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3.10.09 - Alcune domande ai Consiglieri di minoranza
Vito Crea

6.10.09 - Distinguiamo fra giornate di festa e donazioni
Biagio Cirillo

9.10.09 - Mario Lucia poteva discutere prima di dissociarsi dalla minoranza
Arianna Sigillò

12.10.09 - Difendo il mio operato
Pietro Ozimo

18.10.09 - L'intervento di Don Paolo Farinella al teatro Smeraldo di Milano

21.10.09 - Un invito ai giovani
Don Giuseppe Sofrà

24.10.09 - Dopo qualche mese di silenzio
Michele Scozzarra

1.11.09 - Nel giorno dei morti... pensare al valore della vita
Michele Scozzarra

6.11.09 - I miei venerdì da Natuzza
Alfredo Distilo

10.11.09 - Nelle testimonianze dall'Argentina un doveroso elogio della nostra italianità
Michele Scozzarra

11.11.09 - Io mi partivi di tantu luntanu
Pasquale Cannatà

17.11.09 - Salutando il ritorno delle suore a Galatro
Michele Scozzarra

22.11.09 - Sotto la divisa una giustizia fai da te
Emanuela Palmeri

30.11.09 - Se il cittadino Cristo non c'entra... ci resta solo il Grande Nulla
Michele Scozzarra

1.12.09 - Molti notabili e pochi politici
Pietro Ozimo

19.12.09 - Giù le mani dal crocifisso!
Emanuela Palmeri

20.12.09 - I capi carismatici e la salvezza delle democrazie
Domenico Distilo

23.12.09 - L'amore va oltre
Pasquale Cannatà

24.12.09 - Natale: il giorno del Dio bambino
Michele Scozzarra

30.12.09 - Il Vaticano II e la liberta della (e nella) chiesa
Domenico Distilo





(3.10.09) ALCUNE DOMANDE AI CONSIGLIERI DI MINORANZA (Vito Crea) - Giorni fa avevo posto delle domande al Primo Cittadino. Non avendo avuto risposta, in qualità di candidato alle scorse Elezioni Comunali nel Centro Popolare Galatrese, le stesse domande le rivolgo ai Consiglieri di minoranza, aggiungendone altre:

  • Quale attività avete, in questi quattro anni, svolto visto il mandato ricevuto dagli elettori?

  • Leggendo gli articoli di stampa (non essendoci stato mai nessun incontro con l'agglomerato del fantomatico centro), noto che il problema principale di Galatro sono le quisquilie procedurali di trascrizione dei verbali da parte del Segretario comunale...

  • Quale rapporto agli elettori avete svolto?

  • Perchè ci sono dei "distinguo" tra di voi?

    Un suggerimento: visionando il bilancio comunale con più oculatezza e gestione, si potrebbe abbassare la pressione fiscale gravante sui galatresi di circa il 15%, che porterebbe un risparmio nelle famiglie di circa 300 € annue. Non si tratta né di alchimie contabili, né di finanza creativa, né di cartolarizzazione ecc.; mi propongo, se vi interessa, di farvi visionare una bozza, anche inerente alle Terme (nota molto dolente e argomento tabù per tutti, anche per voi Minoranza).

    In attesa... anche perché sono sicuro che non riceverò risposta e ciò consoliderà la mia decisione di essere scappato da Galatro portando via anche la residenza anagrafica.

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    (6.10.09) DISTINGUIAMO FRA GIORNATE DI FESTA E DONAZIONI (Biagio Cirillo) - Cara Caterina Sigillò,
    mi sembra che stiamo facendo una gran confusione: la giornata dedicata alla Madonna della Montagna non ha niente a che vedere né con la serata festosa fatta con il contributo dei cittadini credenti e meno credenti, né con le donazione per le malattie di qualunque genere.
    A me dispiace dei problemi di tua figlia, ma la richiesta è a mio parere egoista. I soldi delle donazioni si possono chiedere e dare in altre circostanze. Se le donne dell’ADOS hanno potuto dare i soldi all’associazione per la malattia della tua bambina è grazie alle feste che organizzano e non alla chiesa. La Madonna, come dici tu, ha bisogno delle preghiere così come i credenti, o meglio dire i cittadini galatresi, hanno bisogno della festa, proprio quella festa di cui ricordano i nostri genitori, i nostri nonni e bisnonni.
    Non pensare che parlo senza senso, anche a casa mia abbiamo grossi problemi di salute. E' da ben 26 anni che combattiamo e all’associazione per le nostre malattie versiamo spesso e volentieri dei soldi, anzi diffondiamo il numero per la donazione, ma mai mi permetterei di dire che invece di fare una festa i soldi dovrebbero essere spesi per la causa che mi appartiene.
    Scrivere questo mi è costata tanta fatica, e capisco anche la tua disperazione ma, credi a me, se tutti (e dicendo tutti inserisco il mio nome e anche il tuo) dovessimo fare una vita miserabile e aiutare chi è più bisognoso, sono sicuro che né io né tu e né tantissimi altri rinunceremmo a cellulari, macchine, mobili nuovi, uscire a pranzo o a cena almeno 2 o 3 volte al mese o altre piccole o grandi distrazioni, piuttosto che rinunciare e dare tutto in beneficenza.
    Troppo bello sarebbe questo per le persone che stanno male. Purtroppo, o forse per fortuna, delle piccole o grandi distrazioni nella vita ne abbiamo bisogno tutti, sia se abbiamo problemi o se stiamo bene.
    Detto questo, mi scuso con le persone che potrebbero interpretare il mio discorso in modo diverso da quella che era la mia intenzione.
    Cara Caterina non me ne vogliate se ho scritto tutto questo, e lasciamo che si festeggi la Madonna sia in chiesa che in piazza, perché non si può vivere di sola chiesa.
    Un abbraccio a tutti.

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    (9.10.09) MARIO LUCIA POTEVA DISCUTERE PRIMA DI DISSOCIARSI DALLA MINORANZA (Arianna Sigillò) - Non poteva mancare "la mia". Con mio grande rammarico non ho potuto assistere all'ultimo consiglio comunale, pur essendo stata aggiornata sommariamente sugli ultimi accadimenti all'interno di "palazzo San Nicola". Mi sa che si sta un po' perdendo di mira il reale scopo dei consigli comunali. Dai resoconti che mi sono pervenuti, dai "per sentito dire", mi sa che la situaziione attuale dell'amministrazione in generale (minoranza così come maggioranza) sia diventata molto simile a quella dell'asilo, dove il tema principale delle discussioni è "voler avere ragione".
    Si è per così dire divisa la minoranza, ma fondamentalmente non per "colpa di argomenti strumentali non in linea con la politica propria di un opposizione che dovrebbe raccogliere tutte le energie per condividere problemi e porre soluzioni", ma perchè attorno ad alcuni membri della minoranza fluttua ancora lo spettro della "mancata vittoria" alle elezioni comunali del 2006.
    Il consigliere Mario Lucia afferma che viene a mancare il senso di democrazia ed i presupposti per portare avanti le problematiche inerenti lo sviluppo della nostra piccola comunità". Io suppongo che prima di prendere tale decisione, quella di dissociarsi dalla minoranza, non abbia discusso al di fuori dell'aula consigliare con i diretti interessati, perchè in tal caso si sarebbero evitate "screditanti piazzate del genere".
    Vuole "costituire un gruppo autonomo all'interno della minoranza" e a quale pro? Ridicolizzare ulteriormente la già "tragica" situazione? Perchè con una "mossa" del genere solo questo succederebbe!
    Il Centro Popolare Galatrese non ha "mai trovato un ubi consistam" per l'assenza di una "plausibile guida politica e culturale"? Facendo un resoconto dell'attuale statica, e decadente situazione (ahimè) del nostro paese, mi sorge il dubbio che neanche l'attuale amministrazione sia in "possesso" di una "guida politica e culturale" così come ne erano prive le precedenti. A parte le belle iniziative dell'assessore Pina Panetta, per la quale nutro una forte simpatia e stima, e la carismatica disponibilità di Bruno Scoleri, ciò che sino ad oggi ha intrapreso la nostra maggioranza è stato solo un qualcosa per "tentare di mettersi in mostra", come una bella vetrina dietro la quale però vengono esposte parecchie "cianfrusaglie".
    Non vedo tutta questa unione nella maggioranza, anche perchè il paese è piccolo e tutti sanno i fatti di tutti. Esiste però, all'interno dell'attuale amministrazione il senso del "dovere", dove in linea di massima nessuno crea problemi all'altro perchè, chi in un modo e chi in un altro, "devono" tutti qualcosa a qualcuno!
    Circa la questione "verbali male interpretati", non credo che Pietro Ozimo sia un visionario. Probabilmente un minimo di fondamento ci sarà se continua a "batterci sopra" in maniera costante. Non voglio pensare alla "mala fede" del segretario, ma probabilmente, rivestendo tale ruolo da parecchio tempo è possibile che cominci a "perdere colpi" fraintendendo o riportando in maniera errata gli argomenti all'ordine del giorno dei vari consigli.
    In quanto alle domande poste da Vito Crea all'amministrazione (minoranza e maggioranza) in toto ritengo che siano momentaneamente fuori luogo, anche perchè ci sono problemi ben più imponenti che attendono delle soluzioni!

    Nella foto: Arianna Sigillò.

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    (12.10.09) DIFENDO IL MIO OPERATO (Pietro Ozimo) - In merito all’articolo “Ozimo torna alla carica sui verbali: con Lucia è rottura” apparso sul sito di “Galatro Terme News” vorrei dire alcune cose:
    1. Non si tratta di un “documento presentato e sottoscritto dal solo Ozimo” ma di una lettera inviata a S.E. il Prefetto a firma del capogruppo Francesco Pietro Ozimo.
    2. Prima di inviare la lettera al Prefetto ho messo a conoscenza tutto il Gruppo Consigliare del Centro Popolare Galatrese e parte dei costituenti il C.P.G. inoltre ho dato copia per conoscenza, nel Consiglio Comunale del 29/09/09, al Sindaco Carmelo Panetta, Consiglio che per la mancanza del numero legale andò deserto.
    3. Voglio ribadire che, gli argomenti trattati nel Gruppo di minoranza sono dettati da un forte senso di democrazia e le mie azioni, oggi capogruppo accettato con regolare lettera inviata al Sindaco e firmata anche dal consigliere Lucia, vengono articolate con il coinvolgimento di tutto il gruppo, ovviamente chi non condivide tali azioni, per ragioni varie, non può che dissociarsi.
    4. Visto l’intervento nel Consiglio Comunale del 30/09/09, di seconda convocazione, non posso che prendere atto che il consigliere Lucia si è tirato fuori dal Gruppo di minoranza, ma considerando i comportamenti assunti dallo stesso, in molti Consigli Comunali, mi viene da pensare che non si è mai sentito parte integrante del Gruppo.
    5. Il Gruppo Centro Popolare Galatrese non si è sciolto, come si vuol far credere, ma stiamo valutando l’astensione dai prossimi incontri di Consiglio Comunale.

    invio copia della lettera inviata a S.E. il Prefetto per divulgarla attraverso il vostro sito, almeno spero, affinché tutti possano conoscerne il contenuto.

    Visualizza Lettera al Prefetto (DOC) 21 KB

    Ozimo Francesco Pietro


    Caro Pietro,
    hai proprio l’ossessione dei dettagli. Abbiamo parlato di un documento senza specificare a chi sia stato indirizzato (particolare che, nel caso specifico, pensiamo sia irrilevante). Tra l’altro abbiamo sorvolato anche sulla questione delle firme. Non si capisce se abbia firmato solo tu in rappresentanza degli altri componenti il gruppo (ma, in tal caso, come la mettiamo con la dissociazione di Lucia?) o se sia stata acquisita da lungi, per fax o per posta elettronica, la firma dei due consiglieri che ci risulta si trovassero fuori sede.
    Il resoconto da noi fatto contiene, comunque, la sostanza politica dell’episodio, che è ciò che più conta.
    Quanto all’esistenza o non esistenza del CPG, abbiamo riassunto il senso politico della vicenda di questo movimento nella frase “giunge al capolinea”. Allo stato degli atti, non abbiamo certo detto un’eresia.
    LA REDAZIONE


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    (18.10.09) L'INTERVENTO DI DON PAOLO FARINELLA AL TEATRO SMERALDO DI MILANO - Vi proponiamo il video del recente interessante intervento del sacerdote Don Paolo Farinella al teatro Smeraldo di Milano. Sono toccati i punti nodali dell'attuale situazione sociale, politica e religiosa italiana.
    Il prete genovese mette in luce tutto il negativo di questo tempo, assieme alle strade di una difficile lotta per uscirne. Per visualizzare il filmato cliccare sul link in basso.

    www.youtube.com/watch?v=4HF_tmq4KTQ


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    (21.10.09) UN INVITO AI GIOVANI (Don Giuseppe Sofrà) - Ecco il testo della lettera che il Vicario Parrocchiale di Galatro, Don Giuseppe Sofrà, ha indirizzato ai giovani per invitarli agli incontri per il nuovo anno pastorale che inizieranno Venerdi 23 Ottobre, alle ore 19.00, nel salone della Chiesa di San Nicola.


    A te, Giovane!

    Caro/a Amico/a,
    E' a te che voglio rivolgermi, io don Giuseppe vice parroco della tua parrocchia ormai da un anno. Mi permetto di scriverti questa lettera, cercando di non rubarti troppo tempo. E mentre ti scrivo sei davanti agli occhi sorridente, perché pieno di vita, ma forse anche triste perché carico delle tante domande e delle tante difficoltà e speranze che porti nel cuore.
    Ti scrivo perché dopo aver passato un po' di tempo in parrocchia, sento dal profondo del cuore di parlare con te, perché mi stai a cuore e oggi più che mai desidererei entrare in amicizia con te. Ti scrivo per annunciarti come la vita ha senso solo se costruita sulla bellezza della fede in Gesù Cristo. Forse inizierai a domandarti: “voi preti sempre le stesse cose dite...ormai queste cose sono passate...”. Non pretendo di risolverti il problema con questo scritto, ma vorrei almeno tentare di darti uno spunto di riflessione per poter iniziare in seguito un dialogo. Tu stai crescendo, sei in una fase della vita in cui ti poni tanti interrogativi sul senso della vita, del mondo della società; e perché no, non dirmi che non è cosi, anche su Dio.
    Vorrei proprio partire da lontano, dalla nascita dell'uomo, tranquillo non voglio farti una lezione di filosofia, ed in quella nascita vedere la tua nascita, la mia, quella dei tuoi amici.
    L'uomo non nasce fatto, completo; nasce “da fare”; nasce con una dotazione di capacità che debbono essere messe in atto per costruire un uomo adulto, formato. Ogni scelta intelligente, saggia, buona edifica la persona e la fa crescere in umanità; al contrario ogni scelta sciocca o irresponsabile o cattiva mortifica l’umanità della persona e la rende più banale. L’uomo è costruito in modo da superare se stesso e il cammino di maturazione umana consiste nel realizzare sempre più pienamente questa crescita attraverso azioni responsabili e relazioni autentiche con gli altri. Il punto culminante di questo cammino di crescita è l’atto di amore con cui accogliamo con stupore e riconoscenza l’esistenza del mondo e la nostra esistenza e ci prendiamo cura del mondo, della vita e degli altri per quanto ci è concretamente possibile.
    Insomma, l’uomo è fatto per trasformare la sua esistenza in amore e cioè per prendere posizione liberamente ed efficacemente a favore della realtà, di se stesso, degli altri, di Dio. Verso questo traguardo sono indirizzate tutte le sue esperienze. A questo punto nasce la domanda e Gesù Cristo?
    Dove sta il significato e l’importanza di Gesù Cristo in questo cammino di realizzazione dell’uomo? Veramente Gesù Cristo è venuto per dare un senso alla nostra vita, alla tua vita cosi com'è piena di dubbi, di difficoltà di peccati? Sono convinto che Gesù Cristo sia il dono che Dio ha fatto all’uomo per aiutare l’uomo nel suo cammino di umanizzazione. E questo da diversi punti di vista. Anzitutto Gesù Cristo ti viene posto davanti come immagine dell’uomo compiuto, realizzato. Dobbiamo diventare “uomini” – siamo tutti d’accordo; ma che cosa significa precisamente: diventare “uomini”? Significa diventare ricchi, intelligenti, di Successo, belli, furbi, buoni, giusti… Le immagini si moltiplicano all’infinito e rischiamo di cadere in un mare di visioni diverse dell’uomo che si oppongono e si contraddicono l’una con l’altra.
    Se la vita fosse solo un esperimento, credimi, non sarebbe che una tragedia: potrei fare delle prove e, alla fine, scegliere le strade che si sono rivelate migliori. Ma la vita è scritta subito in bella copia e ne ho una sola da vivere; se sbaglio questa mia vita che sto vivendo, non ci sarà possibilità di ripetere. Ho bisogno di non fare errori troppo gravi, che compromettano del tutto il senso di quello che sono. Per questo Dio ha mandato il suo figlio in una carne come la nostra e ha detto: «Questi è il mio Figlio, l’eletto; ascoltatelo!». Che è come dire: l’esistenza umana di Gesù è stata plasmata dalla sua fiducia radicale in Dio Padre e dal suo amore per gli altri, fino a dare la vita; bene, questa è l’autentica, suprema identità dell’uomo.
    L’uomo deve crescere verso questa meta: l’amore agli altri (e al mondo stesso) nella fiducia radicale in Dio (creatore del mondo e signore della storia). Tutte le altre dimensioni dell’esistenza, la bellezza, il successo, la ricchezza, la cultura… trovano la loro collocazione corretta all’interno di questa visione globale. In questo modo perdono molto del loro fascino alcune realizzazioni umane che colpiscono facilmente l’immaginazione e rischiano di bloccare le scelte della persona in una direzione falsa (o oziosa): la forza del potere, il fascino della ricchezza, il successo delle veline e così via. Non solo.
    Gesù, nell’amore concreto ed efficace per gli altri, esprime e rivela l’amore di Dio, amore infinito nella sua grandezza e nello stesso tempo “personalizzato”, rivolto a ciascuno con la sua identità.
    Questo amore di Dio, manifestatosi pienamente in Gesù Cristo, ti permette, e ci permette, di non sentirci soli e indifesi di fronte alla grandezza del mondo; davanti allo scoraggiamento che invade la tua vita; davanti alle delusioni che il mondo ci presenta; Gesù apre per noi, per te, spazi di libertà (dalla paura), spazi che diventano disponibili per l’amore verso la vita e verso gli altri. Accade così, in misura piena, quello di cui facciamo spesso esperienza: la gioia di saperci amati muove in noi il desiderio di amare e ci dà la forza di continuare ad amare anche quando l’amore richiede un prezzo di sacrificio e di sofferenza.
    Amare!, mi dirai, parola grossa al mondo di oggi, quante delusioni, forse hai avuto in questo campo, mancanza di affetto oppure difficoltà a saper donare e vivere di amore e nell'amore. Credimi, davanti a tutto questo non sei solo, nella misura in cui fai spazio per accogliere Gesù Cristo. Lui è venuto nel mondo proprio per te, è morto sulla croce per te, per farti comprendere che non sei nel mondo per caso, che la tua vita trova senso solo in Lui. Infatti Egli non ha “illuso” gli uomini con “ricette sperimentali”, cose che il mondo di oggi tante volte ci propone, ma ci ha “sconvolti la vita” facendoci toccare con mano fino a che punto arriva l'amore, fino al sacrificio di se per la vita degli altri. Mi dirai: “ma che bisogno c'era per Gesù di fare tutto questo, tanto lo vediamo tutti ogni giorno, il male vince, l'amore non c'è, non si vede”! Eppure, Gesù dimostrandoci l'amore sulla croce ci dice: Io ho vinto il mondo, il male e la morte, ci ha dimostrato che la nostra vita trova la sua pienezza nell'amore. Gesù sulla croce ci ha insegnato ad amare, e quanto è importante per te capire questo, in questo tempo, in cui accetti e desideri di imparare tutto, devi accettare e desiderare di “imparare ad amare”.
    Giovanni Paolo II usa una espressione che sembra paradossale ma che è profondamente vera; la affido alla tua riflessione, quasi come uno di quegli slogan che usi con scioltezza: «l'amore non è cosa che si impari, eppure non c'è cosa che sia cosi necessaria imparare». Non esiste una “scuola” dell'amore; eppure è necessario imparare quest'arte di amare. Sopratutto, è necessario che tu ti renda conto che tutto, proprio tutto, diventa per te una sorta di “Scuola” d'amore.
    Lo è certamente la famiglia, per prima e principalmente. Ma lo è l'ambiente che frequenti.
    Lo sono i tuoi compagni di scuola e amici dei gruppi. Lo sono i tuoi insegnanti, le persone che hai come punto di riferimento, da qualcuno impari! E oggi, ancor più di prima, è necessario che si sviluppi in te una buona “capacità critica”, che cioè sappi decidere come usare la tua intelligenza e la tua libertà. Almeno in questo campo fragilissimo che è quello dell'amore, sappi scegliere da chi farti educare.
    Ma per far questo devi fare prima un'altra scelta: scegliere che tipo di amore vuoi vivere. Si, che amore vuoi per te? Che amore oggi ma anche domani? A che amore vuoi consegnare la tua vita? Molti stimoli ti condurranno a credere che l'amore si riduce all'emozione: che l'amore è qualcosa che “ si consuma” subito. Ma – si sincero, almeno con te stesso - ti sembra che ne valga la pena? Ti sembra, dopo tutto quello che stiamo dicendo, che sia questo il destino di speranza racchiuso nella dignità dell'uomo? Ciò che “si consuma” subito non è oggetto di speranza. Non è attesa e progetto. E non è fatica...
    L'amore invece è anche fatica: guarda a chi ti ama davvero per capirlo! Lo so, fa fatica cercare cosi: è la fatica di rinunciare a ciò che ci viene propagandato come più facile e piacevole, addirittura più “normale”. Ma la rinuncia è una fatica necessaria; perché ciò che “si consuma”subito non è oggetto di speranza; e – attenti - potrebbe diventare oggetto di disperazione.
    Ma tu, noi, grazie al battesimo, siamo chiamati a seguire Cristo, che ha scelto la strada difficile di “consumarsi”per amore di ciascuno di noi, fino al dono della vita. E che ha sperato che noi lo capissimo: ha sperato che noi capissimo che «Dio è amore».
    E’ un Maestro originale e molto esigente. Ma conosce il segreto di tutto quello che tu sogni:
    il segreto della felicità, della speranza, dell’amore. E’ un Maestro che ti lascia libero di sceglierLo.
    Ma solo lui ti conosce nel profondo. E ti ama!
    Che lo credi o no, ogni scintilla di quell'amore vero e puro che si accende in te, è un riflesso del Suo essere amore. E, al contrario, ogni tuo fallimento nell'amare grida il bisogno che hai di Lui. Si, l'amore si impara. Scegli Gesù Cristo per Maestro!

    A questo punto concludo lasciandoti una domanda: m'interessa crescere come persona umana, verso un esistenza che sia il più possibile autentica? E sono convinto che in questo itinerario di crescita il rapporto con Gesù è un aiuto, non una zavorra? Cosa ne pensi?

    Ti affido al suo Amore!

    PER SAPERE LA TUA RISPOSTA TI ASPETTO OGNI VENERDI' ALLE ORE 19.00 NEL SALONE DELLA CHIESA DI SAN NICOLA A PARTIRE DA VENERDI' 23 P.V.

    TI ASPETTO, CIAO E A PRESTO!

    Tuo
    don Giuseppe


    Nella foto: il vicario parrocchiale Don Giuseppe Sofrà.


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    (24.10.09) DOPO QUALCHE MESE DI SILENZIO (Michele Scozzarra) - Dopo qualche mese di silenzio riprendo a scrivere, cosciente della grande verità contenuta in quello che Rilke descriveva dicendo che "stare senza scrivere gli sarebbe sembrato di morire". Anche perché, in questo scrivere, apparentemente distaccato ed eterogeneo, poco alla volta, viene fuori la storia, giovane o matura, equilibrata o folle, di chi scrive, che si presenta sempre piena di stupore, per il fatto che il bisogno di comunicare e raccontare le cose che uno vive o dalle quali è colpito, è percepito come la cosa più importante che, in un determinato momento, colui che scrive, ci si ritrova tra le mani.
    I fatti della vita, la realtà delle cose con la quale siamo costretti a confrontarci ogni giorno, portano chi scrive a misurarsi con la passione che lo anima, nella consapevolezza che solo partendo da uno sguardo positivo sull'ambiente nel quale viviamo, si può combattere la cultura della negatività e dell'incertezza e si può realmente costruire qualcosa di reale e di diverso dalla debole filosofia, che inneggia alla cultura dell'effimero e del nulla.
    Mi piace rimarcare come, nel continuare a portare avanti questa mia piccola attività giornalistica, nella sua sorprendente ed affascinante "fatica", nella sostanza rimane quella che è sempre stata: un gran fritto misto di scritti che mi piace "rubacchiare" un pò dappertutto (non di rado, nella loro estrema semplicità, si sono rivelati caratteristici ed originali), e che vengono presentati senza alcuna pretesa né di migliorare i costumi, né di peggiorarli, ma neanche come quei brani che, dopo averli letti, li si butta via come si fa con la sigaretta quando è arrivata alla fine.
    Nei mesi passati volevo scrivere… della sirena: rumoroso strumento anacronistico e, a parer mio, oggi banale che non ha ragione di esistere perché i ritmi della vita del nostro paese, certamente non sono certo scanditi da quel rumoroso aggeggio… In maniera molto fine, e con molto garbo e ironia, il “problema” è stato
    sollevato da Stefano Ceravolo, il cui articolo mi ha fatto ricordare un fatto successo a casa mia. Era il 1990, una sera mia cognata è rimasta a dormire a casa mia… la mattina alle otto ce la siamo ritrovata nella nostra camera da letto con in mano i vestiti, le scarpe e, con un’aria stravolta chiedeva a noi cosa stava succedendo, se dovevamo scappare subito, se aveva il tempo di vestirsi… da quel giorno non è più venuta a dormire a casa nostra!
    Volevo anche scrivere del problema, che si sta dibattendo da mesi, delle voci di un possibile inquinamento radioattivo nel nostro territorio e della diga in particolare. Anche qui il problema non arriverà mai a nessuna soluzione se non si parte dall’accertamento di un dato: il nostro territorio, diga compresa, è contaminato o no da scorie radioattive? Dalla risposta a questa domanda le soluzioni che si aprono sono due: se, come pensiamo in tanti, il territorio è “pulito”, allora che si ponga fine a tante voci… proprio di ulteriori allarmismi non ne abbiamo bisogno. Se non è così, allora che si individui l’area interessata e si adottino i dovuti accorgimenti per una “bonifica” del territorio interessato.
    Non nascondo che, più volte, sono stato tentato, nelle scorse settimane di scrivere sulle feste organizzate dall’Amministrazione Comunale durante l’estate: “Vivi Galatro d’Estate 2009”. Nel manifesto si leggeva: “Vivi Galatro d’Estate è un programma pensato e realizzato, attraverso delle manifestazioni sociali, culturali e sportive, un’estate che ancora una volta si apre a tutti con l’intento di coinvolgere l’intera comunità…”.
    Perfetto… niente da dire, tutto bene quello che è stato fatto, ma… consentitemi di scrivere che dopo l’estate viene l’autunno… dopo l’autunno viene l’inverno… poi arriva di nuovo la primavera… E, per noi che viviamo a Galatro in tutte le stagioni, vale la pena di sforzarsi per creare dei momenti che possano avere come slogan “VIVI GALATRO TUTTO L’ANNO!”. Abbiamo sempre detto che bisogna puntare alla qualità della vita che si conduce nel nostro piccolo borgo, per far si che chi resta (per possibilità o per decisione) non venga messo nelle condizioni di dire: “ma chi me la fa fare, a restare ancora qua”.
    Vale la pena di estendere lo sguardo, e avere una particolare attenzione alla qualità della vita della nostra comunità, tenendo presente le esigenze di chi nel nostro paese ci vive sempre… che sono esigenze sociali, culturali, religiose, sportive ecc… E chi ha scelto di vivere a Galatro tutto l’anno queste attenzioni le merita… ed è assurdo pensare “Vivi Galatro solo d’Estate”.
    Queste sono alcune delle cose sulle quali volevo scrivere... altre ancora le tengo in cassetto per qualche prossimo articolo, perché anche se un po' datati vale la pena tirarli fuori.
    Non è peccato di presunzione pensare che, nel riprendere a scrivere, non correrò il rischio di appesantire il fardello spirituale di chi ha la pazienza di leggermi; anzi penso, e soprattutto spero, di riuscire a dare la sensazione di aver vagato, per qualche minuto, nell'aria placida di una delle centomila banali faccende quotidiane, che hanno per teatro un mondo sempre più strampalato, nel quale non fa certamente male, ogni tanto, immergersi nella tiepida tinozza familiare di buoni sentimenti e, perché no!, anche dei vecchi e salutari luoghi comuni.

    Nella foto: Michele Scozzarra.

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    (1.11.09) NEL GIORNO DEI MORTI... PENSARE AL VALORE DELLA VITA (Michele Scozzarra) - Il 2 novembre di ogni anno si ricordano i morti. E’ strano vedere come proprio in questi giorni, giornali e tv, sempre pronti a parlare e scrivere di tutto, evitano di parlare proprio di questo “fatto”: la morte… questa “usanza” che, come diceva ironicamente Borges, prima o poi tutti dobbiamo rispettare.
    Si cerca di evitare pure il pensiero della morte… perché guardare in faccia la morte impone di interrogarsi sul senso della vita e sul destino, cioè su Dio… mentre tutto il mondo intorno a noi è stato costruito sulla dimenticanza e sulla distrazione, ed è stato congegnato per censurare e dimenticare questa domanda “essenziale e fondamentale”.
    Viviamo tutti come se non dovessimo mai morire, come se questa “spiacevole incombenza” riguardasse solo gli altri… come se non sapessimo che, da un momento all’altro noi, proprio noi, potremmo essere chiamati, improvvisamente, a rendere conto della nostra esistenza davanti a Colui che ce l’ha donata.
    Lo storico francese Pierre Chaunu, tempo fa, scrisse: “Ci è capitata una curiosa avventura: avevamo dimenticato che si deve morire. E’ ciò che gli storici concluderanno dopo aver esaminato l’insieme delle fonti scritte della nostra epoca. Un’indagine sui circa centomila libri di saggistica usciti negli ultimi venti anni mostrerà che solo duecento affrontavano il problema della morte. Libri di medicina compresi”.
    Tuttavia la morte, che se ne frega dei libri si saggistica, testardamente continua a farci visita con una certa frequenza… irrompe fastidiosamente nelle nostre giornate: le notizie della morte di tanti nostri amici, ci colpisce peggio di uno schiaffo.
    Quante volte siamo stati insieme a tanti familiari e amici… quante volte siamo stati seduti accanto in una panchina alla villa… in un gradino sulle scale della Chiesa… o seduti a fianco nella stessa Chiesa… in un tavolo al bar e, all’improvviso, succede l’irreparabile: come se un cecchino appostato chissà dove avesse mirato verso di noi colpendo il primo che capita a tiro.
    Quante volte abbiamo dovuto constatare, tristemente, come la morte si fosse presentata, all’improvviso, mentre noi discutiamo insensatamente di lodo Alfano, di maggioranza, minoranza, elezioni, di Santoro, Berlusconi, primarie, secondarie… tutte polemiche di uno stile e modalità di vita inutile e rabbiosa! E mentre noi perdiamo il senso della nostra vita, girando a vuoto intorno a discorsi che nulla hanno a che fare con ciò per cui vale la pena vivere, la morte si presenta nelle nostre case, da padrona, senza annunciarsi… come e quando vuole, in tempi per noi imprevedibili ed inaspettati!
    Eppure, l’idea della morte che si presenta, senza annunciarsi, come un cecchino che miete ciecamente, non è, non può essere vera. Se lo fosse, saremmo tutti dei disperati… Tutti sospesi al filo tenue ed effimero del nostro battere del cuore.
    Purtroppo, l’amara considerazione da fare è che siamo, tutti ed ovunque, sempre più impegnati nei nostri privati progetti. Abbiamo l’agenda piena di scadenza. Ci affanniamo ad inseguirle: il lavoro, le tasse, il mutuo, le vacanze, le riunioni di vario genere e natura. Siamo del tutto assorbiti da questa tabella di marcia.
    Poi un giorno, imprevedibilmente, ci accorgiamo di un posto vuoto… in casa, in piazza, sul posto di lavoro, alla villa, per strada… e con un tuffo al cuore la morte ci riconduce e ci apre ad una verità su di noi: niente, e meno che mai la nostra vita, ci appartiene.
    Come ha scritto pochi giorni fa Antonio Socci, a proposito di sua figlia Caterina in coma da qualche mese, “che il nostro cuore, quello dei nostri figli, batta, è una notizia. La più straordinaria. Quella di cui quasi mai ci accorgiamo. Quella di cui non scriviamo, sui giornali”.
    Ecco, per quanto paradossale possa sembrare, in questi giorni, nel rivolgere il nostro pensiero ai nostri morti, proviamo a domandarci anche che cos’è la morte… può darsi che questo ci faccia assaporare meglio il valore della vita e ci faccia accorgere, veramente, che la più straordinaria delle notizie è che il nostro cuore batte e, anche se non ne teniamo in eccesivo conto, siamo vivi!

    Nella foto: uno scorcio del cimitero di Galatro.


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    (6.11.09) I MIEI VENERDI' DA NATUZZA (Alfredo Distilo) - Ho avuto la grande fortuna di conoscere e parlare (solo qualche volta, purtroppo) con Natuzza, anche attraverso suo fratello Antonio e l'ingegnere Giuseppe Condello, quest'ultimo grande amico e persona legatissima, insieme alla sua famiglia, a "Mamma Natuzza" come affettuosamente la chiamava.
    Mi rammarico solo di averla conosciuta e e di aver frequentato la "Fondazione Cuore Immacolato di Maria Rifugio delle Anime" per pochissimi anni. Ma, in questi anni, non sono mai mancato all'appuntamento settimanale del Venerdì, sempre con la speranza di poter vedere Natuzza che, quando le condizioni di salute glielo permettevano, assisteva anche Lei, seduta accanto ai vecchietti della Casa di riposo dove viveva, alle funzioni celebrate da Padre Michele nella Cappella della Fondazione.
    L'unica mia preoccupazione non era quella di trovare un posto per sedermi, ma cercavo sempre di mettermi in un punto della Cappella (quasi sempre in piedi) da dove potessi vedere ed osservare, per tutta la durata della funzione, quella meravigliosa piccola grande Donna (o Santa?) che, con un semplice sguardo, riusciva a farti emozionare ed a farti provare delle sensazioni indescrivibili.
    L'ho vista circa un mese fà, prima che si aggravasse, affacciata alla finestra della sua stanzetta da dove, sorretta fisicamente da una signora, ha salutato per l'ultima volta i fedeli, commossi e tutti con gli occhi pieni di lacrime, come se si fosse percepito che quello sarebbe stato l'ultimo saluto terreno e che non l'avremmo più rivista viva.
    Colgo l'occasione per comunicare, anche per rispetto di chi vi ha partecipato, che con la sottoscrizione di un anno fa, sono stati raccolti ed inviati oltre 7.000 euro per la costruzione della Chiesa.

    Invito anche a leggere l’articolo di Valentina Gravina su Natuzza
    Natuzza Evolo, il mistero di una vita a servizio del prossimo

    Nella foto: "Mamma Natuzza".

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    (10.11.09) NELLE TESTIMONIANZE DALL'ARGENTINA UN DOVEROSO ELOGIO DELLA NOSTRA ITALIANITA' (Michele Scozzarra) - E’ sotto gli occhi di tutti come il tema dell’identità del popolo italiano è uno degli argomenti più dibattuti degli ultimi anni, e anche se questa identità continua a rimanere una specie di mistero, si appalesa sempre di più come l’autodenigrazione continua, ad essere lo sport nazionale degli italiani: frasi come “è inutile, siamo in Italia” o “cose fatte all’italiana” spesso vengono dette per indicare una cosa fatta male, inefficiente, pressappochista, magari corrotta.
    A leggere l’intervento di mia cugina Pina Lamanna,
    “L’Italiano nel mondo: un bagaglio di cultura”, al contrario, abbiamo modo di pensare che la civiltà non sarebbe quella che è senza l’apporto degli italiani, un apporto millenario e che continua ancora oggi: “Oltreoceano la sensazione è la stessa, basta soltanto avere nel tuo sangue un po’ d’italiano, già ti senti in familiarità con qualcuno che trovi per strada attraverso il mondo, perché l’italiano è così: è famiglia, è amicizia, è una buona tavola dove si condivide la gioia e anche il pane amaro. La cultura italiana non ha bisogno di presentazione, è la più ricca del mondo… oggi si può godere di un patrimonio artistico insuperabile a cielo aperto… soltanto così si può sentire l’Italia”.
    Come negare che l’articolo di Pina Lamanna si presenta come un buon tonico, che arriva dall’altra parte dell’oceano, come stimolo a recuperare l’orgoglio delle nostre radici, quasi come un invito a cessare una nostra atavica pratica autolesionista, nella certezza che non c’è stato campo in cui gli italiani non sono stati sempre primi, negli ambiti più importanti della cultura e della scienza.
    Ho visto le foto della processione della Madonna della Montagna in Argentina: ho notato con quanto orgoglio si portano i segni della nostra religiosità, della nostra cultura e della nostra Patria.
    Sono rimasto affascinato nel vedere come la dottoressa Raffaela Cuppari (la prima donna galatrese che si è laureata all’estero, docente alla Facoltà di Economia dell’Università di Buenos Aires, fondatrice e attuale presidente del “Coordinamento Donne Italo-Argentine” a Buenos Aires) orgogliosamente fiera delle sue radici e delle tradizioni della nostra terra, non disdegni di portare, durante la processione della Madonna, i simboli della tradizione galatrese in Argentina, per dirla con le parole di Pina Lamanna “questo ricco bagaglio culturale, tanto caro agli italiani e a tutti coloro che hanno conosciuto l’Italia attraverso le sue manifestazioni”.
    La lettura dell’articolo di Pina mi ha portato a rispolverare un vecchio libro di Rino Cammilleri: “Doveroso elogio degli italiani. Contro il vizio dell'autodenigrazione”, che cerca di spiegare come e perché l’Italia sia passata da “faro culturale”… a oggetto di disprezzo altrui.
    Così come le testimonianze che ci vengono dai nostri amici dell’Argentina, Cammilleri individua brevemente quale dovrebbe essere il vero punto nodale della nostra identità e si dilunga nell’elencare i meriti storici degli italiani, anche se il libro inizia con una “amara” riflessione di Giuseppe Prezzolini: “In quasi ogni Italiano c’è un’intensa gelosia verso ogni altro Italiano, sicché preferisce il dominio di qualunque straniero a quello che gli sta accanto, e non considera che con piacere l’incendio della casa del vicino anche se la propria va in fiamme. Lo sforzo fatto dagli Italiani per distruggersi a vicenda, se si potesse parlar di storia in termini di fisica, avrebbe potuto dar all’Italia il dominio del mondo e fosse stato sommato e diretto invece nel senso opposto”.
    Noi italiani, come nota Prezzolini, siamo gli unici al mondo a praticare il vizio dell'autodenigrazione senza mai sostituirlo con la virtù dell'autocritica. Siamo sempre pronti a citare le nostre sconfitte, a sentirci messi in causa quando si parla di evasione fiscale, tangenti, faccendieri, poco o nessun rispetto per le leggi e via di seguito senza pensare che anche gli altri Paesi non godono di miglior salute. Perché, invece, non ricordare che il più famoso e antico club londinese fu fondato nel 1963 dall'italiano Francesco Bianchi, che le norme assicurative ancor oggi in vigore presso i prestigiosi Lloyds furono redatte a Firenze nel 1523 e che la rinomata nouvelle cousine è un’invenzione di Leonardo da Vinci? Che il primo dizionario alfabetico fu compilato dal bergamasco Ambrogio Calepino nel 1502, che siamo stati i primi ad introdurre l’uso della forchetta, che abbiamo inventato bazzecole come il telefono, il barometro, il motore a scoppio, lo sfigmanometro e via elencando?
    Che ne è stato di quell’Italia un tempo faro di civiltà e maestra di vita per tutta la cristianità? Tutta colpa di Lutero che, facendo di tutte le erbe un fascio, fece di Roma e dell’Italia, terra di papi e sede della Chiesa cattolica, una Babilonia di demoni, streghe ed esseri diabolici.
    Occorre dunque recuperare un po’ di amor proprio, di orgoglio per le nostre radici dimostrando che l’Italia non ha nulla da invidiare alle cosiddette “nazioni avanzate”, e indignarci quel tanto che basta di fronte a frasi come “Italiani macaroni”, o peggio ancora “Italiani mafiosi”.
    Come si può fare questo…? Tanto per cominciare, nel ringraziare e riflettere sulle testimonianze di “orgogliosa appartenenza” al nostro Bel Paese che ci arrivano dai nostri amici che vivono all’estero…
    Se incominciamo a prendere coscienza di questo, piano piano, anche i nostri più agguerriti denigratori si renderanno conto che siamo molto migliori di quanto loro pensano… e che l’originalità della tradizione italiana, in tutte le sue forme, nel mondo non ha eguali!

    Nelle foto: in alto la copertina del libro di Rino Cammilleri sull'italianità; al centro la dott.ssa Raffaela Cuppari porta a La Tablada il gonfalone della Madonna della Montagna; in basso Pina Lamanna durante un suo intervento alla "Giornata dell'immigrato italiano".

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    (11.11.09) IO MI PARTIVI DI TANTU LUNTANU (Pasquale Cannatà) - Nei giorni scorsi ho ripreso in mano il quaderno su cui mio padre annotava i suoi pensieri e le cose che riteneva più importanti tra quelle sentite o lette, ed ho trovato al suo interno il foglietto commemorativo (visualizza) con le parole scritte da mio fratello in occasione della sua morte (…ci insegnasti, con la tua fede, a vivere per amare e ci parlasti di una nuova vita oltre la vita).
    Queste parole e quelle di una delle più belle canzoni che a Galatro si intonano in occasione della festa della Madonna della Montagna e dei pellegrinaggi a Polsi o ad altri santuari mariani mi hanno fatto pensare ai diversi tipi di viaggio che possiamo fare durante la nostra esistenza: ci spostiamo nel breve per motivi di lavoro e per le ordinarie esigenze della vita quotidiana; con minore frequenza ci spostiamo per lunghi viaggi di piacere (io mi partivi di tantu luntanu) con l’obiettivo di raggiungere una bella meta (mu vegnu pemmu arrivu a la Madonna); il viaggio più importante non è però uno dei tanti che facciamo nello spazio, ma quello nel tempo che percorriamo dalla nascita alla morte, oltre la quale non sappiamo con certezza cosa ci sia. Ed il versetto la Madonna pari na culonna mi porta ad immaginare, oltre che un sostegno sicuro, anche le colonne d’Ercole, mitico limite del mondo conosciuto nell’antichità: se la nostra fidi resta salda fino al termine della nostra vita, e/o la speranza torna anche se per un certo periodo abbiamo percorso sentieri lontani da essa, la Madonna ci aspetterà ai piedi delle colonne d’Ercole per accompagnarci nel passaggio a quella nuova vita oltre la vita che ci è stata rivelata e promessa.
    Da più lontano ancora comincia il cammino che ognuno di noi compie nella propria crescita culturale, e rileggendo “lo scritto” di mio padre (così lui chiamava il suo quaderno di appunti) ho toccato con mano da quanto lontano sono partito nel maturare le mie convinzioni, dal momento che vi ho trovato molte idee che credevo mie, ma che evidentemente avevo assimilato per averle ascoltate da lui fin da bambino, nello stesso modo in cui lui le aveva apprese da altri vissuti prima, e così via a ritroso nel tempo (non possiamo non dirci…).
    Da molto lontano (dalla Polonia e dai 455 anni passati prima di avere un papa non italiano dopo l’olandese Adriano VI) è partito Giovanni Paolo II per compiere la sua missione apostolica, ma il viaggio più sorprendente della storia è l’esodo, l’uscita del popolo ebreo dall’Egitto per raggiungere la terra promessa che non era molto lontana in termini di spazio, ma che era lontanissima nel tempo, essendo stata agognata per tutti i 430 anni di schiavitù e poi sospirata nei 40 anni passati a vagare nel deserto.
    Mosè era stato adottato dalla figlia del faraone ed allevato come un principe d’Egitto, ed in quanto tale era candidato alla successione al trono: una volta venuto a conoscenza di far parte anche lui della stirpe di Giacobbe, poteva decidere di aiutare il suo popolo ridotto ad una condizione servile, operando da una posizione di potere e di comando.
    Ma queste non sono le vie del Signore: mentre dopo l’incarnazione in Gesù (attraverso il quale si era manifestata nella forma più evidente la sua Divinità) Egli opera per mezzo dei Suoi Santi, quando ha deciso di plasmare un popolo che credesse fermamente in Lui, ha voluto agire in prima persona, così che gli avvenimenti più grandiosi (nascita di Isacco da una donna sterile e per giunta molto avanti negli anni, passaggio del mar Rosso, manna nel deserto, caduta delle mura di Gerico, ecc.) fossero inequivocabilmente attribuiti ad una azione divina e non ad opera umana.
    Dio aveva promesso ad Abramo una terra per la grande discendenza che sarebbe nata da lui, ma in attesa che dai 12 figli di Giacobbe si formassero nei secoli successivi le 12 tribù di Israele, e che l'iniquità degli Amorrei raggiungesse il colmo così da consentire alla Sua Giustizia infinita (vedi interv. maggio/09) di operare per la loro distruzione, bisognava che si creassero le condizioni adatte allo scopo: ed ecco allora che alla originaria accoglienza di quel centinaio di persone da parte del faraone vissuto ai tempi di Giuseppe, segue negli egiziani del tempo di Mosè la paura per la presenza di un popolo che dopo tutti quegli anni si era moltiplicato a dismisura.
    Se la benevolenza degli egiziani fosse continuata, il popolo ebreo si sarebbe mescolato alla popolazione autoctona assimilandone usi e costumi e non avrebbe mai lasciato l’Egitto; non sarebbe partito neanche se Mosè, stante l’attuale condizione di schiavitù, avesse raggiunto il potere e fatto delle leggi che eliminassero o anche solamente alleviassero le loro sofferenze. Era dunque necessario che gli egiziani (a cui faceva comodo avere degli schiavi per i lavori più umili e pesanti), gli ebrei (che attribuivano agli dei pagani la potenza dei faraoni), e lo stesso Mosè (che non era molto convinto di essere all’altezza del compito affidatogli) fossero testimoni con tutti i loro sensi della grande potenza dell’unico vero Dio, il cui ricordo si era ormai sbiadito nella mente dei discendenti di Abramo: perciò il Signore non impedisce che il cuore del faraone (per suo libero arbitrio) si indurisca, comandi l’uccisione di tutti i figli maschi degli ebrei per arrestarne la crescita demografica e resti impassibile davanti ai primi prodigi compiuti da Lui per mezzo di Mosè per convincerlo a lasciar andare via gli israeliani, provocando una escalation di avvenimenti sempre più gravi fino alla morte dei primogeniti egiziani.
    Questa missione comincia quando Dio si manifesta a Mosè presso il roveto ardente, ed alla richiesta di quest’ultimo di conoscere il Suo nome si rivela come “Io Sono” (vedi interv. febbraio/09): a differenza di tutti gli idoli adorati in ogni tempo ed in ogni luogo, forme senza vita, egli è il DIO VIVENTE, COLUI CHE E’, vita che non ha bisogno di forma, di nomi altisonanti, che non è necessario raffigurarsi; a differenza di tutti i creatori di religioni/filosofie che sono vissuti e poi passati, egli E’, eterno presente, sorgente di vita, che ha la vita in se stesso.
    Il susseguirsi delle dieci piaghe, da quelle più semplici e innocue che anche i maghi del faraone riescono a riprodurre, a quelle più dannose (che i non credenti vedono come coincidenze di avvenimenti naturali), distraggono gli egiziani dalla sorveglianza degli schiavi e consentono a questi ultimi di avere il tempo di prepararsi per il lungo viaggio: l’ultima e più terribile piaga (e ricordiamo che il faraone aveva per molti anni, con l’approvazione e la delazione di tutto il suo popolo, perseguito lo sterminio di tutti i neonati maschi degli ebrei), mentre da una parte fa decidere il faraone per la liberazione, dall’altra preclude agli israeliani ogni possibilità di ritorno in Egitto per paura delle inevitabili vendette che si sarebbero compiute ai loro danni dopo tutto quello che era successo. Realizzata dunque la prima parte della promessa (si è formato un popolo più numeroso delle stelle del cielo) ora inizia il viaggio verso la nuova terra dove insediarsi.
    Se Mosè avesse condotto la sua gente verso la terra di Canaan per la strada più breve, trascorso il periodo di lutto gli egiziani avrebbero potuto raggiungerli via terra e vendicarsi sterminandoli: per questo motivo Dio li guida in direzione del mar Rosso, sulle sponde del quale avviene il grande miracolo.
    Leggiamo:

    allora Mosè stese la mano sul mare. E il Signore durante tutta la notte, risospinse il mare con un forte vento d’oriente, rendendolo asciutto; le acque si divisero. Gli Israeliti entrarono nel mare asciutto, mentre le acque erano per loro una muraglia a destra e a sinistra. Gli Egiziani li inseguirono con tutti i cavalli del faraone, i suoi carri e i suoi cavalieri, entrando dietro di loro in mezzo al mare.
    Ma alla veglia del mattino il Signore dalla colonna di fuoco e di nube gettò uno sguardo sul campo degli Egiziani e lo mise in rotta. Frenò le ruote dei loro carri, così che a stento riuscivano a spingerle. Allora gli Egiziani dissero: “Fuggiamo di fronte a Israele, perché il Signore combatte per loro contro gli Egiziani!”.
    Il Signore disse a Mosè: “Stendi la mano sul mare: le acque si riversino sugli Egiziani, sui loro carri e i loro cavalieri”.
    Mosè stese la mano sul mare e il mare, sul far del mattino, tornò al suo livello consueto, mentre gli Egiziani, fuggendo, gli si dirigevano contro. Il Signore li travolse così in mezzo al mare. Le acque ritornarono e sommersero i carri e i cavalieri di tutto l’esercito del faraone, che erano entrati nel mare dietro a Israele: non ne scampò neppure uno. Invece gli Israeliti avevano camminato sull’asciutto in mezzo al mare, mentre le acque erano per loro una muraglia a destra e a sinistra.


    Naturalmente coloro che si rifiutano di credere, pur accettando la successione degli avvenimenti descritti, attribuiscono il forte vento d’oriente a cause naturali che guarda caso si sono manifestate nel momento e nel posto più giusti per gli ebrei.
    La natura umana è debole e fragile: nonostante avessero vissuto da protagonisti, in prima persona, gli avvenimenti che li avevano condotti fino al monte Sinai, lontani dalla schiavitù, quando Mosè si attarda in cima al monte per quaranta giorni per ricevere le tavole della legge, gli israeliti hanno paura che lui non torni più e si costruiscono un idolo che li guidi in sua vece. Non essendo culturalmente capaci di concepire un ESSERE di cui non esistevano le sembianze, si sono fatti costruire un oggetto, un non-essere che però appariva in forma splendente d’oro: l’opposizione tra l’essere ed il nulla è paragonabile a quella tra grazia e peccato, così che la Giustizia di Dio avrebbe voluto intervenire subito per punire gli ebrei sterminandoli. Ma c’è una grande forza nell’uomo, capace di cambiare il corso degli eventi: è la preghiera fatta con amore (vedi interv. Marzo/09), la stessa fatta da Abramo per salvare gli abitanti di Sodoma e Gomorra, e che Mosè utilizza molte volte per salvare i suoi fratelli che in tante occasioni mormorano contro di lui manifestando addirittura il desiderio di ritornare in schiavitù in Egitto pur di avere quel poco che lì era loro concesso di avere. Il Signore accetta questa intercessione, e mentre punisce con la morte immediata per mano dei leviti i responsabili della realizzazione del vitello d’oro (potremmo dire i mandanti, perché Aronne era stato costretto a realizzarlo materialmente, ma contro la sua volontà), punisce gli altri facendo si che non loro, ma i discendenti di quelli che erano usciti dall’Egitto entrassero nella terra promessa.
    Leggiamo:

    Il Signore disse a Mosè: “Fino a quando mi disprezzerà questo popolo? E fino a quando non avranno fede in me, dopo tutti i miracoli che ho fatti in mezzo a loro? Io lo colpirò con la peste e lo distruggerò, ma farò di te una nazione più grande e più potente di esso”.
    Mosè disse al Signore: “Ma gli Egiziani hanno saputo che tu hai fatto uscire questo popolo con la tua potenza e lo hanno detto agli abitanti di questo paese. Essi hanno udito che tu, Signore, sei in mezzo a questo popolo, e ti mostri loro faccia a faccia, che la tua nube si ferma sopra di loro e che cammini davanti a loro di giorno in una colonna di nube e di notte in una colonna di fuoco. Ora se fai perire questo popolo come un solo uomo, le nazioni che hanno udito la tua fama, diranno: Siccome il Signore non è stato in grado di far entrare questo popolo nel paese che aveva giurato di dargli, li ha ammazzati nel deserto.
    Il Signore disse: “Io perdono come tu hai chiesto; ma, per la mia vita, com’è vero che tutta la terra sarà piena della gloria del Signore, tutti quegli uomini che hanno visto la mia gloria e i prodigi compiuti da me in Egitto e nel deserto e tuttavia mi hanno messo alla prova già dieci volte e non hanno obbedito alla mia voce, certo non vedranno il paese che ho giurato di dare ai loro padri. Nessuno di quelli che mi hanno disprezzato lo vedrà;


    I 40 anni passati nel deserto non furono soltanto una punizione per gli ebrei tentati dall’idolatria, ma anche il tempo necessario perché Mosè desse al popolo disposizioni anche di carattere igienico per preservarli da malattie del corpo, istituisse la figura del sacerdote, ed emanasse quelle leggi senza le quali gli israeliti avrebbero perso anche il senso del peccato ed infine ogni contatto con Dio: dobbiamo rilevare che nonostante constatassero la presenza di Dio in mezzo a loro, o forse proprio per questo, i discendenti di Abramo facevano sempre maggiori richieste al Signore, quasi pretendevano che fosse al loro servizio. E’ questo il grande equivoco in cui ancora oggi cadono molti uomini, e se Dio non soddisfa i loro desideri, Lo accusano e Lo ingiuriano.
    Neanche Mosè ed Aronne entreranno nella terra promessa, un po' per problemi di età avanzata, ma anche perché in occasione del secondo miracolo dell’acqua sgorgata dalla roccia hanno dubitato per un attimo della potenza del Signore: così, prima di morire, Mosè chiamò Giosuè e gli disse alla presenza di tutto Israele: “Sii forte e fatti animo, perché tu entrerai con questo popolo nel paese, che il Signore ai loro padri giurò di darvi: tu gliene darai il possesso. Il Signore stesso cammina davanti a te; egli sarà con te, non ti lascerà e non ti abbandonerà; non temere e non ti perdere d’animo!”.
    Affidato questo compito al suo successore e dopo aver benedetto una per una le 12 tribù di Israele, Mosè lasciò questa vita per andare alla presenza di quel Dio che aveva visto “faccia a faccia”, ma della cui Potenza, Giustizia e Amore aveva avuto solo una pallida idea mentre era in cammino su questo piccolo pianeta: infatti la manifestazione di Dio per mezzo di Mosè sta alla pienezza del Suo ESSERE come le grandezze che noi possiamo misurare sulla terra stanno all’universo intero.
    Preghiamo perchè lo Spirito del Signore ci guidi in ogni istante della nostra vita, facendoci crescere in amore e sapienza, così che arrivando con fiducia e senza perderci d’animo davanti alle colonne d’Ercole possiamo essere accolti dalle amorevoli braccia di Maria che ci accompagnerà nella nuova vita che ci è riservata oltre questa vita.

    Nella foto: Pasquale Cannatà.

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    (17.11.09) SALUTANDO IL RITORNO DELLE SUORE A GALATRO (Michele Scozzarra) - “Sono in fase avanzata le trattative per far tornare le suore a Galatro e, se tutto andrà per il verso giusto, nella prossima primavera sarà riaperto l’appartamento che ha ospitato per anni le religiose dell’Ordine di don Luigi Guanella”: con queste parole il nostro don Cosimo, nei giorni scorsi, ha dato l’annuncio del ritorno delle suore nella nostra Parrocchia.
    Questa notizia, da un lato, ci riempie di gioia perché si possono riprendere tante attività della Parrocchia svolte dalle suore, quali le visite ad anziani e ammalati o le più svariate iniziative per la formazione dei ragazzi; dall’altro ci porta, andando indietro con la memoria, a rivedere i volti delle suore che sono già state in mezzo a noi ed esprimere la nostra gratitudine ed il nostro affetto soprattutto verso suor Teresa Brandolese, suor Ginetta Siviero e la compianta suor Elena Fogo ed a quante dopo di loro si sono avvicendate nella nostra Parrocchia.
    Molti sono i ricordi e tanta la voglia di esternarli… anche se sono consapevole che molti ricordi sono rimasti scolpiti nel cuore di ognuno di noi, che ha avuto modo di stare vicino alle suore, come bagaglio inesprimibile e prezioso di tutto quel periodo il cui ricordo è ancora vivissimo.
    Proprio per questo senso di gratitudine, mi piace salutare la notizia dell’arrivo delle nuove suore, con una mia intervista a suor Teresa, suor Ginetta e suor Elena, pubblicata il 14 ottobre del 1979 su “il Gruppo”, come caro ricordo e segno di riconoscimento e gratitudine per la missione che, per molti anni, hanno svolto nella nostra comunità.

    LE SUORE A GALATRO: UN ANNO DOPO *

    Ottobre 1978: arrivano a Galatro tre suore, c’è molta attesa, anche questo è un segno.
    Ottobre 1979: è da un anno che le suore sono in mezzo a noi.
    Abbiamo voluto ricordare questo anniversario, facendo in modo che le stesse suore ci parlassero della loro permanenza a Galatro.
    In un incontro molto amichevole, abbiamo parlato a lungo, raccogliendo una testimonianza che pensiamo di dover comunicare. “Per me l’ideale era di arrivare in Calabria – dice suor Ginetta – sono stata sempre insieme a delle suore calabresi e mi hanno parlato sempre bene della gente di Calabria. Dove mi trovavo prima, le persone non si conoscevano neanche da porta a porta, per loro la suora era importante solo quando avevano il bambino da mandare a scuola…”.
    “Venendo qua il mio entusiasmo si è raddoppiato – continua suor Teresa – proprio perché non era quella realtà che, sotto sotto, temevo; ho visto un’apertura meravigliosa, i bambini poi, così entusiasti, sono stati quelli che mi hanno veramente travolto… Poi le difficoltà sono arrivate, piano piano, una per una… ma, questo non toglie che l’entusiasmo ce l’abbia ancora e posso ringraziare il Signore delle cose che sono state fatte in questi mesi che siamo stati qui. Quello che mi ha colpito di più, che mi entusiasma, è il lavoro che si fa in montagna, lo sento particolarmente, perché quei bambini là, li ho visti davvero trasformarsi sotto i miei occhi. Io vado in montagna durante la settimana e la domenica, anzi aspetto sempre il giorno che devo andare, con molto entusiasmo. Ho notato che, forse per la prima volta, quei bambini sentivano una buona parola”.
    Suor Teresa ci parla con entusiasmo dei bambini della montagna, ma anche in paese ci sono molti bambini…
    “E’ diverso – continua suor Teresa – quando i bambini vengono da noi, e partecipano al canto, alle scenette, alle passeggiate, vengono spontaneamente, ma non c’è un genitore, o almeno li puoi contare quelli che dicono: “vai dalle suore…”, mentre in montagna trovo tutta una genuinità evangelica che mi entusiasma. Veramente sento che non sono tanto io che do a quei bambini, quanto quello che ricevo da quella gente. Anche entrare nelle loro famiglie, quel poco che hanno lo condividono con te, magari alla loro maniera, maniere forse, che non sono i nostri modi, ma te lo danno con un cuore che è più grande di loro, e questo veramente me li fa amare, me li fa apprezzare, e ringraziare il Signore di essere venuta qua”.
    Suor Ginetta insegna nella Scuola Materna, anche lei è a contatto con i bambini. Chiediamo quali sono i rapporti con i bambini e con le loro famiglie.
    “Io penso – dice suor Ginetta – che mettendo tutti quei pulmini, anche per i bambini che abitano a due passi dall’asilo, i genitori non si vedono mai. Io l’ho detto a più mamme che sono abituate a troppe cose. Non vengono ad iscrivere il loro bambino se non passa il pulmino a dire che è aperta l’iscrizione. Ma muoviti tu, mamma o genitore, a trovare un posto al tuo bambino! Chi vedi durante l’anno? Se tu non mandi un biglietto a casa, che poi pure si arrabbiano, non vedi nessuno. Io vorrei che i genitori venissero qualche volta, invece… manca un dialogo. Questo dialogo senz’altro verrà col tempo, perché io ho già visto un miglioramento dallo scorso anno a questo”.
    Parlando della loro vita a Galatro, ci siamo trovati a parlare della nostra realtà paesana: “Io penso che è la realtà che c’è dappertutto, quelle poche persone che girano intorno, troviamo che sono persone sensibili. Se c’è una cosa che non mi va – continua suor Teresa – è che spesso, lo dico anche alla gente, è inutile stare a dire tanti rosari, fare tante offerte alla Madonna, e poi odiarsi. Questo mi colpisce. Io credo che qualcosa cambi con i giovani, io ho tanta fiducia nei giovani e, penso che Galatro riuscirà ad avere un bel risveglio religioso. Qui sono i bambini che devono venire su con una mentalità diversa… c’è bisogno di tempo, di convinzione, di pazienza”.
    La visita agli anziani fa parte anche della missione che stanno vivendo le suore, anche quella è un bell’apostolato. Su questo interviene suor Elena: “Dopo trent’anni che sono in Calabria, non penso di trovare delle difficoltà, anche perché le persone sono molto affabili. Quando vado a visitare gli ammalati, a fare visita alle vecchiette, sono accolta con tanta cordialità e sono contenta di fermarmi a parlare, di fare compagnia. Ora stiamo preparando un lavoro, per andare a fare visita agli ammalati, in modo che, una volta al mese, tutti possiamo incontrarci e eventualmente fare anche la comunione”.
    Continuando la nostra conversazione, non potevamo non domandare alle suore: “Cosa si aspettava la gente dalle suore?...”.
    “Non so se la gente si aspettava da noi quello che abbiamo fatto – dice suor Teresa – sarebbe anche interessante per noi sapere che cosa la gente si aspettava. Adesso che ci ha visto, che ha visto quello che siamo, quello che abbiamo fatto, con i nostri difetti, la nostre qualità, con i doni che Dio ci ha dato, che cosa si aspettava la gente? Abbiamo sentito qualcuno che diceva: “Ma noi pensavamo che le suore stessero sempre in casa, facessero la scuola di cucito, pulissero la Chiesa…”. Noi siamo qui per portare un messaggio, un messaggio che anche noi abbiamo ricevuto e lo trasmettiamo così, per quello che siamo e per quello che Dio ci ha dato. Se le cose andassero tutte bene, non c’è la mano di Dio, se tu trovi l’appoggio dappertutto, se tutti ti applaudono, ti elogiano, non ci credere, anzi, è un segno che le cose non vanno. Allora, davanti a questo pensiero di fede che ti trasforma interiormente, anche se ti schiaccia, perché ti umilia, possiamo dire: “Questo è il Segno, è il posto dell’obbedienza, qui il Signor lavora”. Se pensiamo in una trasformazione, non la pensiamo tanto per le nostre iniziative, né tanto per quello che noi faremo, ma per quello che Lui farà, proprio attraverso questi contrasti, che, piccoli o grandi, ci aiutano a crescere”.

    * Da “Il Gruppo”, domenica 14 ottobre 1979

    Nelle foto: in alto Don Cosimo Furfaro, al centro Michele Scozzarra con suor Teresa, Ginetta ed Elena nel 1979, in basso l'interno della chiesa della Montagna prima di una funzione.

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    (22.11.09) SOTTO LA DIVISA UNA GIUSTIZIA FAI DA TE (Emanuela Palmeri) - Arrestato il 16 ottobre nel parco Appio Claudio perché in possesso di pochi grammi di hashish e cocaina, Stefano Cucchi muore dopo soli cinque giorni dal fermo per lesioni e disidratazione. La notizia diffusa dai media suscita sgomento e fa sorgere mille interrogativi.
    Secondo quanto emerge dalle indagini ancora in corso il giovane viene pestato da tre agenti della polizia penitenziaria nelle celle di sicurezza all’interno del Palazzo di Giustizia, a supporto della tesi dell’accusa la testimonianza di un detenuto senegalese testimone oculare dell’accaduto attraverso lo spioncino della sua cella. Il giovane Cucchi è vittima di un pestaggio feroce nelle ore successive al processo, dopodichè viene portato a Regina Coeli e da qui, visitato dal medico delle carceri che constata la sofferenza persino a camminare, viene subito trasferito nel reparto penitenziario dell’ospedale Sandro Pertini. Dopo la ferocia inaudita della violenza subita nelle celle di sicurezza, a Stefano viene riservato un trattamento non meno brutale in ospedale, gli viene negata la possibilità di parlare con il suo avvocato e con la sua famiglia ed in risposta alla protesta del giovane, che rifiuta acqua e cibo, il personale medico e sanitario lo abbandona a sé stesso. Muore così Stefano... sulla brandina dell’ospedale, ignorato e forse anche deriso dai medici, pensando probabilmente di essere stato abbandonato anche dai suoi cari che ignari di tutto non lo hanno più visto tornare a casa dopo quel maledetto giorno.
    Il dolore della famiglia Cucchi e l’indignazione di un paese intero pretendono di conoscere la verità, lo stato “giustiziere” deve dire come è possibile morire sotto la sua custodia e per mano dei suoi rappresentanti. Il corpo di Stefano è irriconoscibile, il suo volto è tumefatto e mentre l’indagine prosegue emergono particolari raccapriccianti della violenza e delle sevizie subite. Non è ammissibile una fine così orrenda nessuno può morire come lui, non si possono calpestare in questo modo i diritti umani. La verità deve venir fuori per dare dignità alla morte di Stefano. Molti sono gli interrogativi a cui dare una risposta: “Come mai la testimonianza del detenuto senegalese viene subito considerata pretesto per alleviare la propria situazione detentiva e processuale? Come mai gli agenti accusati non sono stati sospesi, ma tuttora in servizio continuano ad essere pagati dalla collettività? Perchè la “presunta” tossicodipendenza di Stefano dovrebbe attenuare la gravità dell’episodio che invece ha tutti i connotati di un’esecuzione benché in Italia non ci sia la pena di morte? Ed ancora, le celle del Palazzo di Giustizia si chiamano di sicurezza perché in esse si è sicuri di morire?” Non è l’unico caso avvolto nel mistero e caratterizzato da una girandola di responsabilità basta ricordare Federico Aldrovandi, Aldo Branzino, Giuseppe Saladino. Queste barbarie non possono rimanere impunite anche se si fatica a svelare tutti i retroscena ed il rinfacciarsi versioni e colpe tra le forze dell’ordine rende tutto ancora più spregevole.
    E’ una vicenda che non pensavamo si potesse verificare in un paese civile come il nostro all’alba del XXI secolo e, affinché Stefano non sia morto invano, vogliamo credere e sperare che il monito “la legge è uguale per tutti” non rimanga solo un precetto, ma si tramuti in certezza della pena assicurando i colpevoli alla giustizia.
    Nel prendere le distanze da coloro che indossano la divisa non per la difesa dello stato e dei suoi cittadini vogliamo ringraziare le forze dell’ordine che ogni giorno svolgono il proprio lavoro con impegno e dedizione mettendo a repentaglio la loro vita. La stima e la fiducia in loro riposta è ripagata dai risultati delle indagini svolte, basta ritornare indietro di qualche giorno per vedere i duri colpi inflitti alla criminalità: l’arresto dei fratelli Russo in meno di ventiquattro ore, di Domenico Raccuglia Maroni il numero di due di Cosa Nostra.
    Concludendo, l’ultimo pensiero va alla famiglia Cucchi e a tutte quelle famiglie che perdono i loro cari in circostanze misteriose, che il tempo possa alleviare il loro dolore e che il trionfo della verità e della giustizia impedisca il verificarsi di episodi come questi.

    Nella foto: Stefano Cucchi.


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    (30.11.09) SE IL CITTADINO CRISTO NON C'ENTRA... CI RESTA SOLO IL GRANDE NULLA (Michele Scozzarra) - Nei giorni scorsi si è ricordato, e festeggiato, il ventesimo anniversario della caduta del muro di Berlino. Ma… qualcuno ha sentito, anche per caso, qualche servizio giornalistico sulla caduta del muro in cui abbiano nominato Giovanni Paolo II?
    Se non ne avesse parlato Lech Walesa, e Rocco Buttiglione, in un intervento che nessuno ha ripreso, la mia impressione è che praticamente tutti se ne sarebbero "dimenticati": dimenticati proprio di chi è stato l’artefice di una “rivoluzione culturale” che ha portato alla caduta non solo del muro di Berlino ma di tutto un sistema di potere basato sulla violenza e sulla prevaricazione, in nome di una mai esistita libertà e uguaglianza. E se di Giovanni Paolo II non abbiamo sentito nessuna citazione, il Papa attuale non è stato nemmeno invitato.
    Angela Merkel ha ricordato il giorno della caduta del Muro di Berlino come quello della “vittoria della libertà”, una libertà che non deve essere vista come un bene “sottinteso”, ma come qualcosa per cui si lotta ogni giorno. Wojtyla insegnava che è la verità che rende liberi. Ma questa verità a qualcuno conviene nasconderla dietro un muro, da dove non possa uscire… anche mentre si festeggia per la caduta del muro.
    Tutto questo avviene nei giorni in cui, in Italia, si discute sulla sentenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo, che ha accolto il ricorso presentato da una cittadina italiana sulla presenza del crocifisso nell'aula scolastica del figlio.
    E, a dispetto di tante farneticazioni che abbiamo avuto modo di leggere, c'è da dire che fu Cavour che mise la croce in classe ... “Non fu il Concordato fascista a prescrivere il crocifisso a scuola ma, nel 1860, lo Stato risorgimentale, pur se in lotta con la Chiesa”: così recita un interessante articolo di Giuseppe Dalla Torre sulla questione: “C'erano simboli religiosi nell'aula della famosa maestrina dalla penna rossa di deamicisiana memoria? Probabilmente sì; o almeno avrebbero dovuto esserci, stando alla normativa allora in vigore. Pochi sanno, infatti, che il regolamento per l'istruzione elementare del 15 settembre 1860, n. 4336, attuativo di quella famosa legge Casati del 1859 che costituì per un sessantennio la struttura fondamentale del nostro sistema scolastico, prevedeva l'affissione nelle aule scolastiche del crocifisso. La disposizione era destinata a passare sostanzialmente senza soluzioni di continuità nella normativa regolamentare successiva. In particolare, prima di essere ripresa dai provvedimenti dell'età del fascismo (tutti comunque precedenti al Concordato del 1929), essa venne nuovamente ribadita dal regolamento generale dell'istruzione elementare del 6 febbraio 1908, n. 150.
    Le origini storiche di una disposizione che oggi, talora, viene messa in discussione, ci dicono almeno due cose.
    La prima è che, come simbolo religioso, il crocifisso è un simbolo passivo, in quanto tale non idoneo né diretto a costringere o ad impedire l'individuo in materia religiosa e di coscienza, né a contravvenire al principio della laicità dello Stato. Il fatto che lo Stato italiano laico e separatista prevedesse come facoltativi i corsi di religione nelle scuole, ma prescrivesse al contempo l'esposizione del crocifisso, ne è una evidente riprova.
    La seconda riguarda il crocifisso come simbolo culturale. Non c'è dubbio, infatti, che esso esprima una storia, una tradizione, una cultura; in breve: l'identità degli italiani. Ed anche qui il fatto che lo Stato ne prescrivesse l'esposizione, pure nei periodi in cui la scuola divenne il terreno della più rovente conflittualità tra Stato e Chiesa, tra liberali e movimento cattolico, costituisce un fatto illuminante. Esso prova, infatti, che si tratta (anche) di simbolo culturale; di un simbolo che ha plasmato l'identità italiana e, con altri simboli, ha alimentato gli italiani dei necessari sentimenti di comune appartenenza.
    Ed è per questo che anche l'Ottocento liberale, e talora anticlericale, ne ha ritenuto non incompatibile, ma necessaria, la conservazione”
    .
    Ma nelle recenti polemiche sulla presenza del Crocifisso, mi piace anche riprendere parte di un articolo di Franco Cardini, pubblicato su “il Sabato” nel settembre del 1990, per capire che siamo di fronte ad un tentativo di scristianizzazione “scientifico” che va ben oltre, e parte da molto più lontano dalle polemiche di questi giorni: “I simboli non sono mai causali. Ad esempio, avrete notato che sulle ambulanze ormai la croce non c'è più... Visualizza altro. Essa è stata sostituita da un disegno a forma di asterisco azzurro, una specie del risultato della sovrapposizione di una I e una X. Ne risulta un disegno che non è lontano dal chrismon bizantino, il monogramma di Gesù Cristo: ma che ha tutt'altro significato. Mi dicono che in America quel disegno ha molto successo presso gli ebrei, perché il suo aspetto di stella a sei raggi ricorda la stella di David e i suoi colori, il bianco e l'azzurro, sono gli stessi di Israele. Se gli ebrei americani pensano questo, sono lieto per loro: ma debbo segnalare non solo che si contentano di poco, ma che rischiano di cadere in una spiacevole e pericolosa gaffe. In effetti, quel segno in apparenza innocuo ha un'antica tradizione runica. Esso è il risultato di due lettere sovrapposte, dal disegno identico ma l'una uguale all'altra rovesciata. Si tratta di due rune dette "della vita" e "della morte" (la seconda è celebre da quando è divenuta l'emblema del movimento antiatomico e più in generale pacifista). Il lato che gli ebrei americani potrebbero trovare spiacevole è che quei simboli venivano abitualmente usati dai servizi medici ed assistenziali nazisti. Non temete. Non intendo affatto dedurre che il nuovo simbolo delle ambulanze sia qualcosa di nazista. Esso proviene comunque da una tradizione americana e nordeuropea che ci è estranea; ed è impiegato sistematicamente e scientificamente per obliterare la croce. Un altro tassello del mosaico della scristianizzazione del mondo e del nostro immaginario. Sappiate ciò, e vigilate”.
    Ho avuto modo di leggere nel numero di Tempi di qualche settimana addietro, un taz&bao significativo, che ci insegna che la storia si ripete, ma il Crocifisso ritorna sempre con la sua misteriosa vittoria. E’ un pensiero di Vincenzo Monti sul “cittadino Cristo” tratto dal testo “In morte di Lorenzo Mascheroni” del 1802: “Narrasi a questo proposito un molto curioso aneddoto. Il consiglio legislativo della Cisalpina, di cui Parini era membro, teneva la sua adunanza nello stesso luogo dove siedeva l’antica Cameretta e dov’eravi un gran crocifisso, che un giorno alcuno di quegli esaltati repubblicani fece levar via. Giunto Parini e non vedendo più il crocifisso chiese fieramente ai colleghi: dov’è il cittadino Cristo? Al che eglino, ridendo e motteggiando, risposero averlo fatto riporre altrove perché non aveva più nulla a fare colla nuova repubblica. Ma l’austero poeta soggiunse: ebbene, quando non c’entra più il cittadino Cristo non c’entro più nemmen’io. E si dimise immediatamente dal suo ufficio”.
    Per concludere che dire… mi fa pochi problemi che non ci siano crocefissi sulle pareti di un'aula; mi fa invece molto pensare, e penso che il vero problema è questo, che ci sia qualcuno che mi impedisca di metterli. Di fatto c’è qualcuno che ci vuole fare credere che, per pluralismo, non ci devono essere simboli religiosi sulle pareti… ci sta dicendo che ce ne deve essere uno solo: il Grande Nulla, adorato da quanti si oppongono al bene in ogni sua forma.

    Nelle immagini, dall'alto in basso: Giovanni Paolo II davanti alla porta di Brandemburgo a Berlino; il crocifisso nella chiesa del Carmine a Galatro; la croce rossa della convenzione di Ginevra; il nuovo simbolo della croce sulle ambulanze; la croce rossa nei soccorsi di guerra.


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    (1.12.09) MOLTI NOTABILI E POCHI POLITICI (Pietro Ozimo) - In questi anni di mia permanenza nel Consiglio Comunale di Galatro in qualità di Consigliere Comunale e Capogruppo del “Centro Popolare Galatrese” ho potuto costatare che esistono molti “grandi notabili” della politica e pochi Politici, indubbiamente non scopro “l’acqua calda” ma, ciò che mi fa andare in “bestia” sono le “false informazioni” che vengono trasmesse alla gente.
    Per questo motivo desidero informare quanti hanno letto o leggeranno l’articolo apparso sul sito di “Galatro Terme News”
    Ozimo chiede l’incompatibilità del Segretario Comunale che, escluso il titolo, tutto il contenuto dell’articolo è un accumulo di ipocrisie.
    Sono pronto, comunque, a un confronto pubblico con la Redazione di “Galatro Terme News” e con quanti non conoscono l’importanza di quanto è accaduto in Consiglio Comunale sulla vicenda del Segretario dott. Michele Misiti.
    Mentre, al sostenitore… “amante” di “Cicerone” vorrei dire che ha ragione..!! La pazienza ha i suoi limiti e comunque nei Consigli Comunali “Il raglio di asino non è mai salito in cielo” invece “La scrittura raggiunge una maggiore efficacia”.
    Con grande stima.
    OZIMO Francesco Pietro

    P.S. - Per qualsiasi ragguaglio metto a disposizione il mio indirizzo e-mail: pietrozimo@alice.it

    * * *

    A Pietro Ozimo non vanno bene i resoconti notarili del segretario comunale. Figuriamoci quelli giornalistici!
    Nel pezzo, è Ozimo a riconoscerlo, c’era l’essenziale, cioè la richiesta di ricusazione del Segretario comunale per incompatibilità ambientale. Ma c’era anche dell’altro: che Lucia ha abbandonato il gruppo di minoranza e che di fatto Ozimo è rimasto solo (essendo gli altri due membri della minoranza assenti per motivi personali).
    Mancavano le dichiarazioni circa la decisione di andare sull’Aventino, che ci sono parse tanto inutilmente drammatizzanti quanto irrilevanti.
    Non capiamo dove sarebbero le ipocrisie. Abbiamo usato un registro ironico e le ironie sono cosa diversa dalle ipocrisie.
    Saremmo ipocriti se avessimo detto a Ozimo che condividiamo la sua battaglia sui verbali per poi sparargli alle spalle.
    Abbiamo invece sempre sostenuto, su Galatro Terme News ma anche in alcuni pourparler con lui, che a nostro avviso si tratta di una battaglia de minimis, su quisquilie. Opinione condivisa dalla stessa autorità giudiziaria, che ha rigettato la denuncia del dottor Misiti a Ozimo giudicandone inconsistente il merito, l’oggetto del contendere.
    Per i chiarimenti che vuole dare, infine, Ozimo può scrivere su Galatro Terme News quello che ritiene (ovviamente nel rispetto delle persone e della legalità), come ha sempre fatto. Non gli negheremo certo lo spazio né gli infliggeremo censure di sorta.
    LAREDAZIONE


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    (19.12.09) GIU' LE MANI DAL CROCIFISSO! (Emanuela Palmeri) - Si può chiedere ad un popolo di cancellare la sua storia, la cultura, le tradizioni, insomma di annullare la propria identità?
    Eppure è successo, tutto inizia nel 2002 con la richiesta della signora Soile Lautsi di far togliere il crocifisso da una scuola di Abano Terme, frequentata dai suoi due figli, in nome del principio di laicità dello Stato. La scuola chiamata in causa risponde negativamente alla richiesta così come la Corte Costituzionale, il TAR ed il Consiglio di Stato affermando che “il crocifisso esprime l’origine religiosa dei valori di tolleranza, di rispetto reciproco, di valorizzazione della persona, di affermazione dei suoi diritti di autonomia della coscienza morale nei confronti della autorità, di solidarietà umana, di rifiuto di ogni discriminazione che connotano la civiltà italiana”. La donna, allora, si rivolge alla Corte di Strasburgo ed arriva così una sentenza per noi impensabile, la Corte europea dei diritti dell’uomo stabilisce che bisogna togliere i crocifissi dalle aule scolastiche perché la loro presenza è “violazione alla libertà di religione degli alunni ed anche violazione del diritto dei genitori ad educare i figli secondo le loro convinzioni”. La sentenza prevede inoltre un risarcimento alla donna di 5.000 euro per danni morali. Il Consiglio di Stato di fronte a questa sentenza, per gli italiani inaccettabile, presenta ricorso. Questa storia rimbomba nella rete e nei mezzi di comunicazione, si assiste così ad una vera “rivolta” popolare in difesa del simbolo cristiano, l’Italia e non solo accusa un colpo durissimo, si attacca la fede cristiana al cuore, la “croce”.
    La sentenza ha il sapore di una beffa, ci lascia increduli e sgomenti.
    L’iconografia, che tradizionalmente esprime i nostri valori, va assolutamente rispettata e tutelata.
    La decisione dei giudici di Strasburgo ha prodotto, però, un risultato positivo, ha unificato gli italiani intorno al crocifisso, di cui tanti, ai tempi della scuola forse nemmeno si erano accorti della presenza di quel simbolo. Oggi difendiamo il crocifisso perchè è riconoscimento della propria identità, quindi delle radici cristiane, simbolo della storia e della cultura italiane, richiamo ai principi di eguaglianza, libertà, tolleranza e laicità che si sono fondati nel Cristianesimo e che hanno impregnato di sé tradizioni, modi di vivere e cultura del popolo italiano. Se non bastano le parole a far capire che noi italiani non accetteremo mai questa sentenza ci mobiliteremo nei fatti come è già successo in alcune città. Per esempio in una scuola del centro storico di Roma sono stati distribuiti i Tau francescani, un sindaco nel Grossetano ha previsto il pagamento di una multa pari a 500 euro da commutare a chi toglierà il crocifisso ed ancora un’altra bella iniziativa ad Enna “firma ed adotta un crocifisso”. Anche Galatro si identifica in questo simbolo decorando la statua del Santo Patrono, in occasione della
    processione del 6 dicembre, con una croce donata dall’Amministrazione Comunale.
    Il malessere che gravita intorno alle minoranze religiose ed alla loro professione non è un problema circoscritto al nostro paese ma ben più vasto di quanto non si pensasse, con grande stupore di tutti anche la Svizzera, terra di coabitazione pacifica tra culture, lingue e religioni diversi, dice “stop ai minareti” con un referendum popolare contro ciò che ritiene essere esclusivamente simbolo di rivendicazione del potere politico e sociale dell’Islam. A questo punto mi chiedo quale possa essere la reale motivazione (forse una equivoca tolleranza ?) che ha spinto la signora Lautsi a chiedere la “rimozione” del Crocifisso dato che la costituzione italiana tutela e garantisce l’uguaglianza dei cittadini anche di fronte alla diversa appartenenza religiosa. Se da un lato la signora prende le distanze dall’altro c’è l’immagine del Presidente Obama che nell’assumere l’incarico giura sulla Bibbia ed invoca la benedizione di Dio sulla nazione, questo non può che far gioire tutti quelli che come noi nella croce riconoscono un simbolo d’amore e nient’altro. Sia pur pacatamente chiediamo con fermezza il rispetto per le tradizioni culturali degli altri, non siamo contro l’integrazione delle diverse etnie, ma ciò non deve avvenire a scapito dell’identità del popolo italiano.

    Nella foto: un crocifisso viene appeso alla parete.

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    (20.12.09) I CAPI CARISMATICI E LA SALVEZZA DELLE DEMOCRAZIE (Domenico Distilo) - L’aggressione di un folle a Berlusconi ha scatenato, oltre ai soliti pasdaran del centrodestra (che hanno indicato in Di Pietro, Santoro, Travaglio,Repubblica ecc. i “mandanti morali”) gli altrettanto soliti terzisti del Corriere della sera, che hanno intensificato gli ammonimenti a Bersani e al PD perché si separino dagli “estremisti” convertendosi ad un’opposizione da paese “civile”, “normale”, “occidentale” e via aggettivando.
    I terzisti si fingono che il problema non sia Berlusconi ma chi lo rappresenta come un’anomalia; non il conflitto d’interessi ma chi lo evoca; non le leggi ad personam ma chi le critica; non il passato pieno di ombre del presidente del consiglio ma chi pensa (le procure) di avere il dovere di far luce su quel passato; non le contraddizioni in cui maldestramente si caccia parlando in pubblico delle sue vicende private ma chi (Repubblica) poi gliene chiede pubblicamente conto (perché costui farebbe del gossip). Insomma, perseverano nel non voler vedere ciò che è di assoluta evidenza e che è risaltato vieppiù dopo il gesto di Tartaglia: Berlusconi è il protagonista di una vicenda assolutamente fuori del registro dei paesi liberaldemocratici, il portatore di un progetto di caudillismo o bonapartismo mediatico intrinsecamente eversivo e il cui potenziale di pericolosità sarebbe enorme anche se non avesse o venissero cancellati i suoi problemi con la giustizia.
    Il fatto di Milano va sì condannato “senza se e senza ma” (ça va sans dire), ma va anche analizzato in tutte le sue valenze storico-politiche e sociologiche, proprio per non seguire i terzisti nella loro pretesa di spacciarci una “normalità” che non esiste e che viene negata, peraltro, dallo stesso premier nel momento in cui, con gli attacchi agli organi di garanzia, prefigura una dittatura democratica (non si tratta affatto di un ossimoro) quale sbocco di uno stato d’eccezione (che consiste nel rifacimento delle norme fondamentali) nel quale si immagina, di fatto, come unico decisore.
    Una circostanza non ci pare sia stata notata nei numerosissimi commenti di questi giorni. Nella storia d’Italia prima di domenica scorsa non ci sono mai stati attentati da parte di individui emersi dalla folla a un capo del governo. Non ci sono mai stati eccezion fatta per Mussolini e, ora, per Berlusconi. Va da sé che questo non può essere un caso e dipende, evidentemente, dalle caratteristiche dei due personaggi, dal loro modo d’essere ed essere percepiti, dalla loro unicità che consiste, essenzialmente, nel costituire dei corpi irriducibilmente estranei dentro la società politica. Rompendo lo schema del politico che appare grigio, normale, solo un professionista della politica, questi individui pittoreschi eccitano i sentimenti delle masse, polarizzano l’odio e l’amore divenendo in breve tempo, per questo solo fatto, un pericolo mortale per quelle democrazie che non hanno gli anticorpi idonei per difendersene. Il registro su cui giocano è sempre, invariabilmente, quello del populismo antiparlamentare e antipolitico (già nel 1915 Mussolini incitava a “fucilare nella schiena” i parlamentari neutralisti) esasperando artatamente la contrapposizione tra paese legale e paese reale, tra società politica e società civile.
    Il patatrac, la fine della democrazia, avviene quando una parte della società politica, non importa se di destra o di sinistra (anche se capita quasi sempre che sia di destra), si allea con loro per vincere le elezioni nella convinzione di riuscire poi a normalizzarli. Errore funesto e letale! Mussolini non fu normalizzato né da Croce né da Giolitti, così come i conservatori tedeschi che gli fecero da apripista non normalizzarono Hitler.
    La Francia tra la quarta e la quinta repubblica riuscì invece a far decantare il movimento di Pierre Poujade, che dopo i successi elettorali degli anni Cinquanta fu relegato in una condizione di innocuo notabilato.
    Il punto è che alla buona salute delle democrazie sono congeniali figure grigie, prive di spessore scenico, che non suscitano emozioni ma hanno competenza e capacità di lavorare in penombra ed in sordina. Meglio, mille volte meglio un Mariano Rumor o un Romano Prodi che Silvio Berlusconi, anche se la gente non lo capisce e preferisce la politica in chiave estetizzante ed emozionante, accordando fiducia a chi le dice che tutto va bene e stiamo vivendo nel migliore dei mondi possibili (per l’ineffabile presidente del consiglio nella crisi non siamo mai entrati, anche se ne siamo usciti prima degli altri; per Mussolini lo sbarco in Sicilia degli Alleati, avvenuto nei primi di luglio del 1943, era una mossa disperata).
    Il tragico è che specchiandosi nelle masse, a cui sono legati da quel fenomeno misterioso che è il carisma, questi personaggi assolutamente mediocri e quasi sempre, in fondo, autentiche macchiette, si convincono di essere davvero dei grandi uomini. E se non c’è nessuno che abbia la capacità, il senso di responsabilità e la volontà di farli rinsavire sono dolori atroci per tutti.
    Nella situazione in cui siamo a far rinsavire Berlusconi dovrebbero essere gli uomini più responsabili ed avveduti del centrodestra, quelli che, se ci sono, avranno già capito che la situazione è arrivata al limite e, se hanno senso dello Stato, dovranno entrare nella determinazione di sbattersene (letteralmente) dei sondaggi e degli stessi risultati elettorali dando vita, in Parlamento, a una maggioranza che, ribaltonista quanto si voglia, dovrà essere in grado di salvare la democrazia italiana da sè stessa, cioè dalla sua degenerazione mediatica. Facciamo voti.


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    (23.12.09) L'AMORE VA OLTRE (Pasquale Cannatà) - Ho assistito di recente ad una trasmissione televisiva nella quale il conduttore spiegava con argomenti scientifici il perché ci si innamora, e per farlo ha elencato una serie di connessioni che in quella occasione si attivano tra i neuroni di varie parti del corpo, provocando la creazione di endorfine, una accelerazione del battito cardiaco, il famoso arrossire, ecc…
    A me è sembrato che stesse descrivendo il come, il meccanismo che si innesca successivamente all’insorgere del fenomeno, il modo in cui nostro organismo reagisce, e questo non è esattamente la stessa cosa del perché, che invece indaga una motivazione: perché quel fenomeno si scatena per una particolare persona e non per tutte le altre che incontriamo ogni giorno?
    In varie occasioni mi è capitato di interrogarmi sul vero significato delle parole, se quelle che usiamo per abitudine siano le più adatte ad esprimere i concetti che vogliamo esternare, e nel mio intervento radiofonico del 18/12 u.s. (
    visualizza il testo DOC 39,5 KB) ho fatto rilevare come avere conoscenza non equivale ad essere sapienti e/o colti.
    Elenco qui di seguito altre situazioni che mi sembrano significative per illustrare meglio il concetto:
    - nel PADRE NOSTRO diciamo non ci indurre in tentazione, ma penso che ognuno di noi voglia intendere che Dio non ci lasci soli nelle tentazioni a cui la vita ci sottopone e non creda affatto che sia Lui a provocarle;
    - nell’AVE MARIA diciamo madre di Dio, ed è una verità assoluta, in quanto Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo, ed ha affermato che Lui ed il Padre sono una cosa sola. Siccome però Dio ci ha rivelato di essere Uno e Trino, e Gesù stesso ha detto che alcune cose le conosce solo il Padre, sarebbe più corretto non voler essere più realisti del re (unificare cioè in una sola Persona quelle che in termini umani potremmo definire le funzioni assegnate ad ognuna delle tre e che Dio stesso ci ha rivelato voler tenere distinte) e pregare la Madonna come madre del Signore nostro Gesù Cristo, che è Dio;
    - ognuno di noi vuole bene ai propri genitori, a fratelli e sorelle, agli amici, e vuole poi un bene più grande, grandissimo, un bene dell’anima al proprio coniuge ed ai figli, tanto che lo si chiama giustamente AMORE: ma purtroppo l’uso di questa parola è talmente inflazionato da aver perso la sua forza, la sua energia, quella carica vitale che la rende unica, ed in qualche occasione mi è toccato addirittura di sentire alcune persone coccolare il proprio cane chiamandolo amore!
    Riguardo a questo ultimo caso ed a quelli similari, io dico No! non è così! non dovrebbe essere così: l’uomo è senz’altro capace di voler bene a tutti gli esseri animati ed a tutto ciò che la natura ci regala, ma quando si usa la parola AMORE bisognerebbe intendere qualcosa che VA OLTRE il voler bene.
    Per esempio, se la giustizia umana condanna un colpevole, l’Amore dell’uomo va oltre e può giungere a perdonare, anche se non dimentica. L’AMORE di Dio poi, dimentica addirittura il nostro peccato così che possiamo ogni volta rialzarci dalle inevitabili cadute e ricominciare senza sensi di colpa, liberi da remore che potrebbero frenare il nostro slancio verso il bene.
    Se una persona ci offende, noi possiamo anche aspettare che ritorni ed aprirgli le braccia per riaccoglierla come amica: l’Amore va oltre, e non aspetta che torniamo, ma ci viene incontro.
    L’istruzione ci insegna le cose necessarie perché possiamo percorrere ognuno la nostra strada, ma l’Amore va oltre e ci guida passo-passo.
    Ogni volta poi che sento parlare della filosofia buddista e del concetto di ‘compassione’ in essa illustrato e che molti ammirano, subito mi viene in mente questa parabola del Vangelo:

    Salito su una barca, Gesù passò all’altra riva e giunse nella sua città. Ed ecco, gli portarono un paralitico steso su un letto. Gesù, vista la loro fede, disse al paralitico: “Coraggio, figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati”. Allora alcuni scribi cominciarono a pensare: “Costui bestemmia”. Ma Gesù, conoscendo i loro pensieri, disse: “Perché mai pensate cose malvagie nel vostro cuore? Che cosa dunque è più facile, dire: Ti sono rimessi i peccati, o dire: Alzati e cammina? Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere in terra di rimettere i peccati: alzati, disse allora al paralitico, prendi il tuo letto e và a casa tua”. Ed egli si alzò e andò a casa sua.

    La compassione umana non può che limitarsi a cercare di alleviare le sofferenze con la medicina ed a stare psicologicamente vicino al paziente, ma L’AMORE VA OLTRE e pensa anche alla sola cosa che conta veramente: si preoccupa della salvezza dell’anima.
    Con il NATALE infine, L’AMORE è andato OLTRE ciò che la mente umana è in grado di comprendere e di accettare: l’INFINITO si è racchiuso dentro un guscio, nel seno della Vergine Maria, per poi nascere da lei, venire alla luce, nuovo sia la luce, secondo big-bang, per farsi come noi e permetterci di diventare come Lui.
    Il primo sia la luce è opera di Dio Padre, creatore del cielo e della terra e della prima umanità in Adamo, sorta dal nulla;
    il secondo sia la luce (lo abbiamo accennato sopra) è il frutto dell’azione combinata del Dio Spirito e della Vergine Maria, una seconda umanità libera dal peccato originale e segno vivente di quella nuova alleanza che Dio vuole stipulare con l’Uomo: con la sua disubbidienza, l’uomo (da libero che era) si è voluto rendere servo, ma come abbiamo detto all’inizio, Dio dimentica il peccato, e non solo ci libera dal male, ma ci rende anche figli in Cristo Gesù;
    il terzo sia la luce avviene grazie a Gesù stesso, il Dio Figlio,che nella sua Morte e Risurrezione, nel suo tornare alla luce dopo l’agonia della croce, ci prefigura la terza umanità che sorgerà alla fine dei tempi, quando ci saranno cieli nuovi e terra nuova: sarà quello il regno di Dio, che, come si legge nella Bibbia, è un regno di giustizia, di amore e di pace, di verità e vita, di santità e grazia.
    Come ho scritto in una occasione precedente (vedi interv. del febb./09), Dio è Uno, ma noi cogliamo un diverso aspetto del suo ESSERE TRINITARIO a seconda del tempo in cui si manifesta.
    Notate infine come nel descrivere il regno di Dio si passa da valori umani, via via a valori sempre più spirituali: è questo il percorso che ognuno di noi è chiamato a fare, anche se abbiamo appena intrapreso la via della giustizia e della pace, siamo ancora lontani da quella dell’Amore, e per le altre probabilmente ci sarà da aspettare i cieli nuovi e la terra nuova.
    Concludo riportando alcune osservazioni di don Angelo Casati:
    il congiungimento tra terra e cielo che l’uomo voleva realizzare con la torre di Babele è avvenuto non con la tecnologia umana, ma perché Dio è sceso sulla terra con il Natale;
    Gesù è stato adagiato su una mangiatoia, ma questo termine indicava anche la cesta nella quale i pastori mettevano il cibo (ciò che serve per mangiare, da cui il nome mangiatoia) che si portavano al pascolo: è bello pensare, dice don Angelo, a un Dio che portiamo con noi tra le cose umili e necessarie alla nostra vita, ad un Dio alimento per il nostro cammino; ed io aggiungerei che oltre ad essere nella cesta insieme al pane ed al vino per il nostro nutrimento materiale, questo essere adagiato nel posto in cui si metteva il cibo, al posto del pane e del vino, prefigura il fatto che si farà Lui stesso pane e vino, cibo per la nostra anima.
    Per quanto attiene la verità sulla data nella quale celebriamo il Natale, riporto di seguito un articolo di Vittorio Messori:

    Succede che in un momento di malumore io abbia auspicato che la Chiesa si decida a una modifica del calendario: spostare al 15 di agosto quel che celebra il 25 di dicembre. Un Natale nel deserto estivo, argomentavo, ci libererebbe dalle insopportabili luminarie, dalle stucchevoli slitte con renne e babbinatali, persino dall’obbligo degli auguri e dei regali. Quando tutti sono via, quando le città sono vuote, a chi - e dove - mandare cartoline e consegnare pacchi con nastri e fiocchetti? Non sono i vescovi stessi a tuonare contro quella sorta di orgia consumistica cui sono ridotti i nostri Natali? E allora, spiazziamo i commercianti, spostiamo tutto a Ferragosto. La cosa, osservavo, non sembra impossibile: in effetti, non fu la necessità storica, fu la Chiesa a scegliere il 25 dicembre per contrastare e sostituire le feste pagane nei giorni del solstizio d’inverno. La nascita del Cristo al posto della rinascita del Sol invictus.
    All’inizio, dunque, ci fu una decisione pastorale che può essere mutata, variando le necessità. Una provocazione, ovviamente, che si basava però su ciò che è (o, meglio, era) pacificamente ammesso da tutti gli studiosi: la collocazione liturgica del Natale è una scelta arbitraria, senza collegamento con la data della nascita di Gesù, che nessuno sarebbe in grado di determinare. Ebbene, pare proprio che gli esperti si siano sbagliati; e io, ovviamente, con loro. In realtà oggi, anche grazie ai documenti di Qumran, potremmo essere in grado di stabilirlo con precisione: Gesù è nato proprio un 25 dicembre. Una scoperta straordinaria sul serio e che non può essere sospettata di fini apologetici cristiani, visto che la dobbiamo a un docente, ebreo, della Università di Gerusalemme. Vediamo di capire il meccanismo, che è complesso ma affascinante. Se Gesù è nato un 25 dicembre, il concepimento verginale è avvenuto, ovviamente, 9 mesi prima. E, in effetti, i calendari cristiani pongono al 25 marzo l’annunciazione a Maria dell’angelo Gabriele. Ma sappiamo dallo stesso Vangelo di Luca che giusto sei mesi prima era stato concepito da Elisabetta il precursore, Giovanni, che sarà detto il Battista. La Chiesa cattolica non ha una festa liturgica per quel concepimento, mentre le antiche Chiese d’Oriente lo celebrano solennemente tra il 23 e il 25 settembre. E, cioè, sei mesi prima dell’Annunciazione a Maria.
    Una successione di date logica ma basata su tradizioni inverificabili, non su eventi localizzabili nel tempo. Così credevano tutti, fino a tempi recentissimi. In realtà, sembra proprio che non sia così. In effetti, è giusto dal concepimento di Giovanni che dobbiamo partire. Il Vangelo di Luca si apre con la storia dell’anziana coppia, Zaccaria ed Elisabetta, ormai rassegnata alla sterilità, una delle peggiori disgrazie in Israele. Zaccaria apparteneva alla casta sacerdotale e, un giorno che era di servizio nel tempio di Gerusalemme, ebbe la visione di Gabriele (lo stesso angelo che sei mesi dopo si presenterà a Maria, a Nazareth) che gli annunciava che, malgrado l’età avanzata, lui e la moglie avrebbero avuto un figlio. Dovevano chiamarlo Giovanni e sarebbe stato “grande davanti al Signore”. Luca ha cura di precisare che Zaccaria apparteneva alla classe sacerdotale di Abia e che quando ebbe l’apparizione “officiava nel turno della sua classe”. In effetti, coloro che nell’antico Israele appartenevano alla casta sacerdotale erano divisi in 24 classi che, avvicendandosi in ordine immutabile, dovevano prestare servizio liturgico al tempio per una settimana, due volte l’anno. Sapevamo che la classe di Zaccaria, quella di Abia, era l’ottava, nell’elenco ufficiale. Ma quando cadevano i suoi turni di servizio? Nessuno lo sapeva. Ebbene, utilizzando anche ricerche svolte da altri specialisti e lavorando, soprattutto, su testi rinvenuti nella biblioteca essena di Qumran, ecco che l’enigma è stato violato dal professor Shemarjahu Talmon che, come si diceva, insegna alla Università ebraica di Gerusalemme. Lo studioso, cioè, è riuscito a precisare in che ordine cronologico si susseguivano le 24 classi sacerdotali. Quella di Abia prestava servizio liturgico al tempio due volte l’anno, come le altre, e una di quelle volte era nell’ultima settimana di settembre.
    Dunque, era verosimile la tradizione dei cristiani orientali che pone tra il 23 e il 25 settembre l’annuncio a Zaccaria. Ma questa verosimiglianza si è avvicinata alla certezza perché, stimolati dalla scoperta del professor Talmon, gli studiosi hanno ricostruito la “filiera” di quella tradizione, giungendo alla conclusione che essa proveniva direttamente dalla Chiesa primitiva, giudeo-cristiana, di Gerusalemme. Una memoria antichissima quanto tenacissima, quella delle Chiese d’Oriente, come confermato in molti altri casi. Ecco, dunque, che ciò che sembrava mitico assume, improvvisamente, nuova verosimiglianza. Una catena di eventi che si estende su 15 mesi: in settembre l’annuncio a Zaccaria e il giorno dopo il concepimento di Giovanni; in marzo, sei mesi dopo, l’annuncio a Maria; in giugno, tre mesi dopo, la nascita di Giovanni; sei mesi dopo, la nascita di Gesù. Con quest’ultimo evento arriviamo giusto al 25 dicembre. Giorno che, dunque, non fu fissato a caso. Ma sì, pare proprio che il Natale a Ferragosto sia improponibile. Ne farò, dunque, ammenda ma, più che umiliato, piuttosto emozionato: dopo tanti secoli di ricerca accanita i Vangeli non cessano di riservare sorprese. Dettagli apparentemente inutili (che c’importava che Zaccaria appartenesse alla classe sacerdotale di Abia? Nessun esegeta vi prestava attenzione) mostrano all’improvviso la loro ragion d’essere, il loro carattere di segni di una verità nascosta ma precisa. Malgrado tutto, l’avventura cristiana continua.


    Auguro a tutti un buon Natale, e che lo Spirito del Signore ci guidi in ogni istante della nostra vita, facendoci crescere in amore e sapienza.

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    (24.12.09) NATALE: IL GIORNO DEL DIO BAMBINO (Michele Scozzarra) - Il Natale 2009, come del resto il Natale 2008, così come tutti gli altri, sarà per tanti cristiani e non cristiani, quindi per l'intera società, il ritorno di una consuetudine largamente prevista e addirittura tollerata nella struttura impietosa e disumana di questa società. Una parentesi, nella quale cristiani e no si prodigano a ritrovare i sentimenti della loro infanzia, i sentimenti e le aspirazioni dimenticati da anni, qualche residuo di bontà che fa aprire almeno il giorno di Natale le case e le istituzioni ai poveri, come se il problema fosse un pasto dignitoso a Natale.
    Il Natale come una caramella: la si assapora, la si succhia, si scioglie e qualche istante dopo non rimane più niente. Non dico che non ci siano cose buone o momenti significativi o testimonianze di benevolenza contro l'orrore dei rapporti quotidiani, retti solo da logiche di potere e di sopraffazione, ma il Natale cristiano non è questo.
    Tutto accadde in una piccola capanna, o una grotta, nell’immensa notte del mondo. Quella capanna è più grande dei neri spazi infiniti, anche se in essa c’è a mala pena posto per un neonato, un uomo e una donna, un bue e un asino, perché in essa entra il mondo. Non solo i pastori ma tutti gli uomini, anche quelli vissuti prima e quelli che vivranno dopo, perché quella nascita «ha spalancato la porta oscura del tempo», come si dice Benedetto XVI. È la rinascita dell’umanità intera, di allora di prima e di dopo, perché quel bambino non è venuto a fondare un’altra religione, forse superflua visto che ce n’erano e ce ne sono già troppe, bensì a cambiare la vita. La madre ha concepito quel neonato in maniera scandalosa, estranea a ogni benpensante moralismo matrimoniale; il padre lo ha accolto con coraggio e con l’amore di chi sa che ogni creatura è figlia di Dio e dunque nostra figlia. Il bue e l’asino, che riscaldano il bambino col loro fiato, lo proteggono in quel momento forse non meno dei genitori e ci ricordano gli oscuri cugini animali che vivono accanto a noi, neppur essi estranei al disegno e all’amore divino.
    Giampaolo Pansa alla domanda di un giornalista “che cosa dice a te il Natale?”, ha risposto: “Ricordo che mi spaventavano le illustrazioni del libro di religione, quell’inferno in cui bruciavano i corpi nudi. Poi sono sparito nel limbo degli agnostici. Oggi, la sera, quando vado a dormire, con mia moglie preghiamo i nostri genitori. E Gesù Bambino: parliamo di Dio, ma non di un Dio anziano, con il barbone. No, di un Dio bambino, buono, tenero. Penso a Dio con quelle fattezze, perché mi sembra più disposto a perdonare le mie sciocchezze, i miei peccati. Ho sempre pensato che ci fosse il nulla dopo la morte. Ora ne sono sempre meno convinto. Preferirei che ci fosse il famoso giudizio: Pansa? Dove lo mandiamo? Inferno, purgatorio, paradiso? Natale è Dio che viene sulla terra, ma che resta perennemente bambino, che è buono. E poi nascere in quelle condizioni! Un profugo, sotto la tenda… Ricordo la cura impressionante con cui io e mia sorella facevamo il presepe. Papà portava in casa due assi che diventavano un tavolone. La capanna ancora vuota mi colpiva sempre: un bambino, nascere lì, in quel modo, avrà freddo… E mia sorella: «Ma che dici! Ci sono il bue e l’asino. Poi san Giuseppe, vuoi che non ci pensi?». Ecco, io sono rimasto a quel bambino lì, in quella capanna. Il Papa parla di ragione e ragionevolezza. Be’, io forse non sono un uomo “ragionevole”. Lavoro molto con il cuore, con il mio bisogno. Non so se questa parabola mi porterà a essere credente. Ma se dovessi riscoprire Dio credo che sarei guidato da quel bambino, dal Dio di Natale, dal Dio della nascita. E sarei spinto dal bisogno che ho di Lui. Lo avverto in un modo prepotente, soprattutto la sera, dopo aver lavorato tutta la giornata. Ho bisogno di Lui. Anche soltanto dieci anni fa non ci pensavo. Ma oggi mi chiedo se con la morte finisce tutto. Cosa c’è dopo? C’è qualche posto in cui posso andare?”
    Una volta chi si riaccostava alla Chiesa, dopo mesi o anni di latitanza, percepiva un messaggio semplice e chiaro. C'erano i dieci comandamenti da rispettare, e soprattutto un confessionale che dispensava il perdono anche ai peccatori più incalliti. Se un cristiano molto incoerente del V secolo fosse entrato in una chiesa di Roma, sicuramente avrebbe percepito nelle parole di Leone Magno un grande segno di speranza: "Il nostro Salvatore, carissimi, oggi è nato: rallegriamoci! Non c'è spazio per la tristezza nel giorno in cui nasce la vita... Nessuno è escluso da questa felicità... Esulti il santo perché si avvicina al premio; gioisca il peccatore perché gli è offerto il perdono; riprenda coraggio il pagano perché è chiamato alla vita".
    Fu tutto più semplice, anche per quei poveri pastori della Palestina. Nessuno gli chiese di essere più buoni. Di impegnarsi di più. Di ripetere discorsi. Si imbatterono, mentre erano dediti alla loro normale occupazione, in una presenza straordinaria. Ma umanissima: una ragazza aveva dato alla luce un bambino. C'era solo da andare a vedere. Tutti quanti... nessuno escluso!
    Anche noi come loro… dopo 2009 anni…
    Buon Natale a tutti.

    Nelle foto: in alto natività; in basso adorazione dei Magi.


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    (30.12.09) IL VATICANO II E LA LIBERTA' DELLA (E NELLA) CHIESA (Domenico Distilo) - Quasi mezzo secolo fa il Concilio Vaticano II, aperto da Giovanni XXIII nel 1962 e chiuso da Paolo VI nel 1965, sanciva, secondo l’interpretazione più comune e diffusa – ancorché non in toto condivisibile - la fine dell’arroccamento della Chiesa cattolica su posizioni che sarebbero state di chiusura allo spirito della modernità.
    L’apertura allo Zeitgeist, allo spirito del tempo, o dei tempi, avrebbe significato, tra l’altro, una maggiore circolazione delle idee nella stessa chiesa, tra la chiesa e le chiese, in particolare quelle riformate, e tra le religioni, con l’avvio di un dialogo che si sperava fecondo soprattutto con le altre due religioni del Libro, l’Ebraismo e l’Islam. Dall’ecumenismo, dal dialogo con tutte le genti – la cosiddetta ecumene - sarebbero scaturite, erano questi gli auspici, conseguenze positive per tutti nella ricerca e nel confronto su una verità che si intendeva unica anche se ciascuno la interpretava e declinava a suo modo.
    Duole constatare, oggi, che il dialogo con Ebraismo e Islam si svolge, da parte della Chiesa cattolica, all’insegna dell’omaggio indiscriminato al politically correct, con il ridimensionamento o la riformulazione di affermazioni del Sommo Pontefice che, dal punto di vista di un cattolico, sarebbero senz’altro più comprensibili e condivisibili nella versione originaria.
    Prendiamo gli ultimi due casi in ordine di tempo ma non d’importanza: la lezione di Papa Ratzinger all’università di Ratisbona nel 2006 e il congelamento, di fatto, del processo di beatificazione di Pio XII a seguito della reazione delle comunità ebraiche.
    A Ratisbona Benedetto XVI aveva detto una cosa storicamente indiscutibile, che mentre il Cristianesimo ha adottato le categorie della filosofia greca, declinando il logos come rifiuto della violenza, non si può dire altrettanto dell’Islam, il cui messaggio è intriso di violenza, essendo il jihad, la guerra santa, intrinseco, consustanziale alla religione fondata da Maometto. Apriti cielo! Da tutto il mondo islamico, anche da quello moderato, si sono levate proteste accompagnate dalla minaccia, non poi tanto tra le righe, di qualche fatwa di condanna a morte che, data l’organizzazione orizzontale dell’Islam, un qualsiasi muftì avrebbe potuto emanare trovando qualche adepto disposto a metterla in pratica – magari facendosi saltare per aria.
    Qualche giorno dopo Benedetto XVI è stato costretto a rivedere, precisare, alla fine ritirare quanto aveva detto. La verità storica, questo è il punto, non la si può, non la si deve dire, non la può dire neppure il Papa se essa urta la sensibilità dei seguaci di Maometto. E’perciò vietato dire quello che tutti i musulmani sanno: che il mondo vicino a quello da loro abitato (la “dimora della pace”) è la “dimora della guerra”, il luogo dove va portata la guerra santa perché così sta scritto nel Corano.
    Una marcia indietro analoga si è avuta dopo la levata di scudi delle comunità israelite all’annuncio che la beatificazione di Pio XII era da considerarsi imminente. Quel che si capisce è che Papa Pacelli può aspettare perché i rapporti con l’Ebraismo non possono essere compromessi.
    Anche qui la verità storica è stata sacrificata alle esigenze dell’ecumenismo. Tutti sanno – e lo ha riconosciuto Arrigo Levi, un giornalista famoso di origine, cultura e formazione ebraiche in un articolo per La Stampa del 19 dicembre - che Pio XII si è adoperato in mille modi per salvare quanti più ebrei possibile, riuscendo a sottrarne migliaia alle camere a gas. Se non ha preso posizione in modo esplicito contro la barbarie del nazionalsocialismo è solo per una valutazione di opportunità e prudenza, in quanto un documento ufficiale di condanna avrebbe inasprito Hitler e i suoi scherani contro lo stesso Papa, rendendo impraticabili per gli ebrei i luoghi – conventi, ambasciate, istituti religiosi - nei quali trovavano rifugio.
    La mancata ufficialità della condanna viene però utilizzata per far passare Pio XII per filonazista, anche se ciò va contro ogni ragionamento storicamente plausibile, che ha cioè nei fatti il proprio ubi consistam. Le tesi di Pio XII filonazista invece che su fatti si basano su presunte omissioni che, fino a quando la logica avrà un valore, non potranno essere considerate alla stregua di fatti..
    Il bilancio di cinquant’anni di ecumenismo è dunque più o meno il seguente: la Chiesa cattolica è “libera” di fare ammenda per le presunte colpe del passato, mentre gli altri continuano a pensare di essere e di essere sempre stati nel giusto. Alzi la mano colui al quale sia mai capitato di ascoltare un musulmano, un ebreo o un seguace delle religioni riformate fare ammenda di alcunché, mentre è stato addirittura il Papa ad ammettere gli errori del passato. E’ nota, tra le tante, l’ammissione relativa al caso Galileo, avvenuta in un’epoca (gli anni Ottanta del secolo scorso) nella quale la riflessione epistemologica – postpopperiana, non certo d’ispirazione cattolica, si pensi a P.Feyerabend - era già andata ben oltre la condanna laicista distribuendo equamente – con criterio involontariamente storicistico - i torti e le ragioni tra i protagonisti.
    L’ecumenismo risulta perciò asimmetrico: il prezzo del dialogo lo paga sempre e comunque la Chiesa cattolica, come se le altre religioni e confessioni non avessero nulla da farsi perdonare.
    La disponibilità verso l’esterno spinta fino all’autoflagellazione si trasforma però, quando si tratta di teologi cattolici con posizioni divergenti da quelle magisteriali, in netto ostracismo e, dove possibile, in provvedimenti disciplinari. Si tratta di un atteggiamento contraddittorio con quel logos giustamente considerato da Benedetto XVI componente fondamentale e imprescindibile della dottrina cattolica. Poiché il logos si alimenta con la ricerca ed il dibattito, non si vede perché non debbano essere considerati teologi cattolici a pieno titolo un Hans Kung (tra l’altro ispiratore di molti testi conciliari) e, in Italia, un Vito Mancuso. Se il logos è libertà di pensiero, tale libertà non può intendersi come libertà di pensare ciò che stabilisce il Magistero. A meno di non accettare le contraddizioni, come suggerisce un autorevole esegeta quale Vittorio Messori, come parte integrante della Catholica.

    Nella foto: un momento del Concilio Vaticano II.


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