quei nostri ragazzi che, in divisa e con i colori della nostra Patria, tengono alto, ed a caro prezzo, il nome della nostra Italia.

Ricordando il grigioverde*

A Nicotera, Limbadi e Rombiolo qualche settimana addietro si è esibita la Banda della Brigata “Cremona”... non nascondo che ho provato un certo strano effetto appena ho letto i manifesti, come una nascosta voglia di ricordare e riflettere...
Ci sarà gente? Mi sono chiesto, quasi desiderando che non ci fosse più un angolo dove stare neanche all'impiedi. Ma, anche se c'era tantissima gente, ho trovato da collocarmi sia a Nicotera che a Limbadi.
Ed ecco i militari che un giovane Maresciallo dirigerà con certezza: sono giovani che prestano il servizio militare di leva: si vede in loro tutta la giovinezza che è sempre ardita e generosa nelle sue aspirazioni, nei suoi ideali, nelle sue esigenze; si vede in loro l'Italia, questa nostra suggestiva Nazione, alla quale altre Nazioni guardano con ammirazione per gli incalcolabili tesori d'arte, cultura, civiltà e bellezze naturali. E si vede in loro, nella divisa che indossano (e per tanta gente presente ai concerti può essere stata un'occasione di scoperta!), la testimonianza di un impegno solenne per la difesa dei fondamentali valori della libertà, dell'ordine, della giustizia e della pace.
La Costituzione della nostra Repubblica solo nel caso del servizio militare usa l'aggettivo “sacro” per qualificare un dovere.
Tanti ragazzi non vogliono fare il soldato perché nessuno ha mai spiegato loro a cosa serve, ma bisogna riconoscere che il servizio militare costituisce una occasione, in molti casi l’ultima, per un rapporto di socializzazione.
Non c’è periodo della vita più bestemmiato e, allo stesso tempo, più amato del periodo militare: tante sono le maledizioni e le imprecazioni prima e durante il servizio, altrettanti sono i ricordi e le buone impressioni che si ricordano quando è finito, ed anche se non si può negare che l’abbandono degli abiti civili per l’assunzione della divisa è estremamente disagevole, rimane sempre il fatto che il servizio militare, per molti versi, è una esperienza unica, irrepetibile…. Non si verificherà più nella vita di essere così strettamente a contatto con una varietà così multiforme di tipi umani.
Ecco perché vedere tutti quei ragazzi in divisa sul palco ha provocato un qualcosa che ha liberato i miei ricordi, facendo ripercorrere un periodo della vita, non tanto lontano, in cui per quindici incredibili mesi, anche io ho indossato la divisa grigioverde…
Nel vedere tutte quelle stellette, fissate sulle mostrine di quei ragazzi, mi è venuta in mente una pagina scritta da Guareschi, durante la prigionia, in un campo di concentramento: “ … ma di una cosa mi preoccupo: che le stellette siano sempre fissate alla mostrina del bavero. Nemico acerrimo del militarismo, queste piccole stelle io me le sento avvitate alla carne, e perderle sarebbe come dover rinunciare un po’ a me stesso…. Le stellette che noi portiamo… Vittime della guerra, l’orrendo male che l’umanità si sforza di rendere inguaribile e inevitabile, uomini italiani insanguinarono tutto questo secolo. E quando un soldato italiano muore, il suo corpo rimane aggrappato alla terra, ma le stelle della sua giubba si staccano e salgono in cielo ad aumentare di due piccole gemme il firmamento. Per questo, forse, il nostro cielo è il più stellato del mando. Le stellette che noi portiamo non rappresentano soltanto la disciplina di noi soldati… ma rappresentano le sofferenze ed i dolori miei, di mio padre, dei miei figli e dei miei fratelli… per questo le amo come parte di me stesso, e con esse voglio ritornare alla mia terra ed al mio cielo”.
E anche se con gli occhi continuo a vedere sul palco quei ragazzi poco più che ventenni che, pur ritrovandosi assieme da poco più di alcuni mesi, esprimono una collaudata professionalità, con la mente rivedo il mio Battaglione, l’89° Fanteria Salerno, il mio Comandante, i miei amici… Mimmo, Francesco, Tonino, Sebastiano… gente che mi ha testimoniato il militare come un “servizio” e non soltanto come una professione.
A Cesano, alla Scuola di Fanteria, mi ha molto colpito la riflessione di un collega, dei nostalgici pensieri molto profondi, che ho trascritto sulla mia agenda: “Primo turno di guardia, prime ore lente e buie, monotono silenzio di Cesano. Tu sentinella sei sola con i tuoi pensieri che vagano lontano. Tutto ciò che è nel tuo cuore e nella tua mente, è soffuso da una nebbia leggera, impalpabile… E le ore passano… E lì vicino a te, senza la presenza della tua famiglia, di tua madre senti tutte le attenzioni. Riecheggiano nella tua mente i pensieri di tuo padre, ed il suo sguardo fiero ed orgoglioso che ti saluta alla stazione. E le ore passano… E rivedi il tuo paese, il giardino dove trascorrevi ore felici con la tua donna, quella panchina che ascoltò i vostri progetti e le vostre speranze! Pensi alla tua terra lontana, al mare che fu la tua culla, agli amici, chiassosi compagni di mille avventure. E le ore passano… E intanto il chiarore dell’alba: un nuovo giorno che nasce ed infonde speranza. Intravedi in lontananza delle forme umane che si stagliano fra la nebbia mattutina che si dirada… è il cambio che giunge puntuale e ti distoglie dai ricordi e dai mille pensieri. E l’inseparabile cane, compagno muto di cento notti trascorse all’aperto, non manca mai, lui è lì, silenzioso e scodinzolante, attende in silenzio uno sguardo, una carezza che lo renderà felice… Ormai è l’alba…”.
Ma… in piazza c’è tanta gente, completamente estranea ai miei pensieri, che si gode il concerto e applaude meravigliata alle note della “Calabrisella” forse inaspettata; si commuove alle note del Nabucco ed ascolta dritta e fiera l’inno di Mameli. Certo, certe bande offrono il professionismo su un piatto d’argento. Ma cosa può esserci di più esaltante della nobile offerta di questi ragazzi che, in grigioverde e sotto lo direzione del Maresciallo Michele Scelsi, commuovono la piazza facendola vibrare con le note di Verdi e di Mameli: ognuno di loro ha, sicuramente, sofferto emozioni e fatiche per dar luogo ad un simile concerto in favore di tutti.
E’ una bella emozione godersi un concerto confezionato non con l’etichetta “per intenditori”…E la gente non ha altri modi per manifestare la sua gioia che con il vigore degli applausi… ed in effetti gli applausi non si contano… ed io mi associo, entusiasta, mentre il concerto continua… e mi ci imbarco, tra quelle divise, da clandestino, in jeans e maglietta, e per un attimo mi sembra di ritrovarmi in diagonale, fascia e sciabola sull’attenti al suono delle note del nostro Inno Nazionale…

*Da "Proposte", Ottobre 1989.

Nelle foto: diversi momenti della vita sotto le armi di Michele Scozzarra.


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(6.6.10) CONSUMAZIONE DI UN CRIMINE STORICO E AMBIENTALE (Alfredo Distilo) - Alfredo Distilo, già responsabile dell'Ufficio Tecnico del Comune di Galatro, ci trasmette una lettera indirizzata al Sindaco ed al Segretario Comunale nella quale lamenta la decisione di tagliare alcune piante secolari di cipresso poste all'ingresso del cimitero. Ecco il testo integrale del documento:

* * *

Al Segretario Comunale – Galatro
Al Sindaco – Galatro

OGGETTO: Richiesta documentazione relativa al taglio di cipressi secolari nel Cimitero.

Preso atto della nota n.2702 del 18.05.2010 con la quale il segretario, con il visto del sindaco, mi chiede di specificare la documentazione di cui ho richiesto copia, anche a nome del WWF, faccio presente che l’elenco degli atti è riportato dettagliatamente nella mia missiva del 10.05.2010 (delibera CC, pareri, determine,ecc.).
Preso atto che per poter visionare gli atti, prima di avere le copie, devo aspettare la comunicazione del Responsabile del Servizio che mi dovrebbe indicare il giorno e l’ora in cui potrei accedere agli atti ed il nome dell’impiegato designato ad assicurarmi l’accesso.
Preso atto che, comunque, non mi è stato comunicato il nominativo del responsabile del procedimento, come previsto dalle vigenti disposizioni di legge.
Preso atto, altresì, delle voci che circolano tra le persone vicine al sindaco che i cipressi saranno abbattuti principalmente per fare dispetto “STRIDU” a me e, quindi, più parlo io e più ci si accanisce contro gli incolpevoli cipressi.
Preso atto, infine che il sindaco, invece di avvalersi delle professionalità della Facoltà di Agraria dell’Università di Reggio Calabria per come suggerito da persone di cultura storico-ambientale di Galatro, preferisce acquisire pareri di liberi professionisti (di cui non conosco i nomi) che potrebbero essere condizionati da futuri incarichi professionali da parte del Comune.
Ritenuto che è ferma volontà del sindaco abbattere i cipressi ad ogni costo, evidentemente per accontentare quei cittadini ( sicuramente privi di qualsiasi cultura storico-ambientale) che credono così di risolvere i loro problemi al cimitero, peraltro inesistenti, oltre che per far dispetto a me.
Considerato che i cipressi non sono miei e che, all’infuori di qualche decina di professionisti che hanno una cultura storico-ambientale, agli altri non gliene frega niente, anche perché, il sindaco è stato abile a far credere che i cipressi stanno per cadere e sono in procinto di procurare una macabra catastrofe facendo saltare per aria tombe e scheletri.
Per quanto mi riguarda, il sindaco, se la sua coscienza glielo permette, può procedere pure al taglio delle secolari piante e spogliare il luogo Sacro di cotanta bellezza. Ma senza addurre scuse che i cipressi sono marci perché, a taglio avvenuto, dalla parte di tronco che rimane, si potranno constatare anche ad occhio nudo, le effettive condizioni di salute delle piante.
VIA LIBERA, QUINDI, ALLA CONSUMAZIONE DEL CRIMINE STORICO-AMBIENTALE, PER IL QUALE IL SINDACO PASSERA’ SICURAMENTE ALLA STORIA, COME QUEL NOTO IMPERATORE ROMANO CHE EBBE LA (IN)FELICE IDEA DI BRUCIARE ROMA.

Galatro, 25.05.2010

Alfredo Distilo - Via San Nicola, 4 - GALATRO

Nella foto: i cipressi all'entrata del cimitero di Galatro.

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(10.6.10) UNA POESIA DI ATTUALITA' PER GALATRO (Alfredo Distilo) - Navigando su internet in questi giorni, mi sono imbattuto in un articolo scritto da un poeta di un paese dove sono stati abbattuti dei secolari cipressi siti nel cimitero comunale. Riporto solo questa poesia (trascritta su un sepolcro di quel Luogo Sacro) con una piccola parte dell'articolo, ritenendola di estrema attualità per Galatro e sperando vivamente che, tra qualche giorno, la stessa poesia non la si debba affiggere sul muro del NOSTRO LUOGO SACRO!!!

* * *

Gli alberi ormai, e purtroppo, non ci sono più! Speriamo che ai sette secolari superstiti sia riservata una sorte migliore. Qualcuno per riparare al danno ha pensato di ripiantare ridicoli alberelli. Siamo a penose comiche che oltre agli autori non fanno ridere nessuno! Ma veramente si pensa che gli indigeni siano decerebrati somari che abboccano a questi penosi ami? Quando e se mai saranno delle dimensioni e dell’età di quelli massacrati, non ci saremo più noi e neanche i barbari esecutori e mandanti, né il suono del campanello del loro triste corteo di monatti che pare udire passeggiando tra gli ormai spogli e assolati viali. A chi si reca a constatare il risultato del massacro, sul sepolcro violato è possibile leggere questi versi che dovrebbero recitarsi, guardandosi allo specchio, se ne sono capaci, gli autori:

QUI C’ERA UN GIARDINO DAI MILLE COLORI
UNO SCELLERATO NE HA FATTO UN DESERTO
FACENDO ESSICCARE LE FOGLIE ED I FIORI
E LASCIANDO LA TERRA NELLO SCONCERTO

PER VENT’ANNI HA RACCOLTO SOSPIRI
E LE LACRIME AMARE DELLA SOLITUDINE
ADESSO NON EMETTE PIÙ SUONI E RESPIRI
E LASCIA UNA VITA NELL’INQUIETUDINE

NON CI SARÀ OMBRA A LENIRE I PENSIERI
O NIDI DI UCCELLI A VEGLIARE LA QUIETE
NON PIÙ AVVERRÀ LO SCAMBIO DI DESIDERI

NÉ UN SOFFIO DI VENTO A CALMARE LA SETE
DI CONOSCER LA VITA TRA OSCURI SENTIERI
CHE DA SOTTO LA TERRA RAGGIUNGONO METE.

Nella foto: Alfredo Distilo.

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(12.6.10) CONTRO LA LEGGE BAVAGLIO - La malattia della democrazia e della società italiana – il cui emblema è il magnate delle televisioni assurto inopinatamente alla presidenza del consiglio - ha prodotto un ulteriore avvitamento con l’approvazione al Senato della legge che in nome di uno strumentale ed esasperato concetto di privacy imbavaglia la stampa e rende impossibili le indagini su tutti i reati contemplati dal codice penale, mafia e terrorismo compresi.
Con la soppressione della principale tra le “libertà liberali” l’Italia abbandona l’Occidente collocandosi a metà strada tra la Russia e il Sudamerica, accentuando l’anomalia rappresentata da un regime che si fonda sulla manipolazione permanente dell’opinione pubblica.
La misura è però così decisamente colma. Con ogni probabilità la legge bavaglio sarà spazzata via, quand’anche il troppo corrivo presidente della Repubblica la firmasse, dalla Corte europea di giustizia e dalla Corte costituzionale italiana.
A quel punto governo e maggioranza sarebbero totalmente delegittimati, nel senso che verrebbe allo scoperto il loro operare contro la legge e, soprattutto, contro il diritto su cui si fondano le leggi negli stati liberal-democratici. E non basterebbe in nessun modo la maggioranza, a quel punto divenuta un surrogato del tiranno e perciò di fatto in stato di guerra contro tutti, a sancirne la legittimità.
Per evitare questa che sarebbe una vera e propria catastrofe, con possibili e non del tutto teorici esiti di guerra civile, non resta che mobilitarsi e partecipare allo sciopero del 9 luglio di tutta l’informazione italiana, sperando nella resipiscenza di una maggioranza che dovrebbe, finalmente, cominciare a ragionare. Galatro Terme News aderisce perciò, nel suo piccolo, a tutte le iniziative di protesta e mobilitazione indette dalle associazioni dei giornalisti, degli editori, degli autori e dei redattori dei siti internet e dei blog. DIFENDIAMO LA LIBERTA’ D’INFORMARE ED ESSERE INFORMATI!


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(16.6.10) NON E' TEMPO DI "STRIDI" (Maria Grazia Simari) - Ho appena letto, e per la verità anche appreso, l'intenzione dell'Amministrazione Comunale di abbattere i cipressi presso il cimitero di Galatro.
Devo dire che la cosa non può che rattristare chi come me si reca (anche solo per qualche minuto!) ogni giorno lì per dare un saluto a chi non è più con me!
Concordo pienamente con
quanto detto dal geometra Distilo, ritenendo questo atto un crimine storico-ambientale, che certamente non lascerà nei posteri un bel ricordo di questa amministrazione.
Devo dire però che di crimini storico-ambientali a Galatro se ne sono consumati molti!
Voglio fare solo un esempio e porre una semplice domanda: Galatro fino a circa un decennio fa era piena di fontane meravigliose risalenti all'epoca del fascismo. All'improvviso queste fontane sono sparite... sostituite da moderne fontane certamente esteticamente meno belle di quelle che hanno soppiantato!
Non si è trattato forse anche in questo caso di un crimine storico ambientale?
Allora la mia domanda è: all'epoca "u stridu" a chi è stato fatto?
Credo che la risposta a questa domanda è il perchè Galatro negli ultimi 25 anni è sprofondato nel nulla!
Se ancora oggi devo sentire che un amministratore fa questo o quello per fare questo o quel dispetto vuol dire che è davvero inutile spendere forza, lavoro e parole per cercare di fare risollevare questo paese che era il fiore all'occhiello di tutta la piana di Gioia Tauro... un paese che vanta centinaia di laureati e una eccezionale compagine di professionisti... che poi scade in questo: "tu fazzu pe stridu!"
Io non voglio credere che sia vera una cosa del genere... ma se lo è vuol dire che poco c'è da fare!
Ricordiamoci che un paese è fatto di persone e che se le cose non vanno bene è colpa di tutti non di uno solo... abbandoniamo queste mentalità se vogliamo fare ritornare il nostro paese bello come un tempo!

Nella foto: cipressi nel cimitero di Galatro.

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(16.6.10) DIALOGANDO NELL'ALDILA' (Angelo Cannatà) - Abate Conia: Mi devi credere, vogliono proprio tagliare i cipressi, è il primo punto di un “vasto programma”…
Martino: … Ho letto, ma continuo a rifiutare l’idea. Non riesco a convincermi che qualcuno o una “setta segreta”, come dici, abbia un programma così dettagliato di distruzione di Galatro.
Conia: Il documento che abbiamo in mano è chiarissimo, i nostri messaggeri – lo sai – sono ben informati. Resta il mistero relativo alla “setta”. Come ha fatto a influenzare, ispirare (con un testo così assurdo) l’amministrazione comunale?
Martino: Cose dell’altro mondo!
Conia: Proprio così: “cose dell’altro mondo”, infatti accadono sulla terra, ma soltanto dove gli amministratori hanno perso il senso del ridicolo.
Martino: Fammi leggere di nuovo. Il programma della “setta” mi rattrista, ma, leggendo con sguardo ironico, mi fa anche ridere da morire.

SCACCO MATTO A GALATRO
IN DIECI MOSSE

1. Abbattere i cipressi del cimitero: non servono a nulla! Cancellare ricordi, memoria storica, senso estetico, illusioni! Mettere in cantiere anche la proposta di abolire le tombe (Ugo Foscolo – quell’antipatico – vada a farsi fottere).
2. Tagliare gli alberi tra il ponte della villa e la scuola elementare, fanno troppa ombra e chiudono la vista: apertura, luce, sole (basta con l’ecologia e il verde: roba vecchia! Siamo post-moderni).
3. Spostare il calvario del quartiere Montebello: è troppo in alto, è una fatica arrivarci (e-chi-se-ne-frega-dei-turisti, estasiati dalla bellezza del paesaggio).
4. Coprire i fiumi - soprattutto Metramo - creando grandi parcheggi: macchine, cemento e catrame al centro del paese! (E’ una goduria, per noi innovatori).
5. Sostituire il Trittico del Gagini con statue di gesso, pesano di meno e il bianco è un colore più candido: come la nostra luminosa ignoranza (e-chi-se-ne-frega-degli-studi-di-Umberto-Di-Stilo).
6. Abbattere le grandi palme - tutte - che svettano all’ingresso del paese (villa comunale), lo caratterizzano troppo: non è un bene! Deve diventare asettico, neutrale, anonimo - Galatro - ogni segno di distinzione deve sparire! Brutto, lo vogliamo terribilmente brutto il nostro paese e privo delle sue peculiarità (non chiedeteci perché: siamo o no una setta segreta!?).
7. Lasciare incustodito, abbandonato, perso, umiliato, offeso - e naturalmente incompreso - il Convento (basta con la storia e la cultura e il sogno e il progetto, di una riqualificazione dell’area: roba da intellettuali!).
8. Abbattere le Terme (le vecchie e le nuove). Se non è possibile farlo subito, cominciare gradualmente: dimenticandole, rinunciando ad ogni progettazione e programma, ad ogni ipotesi di sviluppo.
9. Non occuparsi più della diga, della sua piena utilizzazione, del lavoro, dell’occupazione, del rapporto tra le aree interne e il porto. Basta! Sono temi superati! E-chi-se-ne-frega-del-lavoro-dei-giovani, oggi abbiamo ben altro di cui occuparci (vedi punto 1).
10. Rinunciare anche solo al pensiero di un paese diverso, più bello, partendo dalla valorizzazione di ciò che c’è. Di più. Distruggere quel che ancora è rimasto avvicinandosi all’obiettivo finale: cancellare, di Galatro, anche la memoria.

Martino: E’ veramente incredibile questo programma.
Conia: Sì. In dieci mosse distruggeranno davvero Galatro.
Martino: Pensi sia ancora possibile fare qualcosa?
Conia: Non so… da qui, dall’altro mondo, potremmo intercedere con Dio… solo il Suo intervento potrebbe… A meno che i galatresi non si sveglino e si rendano conto che “di la furca passammu a lu palu”.
Martino: Che fai adesso, mi citi?
Conia: La verità è che il tuo verso mi intriga. Comunque: al di là dell’intervento divino, potremmo rivolgere qualche domanda ai cittadini di Galatro (vedo che qualcosa si muove: bellissimo l’
articolo di Maria Grazia Simari), che ne pensi?
Martino: Mi sembra una buona idea. Propongo di partire con…
Conia: No. Le domande vorrei farle io - caro Antonio - se permetti.
Martino: Fai pure.
Conia: Sono domande molto semplici - amatissimi cittadini - semplici e chiare, come la verità che non può soccombere all’ipocrisia:
a) Quale pensate possa essere - tra quelle elencate - la seconda mossa “geniale” degli amministratori? (la prima è sulla bocca di tutti);
b) Quanto tempo dovrà ancora passare - e quante umiliazioni - prima che recuperiate la capacità di protestare e urlare, la capacità di indignarvi e i-n-c-a-z-z-a-r-v-i? Di la furca passammu a lu palu: non ve ne siete accorti?

Nelle foto: in alto l'abate Conia, in basso Antonio Martino.

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