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4.1.14 - Michelangelo Penticorbo nuovamente su Rai2 nella trasmissione "Voyager"

8.2.14 - Ndi scrissi pe' tutti

Biagio Cirillo

19.2.14 - Concerto alla Memoria e al Valore Civile

21.2.14 - Ancora un successo a Parigi con il brano "Scilla" per Nicola Sergio


4.3.14 - Una mia intervista al Palafiori di Sanremo

Greta Sollazzo

15.3.14 - Nuove tele su Galatro del pittore Franco Camillò

Massimo Distilo

27.3.14 - Intervista allo scrittore Rocco Cosentino

Domenico Distilo

29.3.14 - Ballàmu e zumpàmu

Biagio Cirillo

8.4.14 - Menzione d'onore per il libro di Greta Sollazzo al Concorso "Metauros"


12.4.14 - Doverosa puntualizzazione sul miracolo di San Francesco a Galatro

Umberto Di Stilo

14.4.14 - La scomparsa di Saverio Strati

Bruno Demasi e Michele Scozzarra

18.4.14 - Pensieri su "Santu Vennari" di Carmelo Cordiani

Michele Scozzarra

1.5.14 - Conferenza di Michelangelo Penticorbo al Liceo Scientifico di Cittanova

10.5.14 - I Karadros a Chivasso per la decima edizione di "Calabria in Festa"

Massimo Distilo

13.5.14 - Il libro di Claudio Martelli presentato a Catanzaro da Pino Franzè

18.5.14 - Un galatrese presenta a Limbiate un libro su Tsipras

29.5.14 - La chiesa rurale di Celano

Umberto Di Stilo

8.6.14 - Due colombi in amore

Umberto Di Stilo

13.6.14 - Ndaju u nci penzu

Biagio Cirillo





(4.1.14) MICHELANGELO PENTICORBO NUOVAMENTE SU RAI2 NELLA TRASMISSIONE "VOYAGER" - Michelangelo Penticorbo, l'astronomo galatrese che risiede a Basilea in Svizzera, ci comunica che sarà nuovamente protagonista su RaiDue nella trasmissione Voyager. Infatti Lunedì 6 Gennaio 2014, a partire dalle ore 22.00 circa, il programma trasmetterà un contributo di Michelangelo sul tema Viaggi nel tempo.
Lo studioso nostro concittadino cercherà di dare delle plausibili risposte a domande del tipo:
«Che cos'è il tempo?»
«Esistono teorie scientifiche che permettono i viaggi temporali?»
«Nel lontano futuro i viaggi nel tempo saranno possibili?»
Argomenti affascinanti che da sempre impegnano le energie di tanti scienziati e che saranno al centro dei temi della trasmissione "Voyager, ai confini della conoscenza" condotta da Roberto Giacobbo direttamente dal CERN di Ginevra. Il bosone, la cosiddetta particella di Dio, la cui recente scoperta ha consentito al fisico Peter Higgs di conseguire il premio Nobel, sarà il riferimento principale di questa puntata.
Come molti sanno, già in precedenza
Michelangelo Penticorbo aveva partecipato ad una puntata di Voyager. Di quella trasmissione è visualizzabile nei nostri archivi anche un video dei momenti principali, da noi a suo tempo realizzato.
Ai galatresi e a tutti coloro che sono interessati auguriamo una buona visione del programma.

Sito di Michelangelo:
www.astronomia.ch


Nella foto in alto: l'astronomo e divulgatore scientifico galatrese Michelangelo Penticorbo.

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(8.2.14) NDI SCRISSI PE' TUTTI (Biagio Cirillo) - Giornate piovose, neve e un po' di freddo. Allora restando in casa e rileggendo un po' di tutto delle cose che in questi anni ho pubblicato, mi viene in mente di fare qualcosa di particolare, un ripasso di tutto in una sola poesia:

Ndi scrissi pe' tutti

Ndi scrissi tanti supa a stu paisi,
scrissi di lu chiantu e puru di l'arrisi,
scrissi du passatu eppùru du presenti,
ndi scrissi pe' amici e puru pe' parenti.

Vozzi mu scrivu e no sulu sup'e mia,
scrissi di stu paisi e di la mamma mia,
scrissi di li genti chi sugnu emigranti
e pe' li residenti ca purtroppu non su tanti.

Scrissi cosi giusti e tutti cosi veri,
scrissi supratuttu u mi spogu di penzèri,
scrissi di pàtrima e d'a casa mia,
srissi e cuntài tanta nostalgia.

Scrissi di li festi passati cu l'amici,
scrissi ca sù o Nord e nci tegnu e me' radici,
vozzi u restu sempri e sulu galatrisi,
scrivendu tanti cosi ndi ficimu quattru arrìsi.

Scrissi sup'a màfia e di povari famigghi,
scrissi di sacrifici chi si fannu pe li figghi,
scrissi di la mamma e di tutta a so' paura,
ca prega la madonna pe' na criatura.

Scrissi di li Termi e puru du Cumbèntu,
ca mi portaru a pedi e mi ficiaru cuntentu,
scrissi puru di li strati ca su nu pocu rutti,
praticamenti scrissi nu pocu supra a tutti.

Scrissi i Montebbellu e scrissi da parìa,
aundi si riunìa na bella cumpagnia,
scrissi di li fimmani chi lavavanu a la hjumara,
di tanti sacrifìci e na vita tanta amàra.

Non sacciu i chi aju u parlu e pemmu cuntu ancora,
sacciu sulu ca stu paisi nd'avi tanti figghi fora.
Vorria u scrivu nu libru, non riesciu e po' m'arraggiu,
ca pemmu fazzu chistu mi manca lu coraggiu.

Biagio Cirillo


Panorama di Galatro dal Calvario


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(19.2.14) CONCERTO ALLA MEMORIA E AL VALORE CIVILE

Cittanova 20 febbraio 1943 – 20 Febbraio 2014

Un concerto in Memoria e al Valore si svolgerà Giovedì 20 febbraio, ore 18.30 a Cittanova, nella Chiesa di San Rocco, per ricordare le vittime del bombardamento alleato che colpì Cittanova nel 1943 e per rendere omaggio a quanti hanno concesso a Cittanova di continuare ad Essere e all’alto senso di Comunità che vide tutti impegnati nel lungo lavoro di ricostruzione e a quanti si dedicarono alla cura delle persone.
Il Comune di Cittanova e l'Associazione Lyriks, nello sforzo e nel merito che si deve alla Memoria, intendono omaggiare le vittime di quella tragedia, che non furono evidentemente solo i morti, ma tutte le macerie che da quel 20 febbraio 1943 divennero monito e anelito alla pace.
La giornata prevede al Mattino la Santa Messa nella Chiesa di San Rocco e nel pomeriggio alle ore 18.30, gli artisti di Lyriks che, con la direzione artistica di Nino Cannatà e Girolamo Deraco, omaggeranno la Memoria ed il Valore con la Musica e le voci di Caterina Francese e Francesco Anile. Il soprano ed il tenore polistenesi, saranno accompagnati all’organo da Giusy Alessi e al flauto da Elisa Santacroce. Il clarinettista Tony Capula eseguirà in prima assoluta 107. Il valore della memoria, opera composta per l’occasione dal Maestro Girolamo Deraco.
E ancora, una lettura di testimonianze raccolte tra chi, ancora oggi vive e racconta, come da bambina o da bambino ha sofferto quel tragico evento: “Restaru sulu a cresia e tri casi” – ci dice una Signora, che ricorda quel tragico pomeriggio. E glielo leggiamo negli occhi, ancora, lo spavento, quando facciamo un giro per ascoltare le testimonianze che riecheggeranno insieme alla musica, in “Memorie distratte. Testimoni del silenzio e delle Parole.” Un reading curato da Carmela Calogero e Maria Pia Tucci.
Ma c’è una Bellezza in tutto questo, venuta fuori dalle macerie, venuta fuori da quella nube di grigio che tutto avvolse e da quel silenzio: il senso di comunità alto e testardo che ha consentito a Cittanova di rinascere.
“Il 20 febbraio è una data importante per l’intera comunità cittanovese - ricorda il Sindaco di Cittanova Alessandro Cannatà - giornata in cui persero la vita 107 persone di ogni età e sesso. Giornata in cui gran parte del paese venne raso al suolo. Giornata di grande dolore! Ma anche giorno di rinascita di una popolazione provata duramente ma che seppe rialzarsi per ricostruire non solo le case e le strade, ma soprattutto il tessuto sociale e civile che era stato sconquassato. E quello spirito di rinascita è lo stesso spirito di grande attaccamento alle nostre positività che ha portato questa amministrazione comunale a far riconoscere il nostro paese come città degna di una medaglia al merito civile concessa dal Presidente della Repubblica, il 14 maggio del 2010 con questa motivazione: “Durante il secondo conflitto mondiale il paese subì, diversi bombardamenti anglo-americani che provocarono numerose vittime e la distruzione quasi totale delle abitazioni. La popolazione sopportò gli avvenimenti bellici con coraggiosa determinazione e generosa solidarietà, prodigandosi, nonostante i rischi delle ripetute incursioni aeree, nell'assistenza ai feriti. Chiaro esempio di spirito di sacrificio ed elette virtù civiche. 1943/1944 - Cittanova (RC)”.
“A noi il monito della Memoria e del Valore. La solennità dell’omaggio”- così il Presidente di Lyriks, Francesco Anile, che ricorda anche che questo concerto, nella sua fase di preparazione ha visto impegnate diverse maestranze tra cui l’organaro cittanovese Giuseppe Curulla in un attento lavoro di revisione e accordatura dell’antico organo a canne della Chiesa di San Rocco. “L’attenzione all’antico, che è il presente, ci da forti motivazioni per proteggere il nostro futuro, questo il senso del nostro impegno - continua Anile - che anche in questa giornata vogliamo condividere con l’intero territorio”.

Programma

20 Febbraio 2014

Mattina: Ore 10,30 - Chiesa San Rocco - Cittanova (RC)
S. Messa in suffragio delle vittime del bombardamento aereo del 20 febbraio 1943 -

Pomeriggio: Ore 18,30 - Chiesa San Rocco - Cittanova (RC)
Concerto alla Memoria e al Valore civile


(Dal comunicato stampa di Maria Pia Tucci)

Nella foto: bombardamento alleato.


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(21.2.14) ANCORA UN SUCCESSO A PARIGI CON IL BRANO "SCILLA" PER NICOLA SERGIO - Il pianista galatrese Nicola Sergio ha conseguito un nuovo clamoroso successo a Parigi con l'ormai noto brano Scilla. Il pezzo è stato eseguito lo scorso 9 Febbraio al Sunside Jazz Club stracolmo di pubblico. Nella serata un ospite d'eccezione, una stella di prima grandezza del jazz: il sassofonista Francesco Bearzatti.
«Ancora una volta ho avuto il piacere di omaggiare la nostra terra col pezzo Scilla, - afferma Nicola - ospite uno dei musicisti più importanti a livello nazionale, anche lui italiano e residente Parigi. C'è stata un'emozione particolare su questo pezzo, il pubblico era commosso, ho vissuto un momento unico!»
Vi proponiamo alcune foto della serata ed un video realizzato con la registrazione dal vivo del brano Scilla eseguito nell'occasione:










www.nicolasergio.com


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(4.3.14) UNA MIA INTERVISTA AL PALAFIORI DI SANREMO (Greta Sollazzo) - Vorrei far sapere a tutti quelli che hanno comprato il mio libro - La luce in fondo al tunnel -, a tutti quelli che lo hanno letto senza comprarlo e a tutti quelli che, pure senza averlo comprato e senza averlo letto, ne hanno sentito parlare, che dopo "La Vita in Diretta" di Raiuno e il programma di Raitre "Buongiorno Regione", è arrivata un'altra gratificazione personale:
sono stata invitata e ho partecipato ad un'intervista fatta da due giornalisti al Palafiori di Sanremo per discutere sul senso del mio libro.
Sono andata con piacere per soddisfazione personale e perchè penso di essere testimonianza positiva per tutti quei giovani, uomini e donne, che si trovano in varie difficoltà psicologiche.
Per visualizzare il video dell'intervista cliccare sul link in basso:

blog.booksprintedizioni.it/news/item/740-greta-sollazzo-intervistata-al-palafiori-di-sanremo



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(15.3.14) NUOVE TELE SU GALATRO DEL PITTORE FRANCO CAMILLO' (Massimo Distilo) - Molti ricorderanno il quadro su Galatro visto da un'angolazione inconsueta, realizzato dal pittore Franco Camillò. Abbiamo dedicato tempo fa un articolo a questo quotato pittore di origine polistenese che espone con successo in importanti gallerie di tutta Italia. Il suo quadro su Galatro lo abbiamo anche inserito di recente in un articolo che trattava della primavera culturale galatrese degli ultimi anni.
Franco Camillò ha realizzato altre due tele su Galatro che hanno stavolta come soggetto alcuni dei nostri numerosi corsi d'acqua. Egli afferma che Galatro è capace di ispirarlo copiosamente ed ha in mente di dipingere ancora altri quadri che hanno come tema il nostro caratteristico paese.
Vi proponiamo quindi altre due tele di Camillò su Galatro che hanno come titoli: "Ruscello nei pressi delle vecchie terme di Galatro" e "Galatro: torrente visto dal ponticello".


Ruscello nei pressi delle vecchie terme di Galatro



Galatro: torrente visto dal ponticello

Ciò che colpisce in questi due quadri, oltre alla familiarità dei luoghi per chi ci è nato e vissuto, è la pregnanza dei colori e il gioco delle tonalità capaci di creare un'atmosfera intima e amichevole che conduce ad un sereno raccoglimento interiore, pur nella rappresentazione di luoghi aperti e di una natura quasi incontaminata. Ciò che il pittore, attraverso le sue forme, riesce a far percepire in maniera immediata è un grande senso di vicinanza all'intima natura dell'arte che, come accade in tutte le sue espressioni più autentiche, è indicibile e può essere colta solo da una profonda illuminazione interiore che la tela riesce a suscitare.
Come scrive Vincenzo Fusco, fra i colori di Camillò prevale il verde «così difficile e infido a trattarsi», attenuato dalla presenza del giallo e dell'azzurro, i tre colori che costituiscono il cuore del paesaggio mediterraneo cui il pittore in prevalenza si ispira e che fanno trasparire la sua discendenza artistica dai grandi Antonio Cannata (1895-1960) e Giuseppe Pesa (1928-2000). E' quanto mai vero quanto affermato a suo tempo da un altro critico, Pio Valente, il quale sosteneva che Camillò «traduce sulla tavolozza i racconti di Corrado Alvaro».
Camillò ha un originale stile figurativo evolutosi nel tempo e che, pur prendendo le mosse dall'antica tradizione dei "macchiaioli" napoletani della Scuola di Posillipo, ha raggiunto una sua personale e inconfondibile definizione. Osservando i suoi quadri ci si immerge nelle più intense atmosfere mediterranee, filtrate però dall'occhio e dal tocco trasfiguratore dell'artista che ce le mostra in luci ed ombre inconsuete. «Le ombre - dice Camillò - nascondono una realtà deturpata e manipolata dall'essere umano, a dispetto di una luce che, comunque, accende i nostri stessi sogni intrisi di ricordi.»
Franco Camillò ha esposto i suoi quadri in tutta Italia. Possiamo citare le sue mostre personali di Bologna (1976), Maglie (1977-78-80), Casarano (1979), Polistena (1981-82-85-89-91-96-2001-03-11), Gioia Tauro (1981), Palmi (1982-88), Palermo (1982), Vibo Valentia (1984), Roma (1986-97), Reggio Calabria (1987-91-2000), Genova (1993-2004), Milano (1997-98-99-2006), Camogli (2005-07), Novara (2007), Verona (2009).
Espone inoltre in permanenza presso la Galleria d'Arte "Serraino" di Reggio Calabria e la Galleria d'Arte "Ars Italica" di Milano.
Numerosi i critici che di lui si sono occupati: Antonio Floccari, Onofrio Brindisi, Angelo Lo Faro, Pio Valente, Vincenzo Fusco, Mario Sergio, Ferdinando Sergio, Fortunato Valenzise, Maria Froncillo Nicosia, Carlo Franza, Grazia Tardiolo, Siro Brondoni.
Aspettiamo dunque di ammirare le prossime tele ispirate a Galatro di Franco Camillò, pittore che illumina con la sua arte la nostra terra.

In basso altri due quadri di Franco Camillò.


Scilla, la Chianalea



Le pignate

Franco Camillò ha il suo studio a Polistena in Via Pizzurro 4 - Tel. 0966.931892

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(27.3.14) INTERVISTA ALLO SCRITTORE ROCCO COSENTINO (Domenico Distilo) - Nel corso della presentazione del secondo noir dal titolo Succede tutto per caso del magistrato Rocco Cosentino, avvenuta a Cittanova qualche tempo fa in un incontro con gli alunni del Liceo "Gerace", ho rivolto alcune domande all’autore.
Mi ero riservato nella
recensione su Galatro Terme News un’intervista sugli aspetti esistenziali e politico-pragmatici di questo secondo noir. Quest’incontro è un’occasione per un’intervista, anzi, per tornare ai vecchi tempi, per un’interrogazione alla quale, sono sicuro, Rocco si è preparato a dovere, giusto come allora.

Rocco Cosentino è un magistrato che fa lo scrittore; uno scrittore ancora magistrato o un magistrato-scrittore, nel senso che nessuna delle due qualità è dissociabile dall’altra?
Ovviamente io sono e sarò sempre un magistrato. La scrittura è soltanto quella passione che mi consente di godere di alcuni momenti di “evasione”. Non nego, comunque, che il mio bagaglio di esperienze professionali, accumulate in oltre quattordici anni di servizio nella magistratura, sia stato una fonte inesauribile di “vita vissuta”, dalla quale ho attinto a piene mani per ispirarmi durante l’elaborazione dei miei romanzi.

Una delle cose che in "Succede tutto per caso" fanno più riflettere è la critica di un certo modo essenzialmente mediatico d’essere magistrato. In un mondo in cui il magistrato non può essere solo la “bocca della legge”, avulso da una società piena di conflitti, quale pensi che sia, concretamente, il miglior modo e nel contempo il più efficace, di contemperare i due aspetti: il formalismo della legge e la urticante realtà (penso al caso dell’Ilva di Taranto e all’impatto sociale ed economico dell’azione giudiziaria)?
Io sono dell’opinione che il magistrato debba comunicare con la società soltanto attraverso i suoi provvedimenti, tuttavia, allo stesso tempo, è ovvio che non possa chiudersi tra quattro mura e vivere una realtà diversa da quella che lo circonda e che è chiamato a giudicare. Per quanto mi riguarda, cerco di interagire con il mondo esterno attraverso le mie creazioni letterarie, ottimo strumento per manifestare liberamente il mio pensiero e divulgarlo a una cerchia quanto più possibile ampia di persone.

Tirrenia e Solaria in "Niente di cui pentirsi" e Bellaria in "Succede tutto per caso" sono cittadine di provincia che somigliano alle cittadine di provincia del Sud nelle quali hai sempre vissuto e lavorato. Hai mai pensato di raccontare qualcosa di diverso e distante dalla realtà meridionale che ti è familiare, di scrivere un noir con una diversa ambientazione?
In via del tutto eccezionale, posso anticipare che la mia prossima opera non sarà ambientata in luoghi di fantasia ma in due città realmente esistenti, una del Nord e l’altra del Sud. Un romanzo storico che in parte si discosterà dai predecenti e che mi ha comportato un notevole impegno nel descrivere luoghi e costumi distanti centinaia di chilometri dalla reltà nella quale ho sempre vissuto.

Nei due romanzi c’è una non poi tanto sottesa critica alla borghesia degli affari loschi e alla piccola borghesia complice. Quanto pensi che possa contribuire la cultura della legalità che ci sforziamo di diffondere nelle scuole a far sì che si diradino certi atteggiamenti ammiccanti all’illegalità che fanno parte del nostro modo d’essere, della nostra cultura profonda?
Non è un caso se nei miei romanzi non faccio mai riferimento al “male” rappresentato dalle organizzazioni criminali presenti nel territorio. Sarebbe stato riduttivo per me descrivere soltanto un aspetto del problema, ben consapevole che le vere radici dei mille problemi che affliggono la nostra società debbano essere ricercate tra i gangli delle istituzioni, vere “zone franche” in cui tutto sembra lecito e in cui le cosiddette “persone perbene” spesso commettono crimini inenarrabili.

Qual è la funzione del romanzo noir? Divertire terrorizzando, rappresentare il male per rendercene avvertiti, indurci la rassegnazione sul fatto che è inestirpabile e per combatterlo non c’è che altro male o tutte queste cose insieme?
Ho scelto di dare sostanza alle mie elucubrazioni mentali attraverso il genere noir, sol perché esso è l’unico che consente all’autore di non scendere a compromessi con le esigenze prettamente commerciali del mercato editoriale. In sostanza, attraverso una rappresentazione paradossale e fortemente provocatoria della realtà che ci circonda, utilizzando questo genere lettario ho cercato di ammonire i miei lettori sui rischi ai quali la nostra società andrà incontro se ognuno di noi non acquisirà al più presto la consapevolezza che, per eliminare il marcio, la prima cosa che deve fare è un serio esame di coscienza sul male che a volte alberga dentro di noi… proprio quello più difficile da scovare e quindi sconfiggere.

Che rapporto hai con le cose che scrivi? Di piena immedesimazione, di ironico distacco, di “postuma” indifferenza?
Molti hanno rinvenuto nei miei romanzi chiari riferimenti autobiografici, io però ho sempre sostenuto che, al limite, si può parlare di un’autobiografia delle emozioni e dei sentimenti, che hanno trovato il loro sbocco naturale nella forma e nella sostanza dei protagonisti delle mie opere.

Nella foto: lo scrittore Rocco Cosentino col suo secondo libro.

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(29.3.14) BALLÀMU E ZUMPÀMU (Biagio Cirillo) - Ciao amici,
in un momento di crisi e di preoccupazioni, per ammazzare i pensieri, ho scritto questa poesia.
Saluti a tutti.

Ballàmu e zumpàmu

Zumpàti galatrìsi,
c'a musica no manca,
ca lu ballàri è megghiu
di sordi 'nta la banca.

Ballàti cu la pìzzica,
ballàti a tarantella,
finna chi siti stanchi
e a lingua tocca nterra.

Ballàti cu li gambi,
ballàti cu li vrazza,
chidi senza li pili
e chidi ca barvàzza.

Scialativìlla tutti,
li grandi e li cotràri,
ngruppàtivi a cchiù vicina
e facìtila giràri.

Trovàti u màstru i ballu
ch'ì zzìcca intra e fora,
mu faci u balla a gnùra
e puru la figghiòla,

mu faci u nesci u zòppu
e u zzìcca intra u murcu,
e puru lu figghjiolu
c'a candìla di lu muccu.

Ballàti di la sira
e finnu a tarda notti,
gurdàtivi du vinu
ma di chidhu di la gutti.

Ballati paisàni,
e mbìtati i forestèri,
mu si ghèttanu nto menzu
cu mani, vrazza e pedi.

Facìti u balla u spertu
e puru lu cchiù fissa,
facìti u balla u previti
quandu nesci di la missa.

Non avìmu bisognu
mu ghiamu sempri fora,
c'avimu i Karàdros
e atri artisti ancora.

Ndi fannu m'abballàmu
sonandu i tarantelli,
e quandu simu stanchi
n'di cantanu i stornelli.

Ballàti galatrìsi,
facitilu pe mmìa,
ballati supra e timpi,
ballati a crucivìa.

Ballati, ca ballari
fa beni puru 'o cori,
vi passa u mali i testa
e tutti li pauri,

vi passano i penzeri,
vi passanu li guai,
è bonu lu ballari
e non smettiti mai.

Biagio Cirillo



Balli a Galatro


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(8.4.14) MENZIONE D'ONORE PER IL LIBRO DI GRETA SOLLAZZO AL CONCONRSO "METAUROS" - La scrittrice galatrese Greta Sollazzo, di recente protagonista di un'intervista al Palafiori di Sanremo, ha conseguito con il suo noto romanzo La luce in fondo al tunnel una prestigiosa Menzione d'Onore al Concorso letterario "Metauros" 2014 nella sezione "Libro narrativa".
L'appuntamento per la premiazione è per Sabato 12 Aprile, ore 16.00, a Gioia Tauro, presso la sede dell'Associazione Teatro "Giangurgolo", in via Piccola Velocità.
Si tratta certamente di un importante riconoscimento per l'attività letteraria di Greta che, col suo coinvolgente e realistico romanzo, si sta sempre più imponendo all'attenzione del pubblico e della critica.

Visualizza l'elenco completo dei premiati (PDF) 86,8 KB

Nella foto: la scrittrice galatrese Greta Sollazzo.

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(12.4.14) DOVEROSA PUNTUALIZZAZIONE SUL MIRACOLO DI SAN FRANCESCO A GALATRO (Umberto Di Stilo) - Per una mia particolare forma mentis sono portato a evitare – anzi a rifuggire – le polemiche. Solitamente lascio scivolare le provocazioni come acqua piovana sulla seta di un ombrello.
Questa volta, però, sono stato tirato dai capelli (si fa per dire, vista la mia accentuata calvizie!) e, rispondo con il solo intento di precisare e sottolineare alcuni aspetti che mi stanno a cuore come cultore delle tradizioni e della storia galatrese e, soprattutto, come cittadino che vuol fare onore alle sue radici.
Nessuno prevedeva che un pellegrinaggio, voluto e organizzato dalla parrocchia per i fedeli locali con il preciso intento di solennizzare il 550° anniversario del passaggio di San Francesco dal territorio galatrese e per ricordare il miracolo che ha operato in quella circostanza, potesse suscitare una reazione così rabbiosa da parte di una singola persona che, in nome di una non meglio circostanziata (e non meglio circostanziabile) verità storica, contesta la motivazione di base che ha determinato quel percorso penitenziale: contesta che il miracolo del pane è stato operato in territorio galatrese.
Fatta questa doverosa premessa vengo ai fatti.
La Gazzetta del Sud dello scorso venerdì 4 aprile, a pag. 32 (edizione prov. RC) riportava la notizia (a caratteri di scatola) secondo la quale “Laureana e Galatro si contendono il miracolo”.
A parte il fatto che Laureana nella “fantasiosa” contesa c’entra come cavolo a merenda, la corrispondenza di Michelangelo Monea è tutta incentrata su una dichiarazione dello “studioso della vita dei santi” Ferdinando Mamone, che è tutta contro la localizzazione in territorio galatrese del miracolo del pane di San Francesco.
La polemica, a livello verbale, non è nuova. Anzi è tanto vecchia che ormai sa di stantìo. Ha avuto origine nel 1987 all’indomani della pubblicazione del mio volume “Racconti”, all’interno del quale ho fatto anche la ricostruzione del
miracolo del pane caldo di San Francesco.
Il racconto di questo prodigioso evento, sulla fedele scorta della memoria locale, l’ho ambientato in territorio galatrese. Tutto ciò non è piaciuto all’amico Nando Mamone che l’ha ritenuto reato di lesa maestà al suo territorio comunale (Candidoni) o, più in generale, a quello dell’antica Borrello.
E’ assai strano, però, che prima della pubblicazione del mio racconto, nessuno – tantomeno l’amico Mamone - si fosse sognato di localizzare il miracolo in una precisa zona dell’antica Borrello o, peggio, di contestare la localizzazione a Galatro ed al suo territorio. Perché è da secoli che a Galatro, e tra i fedeli locali, si tramanda – e, quindi, tutti ne sono a conoscenza - che il miracolo del pane è stato compiuto in quella località collinare che, sin dal secolo XVI, porta il nome del Santo di Paola e che è ubicata lungo quell’unico viottolo che all’epoca del miracolo (1° aprile 1464) collegava i paesi dell’opposto versante con quelli della Piana di Terranova. Tale tradizione non è nata dallo spirito campanilistico suggerito dal “Cicero pro domo mea” di qualcuno, ma dalla conoscenza dei fatti che, tramandati nel corso dei secoli da padre in figlio, nella loro semplicità sono giunti fino a noi. Conoscenza dei fatti che affonda le sue radici nella tradizione che è stata sempre accompagnata dalla profonda Fede popolare che non conosce campanili e che, proprio per questo, nella sua genuinità è sicuramente più credibile di quanto si vorrebbe accampare oggi per disconoscerla.
La tradizione (dal lat. tràdere = consegnare, trasmettere), come ben sa Nando Mamone, altro non è se non la “trasmissione nel tempo, da una generazione a quelle successive, di memorie, notizie, testimonianze”, (Treccani) trasmissione di “un patrimonio culturale” (Sabatini Coletti) ma, anche, “consegna di un bene da parte di un soggetto ad altri”.
Patrimonio culturale e consegna di un bene, dunque. Questo, e nient’altro, nel corso dei secoli, per tutti i fedeli galatresi è stata la memoria storica che sul miracolo del pane e sulla sua localizzazione è stata loro tramandata dai progenitori, e che – così com’era giusto che fosse – è entrata a far parte della tradizione storica e religiosa di Galatro. Tradizione storica che, nessuno mai, con polemiche sterili potrà cancellare per puro spirito campanilistico.
Il motivo per il quale nel mio racconto ho scritto che il prodigioso evento si è verificato in territorio di Galatro, e più precisamente nella contrada limitrofa a quella di “Celano” è almeno duplice.
Primo: perché alla tradizione orale di cui ho già detto, bisogna aggiungere il secentesco affresco che, proprio a ricordo del miracolo, sulla parete esterna di un vecchio casolare adibito a palmento, da secoli riproduce le sembianze del Santo;
Secondo: perchè bisogna aggiungere – fatto storicamente importantissimo - la toponomastica del luogo. La località San Francesco, infatti, è di ridotta estensione ed essa, proprio per ricordare il passaggio ed il miracolo del Santo, è stata ricavata ritagliando un po’ di territorio alle contrade circostanti: Celano, Torre, Feudo, Feudotto, ecc.
Nome della contrada ed affresco sono testimonianze della devozione popolare dei galatresi. E’ indiscutibile, però, che nel caso specifico esse vadano viste ed interpretate come precisa volontà dei galatresi dei secoli passati di ricorrere a quelle due semplici attestazioni per ricordare alle future generazioni il luogo ove il Santo di Paola ha compiuto il miracolo del pane.
Ho già avuto modo di dire in altre occasioni all’amico Mamone (e lo ribadisco in questa sede) che il testimone che riferisce del miracolo al processo per la canonizzazione di San Francesco non dichiara che a Borrello il Santo compì il miracolo ma che “al passo di Borrello” gli operai di Arena raggiunsero i tre frati. Il miracolo è successivo all’incontro. Forse di pochi minuti, forse di qualche ora: il tempo dovuto perché tra i due gruppi si creasse la confidenziale atmosfera necessaria perché il Santo chiedesse allo sconosciuto di mettere a disposizione di tutti il contenuto della sua bisaccia.
E’ il caso di ricordare che i frati e gli operai erano partiti all’alba da luoghi diversi. I primi da una casa di campagna posta nel territorio di Jonadi nella quale avevano trascorso la notte. Da lì, all’alba, avevano ripreso il viaggio verso Catona da dove sapevano di potersi imbarcare per attraversare lo Stretto, raggiungere la dirimpettaia Sicilia e, quindi, la cittadina di Milazzo ove erano attesi per la fondazione di un nuovo convento. Gli operai, invece, sin dalle prime ore del mattino avevano lasciato le loro dimore di Arena per mettersi in viaggio verso la Piana di Terranova ove speravano di trovare lavoro.
I due gruppi, pertanto, dopo aver camminato per alcune ore su viottoli e sentieri diversi, si sono ritrovati su quella stessa strada che, dopo aver varcato il territorio dell’antica Borrello e quello limitrofo di Galatro, prendeva la direzione della vasta piana di Terranova, e ancora oltre, quella dei paesi posti sul litorale reggino.
Pur ritenendo esatta la testimonianza del miracolo come fatto soprannaturale operato dal Taumaturgo di Paola durante il suo viaggio verso Catona, è opportuno tenere presente che il testimone riferisce ciò che ricorda di aver sentito raccontare dal padre quando era ancora bambino. Molto probabilmente il racconto del padre era stato ricco di dettagli, ma il testimone ricorda solo il nome del passo di Borrello. Chi può avere la certezza che nel racconto del padre – che era stato diretto testimone del miracolo - non ci fossero stati altri particolari, magari sul percorso fatto dagli operai insieme ai frati e sul luogo e l’ora in cui san Francesco ha operato il prodigio? Interrogativi legittimi alla luce della genericità dell’indicazione del testimone e alla tradizione secondo la quale il miracolo sarebbe stato operato in territorio galatrese e, quindi, quando era già stato superato il “passo di Borrello”.
Non ci sono altri riferimenti “probanti” che possano provare il contrario. Né vale tirare in ballo – come fa Mamone – quanto scrive P. Roberti nella biografia del Santo. A sostegno della sua tesi e “per amore di verità storica” l’amico candidonese asserisce che nell’opera del Roberti non viene citato né Galatro né alcuna sua località come “teatro” del miracolo. Vero. Verissimo. Ma va anche detto, con estrema onestà intellettuale, che non cita neppure la contrada Litrò nella quale, invece, vorrebbe localizzarlo lui.
Fino a prova contraria, allora, è completamente priva di fondamento storico anche l’asserzione di Mamone secondo la quale nelle “fonti storicamente accreditate” è scritto che il miracolo “è avvenuto esattamente nella sottostante contrada Litrò, nella valle del Mesima, il corso d’acqua che indicava la via del mare”. Dove sono le “fonti storicamente accreditate” in cui si può leggere quanto asserito dallo studioso di Candidoni? Vorrei poterle consultare anch’io. Quanto meno per conoscere – se c’è – la “verità storica”.
All’amico Mamone fa onore il suo sviscerato amore per la terra d’origine, ma la sua localizzazione del miracolo è frutto di pura fantasia perché, contrariamente a quanto asserisce, nessun’altra località oltre a quella del “passo di Borrello” viene citata dal Roberti. (A proposito: vogliamo localizzare con esattezza il “passo di Borrello“? Forse non ci perderemmo in molte ricostruzioni avventate!).
Né le località a cui fa riferimento nella sua contestazione Nando Mamone vengono citate dagli altri numerosi biografi di San Francesco: da Isidoro Toscano, 1648 a Giuseppe Perrimezzi, 1707; da Bois-Aubry, 1856 a F. Capponi, 1925; da Alfredo Bellantonio, 1962, fino al più recente Pietro Addante, 1988.
Ciò perché tutti i biografi – e sottolineo tutti – siano essi italiani o francesi riportano la scarna dichiarazione resa dal religioso Don Bernardino al processo per la canonizzazione del nostro Santo. Questo testimone ha dichiarato che san Francesco il “pane caldo” lo fece trovare nella bisaccia di suo padre Nicola del quale, però, i biografi non concordano neppure sul cognome. Tutto ciò perchè - come sostiene saggiamente Marcello Donini – trattandosi dei protagonisti di fatti che risalgono a più di cinque secoli fa, sono difficilmente certificati e documentati e spesso sono tratteggiati solo sulla scia dei racconti orali.
Ed allora, senza aggrapparsi agli specchi; senza fantasiose ricostruzioni, fermo restando che l’unico ed il solo documento sull’episodio “contestato” è, e resta, la testimonianza di Don Bernardino, perché accanirsi a confutare la documentata tradizione secondo la quale il miracolo del pane San Francesco lo ha compiuto in territorio galatrese?
Concludendo il suo articolo, Michelangelo Monea, suggeriva che al fine di stabilire dove il Santo di Paola ha “veramente” operato il miracolo, venissero chiamati a giudici imparziali i minimi di Paola. Il suggerimento arriva con qualche lustro di ritardo. Il Padre Correttore Generale ed un suo collaboratore, infatti, con le carte topografiche in mano, hanno già effettuato un accurato sopralluogo sul sito galatrese ed hanno concluso che è assai credibile che il prodigio di san Francesco abbia avuto come palcoscenico naturale proprio quella contrada. Hanno anche aggiunto che in considerazione che la secolare tradizione locale lo assegna a questo territorio nessuno, con assoluta certezza, potrà mai dimostrare che non sia vero.
Una cosa, comunque, è certa: i fedeli galatresi non hanno intenzione di avviare una “santa” crociata per dimostrare che San Francesco ha operato il miracolo nel loro territorio, là dove da secoli c’è affrescata la sua immagine. Sanno – per secolare tradizione e conseguente radicata devozione – che durante il suo viaggio verso Catona, proprio nel loro territorio collinare, operò il miracolo.
E’ quanto basta per continuare a frequentare il luogo in cui da sempre si tramanda che è stato operato il prodigio, accendere un cero, portare un fiore di campo, raccogliersi in preghiera davanti al secentesco affresco e, perché no?, di tanto in tanto salire in pellegrinaggio col loro parroco e lì devotamente partecipare al sacrificio della messa.
I fronzoli ed i pennacchi li lasciano volentieri agli altri.


Nelle foto, dall'alto in basso: Umberto Di Stilo; l'affresco secentesco di San Francesco; un momento della messa.

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(14.4.14) LA SCOMPARSA DI SAVERIO STRATI (Bruno Demasi e Michele Scozzarra) - E’ morto a Firenze Saverio Strati, uno scrittore vero che ha conosciuto l’Aspromonte sul serio, e non solo per esserci nato e vissuto, ma per avere amato e odiato visceralmente questa terra sublime. La misura della palude in cui siamo caduti è l’indifferenza davanti a questo evento, l’ignoranza pressochè totale delle giovani generazioni di uno scrittore che ha aperto nuove vie alla letteratura calabrese e, con le sue opere, ha onorato la Calabria intera e tutto il Meridione, dando al contempo grandi lezioni di umanità e di umiltà.
Nelle nostre scuole superiori, dove si consumano orrendi crimini quotidiani di voluta ignoranza della nostra cultura locale, forse pochi docenti hanno proposto ai loro allievi le sue stupende pagine e pochissimi sono riusciti a farli innamorare della nostra letteratura, di cui Strati è un pilastro.
Con lui infatti la letteratura Calabrese ha aperto nuove vie perché è diventata più oggettiva e concreta, e meno attaccata al sentimentalismo e al “campanile”, così come lui stesso ebbe a dire: “Per quanto mi riguarda credo che nei miei libri, soprattutto da “Noi lazzaroni” in poi (e sono tanti ormai), non esista per niente il piagnisteo, ma c’è una convincente presa di coscienza dei poveri; inoltre c’è la spinta e l’incitamento a operare da noi, a non aspettarsi che verranno gli altri a salvarci, a risolvere i nostri drammatici problemi”.
Saverio Strati è stato in grado di gettare un ponte tra la letteratura calabrese e quella italiana, che lui definiva “nazionale” perché riteneva che ogni calabrese è anche italiano: “Anzi – sosteneva Strati – ogni calabrese è calabrese, italiano, europeo e, soprattutto, mediterraneo. Quando un’opera d’arte è opera di poesia, non è opera calabrese o italiana: ma è opera d’arte, opera di poesia…”, ma ha tentato soprattutto di fare i conti con la realtà calabrese, sempre più inquieta, riuscendo ad afferrarla e esprimerla, nonostante la trasformazione della società che avveniva sempre in maniera più rapida. E il suo dire sulla Calabria non era da lui ritenuto un impegno o un costume, e tanto meno un bisogno nostalgico così come lui stesso ha voluto più volte rimarcare: “Il mio dire sulla Calabria è un peso che ho dentro, un bisogno fortissimo di raccontare; e racconto infatti per liberarmi del peso che mi sta dentro l’essere. Se poi nelle storie, che ormai sono tante, c’è qualcosa di valido tanto meglio per me e anche per la Calabria. Ma una cosa voglio sottolineare, forse orgogliosamente: in nessun momento, in nessuna circostanza gli scrittori italiani mi hanno fatto sentire scrittore marginale, scrittore di una regione depressa…”.
Il 16 agosto prossimo avrebbe compiuto novant'anni, e ci si stava preparando nel suo paese di origine (Sant’Agata del Bianco) al giusto riconoscimento, benché tardivo. Beneficiario dal 2009, perché povero, del sussidio della Legge Bacchelli (un assegno vitalizio «alla luce degli speciali meriti artistici riconosciuti»), Saverio Strati nel 1977 aveva vinto il premio Campiello con il romanzo "Il selvaggio di Santa Venere”.
A lui anche la cultura della Piana di Gioia Tauro deve molto: certi affreschi palpitanti della realtà contadina abbiamo potuto gustarli e farli gustare negli anni Settanta del secolo scorso ai nostri ragazzi attraverso la lettura di “Tibi e Tascia”, un capolavoro narrativo in seguito inspiegabilmente trascurato, o addirittura dimenticato, nelle scuole a favore di romanzetti futuribili e insipidi di dubbio valore artistico… oltre che etico.
Una studiosa tedesca dell’opera di Strati ha sottolineato che basta leggere una sola pagina di uno dei suoi romanzi, per rendersi conto dell’inquietudine delle popolazioni dell’Europa meridionale e dei calabresi in particolare. Ci auguriamo che questa inquietudine ci spinga a ribellarci al torpore in cui vegetiamo e a rileggere o a leggere la narrativa di questo grande calabrese senza aspettare i soliti concorsini a premi, in memoria, banditi nelle scuole con scarso senso dell’umorismo prima ancora che con difetto assoluto di conoscenza della nostra realtà culturale.

Nelle foto: in alto Saverio Strati, in basso la copertina del romanzo "Il selvaggio di Santa Venere".


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(18.4.14) PENSIERI SU "SANTU VENNARI" DI CARMELO CORDIANI (Michele Scozzarra)

SANTU VENNARI1
Carmelo Cordiani

Verso le undici, dopo la cerimonia in chiesa, lunga per le prediche, si andava in processione al calvario.
Il prete indossava solo la talare nera, con il “tre pizzi”2 in testa e i chierichetti vestivano la “tonga”3, senza “cotta”4.
Si portava, come ancora, la “varetta”5 per riporci il Cristo, dopo la “schiovata”6 e la Madonna Addolorata, sempre presente in tutte le cerimonie di Venerdì Santo. Poi c’erano i “misteri”7: la mano, la scala, la colonna… il prestigioso gallo. Seguiva un lungo corteo di uomini e donne, tutto il paese. E la Fratellanza8.
Ma l’attenzione si concentrava su un uomo, vestito di rosso, scalzo, con una corona di spine in testa ed una grossa croce sulle spalle. Apriva il corteo. Camminava curvo, con passo stanco, pesante, mentre un altro, dietro, lo teneva legato ad una corda e appesantiva con gesti cadenzati la croce.
Un quadro rimasto nella memoria, ormai matura, di Galatro: scomparso, cancellato nel cerimoniale moderno. Oggi si preferisce una fede “intellettuale”, senza scenografie da Medioevo.
Eppure mastro Peppino Cordiani (questo il nome di chi impersonava Cristo e ricordato da qualcuno come “mercante ebreo!”) alla processione del Venerdì Santo, partecipava con fede. Si preparava la corona di spine vere e non c’era verso, quel giorno, di fargli mangiare qualcosa. Era un giorno tutto santo e lui avrebbe indossato la clamide dello scherno, come Cristo di Galilea. Un anno ci andò con la febbre addosso. Allora le strade non conoscevano l’asfalto: pietre e pozzanghere. Mastro Peppino, magro, sotto la croce, seguito da Salvatore Romeo, andava verso il calvario. C’era chi, al suo passaggio, si segnava, come fanno i cristiani. Né uno sguardo intorno, né una parola. Dal corteo veniva il canto triste della penitenza.
Sono passati molti anni dall’ultima volta. Eppure, puntualmente, ogni anno, lo stesso giorno, qualcuno ricorda quell’esile figura quasi con rimpianto. “Una volta era più bello”… Una volta, quando tutto l’uomo, intelletto e materia, ragione e passione, cristiano dentro e fuori, partecipava ai misteri della fede.

Note
1 Venerdì Santo
2 Tipico copricapo a tre punte, usato un tempo dai preti. Qualcuno lo usa ancora.
3 Veste talare nera indossata, allora, dai chierichetti.
4 Sopraveste bianca in uso ancora oggi.
5 Urna vetrata per deporvi il Cristo deposto dalla croce.
6 Rito che si compie ancora oggi, togliendo i chiodi dalle mani e dai piedi di Cristo che tutto il giorno resta inchiodato sulla croce di mezzo al calvario.
7 Oggetti attinenti alla passione di Gesù: la mano che lo schiaffeggiò, la corona di spine, la colonna della flagellazione. Si trattava di riproduzioni in piccolo collocate su un’asta. Il più prestigioso, spesso causa di litigi tra i ragazzi, era il gallo, testimone della debolezza di Pietro.
8 Confraternita. In Calabria ce ne sono ancora.



* * *

Pensieri su “Santu Vennari” di Carmelo Cordiani
Michele Scozzarra

La minuziosa descrizione del “quadro rimasto nella memoria, ormai matura, di Galatro: scomparso, cancellato dal cerimoniale moderno”, rivissuto nell’articolo “Santu Vennari” di Carmelo Cordiani, viene a riempire di contenuto, almeno per me, “l’immagine” che avevo davanti agli occhi da diversi anni e che, in qualche occasione, ho anche pubblicato a corredo di qualche mio articolo.
Non ho mai evitato di scrivere come, oggi, appare sempre più chiaro come ci troviamo inseriti in un contesto culturale “critico”, in cui si rischia di perdere, insieme ai segni, anche il contenuto che essi trasmettono: occorre ricomprendere, alla luce della fede, tali segni per conservarne il significato… e anche le fotografie rappresentano un’espressione culturale importante, in quanto racchiudono il “cuore” dei momenti più significativi della vita di una comunità, facendo sopravvivere nelle immagini, ciò che il tempo, inesorabilmente, va a distruggere: come l’immagine di “mastro Peppino, magro, sotto la croce, seguito da Salvatore Romeo, andava verso il Calvario. C’era chi, al suo passaggio, si segnava, come fanno i cristiani”.
In “Santu Vennari”, con la foto che fa da cornice, è rappresentata tutta una umanità, da sempre presente nel popolo cristiano, che testimonia il significato di una vita segnata dalla fede, ed il voler conservare e trasmettere, la conoscenza dei riti cristiani, nella consapevolezza che le radici della nostra civiltà, e della nostra umanità, sono largamente segnate dalla fede, vuol dire promuovere una cultura compiutamente umana, che negli anni passati ha sviluppato, infatti, nelle nostre strade, delle vicende affascinanti legate al grande patrimonio di cultura cristiana, presente nella semplicità della fede dei galatresi… un tempo sicuramente più di oggi.
Tempo addietro sono stato invitato a guidare un percorso per le vie del nostro paese, nell’ambito di una serie di incontri chiamati “sentieri di carta”. Sono intervenuto prendendo le distanze proprio dal titolo che hanno voluto dare agli incontri: non “sentieri di carta” ho detto (facendo scorrere più di 500 immagini di Galatro oggi e come era negli anni), ma sentieri di fede, di vita, di storie vive dove, in un giorno particolare, “l’attenzione si concentrava su un uomo, vestito di rosso, scalzo, con una corona di spine in testa ed una grossa croce sulle spalle. Apriva il corteo. Camminava curvo, con passo stanco, pesante, mentre un altro, dietro, lo teneva legato ad una corda e appesantiva con gesti cadenzati la croce”…
Storie come questa descritta in “Santu Vennari” da Carmelo Cordiani, che hanno sviluppato nel nostro paese, dei momenti molto intensi di una Galatro così come era molti anni fa: storie e immagini che ricordano, raccontano, e fermano con un gusto dolce-amaro, dei momenti molto belli della comunità galatrese e, ancora oggi, riescono a trasmettere un fascino di fronte al quale non si può restare indifferenti; perché si ha davanti la testimonianza di una umanità schietta e semplice, essenziale e vera e, non è solo per modo di dire che si afferma: “Una volta era più bello!”
E poi in “Santu Vennari” mi piace vedere come “il figlio non dimentica”: come nel trascorrere degli anni, ci vengono innanzi e, soprattutto dentro la coscienza e dentro il cuore, i giorni di ricorrenze che il volgere del tempo non riesce a scalfire, per cui siamo indotti a fermarci, a meditare su quale sia il senso di questa “vivida memoria”.
Per questo penso che nella memoria dei nostri cari risiede il nostro vero diritto ad esistere: il nostro presente presuppone, inevitabilmente, riconoscere ciò che c’è dietro di noi: i nostri affetti più cari che ci portiamo nel cuore e che spesso la morte contribuisce a renderli più vivi e presenti di quando erano in vita, perché formano il centro della nostra memoria.
Anche se sono passati molti anni dall’ultima volta che si è stati insieme…

P. S. - “Ti ringrazio per la riflessione su Santu Vennari che ti avevo chiesto”. Sono queste le parole che il Direttore Carmelino Cordiani mi ha mandato dopo aver letto le mie considerazioni, sul suo pezzo “Santu Vennari” pubblicato nella settimana Santa del 2012, che oggi ripubblico in sua memoria, visto che da ottobre dell’anno scorso non è più in mezzo a noi.











Nelle foto: antiche immagini del "Santu Vennari" a Galatro.

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(1.5.14) CONFERENZA DI MICHELANGELO PENTICORBO AL LICEO SCIENTIFICO DI CITTANOVA - L'astronomo galatrese Michelangelo Penticorbo, dopo 23 anni, ritorna al Liceo Scientifico di Cittanova, scuola dove ha svolto il suo quinquennio di studi secondari superiori. Egli conserva un ottimo ricordo di questa scuola e dei suoi insegnamenti.
Stavolta naturalmente Michelangelo non varcherà l’ingresso con i libri di scuola, ma per tenere una conferenza che si colloca in un contesto di eventi scientifico-culturali organizzati annualmente dal Liceo. Il titolo della conferenza è: Universi Paralleli: il nostro è l'unico universo? e l'appuntamento è duplice:

Venerdì 2 Maggio, alle ore 9.30 presso la sala congressi della Banca di Credito Cooperativo di Cittanova (riservato agli studenti del Liceo);

Sabato 3 Maggio, alle ore 15.00 nell’Aula Magna del Liceo Scientifico (aperto al pubblico).

Il tema è uno di quelli centrali su cui da alcuni decenni vari fisici teorici e cosmologi indagano, ovvero la possibilità che il nostro sia uno dei molti universi. Anche se l’indagine rimane sul piano teorico, lo scenario degli universi paralleli potrebbe spiegare alcune osservazioni incomprensibili, rispondere ad alcune domande insolute della cosmologia moderna e della fisica delle particelle e ridisegnare i confini della nostra realtà.
In basso la locandina dell'evento.



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(10.5.14) I KARADROS A CHIVASSO PER LA DECIMA EDIZIONE DI "CALABRIA IN FESTA" (Massimo Distilo) - La band etno-folk galatrese dei Karadros è impegnata stasera, Sabato 10 Maggio, a Chivasso, presso Torino, dove si esibirà, a partire dalle ore 21.00, in Piazza d'Armi ovest.
L'occasione dell'evento è data dalla decima edizione della manifestazione Calabria in Festa che comprende una serie di eventi che dureranno tre giorni - ven 9, sab 10 e dom 11 Maggio - durante i quali sono previsti, oltre ai concerti, anche mostre, degustazioni, convegni culturali, presentazione di libri, sfilate di moda e concorsi di bellezza.
La manifestazione si svolge col patrocinio dell'Associazione Calabra-Piemontese, della Regione Piemonte, della Regione Calabria, della Città di Chivasso e della Federazione Italiana Circoli Calabresi.
Dopo il recente successo ottenuto a Terranova, in occasione della festa del SS. Crocifisso, i Karadros si esibiscono stavolta in Piemonte, altra tappa del loro Live Tour 2014 che ha come titolo "Vuci" e che prevede numerose esibizioni in un gran numero di località.



www.karadros.it


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(13.5.14) IL LIBRO DI CLAUDIO MARTELLI PRESENTATO A CATANZARO DA PINO FRANZE' - Nei giorni scorsi s’è svolta a Catanzaro, nella sala concerti di Palazzo De Nobili, organizzata dalla Fondazione Giacomo Mancini e dai circoli "Francois Mitterrand" e "Willy Brandt" - di cui è animatore Pino Franzè, già esponente del vecchio PSI nel nostro paese e dirigente provinciale dei giovani socialisti nonché consigliere comunale d’opposizione dal 1980 al 1985, poi trasferitosi nella città ionica per motivi di lavoro e di famiglia - la presentazione del libro di Claudio Martelli, Ricordati di vivere, uscito nei mesi scorsi presso Bompiani.
Stimolato dalle domande del pubblico, Martelli, uomo chiave dell’ultimo decennio della prima repubblica – vicesegretario del PSI negli anni Ottanta, poi vicepresidente del consiglio e ministro della giustizia alla vigilia dell’esplodere di Tangentopoli - ha rievocato pagine drammatiche e controverse, dalla strage di Capaci alla successiva trattativa tra Stato e mafia, che sarebbe stata motivata proprio dall’intento di fermare la strategia stragista dei vertici criminali.
L’ex delfino di Craxi non ha lesinato le “rivelazioni”, la più importante delle quali è stata quella secondo cui l’ispirazione a trattare con Cosa Nostra sarebbe venuta dal presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, eletto, è il caso di ricordarlo, sull’onda emotiva suscitata dall’orrore per quanto accaduto a Capaci.
Ma al centro della vicenda politica ed esistenziale di Martelli si staglia, non possono esserci dubbi al riguardo, la figura di Craxi, col quale alla fine ha consumato una quasi rottura, probabilmente alimentata da equivoci ed incomprensioni oltreché dalla diversa valutazione sulla natura di un sistema politico-partitico tra le cui caratteristiche fondamentali c’era, da sempre, il fatto di finanziarsi con le tangenti.
La politica è rimasta, comunque, l’interesse fondamentale di Martelli, anche se non più da politico attivo ma da attento ed esperto spettatore che, nel vortice di questi anni concitati di post politica e di antipolitica, è certo di essere ancora un socialista.

Nelle foto: a sinistra la copertina del libro di Claudio Martelli; a destra Pino Franzè.


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(18.5.14) UN GALATRESE PRESENTA A LIMBIATE UN LIBRO SU TSIPRAS - Sarà il galatrese Salvatore Ricciardi, da molti anni trasferitosi in Lombardia, a presentare a Limbiate, grosso comune della provincia di Monza e Brianza, Lunedì 19 Maggio, alle ore 21.00, presso l'aula del Consiglio Comunale, villa Mella, via Dante 38, il volume uscito di recente per i tipi di Alegre Edizioni (€ 12, pp. 126) dal titolo Tsipras chi?, a cura di Matteo Pucciarelli e Giacomo Russo Spena, dedicato al leader greco Alexis Tsipras, classe 1974, che incarna la più concreta alternativa europea alle politiche d'austerity imposte dalla trojka.
Il libro ripercorre la sua storia politica, dal movimento "No Global" alla nascita di "Syriza", il soggetto politico che riunisce le varie aree neo e post-comuniste. Viene inoltre analizzata la genesi della crisi economica e come essa ha influito sul sistema politico contribuendo all'enorme successo del partito di Tsipras e all'implosione dei socialisti del Pasok.
La proposta di Tsipras, allo stesso tempo riformista e rivoluzionaria, sta accendendo in Italia l'interesse di chi vuole ricostruire la sinistra, così come notevoli consensi sta riscuotendo la lista L'altra Europa con Tsipras presente alle elezioni europee del prossimo 25 Maggio.
Salvatore Ricciardi, noto a Limbiate per il suo impegno civile e politico, ha curato la pubblicazione in traduzione italiana di diverse opere di autori stranieri sulla "New Economy"; è inoltre curatore di un seguito blog. Sarà lui ad introdurre la discussione nella serata, alla quale interverrà anche uno dei due autori del volume, ovvero Matteo Pucciarelli, giornalista di "Repubblica".
Nell'occasione sarà possibile acquistare copie del libro a prezzo scontato.
In basso la locandina dell'evento.

Visita il
blog di Salvatore Ricciardi



www.listatsipras.eu

Nella foto in alto: il galatrese Salvatore Ricciardi.

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(29.5.14) LA CHIESA RURALE DI CELANO (Umberto Di Stilo) - Il parroco, don Giuseppe Calimera, lo ha annunciato anche a conclusione della messa di quest’ultima domenica: sabato prossimo 31 maggio i tradizionali riti del mese mariano si concluderanno con un pellegrinaggio meditato fino alla chiesetta di Celano. Il raduno dei fedeli partecipanti è fissato nella chiesa della Montagna da dove il pellegrinaggio partirà attorno alle 16. Nella chiesetta di Celano, dopo la recita del Santo Rosario, sarà celebrata la messa conclusiva del mese mariano. Subito dopo si tornerà in paese e il pellegrinaggio si concluderà nella chiesa della Montagna.
Sabato prossimo, in sostanza, il Parroco con la celebrazione della messa in quella chiesetta rurale intende ripristinare un aspetto della devozione popolare mariana che tra i fedeli locali manca da decenni e che soltanto i più anziani dell’ex parrocchia di Maria SS. della Montagna o di quanti sono cresciuti in quelle contrade collinari, forse ancora ricordano. Il pellegrinaggio, così com’è organizzato, voluto come momento devozionale e di preghiera collettiva, costituisce, invece, una novità assoluta.
Nella convinzione che fornire un servizio di informazione il più completo possibile sia principale compito della nostra testata giornalistica, ritengo di far cosa gradita ai lettori, anticipando un mio breve scritto dedicato alla chiesetta di Celano (proprietà privata della famiglia Trungadi) e che fa parte del volume (ancora) inedito Una chiesa, una parrocchia nel quale, sulla scorta dei documenti d’archivio, vengono ricostruite le vicende storiche della Chiesa di Maria SS. della Montagna e della sua elevazione a parrocchia.

* * *

LA CHIESA RURALE DI CELANO

Nell’ambito territoriale dell’ex parrocchia di Maria SS. della Montagna, e più precisamente in località “Celano”, lungo l’antico sentiero che collega Galatro prima alla località “Mulini” e poi a Laureana di Borrello, c’è una piccola chiesa rurale dedicata alla Madonna dell’Aiuto ma sul cui altare è posta una piccola statua dell’Immacolata Concezione.
E’ stata voluta e realizzata dal capitano cav. Rocco Trungadi per sciogliere il voto fatto mentre si trovava in Africa a compiere il servizio militare. Più volte il giovane cav. Trungadi si è trovato a tu per tu con la morte. Più volte ha visto cadere i suoi commilitoni sotto il piombo nemico. In quell’inferno di fuoco, mentre tutt’intorno gli scoppiavano le granate, nella piena consapevolezza che anche lui da un momento all’altro avrebbe potuto chiudere l’esistenza in quel territorio straniero, con tutto l'ardore della sua salda e convinta fede si è ripetutamente rivolto alla Madonna per chiederLe aiuto, fino a prometterLe la costruzione di una chiesa a Lei dedicata se avesse avuto la fortuna di tornare “sano e salvo” a casa per riabbracciare i suoi giovani figli e tutti i suoi cari.
Tornò a casa e su un terreno di sua proprietà, servendosi di maestranze locali, il cav. Trungadi fece costruire la chiesa che, poi, venne benedetta, consacrata alla “Madonna dell’Aiuto” ed aperta al culto il 29 maggio 1938. Per meglio solennizzare l’evento, il cav. Trungadi volle che la sua giovanissima figlia Carmela (Lina), proprio durante la solenne liturgia di consacrazione della chiesetta, ricevesse la prima Comunione.
Quel giorno a Celano è stata una grande festa popolare. Attorno alla chiesetta si è radunata una moltitudine di fedeli, in parte appositamente giunti da Galatro ed in parte dalle vicine contrade collinari, all’epoca abitate da diverse famiglie numerose perché i loro componenti erano tutti dediti all’agricoltura ed alla pastorizia.
Da Galatro, insieme a moltissimi fedeli ed al parroco Don Antonio Teti, percorrendo la mulattiera “dello Spagnolo”, sono saliti fino a Celano le autorità civili e militari. La chiesetta, così come previsto, non poté contenere i numerosi galatresi che volevano assistere al sacro rito della consacrazione e della messa e la stragrande maggioranza di loro dovette fermarsi sull’antistante spiazzo sterrato mentre molti altri trovarono posto sul sentiero che, come anfiteatro naturale, era stato appositamente ripulito della siepe il giorno prima. Dopo il sacro rito tutti i fedeli e gli amici appositamente convenuti a Celano, si sono stretti attorno al capitano Trungadi ed ai suoi familiari a cui si sono affrettati ad esternare sentimenti augurali ed hanno formulato i ringraziamenti più vivi per aver loro offerto la possibilità di raccogliersi in preghiera davanti alla bella statuina della Madonna.
Sempre per iniziativa dei proprietari-devoti, nella chiesetta è stata celebrata la messa in alcuni giorni di fine settembre e di ottobre col preciso intento di offrire l’opportunità di accostarsi ai sacramenti a quanti erano impegnati nei lavori della vendemmia che, proprio in quel periodo dell’anno, si svolgevano in tutto il vasto pianoro e nelle vicine contrade Croci, San Francesco, Torre, Feudo e Camera.
In quella stessa chiesetta negli anni immediatamente successivi alla sua edificazione, è stata celebrata la messa in alcune domeniche del mese di maggio, mese dedicato alla Madonna, ed è stata ricordata e solennizzata anche la ricorrenza festiva dell’otto dicembre.
Quando, però, il conflitto mondiale ha cominciato a preoccupare anche tutte le famiglie galatresi, ogni tipo di appuntamento a Celano è stato rimandato a tempi migliori. Ma, come spesso capita, il rinvio temporaneo è divenuto quasi definitivo soprattutto a causa dell’emigrazione e del lento ma continuo spopolamento delle campagne. In diverse occasioni, comunque, i proprietari, d’accordo con il parroco Don Bruno Scoleri, hanno voluto offrire l’opportunità di raccogliersi in preghiera e di ricevere il sacramento dell’eucaristia ai componenti le famiglie di contadini e di pastori che continuavano a vivere nelle case sparse di quelle contrade collinari.
E, successivamente, anche le nipoti del fondatore hanno ricevuto la prima comunione in quella chiesa di famiglia.
Comunque, anche quando col passare del tempo sul suo altare non è stata più celebrata alcuna messa, la chiesetta della Madonna dell’Aiuto è rimasta un punto fermo nella devozione mariana galatrese. Gli operai che quotidianamente si recavano a lavorare in quelle contrade collinari o le donne che andavano a portare fastelli di fascine o di legna alle famiglie di Laureana, passando davanti alla chiesetta, si sono sempre fermati in prossimità della porta d’ingresso e, fissando la statuina posta sull’altare, attraverso l’artistica grata in ferro battuto, sia pure per un solo istante, si sono raccolti in preghiera.
Inoltre, chi ha potuto ha sempre lasciato sul pavimento la sua personale offerta: qualche monetina, qualche spicciolo come testimonianza di un’autentica e profonda devozione.
In tempi più recenti le monetine sono state sostituite dai fiori di campo che a mazzetti multicolori vengono deposti davanti alla porta o assicurati ai ferri della grata. E non di rado si vede anche qualche lumino acceso lasciato dai fedeli sulla soglia d’ingresso, al riparo dall’acqua e dal vento.
Per iniziativa dei nipoti e pronipoti del fondatore, di recente la chiesetta è stata ristrutturata nelle pareti laterali, nel tetto e nel soffitto; sono stati eseguiti anche alcuni lavori di rifacimento all’intonaco ed alla pittura delle pareti interne.
Così, dopo anni di quasi completo abbandono, quel piccolo tempio rurale è tornato ad essere un tranquillo e decoroso luogo di culto non solo per i viandanti ma anche per quanti amano raccogliersi in preghiera in un angolo distante dai rumori della città e immerso nel verde della natura.

E’ il caso di ricordare che la devozione alla Madonna dell’Aiuto è molto diffusa in Sicilia e in Trentino. Nell’una e nell’altra regione Le sono stati dedicati diversi santuari. Ma il culto mariano verso questa Madonna è presente anche a Milano (e Lombardia) e in molte altre città e centri grandi e piccoli d’Italia. Non risulta presente, invece, nella nostra Regione.

Preghiera di Pio XII alla Madonna dell'Aiuto

"Vergine benedetta, Madre di Dio e Madre nostra,
che nel titolo di «Madonna dell'aiuto»
non cessi di ricordare ai tuoi devoti i prodigi
onde ci assicurasti della tua materna protezione,
guarda pietosa alle nostre necessità e alle nostre miserie,
e vieni ancora una volta in nostro soccorso.
Dal tuo aiuto, o Maria,
i poveri aspettano il pane, gl'infermi la salute, i disoccupati il lavoro,
tutti la preservazione da nuove calamità e da nuove rovine.
Ma il bene di cui ha soprattutto bisogno
la generazione che ti prega, è il tuo Figlio,
o Maria,
che il mondo vorrebbe bandito dalla vita, dalla famiglia, dalla società,
dove tutto si attende dalla materia, dalla forza e dagli umani disegni.
Aiutaci, o Maria, a custodire gelosamente o a ritrovare questo bene,
senza il quale ogni altro dono è illusione, inquietudine e veleno.
Per Te, o Madre, rientri Gesù nelle menti traviate per dissiparne
gli errori con la luce della sua Persona e del suo Vangelo.
Rientri nei cuori pervertiti, con la purezza dei costumi, la modestia della vita,
la carità, che vince ogni egoismo.
Rientri nelle famiglie e nella società per riprendere i suoi diritti di Signore e di Maestro.
Da Te protetti e assistiti, tutti, o Maria, sperimenteremo l'efficacia del tuo patrocinio:
«Madonna dell'aiuto»
ti sentiremo in tutti i momenti della nostra vita terrena:
nelle avversità per non restarne abbattuti, nelle prosperità per non riuscirne corrotti;
nel lavoro per ordinarlo in Dio, nella sofferenza per accettarla con umiltà.
Per Te vivremo con le virtù del Vangelo, nel timor santo di Dio,
nel suo amore, nella fraterna carità che benefica, sopporta e perdona.
Aiutati dalla tua potente intercessione,
questa vita sarà per i tuoi figli vittorioso combattimento,
sarà nella fede e nella pietà sincera degna preparazione all'eterna".
Così sia.

Nelle foto, dall'alto in basso: la chiesa di Celano; la Madonna dell'Aiuto; la statua dell'Immacolata sull'altare della chiesa di Celano.


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(8.6.14) DUE COLOMBI IN AMORE (Umberto Di Stilo) - Ho visto alcune foto di colombi pubblicate da Luigi Sapioli e da Michele Scozzarra. Una di esse mi ha fatto ricordare che qualche anno addietro, dopo essere stato involontario testimone delle effusioni d’amore di due esemplari, ho scritto poche righe. Le ho tirate fuori insieme a qualche foto.

* * *

Ho visto due giovani colombi in amore. Tubavano rumorosamente e con il loro verso avevano richiamato la curiosità anche di alcuni ragazzi che incuriositi da quelle tenere ed appassionate schermaglie avevano temporaneamente smesso di giocare con le figurine per seguire lo spettacolo che improvvisamente offriva loro la natura. Hanno rivolto gli sguardi verso il tetto dell’abitazione che era dirimpetto a loro mostrando di seguire con particolare attenzione e curiosità quell’idillio di cui erano protagonisti due bianchi volatili.
I due piccioni si beccavano, si accarezzavano. Uno di loro, il maschio, si muoveva saltellando e girava attorno alla compagna come se volesse invitarla ad una danza d’amore; gonfiava le penne sotto il gozzo e gorgogliava rocamente. Alzava leggermente le ali e faceva vibrare nell’aria le loro lunghe penne. Era un continuo inseguimento, un continuo corteggiamento.
Il colombo alzava teneramente un’ala e la poggiava sulla schiena di quella che aveva scelto come compagna come se volesse invitarla a stringersi in un caldo abbraccio.
Ma l’oggetto di tanta attenzione si ritraeva, spiccava un piccolo volo e andava a posarsi sul tettuccio del vicino comignolo ove subito dopo la raggiungeva il compagno innamorato. E lì, su quelle poche tegole, riprendevano la danza dell’amore.
Il colombo, con atteggiamento di superiorità, girava attorno alla compagna battendo ripetutamente le ali, tenendo la gola gonfia e muovendo continuamente il collo per esibire le piume iridescenti.
Con questi atteggiamenti voleva attirare l’attenzione della giovane compagna mostrandole la sua bella prestanza fisica. In sostanza era quello il rituale dell’approccio amoroso che madre natura ha stabilito per i colombi.
Si beccavano, si stuzzicavano. E gorgogliavano continuamente. Il becco di uno si avvicinava al becco della compagna come per scambiarsi un tenero bacio.
Il sonoro rituale del corteggiamento si è protratto per diversi minuti.
Poi, dopo un lungo tubare insieme, come in coro, la giovane colomba spiccò il volo ed andò a posarsi sul colmo del tetto. Il compagno si affrettò a raggiungerla e netto si avvertì il fruscìo delle ali che fendevano l’aria. Appena gli fu nuovamente vicino, il colombo gonfiò le penne del petto e saltellando riprese a girare intorno alla compagna.
Fra i due ci fu come un allegro e prolungato parlottio accompagnato da nuove movenze. E a chi osservava, parve che avesse avuto inizio la rituale danza del desiderio e della passione. Poi le ali dei due colombi si intrecciarono come in un umano abbraccio.
Dopo un poco la colombina si abbassò e con quel gesto manifestò la sua resa e la sua avvenuta accettazione. E fu il trionfo dell’amore.
All’avvenuto appagamento della passione, entrambi i colombi emisero un allegro gorgheggio e si alzarono in volo.
Nel cielo azzurro di giugno disegnarono un doppio ghirigoro prima di volare in direzione del loro nido d’amore.

Nella foto: colombi in amore.


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(13.6.14) NDAJU U NCI PENZU (Biagio Cirillo) -
In un momento un po' critico a causa di una brutta crisi di lavoro che ci sta mettendo al tappeto tutti quanti, mi metto a pensare, pensieri sempre più incasinati senza capo né coda. Spero che qualcuno apprezzi questa poesia anche se non parla del nostro paese o del nostro passato:

  Ndaju u nci penzu

Cantu pe' ammazzari li penzeri,
penzu ca faci beni lu penzari,
si penzu non m'arraggiu,
ma sporzàndumi mi pigghiu di coraggiu.

'A testa sembra china ed è pisanti,
ma quandu pisa troppu eni vacanti,
si scorda e, o stessu tempu, s'arricorda,
si macchia di lu tempu e non s'allorda.

Cu' sapi ca nu jòrnu sti penzeri
non fannu sulu parti du penzari,
diventanu presenti e cosi veri
e non mi fannu cchiù tantu 'ncazzari.

Quandu tu po' non penzi arriva u sonnu,
mpannàtu vidi ca non c'è ritornu,
si cridi o non cridi non c'è scornu
e 'ntantu mangi nervi notti e jornu.

Mo vogghju nòmmu penzu propriu nenti,
u vaju avanti e pemmu stringiu i denti,
si penzu o no penzu non fa nenti
e l'importanti è jiri sempri avanti.

Mo vui chi ccà leghiti, cu sapi si penzati
ca sti paroli nescinu sporzàti,
o forsi comu a mmìa vui criditi
ca nescinu du cori 'nsanta paci.

Tagghiamu sti penzeri 'ncasinati
è megghiu c'armenu vui no li penzati,
dormiri non si poti senza sonnu
o spissu, a notti è longa e sembra jornu.

Biagio Cirillo
   


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