Quale attività avete, in questi quattro anni, svolto visto il mandato ricevuto dagli elettori?
Leggendo gli articoli di stampa (non essendoci stato mai nessun incontro con l'agglomerato del fantomatico centro), noto che il problema principale di Galatro sono le quisquilie procedurali di trascrizione dei verbali da parte del Segretario comunale...
Quale rapporto agli elettori avete svolto?
Perchè ci sono dei "distinguo" tra di voi?
Un suggerimento: visionando il bilancio comunale con più oculatezza e gestione, si potrebbe abbassare la pressione fiscale gravante sui galatresi di circa il 15%, che porterebbe un risparmio nelle famiglie di circa 300 € annue.
Non si tratta né di alchimie contabili, né di finanza creativa, né di cartolarizzazione ecc.; mi propongo, se vi interessa, di farvi visionare una bozza, anche inerente alle Terme (nota molto dolente e argomento tabù per tutti, anche per voi Minoranza).
In attesa... anche perché sono sicuro che non riceverò risposta e ciò consoliderà la mia decisione di essere scappato da Galatro portando via anche la residenza anagrafica.
(6.10.09) DISTINGUIAMO FRA GIORNATE DI FESTA E DONAZIONI (Biagio Cirillo) - Cara Caterina Sigillò,
mi sembra che stiamo facendo una gran confusione: la giornata dedicata alla Madonna della Montagna non ha niente a che vedere né con la serata festosa fatta con il contributo dei cittadini credenti e meno credenti, né con le donazione per le malattie di qualunque genere.
A me dispiace dei problemi di tua figlia, ma la richiesta è a mio parere egoista. I soldi delle donazioni si possono chiedere e dare in altre circostanze. Se le donne dell’ADOS hanno potuto dare i soldi all’associazione per la malattia della tua bambina è grazie alle feste che organizzano e non alla chiesa. La Madonna, come dici tu, ha bisogno delle preghiere così come i credenti, o meglio dire i cittadini galatresi, hanno bisogno della festa, proprio quella festa di cui ricordano i nostri genitori, i nostri nonni e bisnonni.
Non pensare che parlo senza senso, anche a casa mia abbiamo grossi problemi di salute. E' da ben 26 anni che combattiamo e all’associazione per le nostre malattie versiamo spesso e volentieri dei soldi, anzi diffondiamo il numero per la donazione, ma mai mi permetterei di dire che invece di fare una festa i soldi dovrebbero essere spesi per la causa che mi appartiene.
Scrivere questo mi è costata tanta fatica, e capisco anche la tua disperazione ma, credi a me, se tutti (e dicendo tutti inserisco il mio nome e anche il tuo) dovessimo fare una vita miserabile e aiutare chi è più bisognoso, sono sicuro che né io né tu e né tantissimi altri rinunceremmo a cellulari, macchine, mobili nuovi, uscire a pranzo o a cena almeno 2 o 3 volte al mese o altre piccole o grandi distrazioni, piuttosto che rinunciare e dare tutto in beneficenza.
Troppo bello sarebbe questo per le persone che stanno male. Purtroppo, o forse per fortuna, delle piccole o grandi distrazioni nella vita ne abbiamo bisogno tutti, sia se abbiamo problemi o se stiamo bene.
Detto questo, mi scuso con le persone che potrebbero interpretare il mio discorso in modo diverso da quella che era la mia intenzione.
Cara Caterina non me ne vogliate se ho scritto tutto questo, e lasciamo che si festeggi la Madonna sia in chiesa che in piazza, perché non si può vivere di sola chiesa.
Un abbraccio a tutti.
(9.10.09) MARIO LUCIA POTEVA DISCUTERE PRIMA DI DISSOCIARSI DALLA MINORANZA (Arianna Sigillò) - Non poteva mancare "la mia". Con mio grande rammarico non ho potuto assistere all'ultimo consiglio comunale, pur essendo stata aggiornata sommariamente sugli ultimi accadimenti all'interno di "palazzo San Nicola". Mi sa che si sta un po' perdendo di mira il reale scopo dei consigli comunali. Dai resoconti che mi sono pervenuti, dai "per sentito dire", mi sa che la situaziione attuale dell'amministrazione in generale (minoranza così come maggioranza) sia diventata molto simile a quella dell'asilo, dove il tema principale delle discussioni è "voler avere ragione".
Si è per così dire divisa la minoranza, ma fondamentalmente non per "colpa di argomenti strumentali non in linea con la politica propria di un opposizione che dovrebbe raccogliere tutte le energie per condividere problemi e porre soluzioni", ma perchè attorno ad alcuni membri della minoranza fluttua ancora lo spettro della "mancata vittoria" alle elezioni comunali del 2006.
Il consigliere Mario Lucia afferma che viene a mancare il senso di democrazia ed i presupposti per portare avanti le problematiche inerenti lo sviluppo della nostra piccola comunità". Io suppongo che prima di prendere tale decisione, quella di dissociarsi dalla minoranza, non abbia discusso al di fuori dell'aula consigliare con i diretti interessati, perchè in tal caso si sarebbero evitate "screditanti piazzate del genere".
Vuole "costituire un gruppo autonomo all'interno della minoranza" e a quale pro? Ridicolizzare ulteriormente la già "tragica" situazione? Perchè con una "mossa" del genere solo questo succederebbe!
Il Centro Popolare Galatrese non ha "mai trovato un ubi consistam" per l'assenza di una "plausibile guida politica e culturale"? Facendo un resoconto dell'attuale statica, e decadente situazione (ahimè) del nostro paese, mi sorge
il dubbio che neanche l'attuale amministrazione sia in "possesso" di una "guida politica e culturale" così come ne erano prive le precedenti. A parte le belle iniziative dell'assessore Pina Panetta, per la quale nutro una forte simpatia e
stima, e la carismatica disponibilità di Bruno Scoleri, ciò che sino ad oggi ha intrapreso la nostra maggioranza è stato solo un qualcosa per "tentare di mettersi in mostra", come una bella vetrina dietro la quale però vengono esposte
parecchie "cianfrusaglie".
Non vedo tutta questa unione nella maggioranza, anche perchè il paese è piccolo e tutti sanno i fatti di tutti. Esiste però,
all'interno dell'attuale amministrazione il senso del "dovere", dove in linea di massima nessuno crea problemi all'altro perchè, chi in un modo e chi in un altro, "devono" tutti qualcosa a qualcuno!
Circa la questione "verbali male interpretati", non credo che Pietro Ozimo sia un visionario. Probabilmente un minimo di fondamento ci sarà se continua a "batterci sopra" in maniera costante. Non voglio pensare alla "mala fede" del segretario, ma probabilmente, rivestendo tale ruolo da parecchio tempo è possibile che cominci a "perdere colpi" fraintendendo o riportando in maniera errata gli argomenti all'ordine del giorno dei vari consigli.
In quanto alle domande poste da Vito Crea all'amministrazione (minoranza e maggioranza) in toto ritengo che siano
momentaneamente fuori luogo, anche perchè ci sono problemi ben più imponenti che attendono delle soluzioni!
(12.10.09) DIFENDO IL MIO OPERATO (Pietro Ozimo) - In merito all’articolo “Ozimo torna alla carica sui verbali: con Lucia è rottura” apparso sul sito di “Galatro Terme News” vorrei dire alcune cose: 1. Non si tratta di un “documento presentato e sottoscritto dal solo Ozimo” ma di una lettera inviata a S.E. il Prefetto a firma del capogruppo Francesco Pietro Ozimo. 2. Prima di inviare la lettera al Prefetto ho messo a conoscenza tutto il Gruppo Consigliare del Centro Popolare Galatrese e parte dei costituenti il C.P.G. inoltre ho dato copia per conoscenza, nel Consiglio Comunale del 29/09/09, al Sindaco Carmelo Panetta, Consiglio che per la mancanza del numero legale andò deserto. 3. Voglio ribadire che, gli argomenti trattati nel Gruppo di minoranza sono dettati da un forte senso di democrazia e le mie azioni, oggi capogruppo accettato con regolare lettera inviata al Sindaco e firmata anche dal consigliere Lucia, vengono articolate con il coinvolgimento di tutto il gruppo, ovviamente chi non condivide tali azioni, per ragioni varie, non può che dissociarsi. 4. Visto l’intervento nel Consiglio Comunale del 30/09/09, di seconda convocazione, non posso che prendere atto che il consigliere Lucia si è tirato fuori dal Gruppo di minoranza, ma considerando i comportamenti assunti dallo stesso, in molti Consigli Comunali, mi viene da pensare che non si è mai sentito parte integrante del Gruppo. 5. Il Gruppo Centro Popolare Galatrese non si è sciolto, come si vuol far credere, ma stiamo valutando l’astensione dai prossimi incontri di Consiglio Comunale.
invio copia della lettera inviata a S.E. il Prefetto per divulgarla attraverso il vostro sito, almeno spero, affinché tutti possano conoscerne il contenuto.
Caro Pietro,
hai proprio l’ossessione dei dettagli. Abbiamo parlato di un documento senza specificare a chi sia stato indirizzato (particolare che, nel caso specifico, pensiamo sia irrilevante). Tra l’altro abbiamo sorvolato anche sulla questione delle firme. Non si capisce se abbia firmato solo tu in rappresentanza degli altri componenti il gruppo (ma, in tal caso, come la mettiamo con la dissociazione di Lucia?) o se sia stata acquisita da lungi, per fax o per posta elettronica, la firma dei due consiglieri che ci risulta si trovassero fuori sede.
Il resoconto da noi fatto contiene, comunque, la sostanza politica dell’episodio, che è ciò che più conta.
Quanto all’esistenza o non esistenza del CPG, abbiamo riassunto il senso politico della vicenda di questo movimento nella frase “giunge al capolinea”. Allo stato degli atti, non abbiamo certo detto un’eresia.
LA REDAZIONE
(10.11.09) NELLE TESTIMONIANZE DALL'ARGENTINA UN DOVEROSO ELOGIO DELLA NOSTRA ITALIANITA' (Michele Scozzarra) - E’ sotto gli occhi di tutti come il tema dell’identità del popolo italiano è uno degli argomenti più dibattuti degli ultimi anni, e anche se questa identità continua a rimanere una specie di mistero, si appalesa sempre di più come l’autodenigrazione continua, ad essere lo sport nazionale degli italiani: frasi come “è inutile, siamo in Italia” o “cose fatte all’italiana” spesso vengono dette per indicare una cosa fatta male, inefficiente, pressappochista, magari corrotta.
A leggere l’intervento di mia cugina Pina Lamanna, “L’Italiano nel mondo: un bagaglio di cultura”, al contrario, abbiamo modo di pensare che la civiltà non sarebbe quella che è senza l’apporto degli italiani, un apporto millenario e che continua ancora oggi: “Oltreoceano la sensazione è la stessa, basta soltanto avere nel tuo sangue un po’ d’italiano, già ti senti in familiarità con qualcuno che trovi per strada attraverso il mondo, perché l’italiano è così: è famiglia, è amicizia, è una buona tavola dove si condivide la gioia e anche il pane amaro. La cultura italiana non ha bisogno di presentazione, è la più ricca del mondo… oggi si può godere di un patrimonio artistico insuperabile a cielo aperto… soltanto così si può sentire l’Italia”.
Come negare che l’articolo di Pina Lamanna si presenta come un buon tonico, che arriva dall’altra parte dell’oceano, come stimolo a recuperare l’orgoglio delle nostre radici, quasi come un invito a cessare una nostra atavica pratica autolesionista, nella certezza che non c’è stato campo in cui gli italiani non sono stati sempre primi, negli ambiti più importanti della cultura e della scienza.
Ho visto le foto della processione della Madonna della Montagna in Argentina: ho notato con quanto orgoglio si portano i segni della nostra religiosità, della nostra cultura e della nostra Patria.
Sono rimasto affascinato nel vedere come la dottoressa Raffaela Cuppari (la prima donna galatrese che si è laureata all’estero, docente alla Facoltà di Economia dell’Università di Buenos Aires, fondatrice e attuale presidente del “Coordinamento Donne Italo-Argentine” a Buenos Aires) orgogliosamente fiera delle sue radici e delle tradizioni della nostra terra, non disdegni di portare, durante la processione della Madonna, i simboli della tradizione galatrese in Argentina, per dirla con le parole di Pina Lamanna “questo ricco bagaglio culturale, tanto caro agli italiani e a tutti coloro che hanno conosciuto l’Italia attraverso le sue manifestazioni”.
La lettura dell’articolo di Pina mi ha portato a rispolverare un vecchio libro di Rino Cammilleri: “Doveroso elogio degli italiani. Contro il vizio dell'autodenigrazione”, che cerca di spiegare come e perché l’Italia sia passata da “faro culturale”… a oggetto di disprezzo altrui.
Così come le testimonianze che ci vengono dai nostri amici dell’Argentina, Cammilleri individua brevemente quale dovrebbe essere il vero punto nodale della nostra identità e si dilunga nell’elencare i meriti storici degli italiani, anche se il libro inizia con una “amara” riflessione di Giuseppe Prezzolini: “In quasi ogni Italiano c’è un’intensa gelosia verso ogni altro Italiano, sicché preferisce il dominio di qualunque straniero a quello che gli sta accanto, e non considera che con piacere l’incendio della casa del vicino anche se la propria va in fiamme. Lo sforzo fatto dagli Italiani per distruggersi a vicenda, se si potesse parlar di storia in termini di fisica, avrebbe potuto dar all’Italia il dominio del mondo e fosse stato sommato e diretto invece nel senso opposto”.
Noi italiani, come nota Prezzolini, siamo gli unici al mondo a praticare il vizio dell'autodenigrazione senza mai sostituirlo con la virtù dell'autocritica. Siamo sempre pronti a citare le nostre sconfitte, a sentirci messi in causa quando si parla di evasione fiscale, tangenti, faccendieri, poco o nessun rispetto per le leggi e via di seguito senza pensare che anche gli altri Paesi non godono di miglior salute. Perché, invece, non ricordare che il più famoso e antico club londinese fu fondato nel 1963 dall'italiano Francesco Bianchi, che le norme assicurative ancor oggi in vigore presso i prestigiosi Lloyds furono redatte a Firenze nel 1523 e che la rinomata nouvelle cousine è un’invenzione di Leonardo da Vinci? Che il primo dizionario alfabetico fu compilato dal bergamasco Ambrogio Calepino nel 1502, che siamo stati i primi ad introdurre l’uso della forchetta, che abbiamo inventato bazzecole come il telefono, il barometro, il motore a scoppio, lo sfigmanometro e via elencando?
Che ne è stato di quell’Italia un tempo faro di civiltà e maestra di vita per tutta la cristianità? Tutta colpa di Lutero che, facendo di tutte le erbe un fascio, fece di Roma e dell’Italia, terra di papi e sede della Chiesa cattolica, una Babilonia di demoni, streghe ed esseri diabolici.
Occorre dunque recuperare un po’ di amor proprio, di orgoglio per le nostre radici dimostrando che l’Italia non ha nulla da invidiare alle cosiddette “nazioni avanzate”, e indignarci quel tanto che basta di fronte a frasi come “Italiani macaroni”, o peggio ancora “Italiani mafiosi”.
Come si può fare questo…? Tanto per cominciare, nel ringraziare e riflettere sulle testimonianze di “orgogliosa appartenenza” al nostro Bel Paese che ci arrivano dai nostri amici che vivono all’estero…
Se incominciamo a prendere coscienza di questo, piano piano, anche i nostri più agguerriti denigratori si renderanno conto che siamo molto migliori di quanto loro pensano… e che l’originalità della tradizione italiana, in tutte le sue forme, nel mondo non ha eguali!
Nelle foto: in alto la copertina del libro di Rino Cammilleri sull'italianità; al centro la dott.ssa Raffaela Cuppari porta a La Tablada il gonfalone della Madonna della Montagna; in basso Pina Lamanna durante un suo intervento alla "Giornata dell'immigrato italiano".
(11.11.09) IO MI PARTIVI DI TANTU LUNTANU (Pasquale Cannatà) - Nei giorni scorsi ho ripreso in mano il quaderno su cui mio padre annotava i suoi pensieri e le cose che riteneva più importanti tra quelle sentite o lette, ed ho trovato al suo interno il foglietto commemorativo (visualizza) con le parole scritte da mio fratello in occasione della sua morte (…ci insegnasti, con la tua fede, a vivere per amare e ci parlasti di una nuova vita oltre la vita).
Queste parole e quelle di una delle più belle canzoni che a Galatro si intonano in occasione della festa della Madonna della Montagna e dei pellegrinaggi a Polsi o ad altri santuari mariani mi hanno fatto pensare ai diversi tipi di viaggio che possiamo fare durante la nostra esistenza: ci spostiamo nel breve per motivi di lavoro e per le ordinarie esigenze della vita quotidiana; con minore frequenza ci spostiamo per lunghi viaggi di piacere (io mi partivi di tantu luntanu) con l’obiettivo di raggiungere una bella meta (mu vegnu pemmu arrivu a la Madonna); il viaggio più importante non è però uno dei tanti che facciamo nello spazio, ma quello nel tempo che percorriamo dalla nascita alla morte, oltre la quale non sappiamo con certezza cosa ci sia. Ed il versetto la Madonna pari na culonna mi porta ad immaginare, oltre che un sostegno sicuro, anche le colonne d’Ercole, mitico limite del mondo conosciuto nell’antichità: se la nostra fidi resta salda fino al termine della nostra vita, e/o la speranza torna anche se per un certo periodo abbiamo percorso sentieri lontani da essa, la Madonna ci aspetterà ai piedi delle colonne d’Ercole per accompagnarci nel passaggio a quella nuova vita oltre la vita che ci è stata rivelata e promessa.
Da più lontano ancora comincia il cammino che ognuno di noi compie nella propria crescita culturale, e rileggendo “lo scritto” di mio padre (così lui chiamava il suo quaderno di appunti) ho toccato con mano da quanto lontano sono partito nel maturare le mie convinzioni, dal momento che vi ho trovato molte idee che credevo mie, ma che evidentemente avevo assimilato per averle ascoltate da lui fin da bambino, nello stesso modo in cui lui le aveva apprese da altri vissuti prima, e così via a ritroso nel tempo (non possiamo non dirci…).
Da molto lontano (dalla Polonia e dai 455 anni passati prima di avere un papa non italiano dopo l’olandese Adriano VI) è partito Giovanni Paolo II per compiere la sua missione apostolica, ma il viaggio più sorprendente della storia è l’esodo, l’uscita del popolo ebreo dall’Egitto per raggiungere la terra promessa che non era molto lontana in termini di spazio, ma che era lontanissima nel tempo, essendo stata agognata per tutti i 430 anni di schiavitù e poi sospirata nei 40 anni passati a vagare nel deserto.
Mosè era stato adottato dalla figlia del faraone ed allevato come un principe d’Egitto, ed in quanto tale era candidato alla successione al trono: una volta venuto a conoscenza di far parte anche lui della stirpe di Giacobbe, poteva decidere di aiutare il suo popolo ridotto ad una condizione servile, operando da una posizione di potere e di comando.
Ma queste non sono le vie del Signore: mentre dopo l’incarnazione in Gesù (attraverso il quale si era manifestata nella forma più evidente la sua Divinità) Egli opera per mezzo dei Suoi Santi, quando ha deciso di plasmare un popolo che credesse fermamente in Lui, ha voluto agire in prima persona, così che gli avvenimenti più grandiosi (nascita di Isacco da una donna sterile e per giunta molto avanti negli anni, passaggio del mar Rosso, manna nel deserto, caduta delle mura di Gerico, ecc.) fossero inequivocabilmente attribuiti ad una azione divina e non ad opera umana.
Dio aveva promesso ad Abramo una terra per la grande discendenza che sarebbe nata da lui, ma in attesa che dai 12 figli di Giacobbe si formassero nei secoli successivi le 12 tribù di Israele, e che l'iniquità degli Amorrei raggiungesse il colmo così da consentire alla Sua Giustizia infinita (vedi interv. maggio/09) di operare per la loro distruzione, bisognava che si creassero le condizioni adatte allo scopo: ed ecco allora che alla originaria accoglienza di quel centinaio di persone da parte del faraone vissuto ai tempi di Giuseppe, segue negli egiziani del tempo di Mosè la paura per la presenza di un popolo che dopo tutti quegli anni si era moltiplicato a dismisura.
Se la benevolenza degli egiziani fosse continuata, il popolo ebreo si sarebbe mescolato alla popolazione autoctona assimilandone usi e costumi e non avrebbe mai lasciato l’Egitto; non sarebbe partito neanche se Mosè, stante l’attuale condizione di schiavitù, avesse raggiunto il potere e fatto delle leggi che eliminassero o anche solamente alleviassero le loro sofferenze. Era dunque necessario che gli egiziani (a cui faceva comodo avere degli schiavi per i lavori più umili e pesanti), gli ebrei (che attribuivano agli dei pagani la potenza dei faraoni), e lo stesso Mosè (che non era molto convinto di essere all’altezza del compito affidatogli) fossero testimoni con tutti i loro sensi della grande potenza dell’unico vero Dio, il cui ricordo si era ormai sbiadito nella mente dei discendenti di Abramo: perciò il Signore non impedisce che il cuore del faraone (per suo libero arbitrio) si indurisca, comandi l’uccisione di tutti i figli maschi degli ebrei per arrestarne la crescita demografica e resti impassibile davanti ai primi prodigi compiuti da Lui per mezzo di Mosè per convincerlo a lasciar andare via gli israeliani, provocando una escalation di avvenimenti sempre più gravi fino alla morte dei primogeniti egiziani.
Questa missione comincia quando Dio si manifesta a Mosè presso il roveto ardente, ed alla richiesta di quest’ultimo di conoscere il Suo nome si rivela come “Io Sono” (vedi interv. febbraio/09): a differenza di tutti gli idoli adorati in ogni tempo ed in ogni luogo, forme senza vita, egli è il DIO VIVENTE, COLUI CHE E’, vita che non ha bisogno di forma, di nomi altisonanti, che non è necessario raffigurarsi; a differenza di tutti i creatori di religioni/filosofie che sono vissuti e poi passati, egli E’, eterno presente, sorgente di vita, che ha la vita in se stesso.
Il susseguirsi delle dieci piaghe, da quelle più semplici e innocue che anche i maghi del faraone riescono a riprodurre, a quelle più dannose (che i non credenti vedono come coincidenze di avvenimenti naturali), distraggono gli egiziani dalla sorveglianza degli schiavi e consentono a questi ultimi di avere il tempo di prepararsi per il lungo viaggio: l’ultima e più terribile piaga (e ricordiamo che il faraone aveva per molti anni, con l’approvazione e la delazione di tutto il suo popolo, perseguito lo sterminio di tutti i neonati maschi degli ebrei), mentre da una parte fa decidere il faraone per la liberazione, dall’altra preclude agli israeliani ogni possibilità di ritorno in Egitto per paura delle inevitabili vendette che si sarebbero compiute ai loro danni dopo tutto quello che era successo. Realizzata dunque la prima parte della promessa (si è formato un popolo più numeroso delle stelle del cielo) ora inizia il viaggio verso la nuova terra dove insediarsi.
Se Mosè avesse condotto la sua gente verso la terra di Canaan per la strada più breve, trascorso il periodo di lutto gli egiziani avrebbero potuto raggiungerli via terra e vendicarsi sterminandoli: per questo motivo Dio li guida in direzione del mar Rosso, sulle sponde del quale avviene il grande miracolo.
Leggiamo:
allora Mosè stese la mano sul mare. E il Signore durante tutta la notte, risospinse il mare con un forte vento d’oriente, rendendolo asciutto; le acque si divisero. Gli Israeliti entrarono nel mare asciutto, mentre le acque erano per loro una muraglia a destra e a sinistra. Gli Egiziani li inseguirono con tutti i cavalli del faraone, i suoi carri e i suoi cavalieri, entrando dietro di loro in mezzo al mare.
Ma alla veglia del mattino il Signore dalla colonna di fuoco e di nube gettò uno sguardo sul campo degli Egiziani e lo mise in rotta. Frenò le ruote dei loro carri, così che a stento riuscivano a spingerle. Allora gli Egiziani dissero: “Fuggiamo di fronte a Israele, perché il Signore combatte per loro contro gli Egiziani!”.
Il Signore disse a Mosè: “Stendi la mano sul mare: le acque si riversino sugli Egiziani, sui loro carri e i loro cavalieri”.
Mosè stese la mano sul mare e il mare, sul far del mattino, tornò al suo livello consueto, mentre gli Egiziani, fuggendo, gli si dirigevano contro. Il Signore li travolse così in mezzo al mare. Le acque ritornarono e sommersero i carri e i cavalieri di tutto l’esercito del faraone, che erano entrati nel mare dietro a Israele: non ne scampò neppure uno. Invece gli Israeliti avevano camminato sull’asciutto in mezzo al mare, mentre le acque erano per loro una muraglia a destra e a sinistra.
Naturalmente coloro che si rifiutano di credere, pur accettando la successione degli avvenimenti descritti, attribuiscono il forte vento d’oriente a cause naturali che guarda caso si sono manifestate nel momento e nel posto più giusti per gli ebrei.
La natura umana è debole e fragile: nonostante avessero vissuto da protagonisti, in prima persona, gli avvenimenti che li avevano condotti fino al monte Sinai, lontani dalla schiavitù, quando Mosè si attarda in cima al monte per quaranta giorni per ricevere le tavole della legge, gli israeliti hanno paura che lui non torni più e si costruiscono un idolo che li guidi in sua vece. Non essendo culturalmente capaci di concepire un ESSERE di cui non esistevano le sembianze, si sono fatti costruire un oggetto, un non-essere che però appariva in forma splendente d’oro: l’opposizione tra l’essere ed il nulla è paragonabile a quella tra grazia e peccato, così che la Giustizia di Dio avrebbe voluto intervenire subito per punire gli ebrei sterminandoli. Ma c’è una grande forza nell’uomo, capace di cambiare il corso degli eventi: è la preghiera fatta con amore (vedi interv. Marzo/09), la stessa fatta da Abramo per salvare gli abitanti di Sodoma e Gomorra, e che Mosè utilizza molte volte per salvare i suoi fratelli che in tante occasioni mormorano contro di lui manifestando addirittura il desiderio di ritornare in schiavitù in Egitto pur di avere quel poco che lì era loro concesso di avere. Il Signore accetta questa intercessione, e mentre punisce con la morte immediata per mano dei leviti i responsabili della realizzazione del vitello d’oro (potremmo dire i mandanti, perché Aronne era stato costretto a realizzarlo materialmente, ma contro la sua volontà), punisce gli altri facendo si che non loro, ma i discendenti di quelli che erano usciti dall’Egitto entrassero nella terra promessa.
Leggiamo:
Il Signore disse a Mosè: “Fino a quando mi disprezzerà questo popolo? E fino a quando non avranno fede in me, dopo tutti i miracoli che ho fatti in mezzo a loro? Io lo colpirò con la peste e lo distruggerò, ma farò di te una nazione più grande e più potente di esso”.
Mosè disse al Signore: “Ma gli Egiziani hanno saputo che tu hai fatto uscire questo popolo con la tua potenza e lo hanno detto agli abitanti di questo paese. Essi hanno udito che tu, Signore, sei in mezzo a questo popolo, e ti mostri loro faccia a faccia, che la tua nube si ferma sopra di loro e che cammini davanti a loro di giorno in una colonna di nube e di notte in una colonna di fuoco. Ora se fai perire questo popolo come un solo uomo, le nazioni che hanno udito la tua fama, diranno: Siccome il Signore non è stato in grado di far entrare questo popolo nel paese che aveva giurato di dargli, li ha ammazzati nel deserto.
Il Signore disse: “Io perdono come tu hai chiesto; ma, per la mia vita, com’è vero che tutta la terra sarà piena della gloria del Signore, tutti quegli uomini che hanno visto la mia gloria e i prodigi compiuti da me in Egitto e nel deserto e tuttavia mi hanno messo alla prova già dieci volte e non hanno obbedito alla mia voce, certo non vedranno il paese che ho giurato di dare ai loro padri. Nessuno di quelli che mi hanno disprezzato lo vedrà;
I 40 anni passati nel deserto non furono soltanto una punizione per gli ebrei tentati dall’idolatria, ma anche il tempo necessario perché Mosè desse al popolo disposizioni anche di carattere igienico per preservarli da malattie del corpo, istituisse la figura del sacerdote, ed emanasse quelle leggi senza le quali gli israeliti avrebbero perso anche il senso del peccato ed infine ogni contatto con Dio: dobbiamo rilevare che nonostante constatassero la presenza di Dio in mezzo a loro, o forse proprio per questo, i discendenti di Abramo facevano sempre maggiori richieste al Signore, quasi pretendevano che fosse al loro servizio. E’ questo il grande equivoco in cui ancora oggi cadono molti uomini, e se Dio non soddisfa i loro desideri, Lo accusano e Lo ingiuriano.
Neanche Mosè ed Aronne entreranno nella terra promessa, un po' per problemi di età avanzata, ma anche perché in occasione del secondo miracolo dell’acqua sgorgata dalla roccia hanno dubitato per un attimo della potenza del Signore: così, prima di morire, Mosè chiamò Giosuè e gli disse alla presenza di tutto Israele: “Sii forte e fatti animo, perché tu entrerai con questo popolo nel paese, che il Signore ai loro padri giurò di darvi: tu gliene darai il possesso. Il Signore stesso cammina davanti a te; egli sarà con te, non ti lascerà e non ti abbandonerà; non temere e non ti perdere d’animo!”.
Affidato questo compito al suo successore e dopo aver benedetto una per una le 12 tribù di Israele, Mosè lasciò questa vita per andare alla presenza di quel Dio che aveva visto “faccia a faccia”, ma della cui Potenza, Giustizia e Amore aveva avuto solo una pallida idea mentre era in cammino su questo piccolo pianeta: infatti la manifestazione di Dio per mezzo di Mosè sta alla pienezza del Suo ESSERE come le grandezze che noi possiamo misurare sulla terra stanno all’universo intero. Preghiamo perchè lo Spirito del Signore ci guidi in ogni istante della nostra vita, facendoci crescere in amore e sapienza, così che arrivando con fiducia e senza perderci d’animo davanti alle colonne d’Ercole possiamo essere accolti dalle amorevoli braccia di Maria che ci accompagnerà nella nuova vita che ci è riservata oltre questa vita.
(17.11.09) SALUTANDO IL RITORNO DELLE SUORE A GALATRO (Michele Scozzarra) - “Sono in fase avanzata le trattative per far tornare le suore a Galatro e, se tutto andrà per il verso giusto, nella prossima primavera sarà riaperto l’appartamento che ha ospitato per anni le religiose dell’Ordine di don Luigi Guanella”: con queste parole il nostro don Cosimo, nei giorni scorsi, ha dato l’annuncio del ritorno delle suore nella nostra Parrocchia.
Questa notizia, da un lato, ci riempie di gioia perché si possono riprendere tante attività della Parrocchia svolte dalle suore, quali le visite ad anziani e ammalati o le più svariate iniziative per la formazione dei ragazzi; dall’altro ci porta, andando indietro con la memoria, a rivedere i volti delle suore che sono già state in mezzo a noi ed esprimere la nostra gratitudine ed il nostro affetto soprattutto verso suor Teresa Brandolese, suor Ginetta Siviero e la compianta suor Elena Fogo ed a quante dopo di loro si sono avvicendate nella nostra Parrocchia.
Molti sono i ricordi e tanta la voglia di esternarli… anche se sono consapevole che molti ricordi sono rimasti scolpiti nel cuore di ognuno di noi, che ha avuto modo di stare vicino alle suore, come bagaglio inesprimibile e prezioso di tutto quel periodo il cui ricordo è ancora vivissimo.
Proprio per questo senso di gratitudine, mi piace salutare la notizia dell’arrivo delle nuove suore, con una mia intervista a suor Teresa, suor Ginetta e suor Elena, pubblicata il 14 ottobre del 1979 su “il Gruppo”, come caro ricordo e segno di riconoscimento e gratitudine per la missione che, per molti anni, hanno svolto nella nostra comunità.
LE SUORE A GALATRO: UN ANNO DOPO *
Ottobre 1978: arrivano a Galatro tre suore, c’è molta attesa, anche questo è un segno.
Ottobre 1979: è da un anno che le suore sono in mezzo a noi.
Abbiamo voluto ricordare questo anniversario, facendo in modo che le stesse suore ci parlassero della loro permanenza a Galatro.
In un incontro molto amichevole, abbiamo parlato a lungo, raccogliendo una testimonianza che pensiamo di dover comunicare.
“Per me l’ideale era di arrivare in Calabria – dice suor Ginetta – sono stata sempre insieme a delle suore calabresi e mi hanno parlato sempre bene della gente di Calabria. Dove mi trovavo prima, le persone non si conoscevano neanche da porta a porta, per loro la suora era importante solo quando avevano il bambino da mandare a scuola…”. “Venendo qua il mio entusiasmo si è raddoppiato – continua suor Teresa – proprio perché non era quella realtà che, sotto sotto, temevo; ho visto un’apertura meravigliosa, i bambini poi, così entusiasti, sono stati quelli che mi hanno veramente travolto… Poi le difficoltà sono arrivate, piano piano, una per una… ma, questo non toglie che l’entusiasmo ce l’abbia ancora e posso ringraziare il Signore delle cose che sono state fatte in questi mesi che siamo stati qui. Quello che mi ha colpito di più, che mi entusiasma, è il lavoro che si fa in montagna, lo sento particolarmente, perché quei bambini là, li ho visti davvero trasformarsi sotto i miei occhi. Io vado in montagna durante la settimana e la domenica, anzi aspetto sempre il giorno che devo andare, con molto entusiasmo. Ho notato che, forse per la prima volta, quei bambini sentivano una buona parola”.
Suor Teresa ci parla con entusiasmo dei bambini della montagna, ma anche in paese ci sono molti bambini… “E’ diverso – continua suor Teresa – quando i bambini vengono da noi, e partecipano al canto, alle scenette, alle passeggiate, vengono spontaneamente, ma non c’è un genitore, o almeno li puoi contare quelli che dicono: “vai dalle suore…”, mentre in montagna trovo tutta una genuinità evangelica che mi entusiasma. Veramente sento che non sono tanto io che do a quei bambini, quanto quello che ricevo da quella gente. Anche entrare nelle loro famiglie, quel poco che hanno lo condividono con te, magari alla loro maniera, maniere forse, che non sono i nostri modi, ma te lo danno con un cuore che è più grande di loro, e questo veramente me li fa amare, me li fa apprezzare, e ringraziare il Signore di essere venuta qua”.
Suor Ginetta insegna nella Scuola Materna, anche lei è a contatto con i bambini. Chiediamo quali sono i rapporti con i bambini e con le loro famiglie. “Io penso – dice suor Ginetta – che mettendo tutti quei pulmini, anche per i bambini che abitano a due passi dall’asilo, i genitori non si vedono mai. Io l’ho detto a più mamme che sono abituate a troppe cose. Non vengono ad iscrivere il loro bambino se non passa il pulmino a dire che è aperta l’iscrizione. Ma muoviti tu, mamma o genitore, a trovare un posto al tuo bambino! Chi vedi durante l’anno? Se tu non mandi un biglietto a casa, che poi pure si arrabbiano, non vedi nessuno. Io vorrei che i genitori venissero qualche volta, invece… manca un dialogo. Questo dialogo senz’altro verrà col tempo, perché io ho già visto un miglioramento dallo scorso anno a questo”.
Parlando della loro vita a Galatro, ci siamo trovati a parlare della nostra realtà paesana: “Io penso che è la realtà che c’è dappertutto, quelle poche persone che girano intorno, troviamo che sono persone sensibili. Se c’è una cosa che non mi va – continua suor Teresa – è che spesso, lo dico anche alla gente, è inutile stare a dire tanti rosari, fare tante offerte alla Madonna, e poi odiarsi. Questo mi colpisce. Io credo che qualcosa cambi con i giovani, io ho tanta fiducia nei giovani e, penso che Galatro riuscirà ad avere un bel risveglio religioso. Qui sono i bambini che devono venire su con una mentalità diversa… c’è bisogno di tempo, di convinzione, di pazienza”.
La visita agli anziani fa parte anche della missione che stanno vivendo le suore, anche quella è un bell’apostolato. Su questo interviene suor Elena: “Dopo trent’anni che sono in Calabria, non penso di trovare delle difficoltà, anche perché le persone sono molto affabili. Quando vado a visitare gli ammalati, a fare visita alle vecchiette, sono accolta con tanta cordialità e sono contenta di fermarmi a parlare, di fare compagnia. Ora stiamo preparando un lavoro, per andare a fare visita agli ammalati, in modo che, una volta al mese, tutti possiamo incontrarci e eventualmente fare anche la comunione”.
Continuando la nostra conversazione, non potevamo non domandare alle suore: “Cosa si aspettava la gente dalle suore?...”. “Non so se la gente si aspettava da noi quello che abbiamo fatto – dice suor Teresa – sarebbe anche interessante per noi sapere che cosa la gente si aspettava. Adesso che ci ha visto, che ha visto quello che siamo, quello che abbiamo fatto, con i nostri difetti, la nostre qualità, con i doni che Dio ci ha dato, che cosa si aspettava la gente? Abbiamo sentito qualcuno che diceva: “Ma noi pensavamo che le suore stessero sempre in casa, facessero la scuola di cucito, pulissero la Chiesa…”. Noi siamo qui per portare un messaggio, un messaggio che anche noi abbiamo ricevuto e lo trasmettiamo così, per quello che siamo e per quello che Dio ci ha dato. Se le cose andassero tutte bene, non c’è la mano di Dio, se tu trovi l’appoggio dappertutto, se tutti ti applaudono, ti elogiano, non ci credere, anzi, è un segno che le cose non vanno. Allora, davanti a questo pensiero di fede che ti trasforma interiormente, anche se ti schiaccia, perché ti umilia, possiamo dire: “Questo è il Segno, è il posto dell’obbedienza, qui il Signor lavora”. Se pensiamo in una trasformazione, non la pensiamo tanto per le nostre iniziative, né tanto per quello che noi faremo, ma per quello che Lui farà, proprio attraverso questi contrasti, che, piccoli o grandi, ci aiutano a crescere”.
* Da “Il Gruppo”, domenica 14 ottobre 1979
Nelle foto: in alto Don Cosimo Furfaro, al centro Michele Scozzarra con suor Teresa, Ginetta ed Elena nel 1979, in basso l'interno della chiesa della Montagna prima di una funzione.
P.S. - Per qualsiasi ragguaglio metto a disposizione il mio indirizzo e-mail: pietrozimo@alice.it
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A Pietro Ozimo non vanno bene i resoconti notarili del segretario comunale. Figuriamoci quelli giornalistici!
Nel pezzo, è Ozimo a riconoscerlo, c’era l’essenziale, cioè la richiesta di ricusazione del Segretario comunale per incompatibilità ambientale. Ma c’era anche dell’altro: che Lucia ha abbandonato il gruppo di minoranza e che di fatto Ozimo è rimasto solo (essendo gli altri due membri della minoranza assenti per motivi personali).
Mancavano le dichiarazioni circa la decisione di andare sull’Aventino, che ci sono parse tanto inutilmente drammatizzanti quanto irrilevanti.
Non capiamo dove sarebbero le ipocrisie. Abbiamo usato un registro ironico e le ironie sono cosa diversa dalle ipocrisie.
Saremmo ipocriti se avessimo detto a Ozimo che condividiamo la sua battaglia sui verbali per poi sparargli alle spalle.
Abbiamo invece sempre sostenuto, su Galatro Terme News ma anche in alcuni pourparler con lui, che a nostro avviso si tratta di una battaglia de minimis, su quisquilie. Opinione condivisa dalla stessa autorità giudiziaria, che ha rigettato la denuncia del dottor Misiti a Ozimo giudicandone inconsistente il merito, l’oggetto del contendere.
Per i chiarimenti che vuole dare, infine, Ozimo può scrivere su Galatro Terme News quello che ritiene (ovviamente nel rispetto delle persone e della legalità), come ha sempre fatto. Non gli negheremo certo lo spazio né gli infliggeremo censure di sorta.
LAREDAZIONE
Salito su una barca, Gesù passò all’altra riva e giunse nella sua città. Ed ecco, gli portarono un paralitico steso su un letto. Gesù, vista la loro fede, disse al paralitico: “Coraggio, figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati”. Allora alcuni scribi cominciarono a pensare: “Costui bestemmia”. Ma Gesù, conoscendo i loro pensieri, disse: “Perché mai pensate cose malvagie nel vostro cuore? Che cosa dunque è più facile, dire: Ti sono rimessi i peccati, o dire: Alzati e cammina? Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere in terra di rimettere i peccati: alzati, disse allora al paralitico, prendi il tuo letto e và a casa tua”. Ed egli si alzò e andò a casa sua.
La compassione umana non può che limitarsi a cercare di alleviare le sofferenze con la medicina ed a stare psicologicamente vicino al paziente, ma L’AMORE VA OLTRE e pensa anche alla sola cosa che conta veramente: si preoccupa della salvezza dell’anima.
Con il NATALE infine, L’AMORE è andato OLTRE ciò che la mente umana è in grado di comprendere e di accettare: l’INFINITO si è racchiuso dentro un guscio, nel seno della Vergine Maria, per poi nascere da lei, venire alla luce, nuovo sia la luce, secondo big-bang, per farsi come noi e permetterci di diventare come Lui.
Il primo sia la luce è opera di Dio Padre, creatore del cielo e della terra e della prima umanità in Adamo, sorta dal nulla;
il secondo sia la luce (lo abbiamo accennato sopra) è il frutto dell’azione combinata del Dio Spirito e della Vergine Maria, una seconda umanità libera dal peccato originale e segno vivente di quella nuova alleanza che Dio vuole stipulare con l’Uomo: con la sua disubbidienza, l’uomo (da libero che era) si è voluto rendere servo, ma come abbiamo detto all’inizio, Dio dimentica il peccato, e non solo ci libera dal male, ma ci rende anche figli in Cristo Gesù;
il terzo sia la luce avviene grazie a Gesù stesso, il Dio Figlio,che nella sua Morte e Risurrezione, nel suo tornare alla luce dopo l’agonia della croce, ci prefigura la terza umanità che sorgerà alla fine dei tempi, quando ci saranno cieli nuovi e terra nuova: sarà quello il regno di Dio, che, come si legge nella Bibbia, è un regno di giustizia, di amore e di pace, di verità e vita, di santità e grazia.
Come ho scritto in una occasione precedente (vedi interv. del febb./09), Dio è Uno, ma noi cogliamo un diverso aspetto del suo ESSERE TRINITARIO a seconda del tempo in cui si manifesta.
Notate infine come nel descrivere il regno di Dio si passa da valori umani, via via a valori sempre più spirituali: è questo il percorso che ognuno di noi è chiamato a fare, anche se abbiamo appena intrapreso la via della giustizia e della pace, siamo ancora lontani da quella dell’Amore, e per le altre probabilmente ci sarà da aspettare i cieli nuovi e la terra nuova.
Concludo riportando alcune osservazioni di don Angelo Casati:
il congiungimento tra terra e cielo che l’uomo voleva realizzare con la torre di Babele è avvenuto non con la tecnologia umana, ma perché Dio è sceso sulla terra con il Natale;
Gesù è stato adagiato su una mangiatoia, ma questo termine indicava anche la cesta nella quale i pastori mettevano il cibo (ciò che serve per mangiare, da cui il nome mangiatoia) che si portavano al pascolo: è bello pensare, dice don Angelo, a un Dio che portiamo con noi tra le cose umili e necessarie alla nostra vita, ad un Dio alimento per il nostro cammino; ed io aggiungerei che oltre ad essere nella cesta insieme al pane ed al vino per il nostro nutrimento materiale, questo essere adagiato nel posto in cui si metteva il cibo, al posto del pane e del vino, prefigura il fatto che si farà Lui stesso pane e vino, cibo per la nostra anima.
Per quanto attiene la verità sulla data nella quale celebriamo il Natale, riporto di seguito un articolo di Vittorio Messori:
Succede che in un momento di malumore io abbia auspicato che la Chiesa si decida a una modifica del calendario: spostare al 15 di agosto quel che celebra il 25 di dicembre. Un Natale nel deserto estivo, argomentavo, ci libererebbe dalle insopportabili luminarie, dalle stucchevoli slitte con renne e babbinatali, persino dall’obbligo degli auguri e dei regali. Quando tutti sono via, quando le città sono vuote, a chi - e dove - mandare cartoline e consegnare pacchi con nastri e fiocchetti? Non sono i vescovi stessi a tuonare contro quella sorta di orgia consumistica cui sono ridotti i nostri Natali? E allora, spiazziamo i commercianti, spostiamo tutto a Ferragosto. La cosa, osservavo, non sembra impossibile: in effetti, non fu la necessità storica, fu la Chiesa a scegliere il 25 dicembre per contrastare e sostituire le feste pagane nei giorni del solstizio d’inverno. La nascita del Cristo al posto della rinascita del Sol invictus.
All’inizio, dunque, ci fu una decisione pastorale che può essere mutata, variando le necessità. Una provocazione, ovviamente, che si basava però su ciò che è (o, meglio, era) pacificamente ammesso da tutti gli studiosi: la collocazione liturgica del Natale è una scelta arbitraria, senza collegamento con la data della nascita di Gesù, che nessuno sarebbe in grado di determinare. Ebbene, pare proprio che gli esperti si siano sbagliati; e io, ovviamente, con loro. In realtà oggi, anche grazie ai documenti di Qumran, potremmo essere in grado di stabilirlo con precisione: Gesù è nato proprio un 25 dicembre. Una scoperta straordinaria sul serio e che non può essere sospettata di fini apologetici cristiani, visto che la dobbiamo a un docente, ebreo, della Università di Gerusalemme. Vediamo di capire il meccanismo, che è complesso ma affascinante. Se Gesù è nato un 25 dicembre, il concepimento verginale è avvenuto, ovviamente, 9 mesi prima. E, in effetti, i calendari cristiani pongono al 25 marzo l’annunciazione a Maria dell’angelo Gabriele. Ma sappiamo dallo stesso Vangelo di Luca che giusto sei mesi prima era stato concepito da Elisabetta il precursore, Giovanni, che sarà detto il Battista. La Chiesa cattolica non ha una festa liturgica per quel concepimento, mentre le antiche Chiese d’Oriente lo celebrano solennemente tra il 23 e il 25 settembre. E, cioè, sei mesi prima dell’Annunciazione a Maria.
Una successione di date logica ma basata su tradizioni inverificabili, non su eventi localizzabili nel tempo. Così credevano tutti, fino a tempi recentissimi. In realtà, sembra proprio che non sia così. In effetti, è giusto dal concepimento di Giovanni che dobbiamo partire. Il Vangelo di Luca si apre con la storia dell’anziana coppia, Zaccaria ed Elisabetta, ormai rassegnata alla sterilità, una delle peggiori disgrazie in Israele. Zaccaria apparteneva alla casta sacerdotale e, un giorno che era di servizio nel tempio di Gerusalemme, ebbe la visione di Gabriele (lo stesso angelo che sei mesi dopo si presenterà a Maria, a Nazareth) che gli annunciava che, malgrado l’età avanzata, lui e la moglie avrebbero avuto un figlio. Dovevano chiamarlo Giovanni e sarebbe stato “grande davanti al Signore”. Luca ha cura di precisare che Zaccaria apparteneva alla classe sacerdotale di Abia e che quando ebbe l’apparizione “officiava nel turno della sua classe”. In effetti, coloro che nell’antico Israele appartenevano alla casta sacerdotale erano divisi in 24 classi che, avvicendandosi in ordine immutabile, dovevano prestare servizio liturgico al tempio per una settimana, due volte l’anno. Sapevamo che la classe di Zaccaria, quella di Abia, era l’ottava, nell’elenco ufficiale. Ma quando cadevano i suoi turni di servizio? Nessuno lo sapeva. Ebbene, utilizzando anche ricerche svolte da altri specialisti e lavorando, soprattutto, su testi rinvenuti nella biblioteca essena di Qumran, ecco che l’enigma è stato violato dal professor Shemarjahu Talmon che, come si diceva, insegna alla Università ebraica di Gerusalemme. Lo studioso, cioè, è riuscito a precisare in che ordine cronologico si susseguivano le 24 classi sacerdotali. Quella di Abia prestava servizio liturgico al tempio due volte l’anno, come le altre, e una di quelle volte era nell’ultima settimana di settembre.
Dunque, era verosimile la tradizione dei cristiani orientali che pone tra il 23 e il 25 settembre l’annuncio a Zaccaria. Ma questa verosimiglianza si è avvicinata alla certezza perché, stimolati dalla scoperta del professor Talmon, gli studiosi hanno ricostruito la “filiera” di quella tradizione, giungendo alla conclusione che essa proveniva direttamente dalla Chiesa primitiva, giudeo-cristiana, di Gerusalemme. Una memoria antichissima quanto tenacissima, quella delle Chiese d’Oriente, come confermato in molti altri casi. Ecco, dunque, che ciò che sembrava mitico assume, improvvisamente, nuova verosimiglianza. Una catena di eventi che si estende su 15 mesi: in settembre l’annuncio a Zaccaria e il giorno dopo il concepimento di Giovanni; in marzo, sei mesi dopo, l’annuncio a Maria; in giugno, tre mesi dopo, la nascita di Giovanni; sei mesi dopo, la nascita di Gesù. Con quest’ultimo evento arriviamo giusto al 25 dicembre. Giorno che, dunque, non fu fissato a caso. Ma sì, pare proprio che il Natale a Ferragosto sia improponibile. Ne farò, dunque, ammenda ma, più che umiliato, piuttosto emozionato: dopo tanti secoli di ricerca accanita i Vangeli non cessano di riservare sorprese. Dettagli apparentemente inutili (che c’importava che Zaccaria appartenesse alla classe sacerdotale di Abia? Nessun esegeta vi prestava attenzione) mostrano all’improvviso la loro ragion d’essere, il loro carattere di segni di una verità nascosta ma precisa. Malgrado tutto, l’avventura cristiana continua.
Auguro a tutti un buon Natale, e che lo Spirito del Signore ci guidi in ogni istante della nostra vita, facendoci crescere in amore e sapienza.