MAPPA METEO RECAPITI UTILI MERCATINO FOTO CODICE FISCALE PAGINE RADIO GALATRO IERI E OGGI FIRME
Archivi Generali  
< apr-giu 10 Commenti 2010
Luglio-Settembre
ott-dic 10 >

1.7.10 - Cose belle e meno belle
Biagio Cirillo

5.7.10 - Questioni di punteggiatura
Pasquale Cannatà

7.7.10 - All'ombra dei cipressi e dentro l'urne
Nuala Distilo

16.7.10 - La sinistra galatrese nell'anno che verrà

20.7.10 - Sulla morte di Mino D'Amato
Michele Scozzarra

22.7.10 - Ruspe e cipressi
Arianna Sigillò

25.7.10 - Nell'arte l'antica bellezza di Galatro
Michele Scozzarra

6.8.10 - Valorizzare il nostro patrimonio artistico
Michele Scozzarra

8.8.10 - Un saluto dal nostro Direttore
Marialetizia Bonanno

11.8.10 - I miei auguri alla nuova Direttrice
Pina Lamanna

12.8.10 - Cercare la propria pace... guardando le stelle
Michele Scozzarra

17.8.10 - L'anomalia italiana e il signor B.
Domenico Distilo

18.8.10 - Cossiga... scompare un Presidente
Michele Scozzarra

18.8.10 - Nell'anniversario della morte di Alcide De Gasperi
Michele Scozzarra

26.8.10 - A cento anni dalla nascita di Madre Teresa di Calcutta
Michele Scozzarra

31.8.10 - Impariamo a convivere con i rettili
Carmela Raso

9.9.10 - Fini e la destra che non c'è
Domenico Distilo

14.9.10 - Un messaggio su cui riflettere
Don Giuseppe Sofrà





(1.7.10) COSE BELLE E MENO BELLE (Biagio Cirillo) - Cari amici, da tempo non mi faccio sentire, ma non vuol dire che mi sono dimenticato del sito, anzi lo seguo giornalmente.
Ultimamente tante sono le novità a Galatro, infatti voglio fare i complimenti ad una persona eccezionale che ha valorizzato il nostro
dialetto galatrese, il professore Umberto Distilo che ha fatto quello che nessuno si poteva mai aspettare, lavorare per tanti anni per poter lasciare ai nostri eredi una traccia significativa della nostra cultura Galatrese, il "Dialetto", quel dialetto che nell’ultima generazione si è sempre di più italianizzato.
Fra tutte le cose belle che ho letto, c’è ne una che mi lascia l’amaro in bocca: il taglio dei cipressi del cimitero, anzi "du Campusantu" e, visto che sono ancora rimasto Galatrese a tutti gli effetti anche se residente a Bolzano, la vicenda mi sta a cuore, perché sono anche ricordi del mio passato e non riuscirei a pensare il cimitero senza i cipressi secolari.
Ho cercato di saperne di più facendo domande ai miei compaesani, ma ancora oggi non so se la verità è il “dispetto”, o è quella che sono "malati e pericolosi".
Non voglio fare il rompiballe e nemmeno l’impiccione, vorrei solo sapere dal nostro Sindaco Carmelo Panetta, che ho sempre stimato, se ci sono state delle perizie da parte di un esperto e se c’è una relazione in proposito; e anche se sono malati a tal punto che non si può più intervenire curandoli come vedo fare a Bolzano per tanti alberi secolari.
Caro Sindaco, col massimo rispetto, mi piacerebbe avere notizie sul sito di Galatro prima che questo “scempio" (nel caso risultassero sani dopo il taglio) accada; avere delle prove di quanto si è scritto e detto fino a oggi. Sarebbe un vero peccato fare uno sbaglio irrimediabile in caso di errore di valutazione, anche perché dopo il taglio si noterà sicuramente se i cipressi erano marci o meno.
Convinto che avrò risposta sincera, e scusandomi anticipatamente delle richieste, porgo i miei saluti a tutta la popolazione di Galatro, al Sindaco, alla Giunta e a tutto lo staff di Galatro Terme News.

Torna ai titoli


(5.7.10) QUESTIONI DI PUNTEGGIATURA (Pasquale Cannatà) - Duemila anni fa i romani, i greci e tutte le altre civiltà che conoscevano la scrittura, riportavano i loro testi (documenti ufficiali oppure opere letterarie) senza intervallare le frasi con la punteggiatura.
Avveniva così che un concetto poteva assumere due significati diversi a seconda di dove si metteva un punto o una virgola, ecc...
Per esempio, noi leggiamo nel Vangelo che Gesù dice ad uno dei due ladroni: io ti dico, oggi sarai con me in paradiso, per cui crediamo che il paradiso esiste già e che le persone meritevoli ci vanno da subito. I testimoni di geova scrivono invece io ti dico oggi, sarai con me in paradiso, per cui affermano che il paradiso non esiste ancora, e che sarà una diversa forma di esistenza, magari qui su questa stessa terra.
Non mi è ancora chiaro se Giovanni Battista è voce di uno che grida: nel deserto preparate la via… nel senso che dobbiamo impegnarci a lavorare per il bene anche nelle condizioni più avverse con la speranza di portare buoni frutti, oppure è voce di uno che grida nel deserto: preparate la via… nel senso che ci affanniamo invano ad annunciare la Verità pur sapendo che rimarremo inascoltati.
Io non ho la pretesa di annunciare una verità, ma inserendomi nel dibattito relativo ai
cipressi del cimitero ho la certezza di essere una delle tante voci che gridano nel deserto: se una decisione è stata presa, probabilmente quando verrò a Galatro per le vacanze mi troverò di fronte al fatto compiuto. I nostri amministratori hanno fatto il punto della situazione e non sposteranno nemmeno una virgola per dare un altro significato alla loro decisione, tenendo conto del punto di vista di altri cittadini.
La mia opinione è comunque questa: i cipressi sono organi viventi, e se le radici crescono demolendo parte della pavimentazione o delle murette delle tombe vicine, non è un segno di debolezza delle piante, ma della loro forza e vitalità, ed è più logico riparare le opere murarie a loro adiacenti che tagliare gli alberi che rappresentano la vita delle persone a noi care che lì riposano; se i cipressi hanno una qualche malattia che ne mina la stabilità così che possano cadere provocando danni a persone o cose, bisogna prima interpellare un esperto botanico per vedere se è possibile risanarli o fare un telaio di sostegno o chissà cosa altro, e tenere il loro abbattimento come estrema soluzione quando ogni altra alternativa si sarà rivelata inefficace.

Nella foto: Pasquale Cannatà.

Torna ai titoli


(7.7.10) ALL'OMBRA DEI CIPRESSI E DENTRO L'URNE (Nuala Distilo) - Dopo aver letto gli interventi di Alfredo Distilo e Maria Grazia Simari, mi sento di dover intervenire anche io con una brevissima riflessione sul taglio dei cipressi del cimitero di Galatro.
E' forse appena il caso di rimarcare che la questione si colloca, almeno per chi segue da fuori le vicende di Galatro, nell'ambito di un disegno, consapevole o inconsapevole, volto a distruggere (come se Galatro ne avesse ancora bisogno) piuttosto che a costruire.
Ho appreso con costernazione la notizia perchè da sempre i cipressi sono il simbolo immortale dei cimiteri e i custodi delle anime dei morti e, con orgoglio, ogni volta che vedo un cimitero monumentale ricordo che anche a Galatro ci sono i Cipressi al cimitero.
Alle riflessioni già fatte vorrei pertanto solo ricordare i primi versi dell'ode Dei Sepolcri di Foscolo, ode che tutti abbiamo letto a scuola e che ci è familiare proprio perchè prende le mosse da una situazione che tutti noi abbiamo conosciuto.

All'ombra de' cipressi e dentro l'urne
confortate di pianto è forse il sonno
della morte men duro? Ove piú il Sole
per me alla terra non fecondi questa
bella d'erbe famiglia e d'animali,
e quando vaghe di lusinghe innanzi
a me non danzeran l'ore future,
né da te, dolce amico, udrò piú il verso
e la mesta armonia che lo governa,
né piú nel cor mi parlerà lo spirto
delle vergini Muse e dell'amore,
unico spirto a mia vita raminga,
qual fia ristoro a' dí perduti un sasso
che distingua le mie dalle infinite
ossa che in terra e in mar semina morte?

Ugo Foscolo


Torna ai titoli


(16.7.10) LA SINISTRA GALATRESE NELL'ANNO CHE VERRA' - Il mandato dell’amministrazione Panetta volge al termine: tra meno di un anno saremo chiamati alle urne per eleggere il sindaco e rinnovare il Consiglio Comunale.
Una riflessione che non voglia essere superficiale non può, non deve limitarsi all’elenco delle cose fatte e non fatte, ai riconoscimenti da dare o da non dare. Quel che molti non hanno capito è quanto sia necessario uscire dallo schema, divenuto palesemente obsoleto, che riassume la sinistra e il mondo di cui è espressione nelle caratteristiche personali del sindaco pro tempore, senza un minimo sforzo di programmazione e costruzione collettiva, autenticamente politica, del futuro.
Come le amministrazioni Tromba abbiano funzionato dal 1993 ad oggi lo sappiamo tutti molto bene, anche se pochi saranno disposti ad ammetterlo. Di fatto hanno gestito in forme paraclientelari un consenso politico che è andato man mano degradandosi a mero legame personale, in quanto tale impolitico. Dalla gestione del consenso senza politica è derivata la gestione altrettanto impolitica del potere amministrativo, proteso a cogliere le occasioni che capita(va)no senza darsi nessun respiro strategico e nessuna idea di futuro, sprofondato in quel che si potrebbe definire un eccesso di “presentismo”, alias realismo asfittico in toto ripiegato su se stesso.
Quattro anni fa si era invocata e preannunciata la svolta rispetto a quello che già allora si percepiva come il modo d’essere, lo stile, consolidato ma del tutto inadeguato, della sinistra galatrese. E nella compagine sia pure frettolosamente allestita si era pensato di riscontrare, per le supposte qualità dei suoi componenti, il sindaco in primo luogo, le caratteristiche idonee per puntare non solo e non soprattutto sull’ordinaria amministrazione. E’ accaduto invece che, ancora una volta, sono state l’ordinaria amministrazione e il piccolo cabotaggio delle scelte quotidiane il centro di gravità, come se le grandi questioni della sopravvivenza stessa di Galatro potessero dipendere dalla, pur importante, organizzazione dei servizi.
Sul fronte della qualità e dell’efficienza di alcuni servizi si è riscontrato infatti, rispetto al passato, un maggiore attivismo, una maggiore presenza degli amministratori e del sindaco in particolare. I risultati ottenuti però, riscontrabili solo empiricamente non essendo stato predisposto, a quel che se ne sa, un metodo di rilevazione sicuro e scientificamente informato, danno luogo ad opinioni disparate che sottraggono al giudizio ogni oggettività costringendolo sul terreno malfido della simpatia/antipatia e/o della partigianeria pro o contro.
Stesso discorso per la cifra maggiore di attivismo sul fronte delle associazioni intercomunali. Anche qui non si capisce quali possano (ancora) essere o siano (già) state le ricadute concrete dei riconoscimenti ottenuti dal sindaco, in tempi diversi presidente sia della Comunità Montana che dell’associazione dei sindaci della Piana. L’aleatorietà e l’evanescenza sono figlie, questo appare certo, della mancanza di una prospettiva diversa dalla navigazione a vista.
Detto questo, bisogna però chiarire che non si tratta di limiti specifici, peculiari dell’amministrazione e del sindaco uscenti e che quindi non sono espungibili semplicemente trovando un altro sindaco e altri collaboratori per le prossime elezioni. Sarebbe l’ennesima riedizione del gattopardesco cambiamento senza cambiamento, cambiare la forma – in questo caso gli uomini - per lasciare immutata la sostanza. Ciò di cui la sinistra ha bisogno è invece una rivoluzione culturale in grado di rimettere al centro l’ispirazione originaria di qualsiasi sinistra degna del nome, la progettazione del futuro all’insegna di valori nati per coniugare gli interessi individuali e quelli collettivi assicurando nel contempo la protezione e la promozione sociali, la piena e consapevole fruizione dei diritti legati alla cittadinanza. Cosa che, localmente, è impensabile senza puntare su quelli che permangono, nonostante tutto, i poli di uno sviluppo e di un decollo che dobbiamo sforzarci di pensare come ancora possibili: le terme e la diga.
Ma per non perdere l’ennesima occasione non si possono affrontare le prossime elezioni all’insegna dei personalismi, delle contrapposizioni prive di reale contenuto politico e programmatico, delle liste assemblate per cercare il massimo possibile di redditività elettorale. Se la sinistra vuole, finalmente, fare la sinistra, esibendo l’attitudine alla progettualità che dovrebbe essere nel suo dna, allora deve lanciare a tutta la politica galatrese, in primis il centrodestra, quella che si potrebbe definire la sfida del futuro e della sopravvivenza del paese, obiettivo che vale senz’altro uno sforzo comune di convergenza innanzitutto sui temi strategici sui quali in questi anni generale è stata l’afasia, non solo dell’amministrazione, anche se, ovviamente, è stata quest’ultima ad avere pesato maggiormente.
La scommessa sta allora nel vincere, a sinistra come a destra, inevitabili resistenze psicologiche e prevedibili furbizie oggettivamente mirate alla conservazione dell’esistente, alla sterile battaglia all’insegna dell’eterno ritorno dell’uguale, che potrà appassionare solo gli emuli del celebre cavaliere inesistente di Italo Calvino, che, come si sa, “andava combattendo ed era morto”.
Cosa fare delle Terme, in un frangente in cui è partito il tamtam sulla ipotesi di vendita delle quote della società di gestione, è la domanda ineludibile, il principale punto di discussione nella costruzione di quella che, per dirla alla tedesca, dovrebbe essere la “Grosse Koalition”, l’alleanza di forze storicamente antagoniste per dare un futuro ad un paese che pare abbia da tempo rinunciato ad averlo.
E intorno alle Terme far ruotare il resto del programma, le cui variabili non potranno che essere definite in rapporto ad esse, sgombrando il campo dai dubbi e dagli equivoci circa la vocazione turistica del paese, alla quale non esistono alternative plausibili.
Risollevare la politica galatrese dallo stato pietoso in cui è caduta dovrebbe essere, allora, l’interesse generale, della sinistra ma anche, se non soprattutto, della destra, non potendosi giudicare la performance dell’opposizione prodotta da quest’ultima altro che la conferma e la legittimazione dell’insuccesso elettorale. Un’opposizione che nell’arco di quattro anni, dopo la sconfitta, non fa uno straccio di proposta e riesce a produrre solo l’insulsa polemica sui verbali del Consiglio Comunale è infatti da considerarsi irrimediabilmente suonata, negli uomini e nelle idee, molto più della maggioranza della quale avrebbe dovuto essere l’alternativa. Il compito di una destra responsabile non potrà essere, dunque, che la ricerca di soluzioni inedite, stando ben attenta a non riproporre la scorciatoia dell’antipolitica sconfitta nel 2006.


Torna ai titoli


(20.7.10) SULLA MORTE DI MINO D'AMATO (Michele Scozzarra) - Venerdì pomeriggio è morto il giornalista Mino D'Amato: passionale e idealista, Mino, durante la sua vita, si è impegnato a migliorare quella di bambini abbandonati e malati di Aids, impegno che si è trasformato in uno slancio di puro amore, quando adottò Andreina, di origini rumene, morta nel ‘96 a soli sei anni. L’incontro di Mino con il dolore e la sofferenza dell’infanzia lo ha portato a fondare l’associazione Bambini in Emergenza, alla quale si è dedicato con incessante devozione fino agli ultimi giorni della sua vita.
“Mino era un uomo che guardava in alto cercando la sua luna senza fare come quelli che si fissano il dito. Il suo sogno era quello di poter interpretare questo mondo scoprendone di nuovi, sia che fossero nello spazio – quello spazio da lui tanto amato e che simboleggiava il futuro e dunque la speranza -, sia che scavasse con gli occhi e con la coscienza nei drammi della storia contemporanea”, questo il toccante ricordo della sua famiglia.
Io voglio ricordarlo con un articolo che ho scritto quando è morta la sua Andreina, che non è altro che una grande testimonianza di umanità, che vale le pena di essere riproposta proprio nel momento del ritorno di Mino Damato alla casa del Padre.

DIO HA BISOGNO... ANCHE DI MINO D'AMATO

"Sono grato alle compagne di Andreina, perché l'hanno voluta abbracciare anche dopo morta. Sapevano che era sieropositiva, ma non hanno avuto paura". Ha cominciato così, Mino D'Amato, a raccontare ad un amico giornalista, come fu che una bambina rumena, malata ed abbandonata a soli due anni in un ospedale rumeno, divenne la sua figlia più cara. La bambina si chiamava Andreina Galanteanu Damato, frequentava la quarta elementare ed aveva nove anni. Mentre i becchini lasciavano cadere palate di terra sul legno della bara, alcune bambine liberavano dei palloncini colorati, con le iniziali del loro nome, che andavano poi a perdersi nel cielo. A modo loro, dicevano addio alla compagna che aveva "la morte nel sangue"... Un passo indietro rispetto alle scolarette, un uomo dalle spalle curve e dai capelli precocemente ingrigiti pregava sottovoce: era il padre, Mino Damato. A lui lasciamo raccontare tutto il resto: "Non saprei dire se fu una voce di dentro, o una trappola del destino, ma quando ho visto in quel giornale illustrato il viso di quella bimba con gli occhi inondati di lacrime, è stato come se una forza sovrumana mi spingesse verso di lei. Sentivo che se fossi arrivato in tempo, l'avrei salvata, le avrei dato una vita normale. Così ho cominciato le mie ricerche, che sono state lunghe e complicate. Alla fine ho trovato il fotografo, che era rumeno, e l'ospedale dove Andreina era ricoverata. Quando mi ha visto ha sorriso. Eppure un'infermiera della sala mi aveva avvertito: 'Stia attento, non sa parlare, non abbiamo mai udito la sua voce'. Non l'avevano udita perché Andreina non aveva mai avuto l'abbraccio della madre, mai una carezza o una parola d'amore. Era una pianta inaridita. I medici le avevano diagnosticato una forma di nanismo: proprio perché nessuno la voleva, Andreina si rifiutava di crescere, si rifiutava di vivere... Si sa che sono testardo, così a Bucarest, nel febbraio del 1990 sono riuscito a farmi affidare la piccola, che allora aveva solo venticinque mesi.
Andreina era sieropositiva, la malattia conclamata e riconosciuta dai medici. Eppure, dopo appena un anno di vita in famiglia, nella nostra casa di Roma, sembrava guarita. Aveva cominciato a parlare, camminava e persino correva. Il nostro pediatra stentava a credere che fosse possibile: in tredici mesi era cresciuta di dodici centimetri. Quello che ci fa più male, a me ed a mia moglie, è che Andreina sia precipitata nel nero imbuto della malattia proprio quando si pensava che fosse venuta fuori. Era così felice di stare al mondo, così allegra. Dovunque la portassimo ci era grata; qualunque straccetto le mettessimo addosso, lei si sentiva elegante. A forza di vedere me che picchiettavo sulla macchina da scrivere, si era messa in testa di darmi una mano. 'Sarò la tua segretaria - diceva - non voglio che ti stanchi'. Con il passare degli anni... non era più la selvaggia scontrosa che avevamo trovato all'ospedale di Bucarest, ma aveva sviluppato un certo gusto per il teatro, il disegno, la moda. A maggio, poche settimane prima che finisse la scuola, ha recitato con le compagne di classe... era così sorpresa dagli applausi. E quando le abbiamo fatto una festa di compleanno, lei mi ha preso in disparte e dopo aver soffiato sulle nove candeline della torta mi ha detto: 'Grazie, papi, è il giorno più bello della mia vita'. Ma è stato anche l'ultimo di buona salute. La sera dopo, me ne sono accorto subito, aveva delle occhiaie ed uno strano pallore. Le ho misurato la febbre: trentotto. Da quel momento sono cominciate le stazioni della sua Via Crucis. Le radiografie, le Tac, le trasfusioni, le fleboclisi, l'ospedale. Un fatto abbastanza singolare, dal punto di vista medico: non è morta di Aids. Ha contratto il linfoma di Burkitt. Molti medici sono persuasi che un gran numero di bambini sieropositivi, abbandonati negli ospedali come 'vuoti a perdere', in realtà sono recuperabili. Possono vivere una vita normale. Sono piante senz'acqua, dicevo: basterebbe un pò d'amore per vederli rifiorire. E' stato terribile vedere Andreina appassire in così breve tempo, ma almeno ha vissuto sei anni e quattro mesi di perfetta felicità. Fino all'ultimo momento ha riso e chiacchierato, e in compagnia di un amico, Antonio, un volontario che fa servizio al Policlinico, ha giocato a carte ed ha anche cantato. Ha cantato la sua canzone preferita: 'Fatti mandare dalla mamma a prendere il latte'. Al funerale c'erano due suore della Compagnia di Madre Teresa di Calcutta. Avevano una medaglietta, inviata apposta da Madre Teresa, che un paio d'anni prima aveva conosciuto Andreina. Mi ricordo che quando Madre Teresa le aveva chiesto: 'Ma tu di che paese sei', Andreina aveva risposto in dialetto 'Romana de Roma'.
In certi momenti mi prende la disperazione, e mi dico: Signore, perché hai fatto morire lei invece di me?".
Dopo una testimonianza così struggente, ogni altra mia aggiunta è, a dir poco, inutile. Ho sempre ammirato D'Amato come un serio giornalista, ma quanto ho letto di lui in questa circostanza, mi testimonia che non è "solo" un bravo giornalista, è un "grande" uomo, in un tempo in cui già riuscire ad essere semplicemente "uomini" può rappresentare un'impresa eroica. Per questo non so cosa aggiungere... Potrei richiamare il dolore per la perdita di un figlio, scrivendo che non penso ci possa essere dolore più grande... potrei raccontare di padri e madri che si sono lasciati morire, o hanno smarrito la ragione, nel vedere la loro creatura spegnersi in tenera età. Non scriverò di questo.
Scriverò soltanto, che le storie come quella di Mino D'Amato testimoniano in maniera inequivocabile come anche Dio, nel suo progetto di salvezza, ha bisogno degli uomini. Uomini come Mino D'Amato.

Nella foto: il giornalista Mino D'Amato.


Torna ai titoli


(22.7.10) RUSPE E CIPRESSI (Arianna Sigillò) - E' da un po' che non intervengo nei "dibattiti" che avvengono sul nostro sito, nonostante mi tenga sempre aggiornata. Prima di "dire la mia" sui recenti accadimenti, vorrei rendere noto al sindaco, o a chi di competenza, l'epilogo dei "lavori" che di recente sono stati fatti in Contrada Brindi, più precisamente da u cafuni i l'aria in su...
Qualche mattina fa, dal mio balcone, ho notato la presenza di una ruspa alle prese con una fantomatica pulizia della strada da rami e piante varie che, sporgendo troppo, rendevano alquanto scomodi visuale e transito dei mezzi. Al chè mi sono rallegrata che finalmente questi lavori fossero stati intrapresi. Al termine di ciò, uscendo in strada, mi sono accorta che la meravigliosa edera di mia suocera che ricopriva l'intero cancello d'entrata di casa nostra era stata completamente "smaciullata" dalla suddetta ruspa, probabilmente condotta da una persona, come dire, incompetente che ha rovinato l'estetica di una bellissima pianta ornamentale che mia suocera con tanta dedizione periodicamente pota per mantenerla in ordine.
Inoltre, percorrendo la strada sia in discesa verso il paese che in salita, ci si rende benissimo conto di quanto i lavori siano stati fatti "con i piedi", ma non nel senso di frizione e acceleratore della ruspa, ma per la superficialità con la quale sono stati portati "a termine" (per così dire), ossia nello specifico, sono state eliminate le piante che sporgevano in strada e rendevano complicata la visuale. I residui di tale operazione sono rimasti ai bordi al punto che è bastata la pioggia di qualche giorno fa per farli arrivare tutti in strada poichè lasciati là nelle cosidette "cunette", ad intralciare lo scorrere dell'acqua piovana.
Allora sorge spontanea una domanda: ma è mai possibile che in questo paese non si riesca a svolgere i lavori pubblici in modo serio e professionale? Ma soprattutto a me sorge spontaneo chiedermi: ma con i dipendenti LSU a disposizione del Comune era davvero necessario dover fare arrivare una ruspa, per di più esterna, a fare i lavori di pulizia della strada? Soprattutto perchè mentre i dipendenti LSU sono al servizio dei Comuni "a gratis", per i lavori con la ruspa sono stati spesi "soldini" pubblici. E che non si venga a dire che "era necessario" effettuarli così, perchè da sempre vi hanno provveduto i dipendenti LSU facendo senza dubbio un lavoro migliore di quello che è stato fatto quest'anno!
Per quanto riguarda l'
abbattimento dei cipressi all'interno del cimitero io, abitando in campagna e avendo quindi a che fare con alberi e annesse radici, so che quando le radici crescono a tal punto da creare rotture nel suolo c'è poco da poter fare, perchè la soluzione migliore sarebbe abbattere le piante in questione. Ma giacchè si tratta di alberi secolari, emblema di un luogo sacro quale è il cimitero, prima di prendere una soluzione tanto drastica penso sia il caso di effettuare le giuste valutazioni facendo intervenire esperti realmente competenti in materia. Anche perchè credo che quella di abbattere i cipressi sia solo la soluzione più rapida, e probabilmente più economica, rispetto magari alla messa in sicurezza del cimitero stesso da eventuali danni.

Nella foto: Arianna Sigillò.

Torna ai titoli


(25.7.10) NELL'ARTE L'ANTICA BELLEZZA DI GALATRO (Michele Scozzarra) - "Una mattina arrivò un giovanotto in bicicletta e, fermatosi sul sagrato, incominciò a guardarsi intorno come se cercasse qualcosa. Ad un tratto parve aver trovato ciò che gli interessava e, appoggiata la bicicletta a un colonnotto, prese ad armeggiare attorno al fagotto che stava sul portapacchi. Ne cavò un seggiolino pieghevole, un cavalletto, una cassetta di colori, una tavoletta e, pochi minuti dopo, era già al lavoro. Per fortuna i ragazzini stavano a scuola e così il pittore poté lavorare tranquillo per una buona mezz'ora. Ma, dopo, incominciò ad arrivare gente da tutte le parti e, ben presto, il giovanotto sentì sulla punta del suo pennello il peso di cento occhi curiosi.
Camminando piano piano, come se passasse di lì per caso, arrivò anche don Camillo e qualcuno gli domandò sottovoce cosa pensasse della faccenda. “E' presto, per giudicare…” rispose don Camillo. “Io non capisco cosa ci sia di bello in quel portico…” borbottò un giovanotto della squadra degli intellettuali. “Ci sono dei soggetti mille volte più pittoreschi, lungo il fiume…”. Il giovanotto sentì e, senza voltarsi, disse: “Il pittoresco va bene per fare le cartoline illustrate. La Bassa mi piace proprio perché non è pittoresca…”.
L'affermazione lasciò perplessa la massa che continuò a seguire con diffidenza il lavoro del giovanotto fino a mezzogiorno. Poi, a mezzogiorno, tutti se ne andarono: il giovanotto rimase solo e, trovandosi finalmente libero, poté spennellare senza preoccupazione per due ore filate. Così, quando il popolo ritornò a godersi lo spettacolo, il quadro fu degno di indurre qualcuno a correre in canonica per avvertire don Camillo: “Reverendo, venite e vedere che meraviglia!”. In verità il giovanotto ci sapeva fare parecchio e Peppone, che era tra gli spettatori, fece, con parole molto semplici, il punto esatto della situazione: “Guardate cosa vuol dire l'arte! Sono quasi cinquant'anni che vedo tutti i santi giorni quel porticato, e soltanto adesso mi accorgo che è bello!”.
Questo scritto è di Giovannino Guareschi. E' l'inizio di uno dei suoi racconti più belli… che mi viene in mente ogni anno, proprio in questo periodo, quando delle folate di vento caldissimo “assediano” la campagna attorno al nostro Paese.
Galatro è circondato dalle colline… chi entra in paese vede le case agglomerate come in un grappolo al cui vertice troneggia il bianco Calvario: basta alzare lo sguardo da qualsiasi angolo del paese ed eccolo, in alto, il Calvario, che svetta da lontano, di molto più alto delle case che gli stanno addosso come un gregge. E’ la Croce di Cristo che regna sovrana sul punto più alto del nostro paese…
Il nostro paese è questo… c’è nel suo nucleo originario un qualcosa di grande e di bello… come il tocco di un artista che immette il nostro sguardo dentro qualcosa d’infinito… che sai a memoria, che hai nelle vene…
E anche se pensi di sapere tutto a memoria (le piazze, la villa, le chiese, il fiume, i vecchi portali di pietra, la campagna…), proprio per la loro familiarità, quasi non si riesce a vedere la quieta antica bellezza del nostro Paese. Per fare il punto di una situazione, basta fermarci alle semplici parole di Peppone: "Guardate cosa vuol dire l'arte! Sono quasi cinquant'anni che vedo tutti i santi giorni quel porticato, e soltanto adesso mi accorgo che è bello!".
Questo è il potere dell'arte… che, oggi più che mai, abbiamo il “dovere” di promuovere per aprirci alla meraviglia, alla bellezza delle cose che vediamo giornalmente e che, per la nostra naturale e abituale distrazione, non ci accorgiamo di quanto sono belle. Abbiamo bisogno di una scossa, per essere stimolati ad aprire gli occhi e avere la possibilità di godere della bellezza che abbiamo intorno, per non finire con il “limitare” lo sguardo al palazzo del Municipio, che di artistico e bello non ha niente e, non solo in queste giornate afose, quando l’aria bollente del mezzogiorno cala, anche le bandiere esposte al balcone si afflosciano.
Ogni altro commento mi riesce difficile...

Nelle foto in alto: scorci di Montebello e del Municipio; in basso altra veduta di Montebello, Calvario e antica casetta.









Torna ai titoli


(6.8.10) VALORIZZARE IL NOSTRO PATRIMONIO ARTISTICO (Michele Scozzarra) - Galatro è un paese straordinario di cui però, i galatresi non sanno quasi niente… anche se è grande la voglia di ascoltare e di sapere, per come dimostrano gli incontri, affollatissimi, come quelli in cui Umberto Di Stilo ha parlato di Galatro.
Oggi, purtroppo, dobbiamo riconoscere che non possiamo non descrivere il nostro paese come un punto fermo su se stesso, che a fronte dei nuovi problemi che si presentano resta, non solo culturalmente, bloccato sui fantasmi di un passato ormai dissolto… ma sembra che non si capisca più dove il paese vuole andare!
Se questo è vero, perché negare, come, per chi scrive, è una soddisfazione non da poco il notare la curiosità e l’interesse che suscitano, nei lettori di Galatro Terme News, tanti miei servizi che si occupano, prevalentemente, di argomenti “locali”: sono state proprio tante le persone, che in questi ultimi giorni, mi hanno contattato per parlare del mio articolo sulla “quieta antica bellezza del nostro Paese”…
A queste persone, ma anche ad altre, voglio consigliare di provare ad andare in giro per i vari quartieri del nostro paese (io l’ho fatto diverse volte!), con penna e taccuino in tasca e macchina fotografica in mano, per sperimentare di quante cose nuove ci si accorge… anche di quelle che ci rimbalzano davanti, ogni giorno, con una evidenza straordinaria.
Certamente, la realtà dei nostri paesi va compresa e “decifrata” di nuovo, perché le cose accadono più rapidamente di quanto pensiamo e, può capitare di scoprire come i nostri paesi sono molto diversi da come li avevamo immaginati (emblematico di questo è la mia lettera a Guerino De Masi pubblicata su questo sito qualche anno addietro!).
La ragione di tutto questo è che il nostro immaginario è vecchio, mentre la realtà che ci si prospetta davanti ogni giorno è nuova ed è sempre in continuo cambiamento.
Per questo, anche perché pensiamo di conoscere a memoria quanto esiste nel nostro paese, mi piace riportare un mio vecchio articolo pubblicato su CalabriaEuropa nel gennaio del 1993, come contributo alla conoscenza di un ricco, quanto sconosciuto, patrimonio artistico presente nei nostri paesi.

NELLE STRADE E DIETRO GLI INTONACI
QUANTI TESORI DA "SCOPRIRE"

Parlare della "difficile situazione" in cui versa il patrimonio artistico monumentale della Calabria, non è difficile... pensando allo stato decadente ed all'incuria, in cui sono tenute molte opere d'arte, si potrebbe scrivere un'enciclopedia.
Chi di noi non si è trovato, almeno una volta, di fronte ad un'opera d'arte abbandonata tra l'apatia e l'indifferenza generale?...
Eppure il ricchissimo patrimonio artistico della nostra Regione rappresenta, accanto alle bellezze naturali e paesaggistiche, un elemento di richiamo, non solo turistico, di enorme importanza.
Tuttavia, oltre ai casi di "abbandono", non mancano i casi di opere "nascoste", note solo a pochi cultori e appassionati, ma quasi sempre sconosciute ai più. Pochi sapevano, per esempio, dell'esistenza di una Statua di Gesù nel retro della Chiesa di San Nicola a Galatro.
Non riuscivo a spiegarmi perché‚ tante donne anziane, passando nel retro della Chiesa facevano il segno della Croce... oppure il senso di alcune espressioni tipo: "Hanno cacciato il quadro...".
Ci sono voluti più di 45 anni (da quando "il quadro" di Gesù è stato letteralmente murato) perché‚ qualcuno pensasse di restituirlo alla luce. Piano piano, con tanta pazienza, gli scalpellini hanno tirato fuori, da dietro gli intonaci, tutto il materiale che ricopriva l'opera...
Scoperta, questa, forse, di scarso rilievo... ma quanta tristezza, se si pensa che questo è solo uno dei tantissimi esempi che possiamo portare a testimonianza del degrado in cui siamo caduti...
Quanti altri scempi, come questo, o peggio di questo, sono stati (e lo sono tuttora!) perpetrati in Calabria?... Quante Chiese pericolanti, in rovina ma ancora salvabili, strutture e scheletri di antiche borgate, affreschi, cappelle, edicole sono lasciate in un abbandono quasi sempre colpevole, spesso in uno stato di decadimento non molto lontano dalla totale distruzione.
Sicuramente molte altre cose, di particolare interesse, si potrebbero segnalare... ma non ci muoveremo di un millimetro, a mio parere, se della bellezza delle scoperte, piccole o grandi che siano, non riusciamo a comprendere e valorizzare il grande patrimonio di cultura che ci è stato tramandato.
Non importa se queste opere abbiano o meno un “valore inestimabile”, l'importante è che delle ricchezze così grandi di cultura e civiltà, generate nei secoli passati, non vadano perdute ma siano restituite al presente.
E, con la crisi di valori e significato, imperante di questi tempi, ci sono tutte le ragioni per pensare che un simile lavoro, che lega direttamente il passato al futuro, non è una cosa da poco...!

Nelle foto, dall'alto in basso: il caratteristico portone di casa Carè-Cirillo nel rione Montebello; scorcio di Galatro di notte con la chiesa di San Nicola, la luna e un pianeta; la statua di Gesù ritrovata sul retro della Chiesa di S. Nicola; la stessa statua vista più da vicino.

Torna ai titoli


(8.8.10) UN SALUTO DAL NOSTRO DIRETTORE (Marialetizia Bonanno) - Care lettrici e cari lettori di Galatro Terme News, inizia così una nuova avventura... Certamente nuova per me come direttore, ma non per i fondatori e collaboratori di questa testata che si dedicano con grande passione da ben 11 anni.
Non posso che complimentarmi e fare i migliori auguri per questo importante traguardo raggiunto e ringraziare soprattutto il caro Massimo Distilo che, principalmente in qualità di amico e collega musicista, ha voluto onorarmi di questo incarico.
Con immenso piacere voglio esprimere il mio "in bocca al lupo" a tutta la Redazione per l'entusiasmo e la volontà che hanno sempre dimostrato e un saluto a voi lettori con la speranza che possiate incoraggiare questa iniziativa in maniera attiva e con critica costruttiva.
L'informazione rappresenta ormai il mezzo unico e insostituibile per veicolare le notizie, ma l'era della comunicazione nella quale noi tutti, anche inconsapevolmente, siamo immersi, impone un rapporto costante ed efficiente con le nuove tecnologie.
Ecco, dunque, lo straordinario valore di una testata giornalistica on-line, capace, proprio per le sue caratteristiche, di essere al passo con i tempi, acquisire un linguaggio diretto, garantire un più proficuo e veloce rapporto con i lettori.
Iniziamo insieme questa splendida avventura: sarà bella, affascinante e - perché no? - divertente!
Buon lavoro a tutti... a tutti noi.

Nella foto: MariaLetizia Bonanno.

Torna ai titoli


(11.8.10) I MIEI AUGURI ALLA NUOVA DIRETTRICE (Pina Lamanna) - BUENOS AIRES Carissimi amici, anche a me oltreoceano fa molto piacere l'inserimento di MariaLetizia come nostra "direttrice" al femminile. Sì perchè adesso l'insieme sicuramente avrà un altro aspetto. Io esprimo a distanza i miei piccoli commenti e mi sono resa conto che al momento del mio inserimento in redazione ero l`unica donna che faceva parte dell'organico del giornale. E' per questo che invio a MariaLetizia i miei auguri per questa sfida.
E' veramente utile l'informazione che si trova in ogni articolo o commento ed a noi fa piacere sapere tutto ciò che accade a Galatro. Siamo inmersi in un mondo globale e l'informazione va veloce, per questo è importantissimo un giornale on-line cosi attualizzato e fornito di nuove tecnologie.
Invio il mio "in bocca al lupo" alla nostra direttrice e a tutta la redazione.
Io continuerò a cercare informazioni e a proporre piccoli commenti che riguardano la nostra collettività calabrese in Argentina. Un forte abbraccio!

Nella foto: Pina Lamanna.

Torna ai titoli


(12.8.10) CERCARE LA PROPRIA PACE... GUARDANDO LE STELLE (Michele Scozzarra) - Anche quest’anno, nei giorni a cavallo tra il 10 e 12 agosto, in molte parti del mondo vengono organizzate delle serate che hanno come tema dominante… “le stelle”.
Tutte le iniziative legate alla “notte di San Lorenzo” conservano un certo fascino… la “notte delle stelle cadenti”, quando è possibile osservare e godere di uno spettacolare fenomeno che ci viene regalato dal cielo notturno…
Per “questa” notte sono state scritte poesie, organizzati eventi, create feste, sulle spiagge o in montagna… tutti stanno con il naso all’insù, tanti con binocoli o telescopi… tutti ad accompagnare, con il vecchio canto di Modugno, il desiderio di vedere le stelle: “Ma come non ti accorgi di quanto il mondo sia meraviglioso? Ma guarda intorno a te che doni ti hanno fatto, ti hanno inventato il mare, ti sembra niente il sole, la vita, l’amore… Perfino il tuo dolore potrà apparire poi meraviglioso…”.
Già… è capace che guardando le stelle, si arriva a scoprire pure… che c’è il mare… il mare nel quale ci immergiamo dentro senza neanche “vederlo e sentirlo!”… il mare che come diceva Eschilo “il mare che ci nutre e sempre rinnova la sua linfa preziosa di porpora infinita…”.
Ci sono anche dei momenti che in silenzio... si guarda il cielo e si scopre... la luna...!
Il suo chiarore, la sua bellezza, la sua "solitudine" affascinante... e si ha modo di ritrovare se stessi... la propria umanità... pur in una paurosa e mistificante realtà che sembra ci voglia schiacciare, ma... c'è la luna...!
E uno può anche mettersi a piangere, senza saperlo, senza volerlo, dal gran conforto, dalla grande dolcezza che sente... nell’avere scoperto la luna... nel vederla là, mentre se ne sta in cielo, col suo ampio velo di luce, ignara dei monti, dei piani, delle valli che rischiara... ignara di noi, che guardandola sentiamo di non aver più paura di niente... perché vediamo che non siamo soli, c’è sempre una mano forte che ci aiuta ad andare avanti… a sfidare l’ignoto futuro con forza, anche se ci sentiamo più stanchi e scoraggiati...!
Questa attenzione verso le stelle ci fa capire (e qui come non ricordare Dante!) come desideriamo tutti “uscire a riveder le stelle”, segno della Bellezza suprema “che move il sole e le altre stelle”.
Un bel giorno Dostoevskij lasciò cadere questa parola misteriosa: “la Bellezza salverà il mondo”… Per molto tempo mi è sembrato che si trattasse di un luogo comune. Infatti, quando, nell’arco della storia, la Bellezza ha mai salvato qualcuno? Essa poteva nobilitare, poteva esaltare… ma salvare?
Solo se la Bellezza riveste i panni della Bellezza suprema “che move il sole e le altre stelle”… solo in questo caso si rivela non come una frase che il vento porta via, ma come una vera e propria profezia… e fa sì che anche la visione di un cielo stellato possa rivestire i caratteri di “Salvezza” per il mondo!
Quanto c’è da dire sulle stelle… mi ha sempre colpito il costatare come Dante chiude le tre cantiche della Divina Commedia con la parola “stelle”. L’Inferno finisce con il verso “uscimmo a riveder le stelle”, il Purgatorio “puro e disposto a salire alle stelle”, il Paradiso “L’Amor che move il Sole e l’altre stelle”.
Sicuramente per Dante la parola “stelle” ha tutto un significato particolare… è come se ci dicesse: “Guarda che non li metto lì a caso, cerca di capire il perché… apri gli occhi, guardati intorno… alza lo sguardo verso il cielo, perché solo dal Cielo può venire la salvezza!”.
Oltre a Dante, come tralasciare lo sguardo verso le stelle di un altro grande poeta, che non è cristiano, il grande Giacomo Leopardi e ricordare il suo Canto notturno: “… e quando miro in ciel arder le stelle dico tra me pensando: a che tante facelle, che fa l’aria infinita e quel profondo infinito seren … ed io che sono?”
Mi piace pensare che il “quando miro in ciel arder le stelle”, che in queste notti di stelle cadenti ci ha portato ad alzare lo sguardo verso il cielo, sia la dimostrazione dell’unico desiderio vero che ci muove … quello di un destino buono, di una vita buona, vera, giusta, bella.
Forse, per tanti, tutto questo è una possibilità “impossibile”… per altri è una poesia, un miracolo, una grazia immeritata.
Ma… che storia straordinaria sarebbe la vita di ognuno di noi, se vissuta con questa struggente attesa… quella di alzare lo sguardo verso le stelle, in attesa di un Qualcosa che non ci abbandoni alla nostra solitudine… ma ci porti a “uscire a riveder le stelle” segno luminoso della Bellezza che “move il sole e l’altre stelle” e in cui il cuore ritrova con stupore la sua pace più grande.

Nelle foto: in alto Michele Scozzarra; in basso cielo stellato con luna sul mare.


Torna ai titoli


(17.8.10) L'ANOMALIA ITALIANA E IL SIGNOR B. (Domenico Distilo) - In Europa le stagioni politiche si succedono con la normalità propria dei regimi liberal-democratici. Guardiamo a quel che è successo più o meno negli ultimi sedici anni: in Spagna è passato Aznar e già volge al tramonto l’astro di Zapatero; in Gran Bretagna è uscito di scena Blair e dopo l’intermezzo di G. Brown è partita l’inedita alleanza tra conservatori e liberali; in Germania, finita la lunga epopea di Kohl, è iniziata e si è conclusa l’era del socialdemocratico Schroder cedendo il campo alla Grosse Koalition, a sua volta sostituita dall’alleanza tra democristiani e liberali sotto la guida della stessa Angela Merkel; in Francia la presidenza Chirac è stata costretta alla coabitazione - governo Jospin - ed oggi Sarkosy appare in non lievi difficoltà. Tutto questo accade nell’Europa che conta, ma anche in quella che conta di meno gli scenari sono del pari mutevoli, basti pensare alla Polonia e un po’ a tutto il resto dei paesi dell’Europa orientale, un tempo satelliti dell’Urss.
Il panorama presenta una sola eccezione, l’Italia, dove ormai da sedici anni il cavalier Banana occupa la scena, sopravvissuto a due sconfitte elettorali e con buone probabilità di sopravvivere allo stesso Paese, alla cui distruzione continua a lavorare in cooperazione con la Lega e con il consenso di milioni di italiani, molti dei quali invocano – ma si tratta manifestamente di un alibi, di falsa coscienza - la presunta mancanza di alternative credibili, come se la peggiore delle alternative giudicate non credibili non fosse più credibile del sedicente “governo del fare” (affari, oltre a propaganda, pseudo riforme e leggi ad personam).
In Italia, però, non è affatto come se la storia si fosse fermata ai primi anni Novanta - al momento della improvvida “discesa in campo” - e da allora non si fosse mai smesso di pensare ed agire fuori dello schema binario pro o contro B. Effettivamente la storia si è fermata a quel punto, trasformando i pensieri in fissazioni, le azioni in co-azioni e la politica in un teatro dove lo stesso copione viene riproposto ad infinitum, senza che gli spettatori trovino la forza di dire basta e di prendersi la scena per fare a modo loro (questa sarebbe davvero una rivoluzione, uno stato nascente).
Se questo non succede, se quanto normalmente accade nei paesi normali per l’Italia sembra essere roba da marziani, la causa non potrà che essere indicata nel cuore dell’anomalia, il conflitto d’interessi e la manipolazione permanente dell’opinione pubblica.
E’ infatti incredibile come da sedici anni gli italiani credano alle bugiarde affabulazioni del Banana e alle sue, ormai decisamente stantie, promesse di rivoluzionare non si sa cosa e non si sa come (l’unica cosa chiara è che vuole abolire la Costituzione e le regole dello Stato di diritto); è incredibile come nessuna narrazione riesca a fare breccia in un immaginario collettivo che sembra atrofizzato, incapace di uscire dalla mitologia dell’uomo “che si è fatto da sé”; ed è incredibile come ci sia ancora, tra le forze d’opposizione, chi pensa di coinvolgere il Banana in governi più o meno tecnici, più o meno di transizione, più o meno di unità nazionale. Senza realizzare che l’unica unità nazionale possibile è quella contro di lui e l’anomalia che incarna.
Non è vero che in sedici anni non siano nate idee nuove e non è vero che nessuno sia andato oltre la propaganda (semmai questo è vero per il Banana). E’ vero invece che nessuna idea nuova è riuscita a superare la “barriera del suono” e ad entrare nella visione del mondo di un popolo che preferisce informarsi solo dai telegiornali ed aborre la riflessione sui fatti, che attestano in modo inoppugnabile che non solo B. non è uno statista, ma, in quanto a capacità di governo, è abbondantemente al di sotto della media dei governanti italiani dall’unità ad oggi.
Questo, probabilmente, perché sono proprio i fatti ad essere sottoposti ad un continuo processo di travisamento e deformazione. Si pensi all’ultimo episodio dell’appartamento del cognato di Fini a Montecarlo. A fronte delle “rogne” di B. non può che essere una quisquilia, al massimo rubricabile come leggerezza. Eppure non si faticherà a trovare chi lo metta sullo stesso piano della cosiddetta P3, della corruzione in atti giudiziari e delle società off-shore per costituire illegalmente fondi all’estero. Più che incredibile, francamente sconcertante! Talmente sconcertante da indurre le aspettative più pessimistiche sul futuro del Paese e sull’esito di una vicenda sicuramente tra le peggiori e più buie della storia d’Italia. Non ci sono (più) parole.

Nella foto: Domenico Distilo.


Torna ai titoli


(18.8.10) COSSIGA... SCOMPARE UN PRESIDENTE (Michele Scozzarra) - E' morto ieri a 82 anni il Presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga, stroncato da una crisi cardiocircolatoria: un personaggio che ha contraddistinto la storia del nostro Paese con una vita dedicata alla politica e all'impegno.
Il suo settennato ha lasciato un segno importante per la nostra Repubblica anche se, per le sue feroci stoccate, venne soprannominato "il picconatore".
Proprio nel momento della morte ritengo di doverlo ricordare scrivendo: "Grazie Presidente Cossiga… Grazie Presidente perché non si è arreso alla Partitocrazia... perché criticare i giudici che sbagliano adesso non è reato... perché dissentire dai "nuovi pontefici" della sinistra è possibile... perché rifiutarsi di emanare una legge sbagliata è stato reso un dovere... perché s'è preso del matto, del golpista, dello stragista, esternando, litigando, "picconando", per evitare che restassero in piedi "i Muri" crollati nel resto del mondo... grazie perché dopo di Lei il Presidente della Repubblica non sarà solo una figura istituzionale vuota e senza significato alcuno... grazie perché dopo di Lei, il Presidente della Repubblica, speriamo!, non sarà ridotto ad un semplice notaio che accomoda gli atti di coloro che l'hanno eletto... E grazie ancora per averci ricordato, con le lacrime agli occhi, nel suo messaggio di dimissioni dalla carica di Presidente della Repubblica, che il nostro "è un Paese di grande cultura, di grande storia, di immense energie morali, civili, religiose e materiali. Si tratta solo di non disperderle e saperle mettere assieme per il bene del Paese".
Mi ha fatto piacere leggere, sulla stampa dei giorni scorsi, di come Cossiga non si è mai nascosto né ha indietreggiato di fronte a niente, soprattutto quando i suoi detrattori scrivevano col “K” il suo cognome sui muri. Un lottatore che, tra alti e bassi, non si è lasciato sopraffare né dal tumore né dal mal di vivere.
Quando le ferite dell’anima sono state troppe, ha ceduto e si è ritirato, forse schifato dallo spettacolo offerto da una politica che lui, finché ha potuto, s’è sforzato di mantenere sul proscenio con dignità. E in questi giorni di tumulto, mentre ovunque si posi lo sguardo si colgono sintomi di disfacimento, il presidente emerito ci ha rifilato le picconate più tremende: il ricovero e l’estrema unzione, con i quali ci ha dato la sveglia. Come usano certi frati, ci ha detto: “Memento mori”. Poveri voi, che vi affannate per nulla, senza rendervi conto di fare solo danni: ricordate che dovete morire. Non sprecate fiato ed energie. Non serve.
Grazie Presidente Cossiga… riposi in pace!

Nella foto: Francesco Cossiga.


Torna ai titoli


(18.8.10) NELL'ANNIVERSARIO DELLA MORTE DI ALCIDE DE GASPERI (Michele Scozzarra) - In questi giorni di agosto la stampa ricorda il 56° anniversario della morte di Alcide De Gasperi, avvenuta in Borgo Valsugana il 19 agosto del 1954, mostrando ancora le polemiche tra le diverse fazioni della, ormai, "fu" democrazia cristiana.
Ma… non ho avuto modo di leggere nessun rigo sui contenuti dell'eredità lasciata da De Gasperi... tanti giornali non hanno perso l'occasione per “fare politica”, piuttosto che ricordare "cosa ha trovato e cosa ha lasciato De Gasperi" nell’Italia lacerata dai mali del dopoguerra.
Qualche anno addietro, a dispetto delle polemiche interne al nostro Paese, su chi cerca in tutti i modi di appropriarsi della “memoria” del grande statista, paradossalmente, è stato l’ex Cancelliere tedesco Kohl che ha sottolineato la caratura del De Gasperi uomo, evidenziato una innegabile verità: “Faceva parte di una generazione che aveva un ideale chiaro. Ma se consideriamo la sua vita, questi cenni di vita che gli sono stati regalati, le sue alterne vicende, come mai non ha mai ceduto? Per un motivo molto semplice: perché grazie alla sua profondissima fede, De Gasperi non aveva mai perso la speranza. Era convinto che senza Dio l’Europa non avrebbe mai potuto essere unita”.
Se così stanno le cose, penso che valga la pena di soffermarci su alcune cose delle quali si “usa” sorvolare… in buona o in male fede!
Prendiamo appunto quello che ha fatto per l'Italia Alcide De Gasperi: il suo capolavoro (quello che gli guadagnò perfino l'ammirazione di laici come Pannunzio) fu la Ricostruzione. Parola 'astrusa', se non confrontata con qualche cifra: le cifre sono sempre aride, ma talvolta contribuiscono a rappresentare meglio una situazione.
Innanzitutto fu un'opera immane. De Gasperi nel 1945 assunse la guida di un Paese a pezzi... in tutti i sensi. Macerie dalle Alpi alla Sicilia. Case, strade, ferrovie, ponti, acquedotti, distrutti per gran parte. La flotta mercantile perduta al 90%, i treni al 75%. Danni di guerra nell'agricoltura per 300 miliardi, nell'industria per 550 miliardi, nell'edilizia per 100 miliardi, nelle ferrovie per 400, ecc. ecc.
Era un'economia in ginocchio, con un futuro da Terzo Mondo. Lo Stato aveva 832 miliardi di uscite e 520 di entrate, con 360 milioni di dollari di risarcimenti di guerra da pagare come nazione sconfitta. Il patrimonio nazionale era perduto per tre quarti. Intanto nel Paese ogni giorno si era alle prese con il dramma della sopravvivenza quotidiana, cioè la fame, il dilagare di malattie (specialmente la Tbc) e una gigantesca disoccupazione.
Il generale Caviglia paragonava l'Italia a "uno straccio su cui tutti potevano sputare". L'Italia era un paese nemico e sconfitto. De Gasperi dovette sopportare umiliazioni ignobili. Ma il dramma non era solo l'ostilità internazionale, perché alle trattative di pace si decideva su piaghe aperte come la restituzione di centinaia di migliaia di prigionieri, le enormi ricchezze perdute dall'Italia nelle sue ex colonie, i pezzi di territorio italiano cui dover rinunciare, i danni di guerra.
Ancora nel 1947 De Gasperi doveva andare negli Usa (con un cappotto preso a prestito) a chiedere di aumentare la razione quotidiana di pane a 200 grammi a persona.
E se questi erano i problemi con "l'esterno", "l'interno" era ancora peggiore, in quanto il Paese fu, per anni sospeso sul baratro di una guerra civile.
Un formidabile Pci, con più di 2 milioni di iscritti (quando la Dc ne aveva 700 mila), legato a filo doppio a Stalin, non solo occupava posizioni strategiche nel governo e nei settori della sicurezza, ma disponeva esso stesso di un'organizzazione militare pronta al colpo di mano.
Pur con questi insormontabili problemi (e senza farsi mai illusioni sui lupi che nei momenti di pericolo si vestivano da pecore), De Gasperi ha portato a termine un'impresa che sorprese il mondo. Gli economisti prevedevano che, nel migliore dei casi, all'Italia sarebbe stata necessaria almeno una generazione per risollevarsi. Ebbene De Gasperi in quasi otto anni è riuscito a trasformare "l'Italia delle macerie" in una delle prime potenze economiche dell'Occidente ed in uno dei Paesi più liberi del mondo. Il New York Times definirà lo Statista trentino "il più grande italiano del dopoguerra". Eisenhower dirà: "De Gasperi era uno dei grandi uomini di questa epoca; ed ha ispirato non solo l'Italia, ma tutto il mondo".
Le teste d'uovo che fanno opinione sui media, di queste cose, oggi, non ne parlano. Si percepisce quasi la diabolica sensazione che su questo si "deve" tacere. Commemorano De Gasperi ricordando soltanto le beghe dei suoi "eredi"... E ciò non toglie l'onestà a riconoscere che, nei decenni successivi alla morte di De Gasperi, diversi cavalli di razza hanno cercato di raccoglierne l'eredità... senza che nessuno finora ha potuto, sinceramente, affermare "che la Dc abbia trovato fra le sua fila un altro De Gasperi o un altro statista cattolico ugualmente illuminato".
Già, il vero problema è che tutti si dichiarano eredi di De Gasperi… forse senza sapere neanche chi era e cosa ha dovuto sopportare per sollevare le sorti della nostra Nazione.
Non penso che debba o posso scrivere altro…

Nelle foto: in alto De Gasperi tiene un comizio per la DC; in basso una copertina di Time dedicata allo statista italiano.


Torna ai titoli


(26.8.10) A CENTO ANNI DALLA NASCITA DI MADRE TERESA DI CALCUTTA (Michele Scozzarra) - Per i cento anni dalla nascita mi piace raccontare della Beata di Calcutta, meglio conosciuta come Madre Teresa di Calcutta, al secolo Ganxhe Bojaxhiu, nata in Albania a Skopie il 26 agosto del 1910… e rinata al cielo tredici anni addietro, quando a Calcutta, il 5 settembre del 1997, concluse la sua tremenda e bellissima esistenza terrena.
Questa donna “piccolina e fragile” ha segnato questo secolo come testimone di un amore fatto di servizio ai più derelitti: era una suora chiamata "santa" già in vita. La Chiesa, dopo la sua morte, non ha fatto altro che prenderne atto e proclamare santa dopo che è morta, una che era già santa in vita: infatti, nel 1997, a soli due anni dalla morte, papa Wojtyla fa aprire il processo di beatificazione e viene proclamata Beata nel 2003. Nel 2005 l’Arcidiocesi di Calcutta ha aperto il processo per la canonizzazione, cioè “per proclamare santa dopo la morte, una che era già santa in vita”. Si potrebbe chiudere ogni argomentazione su Madre Teresa solo con queste poche parole... per la semplicità ed umiltà di Madre Teresa forse sono anche troppe ma, una vita così intensa merita qualche riflessione in più, anche perché quella di Madre Teresa è una figura sulla quale non è possibile tentare approssimazioni, o stabilire rimandi e, ancor meno, letture o spiegazioni socio-politiche.
Appassionata e chiarissima, paziente e coscientissima, con un senso della propria miseria che l'ha resa ancora più santa e più grande, Madre Teresa ha vissuto dentro un solo nome ed una sola realtà: quella di Gesù Cristo. L'esempio che in Lei, attraverso la sua morte, si deve mettere davanti o, meglio ancora, dentro il mondo (poiché è certo che pochi vivono oggi, come Lei, dentro il mondo e le sue sofferenze) è proprio quello di una proposta di vita completamente diversa dalle proposte che va facendo il mondo.
Davanti alla vita intesa come speculazione economica o come affermazione di potenza singola o collettiva, Madre Teresa ha testimoniato e proposto una vita intesa come totale donazione di sé a Dio, agli uomini tutti, senza discriminazione alcuna né di razza, tanto meno di religione. Insignita del premio Nobel per la Pace nel 1979, sorprese il comitato d’illustri personaggi che l'avevano scelta quando si rifiutò di partecipare al banchetto in suo onore, sostenendo "Io non posso permettermi pranzi del genere, mentre la nostra gente soffre la fame, muore...".
Chi abbia avuto la fortuna d'incontrarla, o anche solo di vederne una fotografia, non potrà più dimenticare quel viso scavato dalle rughe, tanto scavato da sembrare addirittura costruito, come se le fosse stato assegnato di rappresentare in vita, anche fisionomicamente, la geologia dell'intera storia dell'umana sofferenza, dell'umano dolore e dell'umana speranza.
Questa piccola donna, minuta, si è dimostrata di una forza imparagonabile che non ha ammesso interpretazioni parziali né della sua fede, né della sua vita di missionaria. Non ha ammesso, cioè, tutte quelle interpretazioni che tanto fanno comodo alla nostra inerzia ed ai tradimenti che continuiamo a commettere davanti ai nostri fratelli sofferenti e bisognosi. Proprio per questo, possiamo ascoltare o non ascoltare l'integrità tremante d'amore e di certezza che ci giunge dall'adamantina testimonianza di Madre Teresa, ma la sua vita e la sua opera vive ancora nel cuore dei figli di Madre Teresa.
A noi non è lecito prendere di lei, del suo esempio, una porzione, quella che interessa il nostro gioco di essere "sempre e solo parzialmente" dalla parte dell'uomo; dalla parte di un uomo meramente storico e, dunque, dimezzato... un uomo cui sembra toccare come destino il non potersi più garantire una vita piena, ma solo "aspetti" dimezzati e parziali. Madre Teresa ci ha testimoniato e "ricordato", come in un testamento, prima di tutto il rispetto incondizionato e totale per ogni "singolo" uomo, dal suo concepimento fino alla sua morte naturale.
Speriamo che la sua opera terrena continui anche adesso che Madre Teresa fisicamente sulla terra non c'è più... anche perché, dal Regno dei Santi, il suo sguardo, sicuramente, non abbandonerà mai i suoi poveri.

Nelle foto: Madre Teresa di Calcutta.


Torna ai titoli


(31.8.10) IMPARIAMO A CONVIVERE CON I RETTILI (Carmela Raso) - Appare impossibile, o quantomeno raro, che in un afoso giorno agostano dell’anno di Nostro Signore 2010 una serpe trovi confort nel bagno sito al primo piano di una civile abitazione in pieno centro abitato.
Eppure è quanto capitato nell’abitazione della sottoscritta ove la figlia Federica, mentre si accingeva ad espletare i propri bisogni fisiologici, con sorpresa e spavento notava il rettile vicino al fasciatoio della nipotina (di appena quattro mesi) mentre si esibiva in danze esotiche agitando ritmicamente, con intenti belligeranti, la lingua biforcuta.
A tal punto si è reso necessario l’intervento dei Vigili del Fuoco che accorsi prontamente su interessamento della locale Stazione Carabinieri (alla quale porge la propria gratitudine) provvedevano, con l’ausilio di idonei mezzi, alla immobilizzazione ed alla cattura del rettile per poi, con buona pace per gli animalisti, depositarlo in aperta campagna.
Attiguo alla propria abitazione vi è un immobile, con annesso terreno retrostante, in totale stato di abbandono da un quarto di secolo, ove le sterpaglie proliferando rigogliosamente offrono un edenico habitat alle nidiate di insetti, roditori e rettili.
Al fine di mantenere l’ “equilibrio naturale” ho allevato una mezza dozzina di felini (gatti) i quali quasi sempre compiono appieno il proprio dovere neutralizzando topi, gechi e serpenti come in ultimo, appena una settimana addietro, quando una biscia (custodita, ad imperitura memoria, sotto alcool denaturato in contenitore di vetro) sulla soglia d’ingresso retrostante (lato fiume) con accedere per niente elegante si accingeva a concludere la “marcia trionfale” all’interno dell’abitazione.
Tale inconfutabile stato di fatto, che si trascina da lungo tempo, fu evidenziato con ripetute denunce sia verbali che per iscritto, che a tutt’oggi non hanno sortito alcun effetto, al Comune (Vigili Urbani e Ufficio Tecnico), all’A.S.L. competente, ecc. per cui si è reso necessario segnalare ed esporre il tutto con ricorso alla Procura della Repubblica.
A questo punto viene spontaneo porsi una semplice domanda: esiste un’Autorità preposta alla risoluzione del problema de quo anche al fine di evitare che giustizia venga fatta “motu proprio”?
La risposta non può che essere affermativa, poiché la vigente legislazione identifica nel Sindaco, quale Autorita locale ed Ufficiale di Governo, tramite adozione di provvedimenti contingibili ed urgenti, la persona preposta a prevenire e debellare ogni problematica di carattere igienico-sanitario e di incolumità alle persone.
Mi corre l’obbligo, infine, di fare una riflessione: è possibile che Galatro offre una positiva immagine all’esterno essendo annoverato per l’accurata pulizia delle strade urbane ed adiacenti, nonché per l’ottimale manutenzione della villa e dei giardini pubblici, mentre, di converso, in pieno centro abitato esistono siffatte storture?
Alla luce di quanto rappresentato si spera (a meno che chi di speranza vive disperato giaccia) che il presente scritto valga come stimolo alla risoluzione di un problema così serio e che la solerzia dell’Amministrazione comunale non si limiti a riflettere esternamente la positiva immagine di Galatro, fra l’altro, con la “particolare, accurata e meticolosa” pulizia delle strade di accesso alle Terme, ma si estenda anche alla tutela di quei pochi stanziali cittadini che, purtroppo, come me vivono ancora a Galatro.





Nelle quattro foto: la serpe introdottasi nel bagno della signora Raso.


Torna ai titoli


(9.9.10) FINI E LA DESTRA CHE NON C'E' (Domenico Distilo) - Fini sta tentando quel che in Italia nessun leader politico ha mai osato: trasformare la destra italiana in una destra europea, occidentale, liberale. In una parola, normale. Qualcosa che in Italia – e qui stanno le difficoltà e il carattere epocale dell’impresa - non c’è mai stato, tranne forse ai tempi della destra storica, nei quindici anni che seguirono il raggiungimento dell’unità.
A partire dal 1876, anno dell’ascesa al governo di De Pretis e della sinistra, i demiurghi della destra italiana sono stati, in ordine cronologico, Crispi, Di Rudinì, Sonnino, D’Annunzio, Mussolini, in certa misura Craxi e, infine, Berlusconi e Bossi. A parte Di Rudinì e Sonnino, grigi interpreti di una ricorrente propensione autoritaria della borghesia del loro tempo che si esprimeva in forme ora ottusamente legaliste – il “torniamo allo Statuto” di Sonnino - ora rozzamente repressive - Di Rudinì che ispira e suggella, con il conferimento di una medaglia al valore, la strage di Bava Beccaris a Milano nel 1898 -, tutti gli altri hanno coltivato personalità istrioniche che alimentavano teorie e, soprattutto, pratiche eversive del liberalismo, prim’ancora che della democrazia.
La natura antidemocratica e illiberale della destra italiana, provvidenzialmente domata e compressa nei decenni del potere democristiano, è riesplosa col berlusconismo e col leghismo non appena è finita la DC.
Nell’equivoco di scambiare Berlusconi per un liberale sono caduti però in molti. Probabilmente lo stesso Fini, il cui sdoganamento – nei territori del liberalismo e della democrazia, chiariamocelo per evitare di non sapere di cosa si parla - svela oggi la sua natura paradossale, essendo avvenuto ad opera di un personaggio le cui affinità elettive con le satrapie afroasiatiche e col Ventennio sono da lui stesso impudicamente sbandierate.
Certo, se l’impresa di Fini riuscisse, se davvero la destra italiana diventasse una normale destra liberale, intollerante del conflitto d’interessi, rispettosa della Costituzione e delle regole, del ruolo del Parlamento e dei poteri di garanzia, primo fra tutti il Capo dello Stato, forse i tempi sarebbero davvero maturi per il bipolarismo.
Per ora questa destra è però solo un’ipotesi ed è altamente improbabile che possa prendere corpo e forma. Perché questo avvenga sarebbe necessario che i Berluscones – nella politica e nella società, ma soprattutto in quest’ultima - cambiassero natura, che diventassero altro da ciò che sono, che si realizzasse una vera e propria mutazione antropologica.
Dunque, obiettivamente, nei tempi brevi, e forse neppure medio lunghi, per Fini e i suoi non ci sarà spazio nella destra italiana, perché si tratta di una destra che esprime il peggio dell’homo italicus – affarismo, familismo, culto mitologico del Capo.
Per avere uno spazio, a parte le ovvie possibilità di recuperare il vecchio personale politico e le vecchie strutture di Alleanza Nazionale, Fini dovrà contribuire alla costruzione del grande centro, vale a dire a rifare la DC, quale che sia il nome che le si vorrà dare. O rassegnarsi a declinare più o meno lentamente. Anche se né lui né i suoi lo dicono, la scelta è perciò di fatto già compiuta. Se rifiuta di diventare democristiano Fini è finito. I tempi nei quali i Berluscones potrebbero raggiungerlo sono, infatti, davvero troppo lunghi, e si sa che i tempi troppo lunghi in politica non hanno diritto di cittadinanza.

Nella foto: Gianfranco Fini.


Torna ai titoli


(14.9.10) UN MESSAGGIO SU CUI RIFLETTERE (Don Giuseppe Sofrà) - Carissimi Giovani,
Dopo il periodo estivo, contraddistinto come tempo di svago e di divertimento, siete chiamati a riprendere la vita ordinaria, con l'impegno dello studio e delle altre attività. Per incoraggiarvi a far partire con il piede giusto "l'ordinario", illuminandolo con il ricordo vivo delle varie esperienze che avete vissuto durante il tempo "straordinario" dell'estate, vi invito a leggere e a riflettere sul messaggio, che il Papa ha inviato a tutti i giovani del mondo in vista della prossima Giornata Mondiale dei Giovani che si terrà a Madrid nel 2011.
Buona lettura e buona riflessione!

Vostro
don Giuseppe Sofrà.



Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI per la XXVI Giornata Mondiale della Gioventù 2011
"Radicati e fondati in Cristo, saldi nella fede" (cfr. Col 2,7)

Cari amici,
ripenso spesso alla Giornata Mondiale della Gioventù di Sydney del 2008. Là abbiamo vissuto una grande festa della fede, durante la quale lo Spirito di Dio ha agito con forza, creando un’intensa comunione tra i partecipanti, venuti da ogni parte del mondo. Quel raduno, come i precedenti, ha portato frutti abbondanti nella vita di numerosi giovani e della Chiesa intera. Ora, il nostro sguardo si rivolge alla prossima Giornata Mondiale della Gioventù, che avrà luogo a Madrid nell’agosto 2011. Già nel 1989, qualche mese prima della storica caduta del Muro di Berlino, il pellegrinaggio dei giovani fece tappa in Spagna, a Santiago de Compostela. Adesso, in un momento in cui l’Europa ha grande bisogno di ritrovare le sue radici cristiane, ci siamo dati appuntamento a Madrid, con il tema: “Radicati e fondati in Cristo, saldi nella fede” (cfr Col 2,7). Vi invito pertanto a questo evento così importante per la Chiesa in Europa e per la Chiesa universale. E vorrei che tutti i giovani, sia coloro che condividono la nostra fede in Gesù Cristo, sia quanti esitano, sono dubbiosi o non credono in Lui, potessero vivere questa esperienza, che può essere decisiva per la vita: l’esperienza del Signore Gesù risorto e vivo e del suo amore per ciascuno di noi.

1. Alle sorgenti delle vostre più grandi aspirazioni
In ogni epoca, anche ai nostri giorni, numerosi giovani sentono il profondo desiderio che le relazioni tra le persone siano vissute nella verità e nella solidarietà. Molti manifestano l’aspirazione a costruire rapporti autentici di amicizia, a conoscere il vero amore, a fondare una famiglia unita, a raggiungere una stabilità personale e una reale sicurezza, che possano garantire un futuro sereno e felice. Certamente, ricordando la mia giovinezza, so che stabilità e sicurezza non sono le questioni che occupano di più la mente dei giovani. Sì, la domanda del posto di lavoro e con ciò quella di avere un terreno sicuro sotto i piedi è un problema grande e pressante, ma allo stesso tempo la gioventù rimane comunque l’età in cui si è alla ricerca della vita più grande. Se penso ai miei anni di allora: semplicemente non volevamo perderci nella normalità della vita borghese. Volevamo ciò che è grande, nuovo. Volevamo trovare la vita stessa nella sua vastità e bellezza. Certamente, ciò dipendeva anche dalla nostra situazione. Durante la dittatura nazionalsocialista e nella guerra noi siamo stati, per così dire, “rinchiusi” dal potere dominante.
Quindi, volevamo uscire all’aperto per entrare nell’ampiezza delle possibilità dell’essere uomo. Ma credo che, in un certo senso, questo impulso di andare oltre all’abituale ci sia in ogni generazione. È parte dell’essere giovane desiderare qualcosa di più della quotidianità regolare di un impiego sicuro e sentire l’anelito per ciò che è realmente grande. Si tratta solo di un sogno vuoto che svanisce quando si diventa adulti? No, l’uomo è veramente creato per ciò che è grande, per l’infinito. Qualsiasi altra cosa è insufficiente. Sant’Agostino aveva ragione: il nostro cuore è inquieto sino a quando non riposa in Te. Il desiderio della vita più grande è un segno del fatto che ci ha creati Lui, che portiamo la sua “impronta”. Dio è vita, e per questo ogni creatura tende alla vita; in modo unico e speciale la persona umana, fatta ad immagine di Dio, aspira all’amore, alla gioia e alla pace. Allora comprendiamo che è un controsenso pretendere di eliminare Dio per far vivere l’uomo! Dio è la sorgente della vita; eliminarlo equivale a separarsi da questa fonte e, inevitabilmente, privarsi della pienezza e della gioia: “la creatura, infatti, senza il Creatore svanisce” (Con. Ecum. Vat. II, Cost. Gaudium et spes, 36). La cultura attuale, in alcune aree del mondo, soprattutto in Occidente, tende ad escludere Dio, o a considerare la fede come un fatto privato, senza alcuna rilevanza nella vita sociale. Mentre l’insieme dei valori che sono alla base della società proviene dal Vangelo – come il senso della dignità della persona, della solidarietà, del lavoro e della famiglia –, si constata una sorta di “eclissi di Dio”, una certa amnesia, se non un vero rifiuto del Cristianesimo e una negazione del tesoro della fede ricevuta, col rischio di perdere la propria identità profonda.
Per questo motivo, cari amici, vi invito a intensificare il vostro cammino di fede in Dio, Padre del nostro Signore Gesù Cristo. Voi siete il futuro della società e della Chiesa! Come scriveva l’apostolo Paolo ai cristiani della città di Colossi, è vitale avere delle radici, della basi solide! E questo è particolarmente vero oggi, quando molti non hanno punti di riferimento stabili per costruire la loro vita, diventando così profondamente insicuri. Il relativismo diffuso, secondo il quale tutto si equivale e non esiste alcuna verità, né alcun punto di riferimento assoluto, non genera la vera libertà, ma instabilità, smarrimento, conformismo alle mode del momento. Voi giovani avete il diritto di ricevere dalle generazioni che vi precedono punti fermi per fare le vostre scelte e costruire la vostra vita, come una giovane pianta ha bisogno di un solido sostegno finché crescono le radici, per diventare, poi, un albero robusto, capace di portare frutto.

2. Radicati e fondati in Cristo
Per mettere in luce l’importanza della fede nella vita dei credenti, vorrei soffermarmi su ciascuno dei tre termini che san Paolo utilizza in questa sua espressione: “Radicati e fondati in Cristo, saldi nella fede” (cfr Col 2,7). Vi possiamo scorgere tre immagini: “radicato” evoca l’albero e le radici che lo alimentano; “fondato” si riferisce alla costruzione di una casa; “saldo” rimanda alla crescita della forza fisica o morale. Si tratta di immagini molto eloquenti. Prima di commentarle, va notato semplicemente che nel testo originale i tre termini, dal punto di vista grammaticale, sono dei passivi: ciò significa che è Cristo stesso che prende l’iniziativa di radicare, fondare e rendere saldi i credenti.
La prima immagine è quella dell’albero, fermamente piantato al suolo tramite le radici, che lo rendono stabile e lo alimentano. Senza radici, sarebbe trascinato via dal vento, e morirebbe. Quali sono le nostre radici? Naturalmente i genitori, la famiglia e la cultura del nostro Paese, che sono una componente molto importante della nostra identità. La Bibbia ne svela un’altra. Il profeta Geremia scrive: “Benedetto l’uomo che confida nel Signore e il Signore è la sua fiducia. È come un albero piantato lungo un corso d’acqua, verso la corrente stende le radici; non teme quando viene il caldo, le sue foglie rimangono verdi, nell’anno della siccità non si dà pena, non smette di produrre frutti” (Ger 17,7-8). Stendere le radici, per il profeta, significa riporre la propria fiducia in Dio. Da Lui attingiamo la nostra vita; senza di Lui non potremmo vivere veramente. “Dio ci ha donato la vita eterna e questa vita è nel suo Figlio” (1 Gv 5,11). Gesù stesso si presenta come nostra vita (cfr Gv 14,6). Perciò la fede cristiana non è solo credere a delle verità, ma è anzitutto una relazione personale con Gesù Cristo, è l’incontro con il Figlio di Dio, che dà a tutta l’esistenza un dinamismo nuovo. Quando entriamo in rapporto personale con Lui, Cristo ci rivela la nostra identità, e, nella sua amicizia, la vita cresce e si realizza in pienezza. C’è un momento, da giovani, in cui ognuno di noi si domanda: che senso ha la mia vita, quale scopo, quale direzione dovrei darle? E’ una fase fondamentale, che può turbare l’animo, a volte anche a lungo. Si pensa al tipo di lavoro da intraprendere, a quali relazioni sociali stabilire, a quali affetti sviluppare… In questo contesto, ripenso alla mia giovinezza. In qualche modo ho avuto ben presto la consapevolezza che il Signore mi voleva sacerdote. Ma poi, dopo la Guerra, quando in seminario e all’università ero in cammino verso questa meta, ho dovuto riconquistare questa certezza. Ho dovuto chiedermi: è questa veramente la mia strada? È veramente questa la volontà del Signore per me? Sarò capace di rimanere fedele a Lui e di essere totalmente disponibile per Lui, al Suo servizio? Una tale decisione deve anche essere sofferta. Non può essere diversamente. Ma poi è sorta la certezza: è bene così! Sì, il Signore mi vuole, pertanto mi darà anche la forza. Nell’ascoltarLo, nell’andare insieme con Lui divento veramente me stesso. Non conta la realizzazione dei miei propri desideri, ma la Sua volontà. Così la vita diventa autentica.
Come le radici dell’albero lo tengono saldamente piantato nel terreno, così le fondamenta danno alla casa una stabilità duratura. Mediante la fede, noi siamo fondati in Cristo (cfr Col 2,7), come una casa è costruita sulle fondamenta. Nella storia sacra abbiamo numerosi esempi di santi che hanno edificato la loro vita sulla Parola di Dio. Il primo è Abramo. Il nostro padre nella fede obbedì a Dio che gli chiedeva di lasciare la casa paterna per incamminarsi verso un Paese sconosciuto. “Abramo credette a Dio e gli fu accreditato come giustizia, ed egli fu chiamato amico di Dio” (Gc 2,23). Essere fondati in Cristo significa rispondere concretamente alla chiamata di Dio, fidandosi di Lui e mettendo in pratica la sua Parola. Gesù stesso ammonisce i suoi discepoli: “Perché mi invocate: «Signore, Signore!» e non fate quello che dico?” (Lc 6,46). E, ricorrendo all’immagine della costruzione della casa, aggiunge: “Chiunque viene a me e ascolta le mie parole e le mette in pratica… è simile a un uomo che, costruendo una casa, ha scavato molto profondo e ha posto le fondamenta sulla roccia. Venuta la piena, il fiume investì quella casa, ma non riuscì a smuoverla perché era costruita bene” (Lc 6,47-48).
Cari amici, costruite la vostra casa sulla roccia, come l’uomo che “ha scavato molto profondo”. Cercate anche voi, tutti i giorni, di seguire la Parola di Cristo. Sentitelo come il vero Amico con cui condividere il cammino della vostra vita. Con Lui accanto sarete capaci di affrontare con coraggio e speranza le difficoltà, i problemi, anche le delusioni e le sconfitte. Vi vengono presentate continuamente proposte più facili, ma voi stessi vi accorgete che si rivelano ingannevoli, non vi danno serenità e gioia. Solo la Parola di Dio ci indica la via autentica, solo la fede che ci è stata trasmessa è la luce che illumina il cammino. Accogliete con gratitudine questo dono spirituale che avete ricevuto dalle vostre famiglie e impegnatevi a rispondere con responsabilità alla chiamata di Dio, diventando adulti nella fede. Non credete a coloro che vi dicono che non avete bisogno degli altri per costruire la vostra vita! Appoggiatevi, invece, alla fede dei vostri cari, alla fede della Chiesa, e ringraziate il Signore di averla ricevuta e di averla fatta vostra!

3. Saldi nella fede
Siate “radicati e fondati in Cristo, saldi nella fede” (cfr Col 2,7). La Lettera da cui è tratto questo invito, è stata scritta da san Paolo per rispondere a un bisogno preciso dei cristiani della città di Colossi. Quella comunità, infatti, era minacciata dall’influsso di certe tendenze culturali dell’epoca, che distoglievano i fedeli dal Vangelo. Il nostro contesto culturale, cari giovani, ha numerose analogie con quello dei Colossesi di allora. Infatti, c’è una forte corrente di pensiero laicista che vuole emarginare Dio dalla vita delle persone e della società, prospettando e tentando di creare un “paradiso” senza di Lui. Ma l’esperienza insegna che il mondo senza Dio diventa un “inferno”: prevalgono gli egoismi, le divisioni nelle famiglie, l’odio tra le persone e tra i popoli, la mancanza di amore, di gioia e di speranza. Al contrario, là dove le persone e i popoli accolgono la presenza di Dio, lo adorano nella verità e ascoltano la sua voce, si costruisce concretamente la civiltà dell’amore, in cui ciascuno viene rispettato nella sua dignità, cresce la comunione, con i frutti che essa porta. Vi sono però dei cristiani che si lasciano sedurre dal modo di pensare laicista, oppure sono attratti da correnti religiose che allontanano dalla fede in Gesù Cristo.
Altri, senza aderire a questi richiami, hanno semplicemente lasciato raffreddare la loro fede, con inevitabili conseguenze negative sul piano morale.
Ai fratelli contagiati da idee estranee al Vangelo, l’apostolo Paolo ricorda la potenza di Cristo morto e risorto. Questo mistero è il fondamento della nostra vita, il centro della fede cristiana. Tutte le filosofie che lo ignorano, considerandolo “stoltezza” (1 Cor 1,23), mostrano i loro limiti davanti alle grandi domande che abitano il cuore dell’uomo. Per questo anch’io, come Successore dell’apostolo Pietro, desidero confermarvi nella fede (cfr Lc 22,32). Noi crediamo fermamente che Gesù Cristo si è offerto sulla Croce per donarci il suo amore; nella sua passione, ha portato le nostre sofferenze, ha preso su di sé i nostri peccati, ci ha ottenuto il perdono e ci ha riconciliati con Dio Padre, aprendoci la via della vita eterna. In questo modo siamo stati liberati da ciò che più intralcia la nostra vita: la schiavitù del peccato, e possiamo amare tutti, persino i nemici, e condividere questo amore con i fratelli più poveri e in difficoltà.
Cari amici, spesso la Croce ci fa paura, perché sembra essere la negazione della vita. In realtà, è il contrario! Essa è il “sì” di Dio all’uomo, l’espressione massima del suo amore e la sorgente da cui sgorga la vita eterna.
Infatti, dal cuore di Gesù aperto sulla croce è sgorgata questa vita divina, sempre disponibile per chi accetta di alzare gli occhi verso il Crocifisso.
Dunque, non posso che invitarvi ad accogliere la Croce di Gesù, segno dell’amore di Dio, come fonte di vita nuova. Al di fuori di Cristo morto e risorto, non vi è salvezza! Lui solo può liberare il mondo dal male e far crescere il Regno di giustizia, di pace e di amore al quale tutti aspiriamo.

4. Credere in Gesù Cristo senza vederlo
Nel Vangelo ci viene descritta l’esperienza di fede dell’apostolo Tommaso nell’accogliere il mistero della Croce e Risurrezione di Cristo. Tommaso fa parte dei Dodici apostoli; ha seguito Gesù; è testimone diretto delle sue guarigioni, dei miracoli; ha ascoltato le sue parole; ha vissuto lo smarrimento davanti alla sua morte. La sera di Pasqua il Signore appare ai discepoli, ma Tommaso non è presente, e quando gli viene riferito che Gesù è vivo e si è mostrato, dichiara: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo” (Gv 20,25).
Noi pure vorremmo poter vedere Gesù, poter parlare con Lui, sentire ancora più fortemente la sua presenza. Oggi per molti, l’accesso a Gesù si è fatto difficile. Circolano così tante immagini di Gesù che si spacciano per scientifiche e Gli tolgono la sua grandezza, la singolarità della Sua persona. Pertanto, durante lunghi anni di studio e meditazione, maturò in me il pensiero di trasmettere un po’ del mio personale incontro con Gesù in un libro: quasi per aiutare a vedere, udire, toccare il Signore, nel quale Dio ci è venuto incontro per farsi conoscere. Gesù stesso, infatti, apparendo nuovamente dopo otto giorni ai discepoli, dice a Tommaso: “Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!” (Gv 20,27). Anche a noi è possibile avere un contatto sensibile con Gesù, mettere, per così dire, la mano sui segni della sua Passione, i segni del suo amore: nei Sacramenti Egli si fa particolarmente vicino a noi, si dona a noi. Cari giovani, imparate a “vedere”, a “incontrare” Gesù nell’Eucaristia, dove è presente e vicino fino a farsi cibo per il nostro cammino; nel Sacramento della Penitenza, in cui il Signore manifesta la sua misericordia nell’offrirci sempre il suo perdono. Riconoscete e servite Gesù anche nei poveri, nei malati, nei fratelli che sono in difficoltà e hanno bisogno di aiuto.
Aprite e coltivate un dialogo personale con Gesù Cristo, nella fede. Conoscetelo mediante la lettura dei Vangeli e del Catechismo della Chiesa Cattolica; entrate in colloquio con Lui nella preghiera, dategli la vostra fiducia: non la tradirà mai! “La fede è innanzitutto un’adesione personale dell’uomo a Dio; al tempo stesso ed inseparabilmente, è l’assenso libero a tutta la verità che Dio ha rivelato” (Catechismo della Chiesa Cattolica, 150). Così potrete acquisire una fede matura, solida, che non sarà fondata unicamente su un sentimento religioso o su un vago ricordo del catechismo della vostra infanzia. Potrete conoscere Dio e vivere autenticamente di Lui, come l’apostolo Tommaso, quando manifesta con forza la sua fede in Gesù: “Mio Signore e mio Dio!”.

5. Sorretti dalla fede della Chiesa, per essere testimoni
In quel momento Gesù esclama: “Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!” (Gv 20,29). Egli pensa al cammino della Chiesa, fondata sulla fede dei testimoni oculari: gli Apostoli.
Comprendiamo allora che la nostra fede personale in Cristo, nata dal dialogo con Lui, è legata alla fede della Chiesa: non siamo credenti isolati, ma, mediante il Battesimo, siamo membri di questa grande famiglia, ed è la fede professata dalla Chiesa che dona sicurezza alla nostra fede personale. Il Credo che proclamiamo nella Messa domenicale ci protegge proprio dal pericolo di credere in un Dio che non è quello che Gesù ci ha rivelato: “Ogni credente è come un anello nella grande catena dei credenti. Io non posso credere senza essere sorretto dalla fede degli altri, e, con la mia fede, contribuisco a sostenere la fede degli altri” (Catechismo della Chiesa Cattolica, 166).
Ringraziamo sempre il Signore per il dono della Chiesa; essa ci fa progredire con sicurezza nella fede, che ci dà la vera vita (cfr Gv 20,31).
Nella storia della Chiesa, i santi e i martiri hanno attinto dalla Croce gloriosa di Cristo la forza per essere fedeli a Dio fino al dono di se stessi; nella fede hanno trovato la forza per vincere le proprie debolezze e superare ogni avversità. Infatti, come dice l’apostolo Giovanni, “chi è che vince il mondo se non chi crede che Gesù è il Figlio di Dio?” (1 Gv 5,5). E la vittoria che nasce dalla fede è quella dell’amore. Quanti cristiani sono stati e sono una testimonianza vivente della forza della fede che si esprime nella carità: sono stati artigiani di pace, promotori di giustizia, animatori di un mondo più umano, un mondo secondo Dio; si sono impegnati nei vari ambiti della vita sociale, con competenza e professionalità, contribuendo efficacemente al bene di tutti. La carità che scaturisce dalla fede li ha condotti ad una testimonianza molto concreta, negli atti e nelle parole: Cristo non è un bene solo per noi stessi, è il bene più prezioso che abbiamo da condividere con gli altri. Nell’era della globalizzazione, siate testimoni della speranza cristiana nel mondo intero: sono molti coloro che desiderano ricevere questa speranza!
Davanti al sepolcro dell’amico Lazzaro, morto da quattro giorni, Gesù, prima di richiamarlo alla vita, disse a sua sorella Marta: “Se crederai, vedrai la gloria di Dio” (cfr Gv 11,40). Anche voi, se crederete, se saprete vivere e testimoniare la vostra fede ogni giorno, diventerete strumento per far ritrovare ad altri giovani come voi il senso e la gioia della vita, che nasce dall’incontro con Cristo!

6. Verso la Giornata Mondiale di Madrid
Cari amici, vi rinnovo l’invito a venire alla Giornata Mondiale della Gioventù a Madrid. Con gioia profonda, attendo ciascuno di voi personalmente: Cristo vuole rendervi saldi nella fede mediante la Chiesa. La scelta di credere in Cristo e di seguirlo non è facile; è ostacolata dalle nostre infedeltà personali e da tante voci che indicano vie più facili. Non lasciatevi scoraggiare, cercate piuttosto il sostegno della Comunità cristiana, il sostegno della Chiesa! Nel corso di quest’anno preparatevi intensamente all’appuntamento di Madrid con i vostri Vescovi, i vostri sacerdoti e i responsabili di pastorale giovanile nelle diocesi, nelle comunità parrocchiali, nelle associazioni e nei movimenti. La qualità del nostro incontro dipenderà soprattutto dalla preparazione spirituale, dalla preghiera, dall’ascolto comune della Parola di Dio e dal sostegno reciproco.
Cari giovani, la Chiesa conta su di voi! Ha bisogno della vostra fede viva, della vostra carità creativa e del dinamismo della vostra speranza. La vostra presenza rinnova la Chiesa, la ringiovanisce e le dona nuovo slancio. Per questo le Giornate Mondiali della Gioventù sono una grazia non solo per voi, ma per tutto il Popolo di Dio. La Chiesa in Spagna si sta preparando attivamente per accogliervi e vivere insieme l’esperienza gioiosa della fede. Ringrazio le diocesi, le parrocchie, i santuari, le comunità religiose, le associazioni e i movimenti ecclesiali, che lavorano con generosità alla preparazione di questo evento. Il Signore non mancherà di benedirli. La Vergine Maria accompagni questo cammino di preparazione. Ella, all’annuncio dell’Angelo, accolse con fede la Parola di Dio; con fede acconsentì all’opera che Dio stava compiendo in lei. Pronunciando il suo “fiat”, il suo “sì”, ricevette il dono di una carità immensa, che la spinse a donare tutta se stessa a Dio. Interceda per ciascuno e ciascuna di voi, affinché nella prossima Giornata Mondiale possiate crescere nella fede e nell’amore. Vi assicuro il mio paterno ricordo nella preghiera e vi benedico di cuore.

Dal Vaticano, 6 agosto 2010, Festa della Trasfigurazione del Signore.
Benedetto XVI

Nella foto: Don Giuseppe Sofrà, viceparroco di Galatro.


Torna ai titoli

INDIETRO

Copyright @ Associazione Culturale del Metramo 1999 -