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3.10.10 - Elezioni amministrative: cosa c'è dietro l'angolo?
Michele Scozzarra

12.10.10 - La tragedia di Sarah... in silenzio chiniamo la fronte
Michele Scozzarra

14.10.10 - Le macerie della politica galatrese
Nicola Pettinato

3.11.10 - Dossi: favorevoli e contrari
Salvatore Mannella / Montagna Lauro / Biagio Cirillo

6.11.10 - Dossi si, dossi no: altre opinioni
Francesca Circosta / Emanuele Cirillo / Arianna Sigillò

6.11.10 - Vicini ad Umberto Di Stilo
Michele Scozzarra

7.11.10 - Dossi utili ma non a norma
Serena Marazzita

21.11.10 - Con l'augurio che l'amico Umberto torni a scrivere al più presto
Michele Scozzarra

27.11.10 - La polemica di Saviano e l'essenza delle due Italie
Michele Scozzarra

1.12.10 - La polemica di Saviano?
Antonio Sibio

5.12.10 - I mercati e il ritorno della politica
Domenico Distilo

14.12.10 - Solidarnosc: una rivolta che ha cambiato la storia
Michele Scozzarra

19.12.10 - Un altro punto di vista su Cossiga
Antonio Sibio

20.12.10 - A Biella, se Dio vuole
Pasquale Cannatà

20.12.10 - Il terzo polo e la fuoruscita dal berlusconismo
Domenico Distilo

22.12.10 - All'amico prof. Umberto Di Stilo augurando buona guarigione e felice Natale
Giuseppe Romeo

24.12.10 - Natale 2010: con lo sguardo su quella sedia vuota
Michele Scozzarra

31.12.10 - Come eravamo, come siamo
Domenico Distilo

31.12.10 - Te Deum laudamus
Michele Scozzarra

31.12.10 - Incipit vita nova!
Don Giuseppe Sofrà





(3.10.10) ELEZIONI AMMINISTRATIVE: COSA C'E' DIETRO L'ANGOLO (Michele Scozzarra) - Anche quest’anno l’estate è terminata, ci siamo riposati, nonostante il caldo e le zanzare… E’ passato anche settembre, le scuole hanno riaperto i battenti, le vacanze sono terminate da un pezzo ed è inutile negare che, l’imminenza delle prossime elezioni amministrative, che interesseranno a breve il nostro paese, ci porta a pensare come cosa lecita che è venuto il tempo di un serio confronto sulla politica, sui progetti che si vogliono realizzare per la nostra Galatro.
Invece… notiamo il silenzio più assoluto, sembra quasi che questo aspetto serio della politica non riguardi o non interessi nessuno.
Forse (quanti “forse” dobbiamo usare!) tutto questo è dovuto al fatto che ci si trova davanti a situazioni difficili da gestire (a cominciare dalle varie alleanze che si prospettano all’orizzonte!) e si rischia di fare la politica dello struzzo… tanto, poi, quando ci si accorderà sul nome del candidato a sindaco, tutto tornerà a posto, non ci sarà più niente da temere e si potrà, come lo struzzo, tirare fuori la testa, tenuta a lungo nascosta dentro la sabbia!
Già… il nome del candidato a Sindaco è visto come la panacea che risolverà tutti i problemi… Ma, proviamo un po’, anche solo per un attimo, a immaginare di dover tirare fuori, da un ipotetico cilindro magico, il nome di uno o più persone che nel corso degli ultimi anni hanno esercitato, nell’ambito del nostro paese, una azione ed un impegno politico così evidente ed incisivo da poter essere designati, senza alcuna esitazione, come possibili candidati alla carica di primo cittadino nel nostro paese… Una o più persone che si sono evidenziate perché hanno espresso delle idee, dei progetti, degli impegni per la valorizzazione di quanto esiste nel nostro paese e li hanno tramutati in un impegno “visibile” a tutti i cittadini… per cui non si può non pensare a queste persone per una probabile candidatura a Primo cittadino?
Non penso che nessuno tirerà fuori un (e sottolineo uno!) nome di un possibile candidato… In questi anni l’unica cosa che si è potuta ben notare nel nostro paese è stata… l’avanzare del deserto! Scriveva tempo fa il filosofo Emanuele Severino: “A chi mi domanda da che parte sto, rispondo che tutti stiamo dalla stessa parte, la parte dove il deserto cresce. Ma lo sguardo che vede crescere il deserto, non appartiene al deserto. Sta dall’altra parte. E in esso è riposta ogni possibilità di salvezza”. Ma, intanto, nessuno sembra accorgersi che tanti capricci, tante lotte, tanti moralismi, nascondono solo l’avanzata del deserto e che questa può essere fermata solo dando più spazio ai fatti che ai proponimenti. E ciò non richiede una particolare sapienza intellettuale, ma una attenzione ed uno sguardo libero e sincero verso la nostra realtà ed i suoi bisogni.
I buoni medici raccomandano sempre di fare attenzione ai piccoli messaggi che il nostro corpo invia: i doloretti, le nausee, i malesseri temporanei che poi spariscono come sono venuti. Molti grandi e piccoli inconvenienti di salute potrebbero essere evitati, se dessimo ascolto a questo semplice e saggio consiglio. Quel che vale nella fisiologia umana, vale anche a livello sociale…
Nonostante tutto, non vorrei, con questo mio intervento, contribuire a reiterare i pianti su di un paese che lentamente, ma inesorabilmente, ha visto sempre più ridimensionato il suo ruolo sociale, culturale ed economico nel contesto del territorio, causa una notevole disattenzione ai problemi generali del paese (diga, terme e territorio sono solo la punta visibile del grande iceberg…!).
Disattenzione imputabile a chi, negli anni, ha voluto fare della politica un momento di perenne conflittualità, che ha il sapore del “divide e impera” di romana memoria… disattenzione imputabile a chi ha fatto perdere, anche in politica, il senso dell’umiltà, della tolleranza, facendo perdere il senso civico che avrebbe dovuto unire le varie “fazioni”, di fronte all’individuazione di scelte strategiche per una politica di sviluppo dell’intero nostro paese.
Non è più il tempo in cui ci si può sentire a posto nel riuscire a soddisfare i propri piccoli interessi quando intorno c’è una gioventù allo sbando, intere famiglie costrette ad andare via e l’esodo continua ad assumere dimensioni sempre più preoccupanti. Galatro è scomparsa da anni dai circuiti decisionali sovracomunali, non ha nessuna capacità contrattuale e forte rappresentanza politica… il livello di guardia è stato superato, per cui non si può non auspicare una presa di coscienza, da parte di tutti, per cercare di invertire la rotta.
E quando dico “presa di coscienza” intendo invitare ad una azione politica improntata a “rapporti amichevoli” che si possono tramutare in una azione politica per il bene del paese, proprio quando, inutile negarlo, le parti in campo si preparano ad “affilare le armi” per la battaglia.
Ritengo che “l’invito” debba essere preso in seria considerazione, non tanto per un generico e sterile “vogliamoci bene”, quanto per la considerazione, ormai terrificante, che la gente è stufa di intrighi ai quali si sente sempre più estranea, perché nulla hanno a che vedere con i veri problemi che ci attanagliano… e se la gente è diventata apatica o indifferente, non è perché le manchino i principi di valore, ma perché questi sono stati sistematicamente derisi ed avviliti da un certo modo di fare politica… e chi dovrebbe e potrebbe intervenire per creare fiducia per le sorti di Galatro… fa la politica dello struzzo!
Tutto questo, purtroppo, è ancora solo un lato della medaglia, perché il problema è altrove e più grande di quanto, a prima vista, può apparire.
Nonostante la presenza nel nostro territorio di grandi potenzialità di sviluppo quali la diga, le terme e la tipicità del nostro ambiente naturale (che non è una risorsa di scarso valore), ci troviamo, ormai da tanti anni, ad affrontare una situazione di aperta competizione con altri centri a vocazione turistica e di fronte a questa aperta “lotta” non penso sia il caso di perdere tempo dietro a cavilli e intrighi che sono irrilevanti per quelli che sono le progettualità e gli interessi del nostro paese.
Bisogna indirizzare una azione politica che vada al nocciolo della questione, dove andare al sodo significa anche cercare di “tirare l’acqua al proprio mulino”, senza perdere tempo in risse elettoralistiche e scontri personalistici (leggi pure “carrette” create ad arte per alimentare inutili dissidi e malumori tra la gente!) che mentre nessun giovamento arrecano alla collettività, avvelenano rapporti in una cittadina di ambito ristretto come la nostra Galatro!
Amaramente dobbiamo costatare che abbiamo indebolito troppo “le mura” del nostro paese e quando la guardia vien meno, “i nemici” si sentono in diritto di entrare e depredare tutto… Cosa che puntualmente è avvenuta e che ci induce a riflettere, seriamente, su quelle che pensiamo siano le sorti e le progettualità del nostro paese… che non devono dare spazio a sterili lotte per accaparrarsi un potere che rischia di non servire a niente una volta che abbiamo perso tutto!

Nelle foto, dall'alto in basso: scorcio di Galatro con campanile di S. Nicola, torre del Municipio, piazza Matteotti deserta.


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(12.10.10) LA TRAGEDIA DI SARAH... IN SILENZIO CHINIAMO LA FRONTE (Michele Scozzarra) - Sarah Scazzi, 15 anni, di Avetrana in provincia di Taranto, viveva con la mamma (il padre e il fratello li vedeva di rado perché lavoravano a Milano).
Alle 14.30 di giovedì 26 agosto uscì di casa per percorrere a piedi i trecento passi che la separavano dall’abitazione della cugina Sabrina, con la quale aveva intenzione di andare in spiaggia.
Da allora di lei non si seppe più nulla. Gli inquirenti, in un primo momento, pensarono ad una fuga: i diari, i temi di scuola, le chat su Internet, sempre ed ovunque Sarah raccontava dei suoi problemi a casa, del rapporto conflittuale con i genitori, del fatto che non vedeva l’ora di andarsene da Avetrana.
Dopo 35 giorni, tuttavia, saltò fuori in un campo il suo cellulare, mezzo bruciacchiato. A trovarlo fu lo zio Michele Misseri, un “ciuccio di fatica” che aveva sgobbato in Germania abbastanza da mettere da parte i soldi per diventare padroncino di terre e casa sua. Con l’aria “tonta e furba assieme”, raccontò in lacrime, davanti alle telecamere, d’aver visto il telefonino mentre bruciava le stoppie in un terreno di sua proprietà: “Ero tornato a cercare un cacciavite e ho trovato il cellulare. Era come se Sarah mi stesse chiamando”. Quel cellulare però, troppo integro per star lì da 35 giorni, era un atto d’accusa, non poteva essere stato un caso che l’avesse trovato proprio lui.
La sera di mercoledì 6 ottobre, dopo 10 ore d’interrogatorio, Misseri confessò ai carabinieri che quel 26 agosto, mentre era nel garage di casa sua, si vide Sarah davanti, la invitò ad entrare e cercò di palparla. Lei inviperita gli voltò le spalle e allora lui le strinse una corda al collo “per cinque, sei minuti”, finché non smise di respirare. Quindi caricò il cadavere nel bagagliaio della sua auto, guidò fino a un campo a San Pancrazio, tirò fuori Sarah, la adagiò sull’erba, la spogliò e la stuprò. Infine calò la salma in un vecchio pozzo pieno d’acqua, coprì l’imbocco con un pezzo di tufo, delle zolle di terra e un ceppo di vite, e come nulla fosse se ne tornò a casa sua.
Nei giorni successivi alla confessione sono venuti fuori altri dettagli… in paese, ora, qualcuno comincia a dire che il “ciuccio di fatica” era anche “un poco rattuso”, cioè era uno che sbavava appresso alle femmine, “uno che molestava pure le figlie”. E’ pure venuto fuori che il padre di Misseri, morto da qualche anno, aveva abusato delle due figlie femmine e forse pure del maschio che è diventato l’orco di Avetrana.
Ora, nella tragedia di Avetrana, una delle più atroci che le cronache di questi anni abbiano raccontato, c’è un punto che induce a riflettere, rispetto al fiume di male che ha travolto una ragazza di quindici anni. Ad Avetrana c’è un particolare che stupisce, ha scritto Marina Corradi dalle colonne del settimanale Tempi. Non c’era alcuna prova contro l’assassino; nessuno aveva visto. Si parlava di rapimento. Si sospettava di altri. Col tempo i riflettori sul paese si sarebbero spenti, le telecamere se ne sarebbero andate, e il mistero sulla fine di Sarah sarebbe rimasto per sempre. Che cosa, dunque, ha spinto Michele Misseri a fingere di trovare il telefonino della nipote e portare gli inquirenti a puntare gli occhi su di lui?
Perché dunque con il ritrovamento del cellulare, sembrava dire «prendetemi, sono stato io»? Perché, ha detto lo stesso Misseri, il ricordo di quel che aveva fatto non era tollerabile. Perché l’immagine di Sarah gli era davanti agli occhi in ogni istante; e ogni notte tornava, chiedendo la pietà di rivestirla. Non mentiva l’assassino… era vero quello che diceva. In quel pozzo, insieme al corpo di lei, anche il carnefice era sprofondato, in un pomeriggio di fine estate.
E nessuno sapeva, e nessuno osava immaginare che a uccidere potesse essere stato uno che quella bambina bionda l’aveva tenuta sulle ginocchia come una figlia. Ma qualcosa dentro premeva insopportabilmente, tanto da obbligare a tradirsi. Cosa, se non la coscienza? Nonostante il delitto bestiale, nonostante l’atrocità e il nascondimento abile, freddo, qualcosa resta anche in fondo al peggiore assassino, una voce che non si riesce a zittire in alcun modo. La consapevolezza del male è un’evidenza stampata nell’uomo; per quanto cancellata, negata, non tace. Non è ancora rimorso ciò che ha spinto l’assassino di Avetrana a tradirsi. È invece l’insopportabile angoscia di trovarsi, di fronte a quel ricordo, totalmente solo. Nessuno con cui poter parlare del fantasma che lo inseguiva, di quella figura esile e bionda che gli chiedeva l’ultima pietà di coprirne i resti. Assolutamente nessuno. Un giogo come un macigno, da reggere solo; facendo finta di niente, a tavola con la famiglia, la sera. In mezzo agli altri, ma solo nel suo pozzo, complementare e simmetrico a quello in cui aveva sepolto la nipote. L’inferno, disse Sartre, 'sono gli altri', ma è vero il contrario: l’inferno è essere soli. Con quel volto gentile sempre davanti, e nessuno a cui poter dire una parola. Così che, ha detto Misseri, è stato un sollievo confessare, e perfino portare i carabinieri laggiù, in campagna, nella notte. Forse perfino le maledizioni e gli insulti degli altri, in carcere, ora, sono meglio che quella terrificata solitudine. Con una voce dal profondo che però premeva, gridava. L’ansia di confessare e quindi di tornare fra i vivi, fra gli uomini, se pure come il più spietato degli assassini. La coscienza soffocata, che però costringe e non dà pace. Avetrana, storia di inferi, dice però che qualcosa anche nel fondo del buio, anche nel peggiore degli uomini, ostinatamente si oppone all’orrore del male e del nulla.
Cosa si può scrivere ancora per commentare un simile inferno… Forse, di fronte a storie come questa, di vero esiste solo il silenzio: quel silenzio che s’affaccia sugli abissi della nostra nullità e, umilmente, ci fa chinare la fronte… e niente altro!

 


Nelle foto, dall'alto in basso: Sarah Scazzi in due pose, firma di Sarah e voto su un compito in classe, svolgimento del compito.


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(14.10.10) LE MACERIE DELLA POLITICA GALATRESE (Nicola Pettinato) - Le riflessioni di Michele Scozzarra riguardo le imminenti elezioni amministrative pubblicate da Galatro Terme News rappresentano una solare dimostrazione dello stato di precarietà (per usare un eufemismo) in cui versa Galatro. Gli argomenti sollevati sarebbero tutt’altro che banali se vivessimo in un luogo dove l’ABC della convivenza civile avesse diritto di cittadinanza. Michele esordisce utilizzando due termini assolutamente fuori luogo nella valle del Metramo: politica e progetti.
In tempi non sospetti, quando sia io che l’amico Scozzarra siedevamo in Consiglio Comunale, ho posto sul tappeto con tutte le mie forze il problema della totale disconnessione tra l’azione amministrativa e il vincolo programmatico con i cittadini-elettori, elemento essenziale e costitutivo del principio di rappresentanza. Allora rimasi solo a predicare nel deserto e purtroppo ricordo perfettamente, oltre a poter documentare tramite i verbali dei consigli comunali, l’atteggiamento dell’allora consigliere Scozzarra e del suo gruppo: un’opposizione alla camomilla al limite della complicità con una amministrazione basata sul “tirare a campare” e sull’assoluta incapacità programmatica e progettuale.
Mi fa piacere che a distanza di 17 anni anche Michele si sia reso conto che le mie posizioni non erano delle “iperbole” (copyright Domenico Distilo) ma semplicemente degli inviti a porre rimedio prima che fosse troppo tardi: peccato che il tempo sia scaduto e che le macerie oramai rappresentino il panorama fisso della “politica” galatrese; senza la loro rimozione non può esserci ricostruzione e chi come Michele fa finta di non averlo capito si esibisce in sterili esercizi linguistici.
Il fatto che a tutt’oggi la scena “politica” sia dominata da una generazione responsabile del fallimento della nostra comunità e del furto della speranza ai danni di schiere di concittadini che loro malgrado lasciano Galatro per altri lidi, dimostra che il nostro amato “paesello” è clinicamente morto e non può esistere soggetto alcuno legittimato ad amministrare sulla base di un rapporto serio e non di sudditanza con i cittadini. Ritengo di poter affermare, senza timore di smentita, che l’unica stagione politica seria vissuta a Galatro negli ultimi venti anni sia stata la gestione del Dott. Nicolò, per il resto si è trattato di assistere a squallidi spettacoli di anarchia e amministrazione improvvisata della cosa pubblica. Pertanto ritengo del tutto inopportuno discutere sul nome del prossimo candidato alla carica di Sindaco in quanto l’unico gesto responsabile da parte dei galatresi sarebbe l’astensione dal voto al fine di consegnare il Comune nelle mani di una gestione commissariale.
Naturalmente non sono così ingenuo da credere che questo scenario sia realistico per tutta una serie di motivi già esposti in passato su Galatro Terme News. Potrei fare un bel copia-incolla di un mio vecchio articolo del novembre ’99, tanto da decenni sembra di vivere in un museo delle cere dove tutto rimane perennemente immobile.
Finchè non saremo in grado di elaborare una seria lettura dei fatti che hanno provocato il declino di Galatro e finchè i responsabili potranno impunemente elargire lezioni di buon governo a destra e a manca dall’alto delle loro posizioni di rendita, non avrà senso parlare di politica, progetti, programmi, futuro e via cianciando.
Prometto a me stesso di non intervenire più su temi del genere, tanto non serve e non servirà a nulla: non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire.

Nella foto: scorcio di Galatro su via Aldo Moro.

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(3.11.10) DOSSI: FAVOREVOLI E CONTRARI (Salvatore Mannella / Montagna Lauro / Biagio Cirillo) - Dossi nelle vie principali del paese? Grande bufalata! Signori amministratori, vi è mai venuto in mente che prima di agire bisogna pensare? Avete chiesto cosa ne pensa la comunità galatrese? Avete pensato ad una emergensa dei vigili del fuoco? Avete pensato all'emergensa di un'ambulanza? Avete pensato ad una emergenza della stazione di comando dei carabinieri? Avete pensato alla tanta acqua provocata dalla pioggia? Visto che non ci sono rimedi e l`acqua scorre sulle strade?
Insomma questi dossi sono un intralcio vero e proprio, sono solo da togliere, per me e per tanta opinione pubblica. Mettetevi una mano sulla coscienza! Saluti a voi Redazione.
Salvatore Mannella - Bichelsee (Svizzera)

E' da un po' che non scrivo, ma la notizia dei dossi mi ha fatto veramente ridere, non potevo non dire la mia.
Prima di tutto vorrei dire a quelle persone che si sono lamentate che gli è saltata la dentiera, hanno battuto la testa, si sono fatti male ecc. se gli è successo tutto questo vuol dire che stavano facendo il rally di Montecarlo. A chi dice che i dossi sono un intralcio ad un'eventuale emergenza di vigili, carabinieri, ambulanze, non ricordo nella mia vita di 50 anni un verificarsi di tali eventi dove tutte queste forze siano intervenute, neppure singolarmente. A Nichelino (Torino) ci sono i dossi e tanti, certo gli automobilisti non fanno i salti di gioia ma servono a rallentare il traffico in punti critici, e diciamo che è una città dove sicuramente non mancano gli interventi di cui sopra, mai letto che sia successo qualcosa a tali mezzi.
Ma tornando ai dossi del paesello, se vogliamo dire che forse non servivano, viste le strade e il traffico esiguo, posso essere d’accordo, ma non facciamo sempre polemiche su tutto, cerchiamo di analizzare le cose come si deve, non vogliamo essere un paese all'avanguardia? Un caro saluto a tutti i miei parenti e compaesani, un saluto particolare alla Redazione per il lavoro che svolge sempre alla grande.
Montagna Lauro - Nichelino (Torino)

Intanto un saluto caloroso ai galatresi e allo Staff del sito.
Ho letto qualche settimana addietro che a Galatro sono stati costruiti alcuni dossi sulle strade a rischio per l’eccessiva velocità. Oggi con rammarico sento la prima contestazione di Salvatore Mannella al quale vorrei dire che anche nelle città del Nord esistono i dossi artificiali, devo dire con ottimi risultati.
Caro Salvatore i dossi sono antipatici a tutti però sono essenziali per rallentare la velocità di quegli automobilisti indisciplinati. Inoltre a Galatro non funziona il servizio municipale, per meglio dire non esistono i blocchetti per le multe, oppure bastava l’inserimento di alcuni autovelox che, oltre a far rallentare i veicoli, avrebbero portato dei soldini nelle casse del Comune.
Comunque complimenti al sindaco che, prima che ci scappa il ferito o il morto, ha provveduto con i dossi. Chissà che non vengano in futuro adottati sistemi meno ingombranti come da me segnalati (multe o autovelox) e non solo per la velocità ma anche per le auto, camion e altro parcheggiati da anni ormai ai bordi delle strade senza nemmeno il talloncino dell’assicurazione esposto sul vetro.
In ogni caso, caro Salvatore, alla tua preoccupazione per ambulanze, vigili del fuoco o carabinieri, vorrei dirti che a Galatro non li ho mai visti andare di fretta, quindi per quella volta che potrebbe succedere vuol dire che rallenteranno anche loro.
Adesso prima di salutarti ti chiedo di non prendertela se ho sentito il bisogno di commentare la tua lettera.
Saluti a tutti i galatresi e allo staff.
Biagio Cirillo - Bolzano

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(6.11.10) DOSSI SI, DOSSI NO: ALTRE OPINIONI (Francesca Circosta / Emanuele Cirillo / Arianna Sigillò) - Dossi si / dossi no... questo è il dilemma! Un caloroso saluto alla Redazione prima di tutto. Anche se è da tanto tempo che non scrivo, vi leggo sempre. Ma questa volta non posso fare a meno di dire la mia.
Come
ha già scritto qualcuno, mi viene solamente da ridere in merito alla questione dossi. Io purtroppo non posso sapere la loro esatta collocazione. Ma alle persone contrarie mi viene da chiedere una cosa: vi siete mai trovati in via Diga, via La Longa, via Bosco Longa? Avete mai provato a dover aprire 10.000 occhi prima di attraversare quelle strade?
Se solo dovesse scapparvi un bambino in mezzo alla strada, ci sarebbero da pregare mille Santi perchè non gli succeda qualcosa. E le sfrecciate durante la notte? Già, dimenticavo, siamo solo bravi a parlare ma i fatti!
A Bergamo ci sono dossi ovunque e gli interventi di carabinieri, polizia, ambulanze e quant'altro non mancano di sicuro. E non mi sembra che gli stessi siano finiti in ospedale per il dosso maledetto.
Se non vogliamo i dossi per non rovinaere le nostre macchine lussuose, impariamo ad essere un attimino più responsabili e poi possiamo parlare. Come fa un paese ad evolversi se non si accetta il minimo cambiamento?
Dimenticavo, questo à Galatro!
Francesca Circosta - Bergamo

Possiamo dire che il Comune ha fatto bene a mettere i dossi per la sicurezza di tutti. Il modo in cui sono stati realizzati però ritengo che li renda pericolosi.
Quindi che rivedano il tutto e rimettano a posto i dossi, segnalandoli tutti con delle insegne.
Emanuele Cirillo

Salve a tutti. E' da un po' di tempo che avevo intenzione di dire la mia su alcune delle "stravaganze" degli ultimi tempi effettuate dalla nostra Amministrazione.
I dossi... una bufala, come dice Salvatore Mannella? Non direi, anzi peggio, un'inutile sperpero di denaro pubblico. Non vorrei "aprire una polemica" com'è mio solito, ma per l'ennesima volta per me è "più che doveroso".
Innanzitutto quelli a mio avviso non sono dossi, ma una sorta di piattaforme piazzate in strada a distanze assurde per "rallentare il traffico"!
Ma quale traffico, e quali sparate?! L'avessero fatto prima dell'arrivo dell'estate e quindi dei turisti, nonchè del vero traffico, l'avrei anche potuto capire, non ne avrei condiviso il modo, ma almeno sarebbe stato un valido motivo di "sperpero di denaro pubblico". E sì, sperpero di denaro, perchè prima dei dossi, prima degli asfalti in alcune delle vie del paese, prima del nuovo sistema d'illuminazione della villa, c'erano lavori ben più importanti da fare, primo tra tutti la messa in sicurezza della scuola materna.
Al caro compaesano Biagio Cirillo vorrei dire che c'è poco da complimentarsi col sindaco per il "presunto ottimo lavoro dei dossi" come misura preventiva, come dici tu "prima che ci scappi il ferito o il morto". Non stiamo mica parlando "di 'u direttufilu i violi"!
E poi, vorrei sapere di chi è "la mente illuminata" che ha progettato di fare dei dossi del genere.
Ritornando alla scuola materna, volevo dire al nostro caro sindaco, che è tempo che si intervenga facendo le dovute riparazioni al tetto della scuola dell'infanzia, giacchè l'inverno è alle porte con i suoi temporali, e sopratutto perchè ne abbiamo già avuto una piccola anticipazione. I bambini prima di tutto!
Come altra emergenza c'è da prendere provvedimenti per "a nchianata i Brindi", e non perchè ci abito io, ma perchè è una strada molto trafficata utilizzata da persone che si recano alle proprie campagne, dove passa il pulmino con a bordo i bambini e i ragazzi di Tre Valloni; ma sopratutto perchè è una vergogna che al giorno d'oggi, con le tecnologie attuali, si debbano ancora sentire al telegiornale notizie squallide come il crollo di palazzine non costruite a norma, scuole nelle cui aule durante i perioi di pioggia cedono i soffitti uccidendo gli studenti al loro interno, montagne che crollano, strade che cedono senza che nessuno se ne interessi minimamente solo perchè nessuno pensa "potrebbe succedere anche a me"!
Per cui invito il nostro primo cittadino a stilare una lista con le "priorità vere" del nostro paese.
In attesa di vedere risultati concreti e la messa in atto di concrete e giuste "misure preventive", porgo i miei saluti.
Arianna Sigillò

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(6.11.10) VICINI AD UMBERTO DI STILO (Michele Scozzarra) - Stavo scorrendo i miei appunti per avere qualche idea per il prossimo articolo da mandare a Galatro Terme News. Tanti sono gli argomenti sui quali avevo fermato la mia attenzione: dall’alluvione che ci ha colpito nei giorni scorsi che mette in evidenza le scarse, o del tutto nulle, azioni di previsione o prevenzione costruite negli anni… all’assurdità di mettere dei dossi sulla strada provinciale che attraversa Galatro, proprio dove per legge ne è vietato l'impiego, in quanto costituisce itinerario preferenziale dei veicoli normalmente impiegati per servizi di soccorso o di pronto intervento… oppure del gran fuoco che divampa, sotto un’apparente cenere, nella politica galatrese in questo particolare periodo pre-elettorale.
Ma, non scriverò niente di tutto questo, perché ci sono dei momenti dove lo sguardo deve essere indirizzato verso qualcosa di più importante, un qualcosa che riguarda l’amicizia, l’affetto, la vicinanza e la condivisone di un brutto momento che sta passando un caro amico.
In questo momento il mio pensiero va all’amico Umberto Di Stilo che da sera di giovedì 4 novembre, a causa di una terribile caduta dal tetto, dove era salito per spegnere un principio d’incendio della canna fumaria, si trova ricoverato nel reparto di rianimazione dell’ospedale di Polistena.
Non c’è articolo più bello e più importante, che poter augurare all’amico Umberto che ritorni presto a casa, che la sofferenza di questi momenti resti soltanto un brutto ricordo… e testimoniargli la nostra vicinanza, con la preghiera innanzitutto e, con il vivo desiderio di rivederlo presto in mezzo a noi, con la solita grinta e con agenda e penna in mano, attento a registrare tutti gli eventi e manifestazioni che hanno luogo nel nostro paese…
Un caloroso e forte abbraccio… con l’augurio di una pronta guarigione!

Nella foto: Umberto Di Stilo.

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(7.11.10) DOSSI UTILI MA NON A NORMA (Serena Marazzita) - Per la prima volta scrivo alla Redazione di Galatro Terme News perché vorrei esprimere apertamente la mia opinione su una questione riguardante il paese dove vivo e sono cresciuta.
Argomento di discussione gli ormai
famosi dossi.
A mio parere i dossi realizzati in paese, soprattutto in alcuni punti (ad esempio nei pressi dei locali della scuola materna), sono utili per ridurre la velocità degli automobilisti “un po’ indisciplinati”, l’unico problema è che andavano costruiti a norma.
Per la costruzione dei dossi, la normativa di riferimento è rappresentata dall’articolo 179 del DPR 495/1992, dagli articoli 3 e 42 del D.L. 30/4/1992, n. 285 “Nuovo Codice della Strada (C.d.S.)” e dalla Direttiva del Ministero dei Lavori Pubblici del 24 ottobre 2000.
Mi permetto di riportare i commi 4,5 e 6 dell’articolo 179.

Comma 4. Sulle strade dove vige un limite di velocità inferiore o uguale ai 50 km/h si possono adottare dossi artificiali evidenziati mediante zebrature gialle e nere parallele alla direzione di marcia, di larghezza uguale sia per i segni che per gli intervalli visibili sia di giorno che di notte.
Comma 5. I dossi artificiali possono essere posti in opera solo su strade residenziali, nei parchi pubblici e privati, nei residences, ecc.; possono essere installati in serie e devono essere presegnalati. Ne è vietato l'impiego sulle strade che costituiscono itinerari preferenziali dei veicoli normalmente impiegati per servizi di soccorso o di pronto intervento.
Comma 6. I dossi di cui al comma 4, sono costituiti da elementi in rilievo prefabbricati o da ondulazioni della pavimentazione a profilo convesso. In funzione dei limiti di velocità vigenti sulla strada interessata hanno le seguenti dimensioni:
a. per limiti di velocità pari od inferiori a 50 km/h larghezza non inferiore a 60 cm e altezza non superiore a 3 cm;
b. per limiti di velocità pari o inferiori a 40 km/h larghezza non inferiore a 90 cm e altezza non superiore a 5 cm;
c. per limiti di velocità pari o inferiori a 30 km/h larghezza non inferiore a 120 cm e altezza non superiore a 7 cm.
I tipi a) e b) devono essere realizzati in elementi modulari in gomma o materiale plastico, il tipo c) puo' essere realizzato anche in conglomerato.

Quindi, siccome i dossi sono stati realizzati su delle strade pubbliche comunali dove il limite di velocità è pari a 50 km/h, l’altezza massima dei dossi è fissata dalla normativa in 3 cm ed i materiali costruttivi che si devono usare sono gomma o materiale plastico.
Dunque, ok ai dossi ma fatti bene!

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(21.11.10) CON L'AUGURIO CHE L'AMICO UMBERTO TORNI A SCRIVERE AL PIU' PRESTO (Michele Scozzarra) - Qualche sera addietro, appena ho saputo che Umberto Di Stilo era stato spostato dal reparto di Rianimazione a quello di Chirurgia dell’Ospedale di Polistena, sono andato subito a trovarlo.
Ricordando come l’ho lasciato la sera della caduta, avevo un certo timore nell’entrare nella stanza dell’Ospedale… ma, fin da subito, superata l’emozione iniziale, mi sono reso conto che, grazie a Dio, i brutti momenti sono passati e, compatibilmente con le sue condizioni generali, si può dire che stava bene.
Abbiamo parlato di quella triste serata, in alcuni momenti abbiamo anche riso e, perché non dirlo!, abbiamo anche pianto…! Umberto mi ha raccontato della sua commozione nel vedere tutti gli amici che gli sono stati vicini in questo brutto momento… mi ha detto che ringrazia tutti e, certamente, non vede l’ora di ritornare a casa, anche se in questi giorni è stato trasferito in una clinica di Cosenza per una terapia riabilitativa.
Parlando della sua guarigione, naturalmente gli ho augurato che si rimetta al più presto, che ritorni a casa e riprenda subito a scrivere… anche se, in attesa di leggere quello che scriverà al suo ritorno, gli ho detto che provvederò a tenerlo presente pubblicando alcuni dei suoi vecchi articoli che hanno a tema la nostra Galatro, dal Trittico del Gagini alla storia Terme e del Convento del Sant’Elia, rispolverando anche una vecchia pubblicazione sulla festa dell’Immacolata a Nicotera Marina.
“Fai quello che vuoi…”, mi ha risposto sorridendo…
Iniziamo con la pubblicazione di un articolo sul Trittico del Gagini e con l’augurio di poter leggere, al più presto, l’articolo ancora inedito che l’amico Umberto scriverà appena tornato a casa.


GALATRO E IL CINQUECENTESCO TRITTICO DEL GAGINI
di Umberto Di Stilo

Che la Calabria - regione che certa cultura "padania" non perde occasione per bistrattare - sia stata culla di civiltà è ormai un fatto, oltre che accertato, quanto mai assodato. Lo documentano, in modo inconfutabile, le testimonianze artistiche che, in maniera tangibile, possono vantare tutti i nostri paesi. Anche quelli che oggi, tagliati fuori dalle grandi vie di comunicazione, vengono considerati come facenti parte dell'"entroterra".
Uno di questi è sicuramente Galatro che... leggi tutto (PDF) 264 KB



   

Nelle foto: visione d'assieme dell'altare del Gagini posto nella chiesa di San Nicola in Galatro; le singole statue.


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(27.11.10) LA POLEMICA DI SAVIANO E L'ESSENZA DELLE DUE ITALIE (Michele Scozzarra) - Roberto Saviano, nella seconda puntata di “Vieni via con me”, ha preso un pezzo di un’intervista, un po’ grottesca, rilasciata nel 1999 al “Giornale” dal defunto Professor Gianfranco Miglio, sui legami della ‘ndrangheta con la Lega, il tutto per propinare, ad un confuso telespettatore, un insipido minestrone dove venivano evidenziati, come novità!, gli arcinoti legami tra la ‘ndrangheta ed il potere politico del Nord.
Oggi, forse, in tanti non sanno neanche chi è stato il Professore Miglio… io lo ricordo benissimo, e posso dire che conservo ancora tra le mie carte l’incriminata intervista dove, al di là di quello che ha voluto sottolineare Saviano, c’era ben altro da rimarcare… in termini culturali e non di sterile ed inutile polemica, soprattutto in questo momento quando, da più parti, si sta dando vita a festeggiamenti vari per la ricorrenza del 150° dell’Unità d’Italia.
Alle domande del’intervistatore, Stefano Lorenzetto, Miglio non si sottrae. Vediamo un pezzo dell’intervista che io ritengo importante: “Perché l’Italia unita le fa tanto schifo? Perché è figlia illegittima di una congiuntura storica particolare. Ha mescolato insieme popoli che dovevano restare separati, che non hanno nulla in comune. Che cos’hanno di tanto diverso nordisti e sudisti? Il modo stesso di concepire la vita. Noi abbiamo nelle vene sangue barbaro, siamo legati al negotium, al lavoro. I meridionali invece vivono per l’otium, il dolce far nulla, i sollazzi, un totale disprezzo per la fatica. Questa è la storia di due popoli. Una differenza antropologica, inutile star lì. Detto questo… Detto questo? Riconosco che i meridionali sono stati danneggiati dall’unificazione. Il loro inserimento nel Regno è avvenuto soltanto per effetto della spedizione garibaldina. Da lì in avanti lo Stato unitario li ha sempre fregati. Ogni volta che appariva all’orizzonte una prospettiva finanziaria il Nord se ne appropriava. E’ dalla fine degli anni Cinquanta che cerco una via per raddrizzare questo Stato unitario”.
Ricordo che quando ho letto queste parole di Miglio sono rimasto male, soprattutto quando affermava, in altri articoli di quel periodo, che noi meridionali eravamo figli di Ulisse… cioè di uno che in vita sua pur di non lavorare si è inventato di tutto…!
Certamente, anche a ritenere altamente strumentali le dichiarazioni di Saviano, non si può non ammettere che il problema della diversità tra il Nord ed il Sud dell'Italia c’è veramente ed è stato, negli ultimi anni, ampiamente dibattuto... soprattutto, o meglio, purtroppo!, in termini politici e... polemici, tralasciando quella che è la vera essenza del problema tra Nord e Sud Italia.
Il problema di queste due, per molti versi, "distinte" realtà, ritengo vada affrontato, soprattutto in termini culturali precisi... bisogna avere il coraggio di riconoscere che, in effetti, ci troviamo di fronte a "due razze"...
Mi ha colpito, a riguardo, la lettura di un brano di Alfredo Niceforo (criminologo e antropologo italiano della scuola lombrosiana, nato a Castiglione di Sicilia nel 1876 e morto a Roma nel 1960), tratto dal libro "Italiani del Nord e Italiani del Sud", edito a Torino dalla Editrice Bocca nel 1901.
Provo ad addentrarmi in qualche sua considerazione: "La differenza antropologica tra gli italiani del Nord e quelli del Sud, determina eziandio una spiccata differenza psicologica tra i caratteri delle due popolazioni. Il carattere del piemontese - infatti - non è quello del siciliano, ed essi divergono, appunto, come diverge la psicologia dei popoli nordici (Arii) da quella dei popoli meridionali (Mediterranei).
Il piemontese ricorda un poco - nelle sue linee generali - la psicologia del celto, dello slavo e del germanico, dei quali è fratello nella razza; il siciliano rammenta, invece, la psicologia del greco e dello spagnuolo del sud, ed essi tutti sono appunto rami della medesima stirpe mediterranea.
Come vi sono dunque - in linea generale - due razze: gli arii al nord e i mediterranei bruni al sud; così vi sono due diverse e quasi opposte psicologie collettive.
I mediterranei bruni, abitanti il sud-Italia, hanno, come nota principale della loro psicologia, l'enorme eccitabilità del proprio "io". Essi non camminano, corrono; non si muovono, irrompono; hanno sempre furia di cominciare e di finire, - amano la celerità, il rumore, l'instabilità - esagerano tutto: dell'uomo che non ha retto giudizio dicono che è insensato; di quello che ha del talento dicono che è un genio, di quello che non ha molto spirito, che è uno sciocco. Hanno tutto in rilievo, il gesto, lo sguardo, la parola, lo stile, l'esclamazione; concepiscono rapidamente, perché il loro "io" guizza celermente su ogni cosa, quasi in uno stato di sovreccitazione, ma non approfondiscono nulla o quasi nulla; hanno ipertrofico il sentimento e intermittente l'energia. Per questa continua irrequietezza dell'"io" sono mobilissimi nelle idee, impulsivi ed amanti delle ribellioni, pronti a farsi trasportare ad azioni che, dopo lo scoppio bruciante ed impulsivo del momento, essi stessi deplorano, e proclivi a decidere a colpi di testa gli avvenimenti anche più importanti.
Al contrario, gli arii mancano quasi completamente di questo eccesso di mobilità dell'"io". Il loro "io" è tardo, freddo ed incline a lasciarsi assorbire passivamente dall'organizzazione collettiva. Il loro "io" non li trascina, eccitato e quasi ubbriaco come è presso i mediterranei bruni, a correre per il mondo, ad agitarsi e ribellarsi, a guizzare di idea in idea e di fatto in fatto, ma al contrario li attacca alla patria, al suolo, al focolare. I "brachicefali" (arii) diceva Galton, "hanno lo spirito gregario degli armenti". Sono infatti masse docili malleabili, che non si agitano vanamente, dietro cento idee e mille aspirazioni, ma che si piegano pazientemente al buon senso della vita pratica; amano i fatti, i calcoli e gli atti.
Gli arii, avendo l'"io" più docile e meno eccitabile, hanno un sentimento di organizzazione sociale assai più sviluppato che non sia presso i mediterranei bruni, i quali, avendo l'"io" eccitabile e mobilissimo, hanno più sviluppato il sentimento individualistico e si ribellano ad ogni spontanea organizzazione collettiva e sociale. Mentre nella stirpe aria l'individuo facilmente si fonde nell'aggregato, senza nessun sacrificio, e si considera come parte od elemento dell'unità sociale sulla quale non aspira di innalzarsi per dominarla, presso i mediterranei bruni, al contrario, ogni individuo vuole emergere dalla massa sociale, anche quando sia necessario di rimanere come molecola dell'unità indivisa. Moltiplicando in tutta una folla questi caratteri, trovasi il sentimento di anarchia da un lato, e quello dell'ordine dall'altro, come fenomeno naturale e comune. Insomma, presso gli arii è facile organizzare gli individui in masse, e disciplinarli, presso i mediterranei bruni, invece, questo lavoro è impossibile perché ogni individuo, tratto dal suo "io" irrequieto e mobilissimo, non vuole e non può lasciarsi assorbire dalla massa.
Gli arii hanno tenace e pazientissima l'attenzione, perché l'"io" trova nella sua freddezza e nella sua lentezza, una grande forza per non distrarsi: hanno spiccatissimo il senso pratico della vita, perché il loro "io", non mai distratto da emozioni banali, non mai scosso dagli uragani psicologici di una fervida immaginazione, non mai tratto a vagare su cento obbietti della impulsività, e reso tenace dalla forza di volontà e dalla pazienza, può concentrarsi sugli oggetti anche minimi della vita spicciola, comprenderli e sviscerarli al lume di una serena ed instancabile riflessione...
Al contrario del mediterraneo bruno, però, la intelligenza dell'ario non è così rapida e agile: la lentezza del suo "io" e la sua stessa riflessibilità gli impediscono quel lavoro di ginnastica rapidissima e sorprendente che fa, tante volte, meravigliare, nei mediterranei".
Detto questo, per concludere, ritengo che ci possiamo anche domandare se è da preferirsi una società di individui i quali, se pure hanno un'intelligenza individuale non troppo spiccata, hanno tuttavia una grande prontezza alla organizzazione e alla disciplinatezza (gli arii), o invece una società di individui che, pure avendo sviluppatissime le intelligenze individuali, non sono tuttavia capaci di piegarsi alla organizzazione e alla disciplina collettiva (i mediterranei bruni).
Su questi argomenti, ritengo, vale la pena aprire un dibattito di grande spessore culturale... soprattutto se è visto nel riconoscimento della diversità etniche nell'ambito della indiscutibile unità della nostra Nazione... ma da questo, l’altra sera in televisione, Saviano si è allontanato anni luce…

Nelle foto: l'idelogo della Lega Nord, Gianfranco Miglio; Tricolore dilaniato.


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(1.12.10) LA POLEMICA DI SAVIANO? (Antonio Sibio) - Ho letto con interesse l’ultimo articolo pubblicato da Michele Scozzarra, e devo dire che non mi trova molto d’accordo. Soprattutto non sono d’accordo sul punto di vista che è stato espresso nei confronti di Saviano. Perché se è vero, come da Michele affermato, che Saviano ha “propinato ad un confuso telespettatore un insipido minestrone dove venivano evidenziati gli arcinoti legami tra la ‘ndrangheta ed il potere politico del Nord”, è anche vero che soffermarsi solo su questo aspetto del suo monologo non consente di comprenderne appieno il messaggio lanciato in queste quattro serate della trasmissione “Vieni via con me”.
Io apprezzo moltissimo Saviano, ne condivido il pensiero e lo considero eccellente sia come giornalista che come scrittore. E considerando che, insieme a Fabio Fazio, ha intrattenuto quasi dieci milioni di persone davanti al televisore, probabilmente vorrà dire che molti italiani la pensano come me, che molti italiani sono stufi della tv generalista che ormai imperversa su tutte le reti, sia Mediaset che Rai.
Posso condividere il pensiero di Miglio quando afferma la diversità che esiste nel modo di concepire la vita tra la gente del settentrione e quella del meridione, ma questa è la scoperta dell’acqua calda. Anche perché se è vero che nelle loro vene scorre sangue barbaro, il professor Miglio si è dimenticato di dire che nelle nostre scorre sangue ellenico, essendo buona parte del sud Italia quella estensione della Grecia conosciuta come Magna Græcia. Quindi è vera la differenza culturale affermata da Michele, ma ciò che nel suo articolo non viene riconosciuto a Saviano è che da tempo porta avanti la propria battaglia per risvegliare l’ormai sopito orgoglio di noi meridionali, sia davanti ai continui attacchi della Lega Nord e sia, soprattutto, contro l’accettazione passiva che abbiamo nei confronti delle organizzazioni criminali.
Michele sicuramente lo saprà meglio di me che, dal punto di vista culturale, non abbiamo nulla da invidiare ai settentrionali. Eppure noi stessi siamo i primi a non conoscere la nostra storia, il nostro passato. Da sempre la storia è scritta dai vincitori e dopo il passaggio dei mille ne siamo usciti, per svariati motivi, peggio di come eravamo prima.
Quindi se bisogna celebrare l’Unità d’Italia in un importante anniversario come quello che ci attende il prossimo anno, forse sarebbe stato opportuno che ci si fosse interrogati su come tutto sia accaduto, lanciando uno sguardo su ciò che avvenne veramente 150 anni fa, soprattutto spostando a Sud il punto di vista.

Nella foto: Roberto Saviano.

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(5.12.10) I MERCATI E IL RITORNO DELLA POLITICA (Domenico Distilo) - Il benpensantismo economico che domina incontrastato da tre decenni le scuole di economia di entrambe le sponde dell’Atlantico ha preso spunto dall’ultimo G20 di Seul per sparare ad alzo zero su Obama, reo di perseguire una politica monetaria espansiva, “scandalosamente” keynesiana.
Si tratta di critiche le cui motivazioni sono ideologia travestita da scienza e che potrebbero andar bene se non fossero, appunto, travestimento, se si dichiarassero per quello che sono e per il modello di società che le ispira, invece di spacciarsi per scienza pura, neutrale, asettica, priva di referenti ideologico-politici.
Per fortuna i fatti prodotti dalle politiche monetariste attuate dall’inizio degli anni Ottanta sono incontestabili e rendono ogni finzione facilmente smascherabile.
La prima finzione consiste nel credere che la diminuzione della pressione fiscale sui ceti abbienti liberi risorse per gli investimenti (è il ben noto assioma rispecchiato nella cosiddetta curva di Laffer) e faccia perciò stesso aumentare il benessere generale della società. Si tratta, con ogni evidenza, di un contro fattuale: l’abbassamento delle tasse sui redditi elevati ha accresciuto il divario tra questi e quelli più bassi determinando, con la riduzione della spesa pubblica, l’impoverimento dei ceti medi, che è la causa strutturale (di cui quella la finanziaria non è che un riflesso, un epifenomeno) della crisi in atto.
La seconda finzione è che si perdano posti di lavoro solo per la crisi e che basti lavorare di più e meglio per essere competitivi nel mercato globale. La verità è invece che si perdono posti di lavoro a causa del sempre più accentuato processo di informatizzazione-automazione dei sistemi produttivi, come prova il fatto che l’indice della disoccupazione tende a restare invariato anche quando risale quello della produzione. L’irresistibile concorrenza delle economie emergenti nei settori maturi è, del resto, la cartina di tornasole di una situazione già forse oltre il punto di rottura. Punto di rottura che gli economisti al servizio dei governi non vedono perché troppo appiattiti sul lavoro e sul mercato. Il guaio è che i governi, conservatori anche se di sinistra, non si accorgono, o non vogliono accorgersi, che è arrivato il tempo di passare da Tolomeo a Copernico, di sostituire il modello mercato -centrico con uno alternativo basato sulla qualità della vita sociale, primo passo per liberare la scienza economica dalle leggi bronzee del mercato e la società dalla schiavitù del Pil e dalla correlata ossessione dalla crescita. Così lasciano che l’economia continui ad essere “la scienza triste”, secondo la celebre definizione che ne diede Tomas Carlyle nell’Ottocento.
La terza finzione è che sia essenziale, una condizione universale a cui ogni paese deve ottemperare, tenere a posto i cosiddetti fondamentali per non provocare sfiducia nei mercati. Qui siamo al cane che si morde la coda. Per tenere buoni i mercati si finisce per deprimere, con la riduzione della spesa pubblica, le stesse economie che si dice di voler salvare dalla sfiducia dei mercati. Senza minimamente sospettare che governare l’economia a prescindere dai mercati o addirittura contro di essi rappresenta l’unica via d’uscita – copernicana, non certo tolemaica - da una crisi che continua ad avvitarsi su se stessa.
Fortunatamente arrivano anche notizie incoraggianti: qualcuno si accorge che la logica del mercato, che dovrebbe includere il rischio, va applicata anche a quanti investono nei debiti sovrani, così che non dovrebbe essere più, da parte degli Stati, totalmente garantito l’investimento gettando montagne di capitale per evitare il temutissimo default. In particolare, nel cancelliere tedesco Angela Merkel affiora la paura che l’inflazione possa trovare stimoli dal lato degli aiuti alle banche e ai governi dei paesi in difficoltà piuttosto che dalla tradizionale spesa pubblica.
E’ probabile se non certo, però, che gli economisti consiglieri del governo tedesco – così come la stessa Merkel - non colgano in tutto questo l’aspetto più interessante, l’ombra di una contraddizione immanente – i logici direbbero contradictio in adiecto - capace di attuare la nemesi, la vendetta della politica e della società sui mercati.
I continui interventi della politica intesi ad assecondare i mercati stanno infatti finendo per rendere i mercati dipendenti dalla politica, non più suo dominus. E’ in fondo questa la novità che emerge dalla crisi, la ripresa a tutto campo della politica dopo l’orgia mercatistica durata tre decenni. Alè.

Nella foto: banconote in euro.


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(14.12.10) SOLIDARNOSC: UNA RIVOLTA CHE HA CAMBIATO LA STORIA (Michele Scozzarra) - Sono passati 30 anni dalla rivolta degli operai che cambiarono il volto della Polonia… e non solo della Polonia! E' il 14 agosto del 1980 e nei cantieri di Danzica, sul litorale Baltico, si leva un grido di protesta. E' l’inizio di uno sciopero che presto si estenderà in tutta la Polonia. Non si tratta di una semplice rivendicazione salariale, ma di qualcosa di molto più grande: il primo sindacato libero oltre la Cortina di Ferro che cominciò a far tremare dalle fondamenta. E’ stato l’emergere del cuore del popolo polacco, di quegli operai che volevano essere trattati come uomini e non come macchine.
Tutto ha inizio con il licenziamento di Anna Walentinowicze e con lo sciopero che ne è scaturito. Il 16 agosto però il raggiungimento di un accordo con la dirigenza del cantiere fa pensare che la rivolta sia destinata a scemare. Walesa, in veste di leader, annuncia al megafono la fine dello sciopero, gli operai si incamminano così verso i cancelli e tutto il fervore iniziale sembra doversi arrestare. Ma ecco che una donna si avvicina a Walesa per gridargli che non possono fermarsi lì, che la protesta deve continuare per appoggiare le altre aziende del litorale Baltico che altrimenti sarebbero rimaste sole ed incapaci di sostenere le loro rivendicazioni. Da quel momento Solidarnosc diventa un movimento di popolo composto da persone che non si accontentano del riconoscimento delle proprie rivendicazioni, ma si muovono affinché anche quelle degli altri operai possano essere riconosciute.
Da più parti si è fatto notare come, dopo essere stata ferma per decine di anni, la Storia, improvvisamente, si è messa a galoppare. Certo, ogni evento storico ha una pluralità di cause che concorrono a provocarlo. In questo caso, però, una particolare importanza deve essere attribuita all'elezione alla cattedra di San Pietro del Cardinale Wojtyla. Questo papa è stato il primo che è venuto da un paese comunista, è stato il primo venuto da un paese povero, è stato il primo papa slavo della storia della Chiesa: questi dati culturali sono portati da una fede cristiana sottoposta alla verifica della vita ed alla prova della sofferenza sia nella storia individuale del Papa che in quella della sua Nazione.
Per tanti anni la Polonia ha occupato una posizione centrale negli spazi che hanno informato l’opinione pubblica: dal 16 ottobre 1978, quando venne annunciato al mondo che, per la prima volta nella sua storia, la Chiesa si era data un Papa polacco; agli scioperi dei cantieri di Danzica e di tutto il Baltico; alla costituzione di Solidarnosc e al pericolo dell’invasione russa, così come era già avvenuto in Ungheria e Cecoslovacchia; alla morte del Cardinale Wyszynski e al terribile massacro di padre Jerzy Popieluszko; per continuare fino alla caduta del Muro di Berlino, non vi è stato giorno che giornali, radio e televisione non abbiano dato spazio alle vicende polacche.
Oggi, nell’anniversario del trentennale della “rivoluzione” polacca, mi piace rimarcare quello che ritengo, e non sono il solo, non si è capito, o si è taciuto della Polonia… che per la prima volta in Polonia, un enorme movimento di popolo si è formato, in condizioni difficilissime di repressione poliziesca e controllo totalitario di tutte le forme di vita sociale. Questo movimento ha lottato con decisione e coraggio, ma “senza violenza e senza rompere un vetro”… creando un fatto senza precedenti nella storia del mondo, perché non si è trattato di una rivoluzione della forza, ma di una rivoluzione della coscienza, nonostante tutte le provocazioni del potere comunista che ha cercato di farla degenerare in tutti i modi.
A distanza di trent’anni possiamo oggi dire che, se non sono mancati i motivi che hanno costretto l’opinione pubblica a chiedersi cosa stava accadendo in Polonia, le “interpretazioni” sono state, di gran lunga, superiori alle “informazioni”: si è verificato il consueto fenomeno dell’ingabbiamento della realtà dentro schemi già precostituiti.
Ma di questo enigma polacco, ancora oggi, l’immagine più emblematica è certamente quella degli operai a messa nei cantieri in sciopero: quelle tute blu inginocchiate per la comunione e la confessione, rimbalzate all’improvviso, ferendo occhi e coscienza di chi aveva dato ormai per certa l’impossibilità del connubio tra devozione e rivoluzione. La preghiera nei cantieri in sciopero non è stata una dose di oppio per nessuno, credenti e non credenti, è stata piuttosto un atto di fede sulla verità dell’uomo.
Proprio ora, nel ricordo del suo trentennale, non si può non constatare come, nonostante tutte le violenze e le menzogne della stampa, l’esperienza di Solidarnosc è andata avanti, si è diffusa nella società, ha coinvolto intellettuali e contadini e ha toccato “pericolosamente” perfino il partito comunista, facendo strada ad un movimento che con responsabilità, ma anche con determinazione, non delega più niente a nessuno.
E questa testimonianza ci dice che c’è un modo di guardare agli avvenimenti che sono successi in Polonia, secondo un’ottica ed un criterio non esclusivamente di tipo “politico”… e che la nuova Polonia possa oggi continuare a vivere nella libertà e nella democrazia, è interesse di tutti quanti noi. A dispetto delle spietate leggi del potere che abbiamo intorno, ci ostiniamo ancora a credere che nel mondo non tutto è deciso dalla politica, ma le forze che cambiano la Storia sono le stesse che cambiano il cuore dell’uomo.

Nelle foto: immagini della mostra su Solidarnosc riprese da Michele Scozzarra al Meeting di Rimini.


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(19.12.10) UN ALTRO PUNTO DI VISTA SU COSSIGA (Antonio Sibio) - Qualche mese fa è stato pubblicato, sempre su questo sito, un articolo in ricordo di Francesco Cossiga, scomparso qualche giorno prima. Sempre per quella pluralità di punti di vista che è alla base della libera informazione, vi propongo di leggere il seguente articolo apparso in questi giorni sul sito Strill.it e riguardante un intervento a Reggio Calabria del giudice Ferdinando Imposimato.

Imposimato a Tabularasa Formamentis torna sul caso Moro
e attacca Cossiga: "Altro che statista, era un criminale!" *

di Grazia Candido

“Cossiga è stato dipinto come un grande statista ma in realtà era un grande criminale. L’unico grande statista che l’Italia ha avuto negli ultimi 60 anni è Aldo Moro ma non era accettato né da Cossiga né da Andreotti perché rappresentava un ostacolo nella competizione per la Presidenza della Repubblica”.
Ci va giù pesante il giudice Ferdinando Imposimato, protagonista di molti processi alla mafia e al terrorismo, che questa mattina in un gremito cine teatro Odeon per il terzo appuntamento di Tabularasa Formamentis, iniziativa culturale di Urba/Strill.it, realizzata col patrocinio dell'Amministrazione Comunale ed il supporto della Presidenza del Consiglio Regionale, ha sviscerato le verità nascoste sul caso Moro raccolte nel suo libro “Doveva morire” edito da Chiarelettere. Il magistrato insieme al giornalista Sandro Provvisionato (assente all’incontro per una improvvisa indisposizione) scioglie nel libro nodi sul sequestro di Via Fani ma, soprattutto, smonta passo dopo passo, la “versione ufficiale che indica nei terroristi delle Brigate Rosse gli autori materiali e gli esecutori dell’assassinio, quando in realtà" – dice Imposimato - "si sono mossi altri personaggi come il Ministro dell’Interno Francesco Cossiga e il Presidente del Consiglio Giulio Andreotti. Questi due uomini dello Stato hanno segnato l’assassinio di Aldo Moro con una condotta molto grave fino al giorno del rapimento ma anche prima del processo, attraverso l’omissione della sicurezza dello statista che, più volte, aveva chiesto la scorta senza risultato”.
Nel suo minuzioso racconto, il giudice è un fiume in piena e si indigna quando ricorda “quei 55 giorni nei quali ci sono state una serie di azioni intimidatorie che spingevano le Brigate Rosse a catturare Moro. Aldo doveva morire perché era stato deciso così dai massimi esponenti politici di governo del tempo. Questa è una cosa certa e, nonostante ci siano atti e ricerche che attestino ciò, è clamoroso che non siano stati puniti i veri responsabili e ancora, che mai nessuno sia venuto a chiedermi di rettificare le mie affermazioni perché sanno che questa à la verità”.
Il magistrato fu il primo a scoprire tra le altre cose il coinvolgimento dei servizi segreti russi nel caso Moro e menziona il ruolo del KGB. “In questa criminosa congiura hanno preso parte gli uomini di due grandi superpotenze del tempo: del KGB ma anche degli Stati Uniti, della CIA. Esisteva un comitato di crisi che gestiva il sequestro di Aldo Moro e di cui facevano parte uomini della “P2”, Franco Ferracuti affiliato alla CIA, Steve Pieczenik uomo del Dipartimento di Stato e un uomo del KGB. Poi, Aldo Moro, per tre mesi e mezzo, era stato seguito all’Università “La Sapienza” da un colonnello del KGB, un falso studente borsista in Italia per frequentare il corso di Storia del Risorgimento Italiano. In realtà, però, era venuto per pedinare Aldo Moro e per seguire tutta la sua vicenda fino al giorno del suo sequestro”.
Nel lungo dialogo con gli studenti reggini, il magistrato ricorda Moro come un “uomo con una statura politica, morale e istituzionale straordinaria, una cultura giuridica e umanistica immensa ma per molti era una figura scomoda perché aveva visto già nel 1973 che l’Italia si doveva aprire a nuovi orizzonti politici”. “La sua scelta di fare un governo di centrosinistra con i socialisti fu appoggiata da Kennedy che venne in Italia per sostenere la sua apertura ai socialisti, contrastata, invece, da una parte dei conservatori americani. I socialisti non volevano trattare con i terroristi perché questo sarebbe stato impossibile, dal momento che il 16 Marzo erano stati uccisi i cinque uomini della scorta tra cui Leonardi e Rivera. A questo punto, restava l’unica possibilità di un atto di clemenza nei confronti di qualche terrorista, non accusato di fatti di sangue, che avrebbe indotto le Brigate Rosse a liberare Moro. E, per la verità, - aggiunge Imposimato - Vassalli trovò un terrorista che aveva queste caratteristiche: Buonoconto che aveva diritto alla libertà per le sue cattive condizioni di salute. Io ho parlato con Prospero Gallinari e mi ha detto che sarebbe bastata la liberazione di Buonoconto per costringere i terroristi a liberare Moro, dal momento che chiedevano necessariamente una contropartita. Ma, anche questa proposta di Vassalli non era molto intelligente e rispettosa della legalità, perciò venne respinta in maniera dura da parte di Andreotti e di Cossiga, i quali, fin dall’inizio, avevano affermato che non avrebbero mai accettato di liberare nessun terrorista”.
Un affondo il giudice però lo scaglia contro “una parte della magistratura che era al servizio dei poteri forti” e quella “stampa condizionata dai potenti” perché “se in quei 55 giorni Moro è rimasto solo, la responsabilità è del Ministro dell’Interno capace di soggiogare tutti i giornali che contano (la “Repubblica” e il “Corriere della Sera” che era nelle mani di Licio Gelli, amico intimo di Cossiga) e di farsi firmare da 75 intellettuali italiani un documento che dichiarava la pazzia di Aldo Moro sotto la pressione delle Brigate Rosse. La cosa non è assolutamente vera – tuona sdegnato Imposimato - perché Aldo Moro era perfettamente lucido e voleva sopravvivere non per viltà, come qualcuno ha insinuato, ma semplicemente perché lui sapeva che la sua presenza era indispensabile alla sua famiglia”. Prima di congedarsi il magistrato dal palco urla ai tanti giovani “stregati” da questa vicenda che “solo la verità ci rende liberi” e che “dobbiamo lottare per sconfiggere coloro che vogliono toglierci questa verità storica”. “La mafia – chiude Imposimato – può essere debellata a una sola condizione: lo Stato non deve essere complice degli organismi criminali”.

* Articolo tratto da www.strill.it


Nella foto: il giudice Ferdinando Imposimato (foto A. Sollazzo-M. Costantino).

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(20.12.10) A BIELLA, SE DIO VUOLE (Pasquale Cannatà) - Ho da poco finito di leggere il libro della mia amica scrittrice Amelia Arzedi, e mi è tornato in mente un aneddoto (liberamente tratto da una fiaba di Italo Calvino) che in esso viene raccontato.
C’era un uomo che voleva andare a Biella, si mise in cammino, ma a Biella non arrivava mai; quando era in viaggio da molti giorni, incontrò un altro uomo che gli chiese: - Dove andate, buon uomo?
- A Biella - rispose il primo.
- A Biella se Dio vuole. - gli fece eco l’altro.
- Voglia o non voglia Dio, io a Biella ci vado. - fu la replica del viaggiatore.
Dopo alcuni giorni i due si sono incontrati di nuovo, ma nonostante il viandante constatasse di essersi smarrito, il dialogo tra i due si ripetè con lo stesso tono:
- Dove andate, buon uomo?
- A Biella. - rispose il primo.
- A Biella se Dio vuole. - gli fece eco l’altro.
- Voglia o non voglia Dio, io a Biella ci vado.
Quando il viaggiatore, passati altri giorni di cammino, stanco e sfiduciato incontrò ancora una volta l’uomo che gli aveva rivolto la domanda sulla sua meta, questa volta rispose: - A Biella, se Dio vuole.
Appena ebbe finito di dire "se Dio vuole", svoltò la prima curva e si accorse di essere a Biella.
Quelli che credono in un Dio creatore invocano miracoli (che Dio voglia) pur sapendo che Lui non interviene continuamente nelle vicende umane, ma dopo aver stabilito le leggi che governano l’universo lascia che sia la sua creatura a portare avanti quella creazione continua di cui è, se ha fede, il principio attivo (
Marzo 2007).
Quelli che invece credono che l’ateismo sia una conquista della ragione, negano anche l’evidenza di fatti miracolosi, trincerandosi dietro l’affermazione che la scienza un giorno spiegherà tutto. Ho visto un servizio televisivo sul bassorilievo in gesso che raffigura la Madonna che all’inizio degli anni '50 del ‘900 ha versato lacrime in una umile casa di Siracusa; centinaia di migliaia di persone l’hanno vista piangere, altri ci sono andati e non hanno potuto vedere, ma hanno creduto (tra questi mi ricordo anche i miei genitori che si sono messi in viaggio appena hanno saputo); ci sono delle riprese cinematografiche, ed è stato documentato su pellicola il momento in cui è stato smontato il supporto che permette di poterlo appendere, facendo vedere che la parte posteriore era asciutta e che lo spessore di pochi millimetri non consentiva di nascondere alcun trucco: eppure, questi irragionevoli conquistatori del nulla chiudono gli occhi per non vedere ciò che accade quando ‘Dio vuole’.
Ogni anno, in questo periodo, ricordiamo un evento che Dio ha voluto più di ogni altro: nel creare l’uomo, Dio si è perdutamente innamorato di lui! e lo ama così tanto che ha voluto vivere anche Lui le stesse sensazioni che prova la sua creatura dal concepimento alla morte.
A tale proposito ho scritto un articolo in occasione del Natale dello scorso anno, e ne riporto uno stralcio:

Con il NATALE infine, L’AMORE è andato OLTRE ciò che la mente umana è in grado di comprendere e di accettare: l’INFINITO si è racchiuso dentro un guscio, nel seno della Vergine Maria, per poi nascere da lei, venire alla luce, nuovo sia la luce, secondo big-bang, per farsi come noi e permetterci di diventare come Lui.
Il primo sia la luce è opera di Dio Padre, creatore del cielo e della terra e della prima umanità in Adamo, sorta dal nulla;
il secondo sia la luce (lo abbiamo accennato sopra) è il frutto dell’azione combinata del Dio Spirito e della Vergine Maria, una seconda umanità libera dal peccato originale e segno vivente di quella nuova alleanza che Dio vuole stipulare con l’Uomo: con la sua disubbidienza, l’uomo (da libero che era) si è voluto rendere servo, ma come abbiamo detto all’inizio, Dio dimentica il peccato, e non solo ci libera dal male, ma ci rende anche suoi figli in Cristo Gesù;
il terzo sia la luce avviene grazie a Gesù stesso, il Dio Figlio, che nella sua Morte e Risurrezione, nel suo tornare alla luce dopo l’agonia della croce, ci prefigura la terza umanità che sorgerà alla fine dei tempi, quando ci saranno cieli nuovi e terra nuova: sarà quello il regno di Dio, che, come si legge nella Bibbia, è un regno di giustizia, di amore e di pace, di verità e vita, di santità e grazia.


Concludevo riportando alcune osservazioni di don Angelo Casati:

il congiungimento tra terra e cielo che l’uomo voleva realizzare con la torre di Babele è avvenuto non con la tecnologia umana, ma perché Dio è sceso sulla terra con il Natale;
Gesù è stato adagiato su una mangiatoia, ma questo termine indicava anche la cesta nella quale i pastori mettevano il cibo (ciò che serve per mangiare, da cui il nome mangiatoia) che si portavano al pascolo: è bello pensare, dice don Angelo, a un Dio che portiamo con noi tra le cose umili e necessarie alla nostra vita, ad un Dio alimento per il nostro cammino; ed io aggiungerei che oltre ad essere nella cesta insieme al pane ed al vino per il nostro nutrimento materiale, questo essere adagiato nel posto in cui si metteva il cibo, al posto del pane e del vino, prefigura il fatto che si farà Lui stesso pane e vino, cibo per la nostra anima.


Buon Natale a tutti, e mi auguro che lo Spirito del Signore ci guidi in ogni istante della nostra vita, facendoci crescere in amore e sapienza.

Nella foto: Pasquale Cannatà.

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(20.12.10) IL TERZO POLO E LA FUORUSCITA DAL BERLUSCONISMO (Domenico Distilo) - Il terzo polo - con Fini, Casini e Rutelli – è ormai una realtà ben più che virtuale. A suo tempo – Fini e la destra che non c’è - prevedemmo che il divorzio dal Banana avrebbe portato Fini a diventare “democristiano”. La cosa sta puntualmente avvenendo, anche se l’ex capo di AN preferirebbe ancora un epilogo diverso, quale sarebbe una ricollocazione nel centro-destra. Si tratta però di un’evenienza che si può esprimere solo col periodo ipotetico del terzo tipo, quello dell’irrealtà-impossibilità.
La destra che c’è, di questo Fini deve farsi una ragione, è quella populista, secessionista, razzista, anticostituzionale, antidemocratica e antiliberale del Banana e di Bossi. Dal 1994 il Banana tiene sotto sequestro e usurpa una vasta area di centro (in gran parte ex democristiana) spacciandosi per “moderato” e approfittando di una legge elettorale maggioritaria che in entrambe le versioni fin qui sperimentate, il mattarellum e il porcellum, schiaccia sulla sinistra il centro costituzional-democratico.
La nascita del nuovo polo di centro, di fatto la nuova DC, smaschera l’occupazione abusiva del Centro da parte del Banana e della Lega. Con essa i centristi si riappropriano finalmente del loro spazio naturale, il Centro appunto, interloquendo con la sinistra moderata e recuperando in questa interlocuzione la migliore tradizione del riformismo italico, da Cavour a Giolitti a De Gasperi a Fanfani e Moro fino a Prodi.
Non a caso il Banana e i suoi scherani mediatici sparano a palle incatenate contro il terzo polo, tentando invano di esorcizzarlo. Il terzo polo interpreta infatti la domanda che proviene dal moderatismo che vuole fuoruscire dal sortilegio berlusconiano, avendo capito – meglio tardi che mai - che non possiamo stare in Occidente con un capo del Governo che giura sulla testa dei figli, confondendo, come peraltro in mille altri modi, la sfera privata con la funzione pubblica, secondo codici che si declinano in chiave premoderna (nonostante – se non invece proprio per questo - il fondamento del suo potere sia nella televisione).
Sulla strada del terzo polo c’è tuttavia un ostacolo non dappoco, la Chiesa, in cui è tornato a farsi sentire il cardinale Ruini, con una sconcertante apertura di credito al Banana.
Essendo abituata a pensare nell’orizzonte dell’eternità, la Chiesa evita di prendere in considerazione il possibile – anche quando è non solo possibile ma probabile - ancorandosi, per antico riflesso condizionato, al fatto, che converte nel vero seguendo senza volerlo la lezione di Giovan Battista Vico.
Perché i Ruini e i Fisichella cambino opinione sarà necessario aspettare che il terzo polo diventi un fatto, che è l’unico modo per acquistare verità ai loro occhi. Del resto la Chiesa ha scoperto ben prima di Hegel la razionalità del reale, imparando a danzare al cospetto della rosa già ai tempi di Costantino Imperatore.
La fine del berlusconismo sarà tutt’uno con la fine del bipolarismo. Con buona pace di Segni e di alcuni impenitenti snobisti, si tratta di un sistema inadatto all’Italia, un paese di forti passionalità e pulsioni emozionali che solo in un proporzionale più o meno corretto possono trovare il modo di stemperarsi. Del resto, se il bipolarismo ha generato il mostro del berlusconismo va da sé che deve essere abbandonato senza rimpianti. Se restasse in vita, in un paese come l’Italia, con la destra da sempre illiberale che ci ritroviamo, di mostri ne genererebbe sicuramente altri. E magari, Dio non voglia, si passerebbe dalla farsa del Banana alla tragedia.

Nella foto: Domenico Distilo.

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(22.12.10) ALL'AMICO PROF. UMBERTO DI STILO AUGURANDO BUONA GUARIGIONE E FELICE NATALE (Giuseppe Romeo) - Oggi la chiesa vive un momento liturgico particolare, l'avvento, la venuta di Cristo. Come disse S. Agostino: “Non opponiamo resistenza al primo avvento, affinché non abbiamo timore del secondo”.
Il primo avvento è la venuta del figlio di Dio nel mondo, è la manifestazione di Dio, la rivelazione del mistero di Dio fattasi carne, carne umana venuto sulla terra per amore dell'umanità, è stato lui ad amarci per primo e noi dobbiamo vigilare e contraccambiare questo amore. Quindi citiamo S. G. 3,16: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo figlio unigenito”.
Il secondo avvento è la manifestazione di Dio nella sua Gloria. In questo periodo ricorre la novena del Santo Natale e, per tradizione e fede, noi credenti ci rechiamo ogni mattina a messa per prepararci alla venuta di Gesù Bambino, con il cuore teso affinché avvenga ancora una volta l'incontro con Cristo.
Ma purtroppo, io personalmente noto la sua mancanza, caro Professore, durante la novena, non da lei voluta ma costretto per motivi di salute. Gli anni scorsi puntualmente ogni mattina arrivava sorridente alla Santa Messa, quest'anno si sente tanto la sua mancanza, in quanto è stato fino ad oggi sempre presente nella vita della parrocchia, e io personalmente nutro per la sua persona tanta stima.
Era piacevole, caro professore, ascoltarla, dopo la fine della Santa Messa mattutina, raccontare di ricordi, momenti e tradizioni natalizie vissuti in giovinezza, e alla fine aggiungeva sempre: “Allora sì che era veramente bello”.
L'augurio che le faccio, Professore, è che il Signore possa darle tutto quello che il suo cuore desidera e che in questo momento particolare Gesù Bambino lo accompagni momento per momento affinché non perda la speranza e la fede, ma si rafforzino ancora di più.
Soltanto attraverso la preghiera diamo senso a ciò che ci accade nella vita terrena, il Signore ci mette alla prova, ed è in questi momenti che noi non dobbiamo mai scoraggiarci, ma dobbiamo cercare, attraverso la preghiera, la forza per andare avanti, affidando tutte le nostre sofferenze per la Gloria di Dio.
Ricordando sia lei che la sua famiglia nelle mie preghiere, auguro un Felice Natale e Buon Anno a tutti: ai galatresi, alla Redazione e alle persone sofferenti di tutto il mondo.

Nella foto: Giuseppe Romeo.


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(24.12.10) NATALE 2010: CON LO SGUARDO SU QUELLA SEDIA VUOTA (Michele Scozzarra) - Natale è arrivato e, anche quest’anno, riaffiorano alla mente i ricordi dell’infanzia, quando la vita era scadenzata da date ben precise: il primo ottobre iniziava la scuola, i primi di novembre ci si fermava per la ricorrenza dei morti e dei caduti… poi la strada tutta in discesa verso il magico periodo natalizio.
Nel solco della tradizione, già dal giorno dell’Immacolata, si iniziava a preparare l’albero ed il presepe, mentre a scuola i maestri ci esortavano a pensare cosa scrivere nella letterina a Gesù Bambino, da mettere sotto il piatto del nostro papà durante il pranzo di Natale: il tutto nel segno di una liturgia millenaria che dedicava, in modo particolare, ai bambini le feste della Natività.
Scriveva il laico, non-credente e dubbioso, Dino Buzzati: “Sul Natale sono state dette fiumane di parole, scritti centinaia di libri, migliaia di racconti e poesie. A prima vista sembra che, per parlarne ancora, ci voglia una buona dose di coraggio. Ma non è vero, non se ne parlerà mai abbastanza. Il Natale ritorna ogni dodici mesi, allo stesso giorno 25, con precisione matematica, non è quindi una cosa molto rara. Tutti sanno come è fatto, tutti potrebbero descrivere in anticipo nei minuti particolari quello che accadrà nelle case. Eppure se ne resta sempre sbalorditi”.
L’inesorabilità del Natale altro non è che l’inesorabilità del tempo, ma anche molto altro di più. La notte di Natale non è una notte qualsiasi, ma è “la” notte: notte dell’attesa innanzitutto, del mistero della vita come attesa di un sentimento tremendo e, allo stesso tempo, imprevedibile e misterioso.
Un’attesa che nel Natale è associata a qualcosa che ha a che fare con la speranza… la speranza a lasciarsi andare, a ritrovare il coraggio a tornare alle cose belle della vita, perché, lo si voglia o no, il Natale è dentro di noi e scandisce, fin da quando siamo bambini, la nostra esistenza e le nostre trasformazioni, ci insegue per tutta la vita e se noi non lo cerchiamo, è lui a trovarci, a pungerci soprattutto nell’aprire la memoria al nostro passato.
Nei giorni scorsi, ho avuto modo di leggere un piccolo racconto “natalizio” di una giovane ragazza straniera che, forte dei suoi buoni e saldi principi, cercava di difendere gelosamente, nella nostra terra e all’interno del suo nucleo familiare, i piccoli sprazzi di una tradizione “natalizia” maturati nell’infanzia in una terra lontana dalla nostra, per rendere l’atmosfera della sua casa più magica e religiosa in questo particolare periodo dell’anno: “Sai qual è il ricordo più bello che conservo del Natale nella mia terra? Quando mio papà portava me e mia sorella con la slitta a comprare l’albero di Natale, quello vero, profumato… che sulla neve, negli appositi recinti, tra tutti gli alberi scuri e pungenti, sembrava stesse aspettando proprio noi… e solamente appena giunti a casa, una volta liberato dallo spago, a contatto con il calore della nostra casa, sprigionava l’allegria ed il profumo del bosco.
Tutto questo avveniva nella sera della vigilia di Natale, mentre mia mamma preparava la cena di 13 portate, tutte semplici ma molto saporite. E poi, la preghiera e la divisione dell’Ostia, prima di occupare i posti a tavola, con lo sguardo timido, rivolto verso quel posto vuoto con un piatto in più a tavola, lasciato lì, prontissimo ad accogliere un eventuale ospite senza tetto o famiglia… Inevitabilmente mi viene in mente anche il ricordo di quando andavo alla messa di mezzanotte, subito dopo la cena della vigilia… il silenzio e la luce che dava la neve, con il rumore caratteristico dei passi nella neve fresca… ed il silenzio particolare che rispecchiava la speranza del Natale”
.
Già la speranza del Natale… e perché no!, anche la “misericordia” del Natale, soprattutto attraverso l’immagine, ed il significato, di quella sedia “vuota” che insinua addosso una strana inquietudine… l’inquietudine del pensiero da chi potrebbe essere occupata… chi, incredibilmente, vorremmo vedere lì, davanti ai nostri occhi, come per miracolo materializzato e presente al nostro banchetto, qualcuno con il quale non c’è stato tempo per comprendersi, capirsi, perdonarsi… qualcuno che la memoria rende ancora più presente nonostante la sua assenza!
Talvolta basta un po’ di “misericordia” per mettere una pietra sopra a tante cose che ci fanno male, e permettere che possa essere occupato quel posto vuoto… perché ogni sedia vuota, oltre all’attesa di un ospite senza tetto o famiglia, il più delle volte ci dice anche che dietro c’è sempre una storia di dolore… mentre una silenziosa preghiera si leva, in questa notte particolare, perché quel posto venga occupato… che qualcuno “desiderato da tanto tempo” bussi alla porta e venga accolto nel suo posto ormai vuoto da tanto tempo.
Oggi più che mai, nel grigiore dei rapporti che viviamo quotidianamente, abbiamo bisogno di credere che la Luce tornerà, e che un leggero alito di vento aprirà la porta della nostra casa e, proprio in questa notte magica nella quale una ragazza ha dato alla luce un bambino per la redenzione di ogni singolo uomo, quel posto vuoto sarà occupato da quella presenza che il nostro cuore più desidera…!
Buon Natale a tutti!

Nelle immagini: paesaggio natalizio innevato e sedia vuota.


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(31.12.10) COME ERAVAMO, COME SIAMO (Domenico Distilo) - Qualche giorno prima di Natale è morto Enzo Bearzot, tecnico della Nazionale di calcio ai mondiali di Spagna del 1982. Qualcuno ha pensato di fare il confronto tra l’Italia di allora – come eravamo - e quella di oggi – come siamo - per trarne sconsolate considerazioni su “come siamo diventati brutti”.
Pensiamo sia il caso di stendere un elenco, un po’ a caso, delle cose che allora c’erano e oggi non ci sono e/o viceversa.

1. Non c’erano i rifiuti per le strade a Napoli e altrove;
2. Nessuno parlava di federalismo, cioè di divisione dell’Italia;
3. Nessuno parlava di lavoro flessibile;
4. C’era ancora la scala mobile;
5. C’erano la DC, il PCI, il PSI ecc., cioè la Prima Repubblica;
6. Nessuno diceva che la Costituzione va cambiata;
7. Le privatizzazioni erano di là da venire;
8. Non c’era l’euro e si poteva svalutare la lira;
9. Si ascoltava "Tutto il calcio minuto per minuto";
10. Il capo del Governo non era un piazzista parolaio ma uno storico di vaglia;
11. Non c’erano i telefonini;
12. Non c’erano i PC, tantomeno internet;
13. Il ministro dell’Istruzione non metteva sotto attacco la scuola e l’università pubbliche;
14. C’erano Saronni e Moser;
15. C’era il ciclismo;
16. Si ascoltava di più la radio, soprattutto al mattino;
17. Si poteva fumare nei luoghi pubblici;
18. A Galatro in estate si disputava il torneo rionale di calcio;
19. Pochi, o nessuno, giocavano a calcetto;
20. Le cinture di sicurezza non erano obbligatorie;
21. Non si sapeva cosa fosse l’effetto-serra;
22. La P2 era stata scoperta l’anno prima ma si era ben lungi dal prevedere che qualcuno ne avrebbe realizzato il programma;
23. Il Milan era in serie B;
24. Il turpiloquio non era ancora di casa in TV;
25. Non era scoppiato lo scandalo dei preti pedofili;
26. Non c’erano i negazionisti delle camere a gas;
27. Forse per questo non si celebrava “Il giorno della memoria”;
28. Il Catanzaro era in serie A;
29. Non avevamo il bipolarismo;
30. Neppure il Porcellum;
31. C’era ancora la Guerra fredda;
32. Era sconosciuto il revisionismo storico, nonostante De Felice;
33. Il direttore del TG1 non leggeva editoriali filogovernativi;
34. Alla direzione de "Il Giornale" c’era Montanelli, non Feltri o Sallusti;
35. Non c’era il giornalismo che infangava deliberatamente gli avversari del premier-padrone;
36. I produttori di fango erano relegati in testate ben identificate: ad es. OP; Specchio, ecc;
37. La politica non era ridotta a propaganda;
38. Non c’era stata Farsopoli, pardon Calciopoli, e gli interisti sarebbero stati “a cuccia” ancora per molti anni;
39. C’erano l’ala tornante e il mediano a sostegno;
40. A Galatro fiorivano molte testate giornalistiche palesi ed anonime: La Talpa, il Gruppo, Il Nuovo Galatrese, l'Anatra Zoppa, Il Foglio...

Chi vuole può continuare l’elenco. Preferibilmente nel modo più denotativo possibile.

Nella foto: Enzo Bearzot.


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(31.12.10) TE DEUM LAUDAMUS (Michele Scozzarra) - In questo ultimo giorno dell’anno voglio scrivere, in sintonia con la liturgia che la Chiesa propone, un mio personale “Te Deum laudamus” per questo 2010 che sta consumando le sue ultime ore. Di solito, in questo periodo, nel formulare gli auguri per l’anno nuovo che sta per cominciare, si dimentica che la Chiesa ci invita, invece, al ringraziamento per quello che si ha avuto nell’anno trascorso, con la recita del “Te Deum”.
Ognuno di noi deve qualcosa a qualcuno: anche solo per un gesto, per un consiglio o per una riflessione che ci permette di cadenzare al meglio il passo nel cammino delle scelte quotidiane. Nella vita privata, come in quella pubblica, il calore degli sguardi di coloro che rivolgono l’attenzione nei nostri confronti spesso evapora nella freneticità del quotidiano. Capita che i nostri affanni superino il ritmo delle lancette del tempo ed il senso della vita rischi di perdere il suo significato più profondo poiché è immerso nella fragilità della nostra esistenza, organizzata sulla base di bisogni da soddisfare, sogni da difendere e segnata dall’ansia per un futuro da conquistarsi.
Ma nei giorni in cui si chiude l’anno capita anche di avere il tempo di fare qualche bilancio, di voltare lo sguardo indietro e notare come le immagini che rimangono impresse nella memoria facciano emergere ricordi il cui peso riempie di significato l’essenza della nostra vita. E ciò non significa che debbano essere unicamente eventi che ci hanno dato felicità. A volte anche il dolore di una scomparsa ci insegna tanto…
Certo non posso non riconoscere che, in questo periodo, non è molto facile innalzare una preghiera per esprimere “gratitudine”. Di cosa si può dire di essere grati, in un tempo come il nostro, dove per essere considerati “democratici e civili” pare occorra essere perennemente “contro” qualcuno: contro Berlusconi o contro il fisco, contro gli immigrati o contro la Chiesa… comunque sempre “contro”. Come se l’importante fosse avere un nemico cui attribuire la nostra infelicità. Ma il fatto è che avendo un nemico, e avendolo sempre nei pensieri si vive male. Si vive cupi e astiosi. Si sta in guardia. Si pensa sempre a come fargliela pagare a qualcuno… Ignorando, o facendo finta di ignorare, che il primo effetto collaterale del rancore è il vivere male.
A essere grati, invece, si respira meglio. Uno che sa di avere ricevuto un dono è contento. E avendo incontrato almeno un giorno di destino buono, ha speranza. Avendo incontrato una generosità, può essere magnanimo. Generoso di giudizio e largo di cuore.
Sono sempre più convinto che la posizione della gratitudine insegnata nella Chiesa (dalla preghiera prima di mangiare, al Te Deum dell’ultimo giorno dell’anno) sia la più umanamente feconda. Oltre che la più realista. Riconoscendo che non possiamo darci da soli nemmeno un battito in più del nostro cuore.
Essere grati… già, ma di che cosa dovremmo essere grati? La domanda si pone perché siamo così abituati a ciò che abbiamo, che facilmente non lo vediamo più. Per essere grati occorre prima di tutto riabituarsi a vedere: quelle cose solite e consuete, scontate, che sono lo svegliarsi al mattino e stare bene, e l’alzarsi, e potere camminare. La faccia della moglie o del marito, dei figli, degli amici; le strade di ogni giorno, e il lavoro, e di ogni giorno i fastidi: in ogni cosa riconoscere la ragione di una gratitudine… anche se, ammetto, non è così facile, perché solo sotto lo schiaffo di una grave malattia sfiorata, di un mortale pericolo evitato, si vede, a volte, in questa prospettiva. Poi si torna sempre nell’abitudine, dove tutto può sembrare noia o fatica.
Ma è nella gratitudine che lo sguardo si allarga… si guarda indietro e intorno, si guarda con più attenzione agli affetti cari che quasi sembravano nascosti.
Te Deum laudamus per la moglie, per il marito, per i figli, per i nostri genitori (che anche se morti non c’è giorno che non ci vengano in mente)… grazie per gli amici (non quelli “onesti”… o quelli “giusti”… ma quelli “misericordiosi”), quelli a cui si può raccontare di avere combinato qualsiasi cosa e comunque ti vogliono bene lo stesso.
E mentre faccio questo esercizio di gratitudine mi accorgo, con stupore, che più mi riconosco grato e più si allarga il fronte delle facce care… e delle mille cose semplici delle quali non mi accorgo mai… e che pure stanno dentro un disegno più grande che posso anche chiamare “destino buono”.
Quasi timidamente, in questo ultimo giorno dell’Anno del Signore 2010, dico grazie per tutto: Te Deum laudamus, in queste notti di dicembre fredde, così lunghe e buie… in queste notti d’inverno, che già fra pochi giorni, però, cominceranno impercettibilmente ad allungarsi, verso una nuova primavera di un nuovo anno.
Buon anno a tutti!

Nelle foto: Michele Scozzara e partitura di Te Deum in notazione medievale.


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(31.12.10) INCIPIT VITA NOVA! (Don Giuseppe Sofrà) - Carissimi nel Signore,

Con questo scritto di San Luigi Orione vorrei far giungere, a tutti i lettori di Galatro Terme News, gli auguri per il nuovo anno che a breve la divina provvidenza ci darà la gioia di iniziare.

Auguri di cuore!
Per un 2011 segnato dalla provvidenza del buon Dio!

Don Giuseppe Sofrà

* * *

«Oggi dovremmo sentirci, non dirò solo prostrati, ma scomparsi mille volte sotto la valanga di tanti affanni, ecco che tutto è passato, con l’aiuto di Dio, e noi con l’anima commossa e con gli occhi pieni di pianto verso Gesù, noi siamo qui ancora, qui in piedi e più forti di prima.
Gesù fu tanto buono che pare sia disceso sino alla bassezza dei suoi ultimi servi a ritemprarne e a ingagliardirne la vita. La mano della sua misericordia si è stesa sulla nostra povera testa, e un soffio nuovo di vita è passato sopra di noi, e la virtù sua ha ravvivata la debolezza nostra, e ha decisa la volontà ad una vita nuova e migliore, e a nuovo e più vasto lavoro per la gloria di lui!.
Incipit vita nova!
Se volgiamo la mente a riguardare la strada fatta sin qui, oh quanto ci sentiamo insoddisfatti di noi e umiliati! – quante freddezze, quanta pigrizia, quante miserie! – Bisognò proprio che il Signore spargesse tutte le sue benedizioni sui nostri passi, ci volle tutto l’affetto di tante anime buone per cacciarci avanti giorno per giorno.
Ah destiamoci dunque da questo sonno: dopo tanti favori celesti e tanti conforti, è pur tempo che incominciamo una vita nuova:una vita tutta d’amore e di lavoro per Gesù! La voce di Dio passa e grida sul nostro cuore; così come prima, a salti e a sbalzi, tra Dio e noi, non possiamo e non dobbiamo più andare avanti: passiamo dunque decisamente sotto le bandiere del gran Re: nel nome di lui, Signore e Dio grande, incipit vita nova!
Incipit vita nova! – Sappiamo bene che di per noi non siamo buoni a nulla, neppure a muovere un passo nella nuova vita che vogliamo condurre, ma Gesù è buono e sarà vicino a noi, e lascerà che ci abbracciamo a lui e che ci abbandoniamo fidenti sopra il suo Cuore: tutto si può quando Gesù ci conforta! Oh sì, il Signore che ha incominciato l’opera buona in noi, saprà ben lui condurla a fine!
Incipit vita nova! Per un ideale che non finisce quaggiù, per un bene che non è terreno, guardando il cielo: - lanciando questo grido dell’anima a voi, o giovani fratelli!
In alto i cuori: Vita nuova: il cuore a Dio, - la vita al lavoro, per amore di Dio! Né i disinganni, né le brine varranno ad arrestarci su la via gloriosa segnata dal dito della Provvidenza del Signore: i turbini, soffiando a noi d’intorno, non spegneranno la fede e i palpiti di una carità che non muore: alzi pure barriere il mondo: serviranno di scala per salire più in alto! Incipit vita nova! Auguri!»

(San Luigi Orione)
Da l’ODP 30 – VII-1899;
CF Spir.I,143 ss.

Nella foto: Don Giuseppe Sofrà.


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