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1.1.11 - Qualche domanda e un appello
Angelo Cannatà

14.1.11 - Confronti televisivi
Domenico Distilo

27.1.11 - Qualche riflessione nel Giorno della Memoria
Michele Scozzarra

2.2.11 - Riflessioni sulle ultime "novità"
Arianna Sigillò

6.2.11 - Se Pasolini oggi potesse scrivere sul "palazzo"
Michele Scozzarra

11.2.11 - Questo presepe non mi piace
Angelo Cannatà

13.2.11 - Ma cosa sta succedendo a Galatro?
Michele Scozzarra

14.2.11 - Ma la Calabria come va differenziata?
Antonio Sibio

16.2.11 - Galatro paese "tranquillo"
Biagio Cirillo

17.2.11 - Agli elettori del PDL
Angelo Cannatà

19.2.11 - Sulla Calabria l'inferno dei pregiudizi
Michele Scozzarra

21.2.11 - La catalessi della politica galatrese

23.2.11 - I galatresi hanno perso ogni stimolo per la politica
Carmelo Romeo

25.2.11 - Uno spaccato delle attuali conversazioni politiche
Alfredo Distilo

1.3.11 - I cattolici e il Banana
Domenico Distilo

5.3.11 - Un saluto da Don Giuseppe
Don Giuseppe Sofrà

5.3.11 - Caro Don Giuseppe...
Michele Scozzarra

15.3.11 - E vui caru Silviu vi scialati...
Angelo Cannatà





(1.1.11) QUALCHE DOMANDA E UN APPELLO (Angelo Cannatà) - Caro Domenico,
hai scritto
un testo molto bello. Complimenti. Il gioco della memoria stimola ricordi, confronti - consuntivi? - che inevitabilmente parlano del nostro tempo.
Tu racconti soprattutto l’Italia e accenni a Galatro. E’ giusto così.
Io vorrei invece soffermarmi - chiedo scusa per la visione ristretta - proprio sul nostro caro paese. “Amo troppo il luogo natio – diceva qualcuno – e per questo lo lascio, per non viverne la decomposizione”.
Il gioco che proponi mi intriga, ma suggerisco una variante: utilizzare come riferimento non il 1982 (con buona pace di Bearzot), ma il 1985.
E’ accaduto qualcosa d’importante quell’anno a Galatro.
Più esattamente, qualcosa che si sperava fosse importante. Dopo vent’anni di dominio la Democrazia Cristiana perdeva il potere.
Da allora, sono passati 25 anni. Un’eternità. Ma proprio per questo - caro Domenico - per l’infinita distanza che ci divide dal 1985, il tuo gioco suscita domande inevitabili:
quanto è cambiata la nostra Galatro? Come è cambiata? Cosa s’è fatto di significativo in questo tempo? C’è qualcosa da indicare alle future generazioni? C’è un’opera che caratterizzi questo quarto di secolo? C’è un’azione politica da ricordare? C’è un progetto? C’è un’idea?
No. Non c’è.
Questo la dice lunga sulla nostra “classe dirigente”. La dice lunga, però, anche sui cittadini che – passivamente – continuano a votarla.
C’è bisogno di aria nuova.
Aprire le finestre non basta più. Occorre aprire le urne a primavera e trovare (finalmente) delle novità. Occorre un’assunzione di r-e-s-p-o-n-s-a-b-i-l-i-t-à.
Un appello: provate ad eleggere - cari galatresi - qualcuno che abbia idee in testa. Idee. E capacità di realizzarle. Fatevi un regalo. Che il 2011 sia un buon anno per tutta la comunità.

Nella foto: voto alle elezioni comunali.

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(14.1.11) CONFRONTI TELEVISIVI (Domenico Distilo) - L’altra sera a Ballarò è andato in onda uno spettacolo penoso, con un maestro del diritto costituzionale quale il calabrese Stefano Rodotà sottoposto agli sberleffi e al dileggio volgare di un esponente del cosiddetto Popolo della libertà, il ministro dell’istruzione (una volta pubblica) Gelmini e di un rappresentante del leghismo, il presidente della Regione Piemonte (perché si debba chiamarlo enfaticamente Governatore, con un insulso americanismo, non s’è mai capito) Cota.
Alle argomentazioni di Rodotà, articolate come si conviene, puntuali e intrise di dottrina, i due agit-prop del banana-leghismo opponevano le scontate e prevedibili frasi fatte attinte all’ormai vieto repertorio propagandistico del berlusconismo, fulminando infine contro il malcapitato professore l’accusa suprema, di essere stato comunista, addirittura per tre legislature parlamentare del PCI.
Inutilmente Rodotà ha ribattuto che una volta (giusto: una volta!) le persone venivano considerate per le cose che dicevano, non per gli scranni da cui le dicevano: l’ignoranza che lo fronteggiava non batteva ciglio, continuando a declamare scompostamente le banalità da cui questi politici di destra, sedicenti liberali, sedicenti moderati, non si libereranno mai. Non per cattiva volontà. Neppure per pigrizia intellettuale e/o incoercibile propensione al luogocomunismo. Piuttosto perché in ogni loro atteggiamento, in ogni loro frase traspare un’ignoranza strutturale, ontologica, assolutamente irredimibile, che inevitabilmente informa e sostanzia tutto uno stile – chiamiamolo stile - di vita. Del resto, se così non fosse, non si sarebbero scelti leader come quelli che si sono scelti. Per eleggere certi personaggi come propri modelli e riferimenti ci vogliono stomaci adatti e, soprattutto, teste vuote.

Nella foto: il costituzionalista calabrese Stefano Rodotà.


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(27.1.11) QUALCHE RIFLESSIONE NEL GIORNO DELLA MEMORIA (Michele Scozzarra) - 27 gennaio: il Giorno della Memoria è, ancora una volta, ricordato su giornali, radio e televisioni. Ma, scusate se mi pongo una terribile domanda… a cosa servono tutte queste manifestazioni? A ricordare, viene spesso risposto a questa domanda… servono perché il passato non si ripeta.
Eppure, come ha scritto un giornalista ebreo, molte delle stesse persone che ogni 27 gennaio versano calde lacrime per i bambini ebrei uccisi dai nazisti, saltano dalla sedia quando sentono che gli israeliani ritengono che il loro paese sia in pericolo…
Anzi, non manca chi ritiene gli stessi israeliani come gli eredi del nazismo. Poco importa, naturalmente, che Israele sia l’unico paese del Medio Oriente dove gli arabi vivano in democrazia, dove un arabo possa parlare male del governo e tornare alla sera a casa senza il timore di essere rinchiuso in prigione.
E’ ormai da diversi anni che, proprio nel Giorno della Memoria, il presidente iraniano Alì Khamenei ripete il proprio desiderio che Israele venga distrutto. Ancora una volta c’è chi auspica che un intero paese, un intero popolo siano annientati in quanto responsabili della sola colpa di esistere. Non è odiosa retorica, ma l’Iran si sta dotando delle armi nucleari per passare ai fatti. L’obbligo che l’Europa ha deciso di darsi con il Giorno della Memoria (ricordare il passato perché non si ripeta), implica anche il dovere di intervenire senza voltarsi dall’altra parte, come fecero tanti “bravi” cittadini davanti ai treni della morte. Oggi questo significa mandare dei segnali chiari…
Altrimenti di fronte ai tanti slogan "Noi non dimenticheremo… il passato non si ripeterà… ecc.", non possiamo non pensare: “Ma quante palle siamo costretti a sentire…!”.
Il punto non è ricordare, non è mai stato quello il punto. La memoria, la storia, è indispensabile per capire gli errori del passato. Ma da sola non serve a niente, mancano la comprensione e l'atto. Posso essere il maggiore storico dei lager, conoscere perfettamente ogni segreto dei campi di sterminio e dare loro il mio consenso informato… ma non posso negare che in questo istante uomini stanno morendo in luoghi del tutto simili a quelli in cui si stanno tenendo tante belle celebrazioni. Uomini uccisi dalla fame e dagli stenti. Uomini imprigionati per quello che sono, non per quello che possono avere fatto.
Anche a scuola, per il Giorno della Memoria, gli insegnanti fanno imparare la famosa canzone di Guccini, Auschwitz, una canzone che in tanti abbiamo amato. Quando impareremo a vivere senza ammazzare, si domanda la cenere. Ma la risposta al quesito del bambino nel vento è "mai", perché non è uno sforzo, non è un progresso, non è la storia che possono cambiare le cose.
Come può un uomo uccidere un suo fratello? Eppure accade: non solo quando non lo considera un fratello, ma anche quando fratello lo è davvero.
I nostri padri, alla fine della guerra, hanno pensato che, finalmente, con la sconfitta dei nazisti, era finito il male… invece, in seguito, abbiamo avuto ben modo di vedere che il Male non era affatto finito ma cambiava solo orizzonte e, il presente ci ha mostrato che l’Olocausto continua ancora oggi, e che il Male nel mondo non è morto e non era neanche un'esclusiva dei nazisti!
Il presente ci ha mostrato che non è poi così difficile essere come loro e anche oggi, nel gennaio del 2011, non è fuori posto l'immagine dell'uomo che suona il violino mentre uccidono i "nuovi" ebrei e chi gli è vicino gli dice di suonare più forte, perché non vuole essere disturbato dall'urlo della morte.
Oggi più di ieri "c'è bisogno di Qualcuno che ci liberi dal male, perché il mondo tutto intero è rimasto tale e quale...". C'è una sola forza che può cambiare il mondo, a cominciare dal mondo che è la persona, che sono io, che siamo ognuno di noi. E si chiama misericordia.
Una virtù che raramente abbiamo la forza di applicare, tanto è divina, tanto è difficile, tanto noi siamo quello che siamo. E non so se oggi la sentirete altrove, sussurrata nel vento.
Perché solo in questa virtù sussurrata dal vento, ha senso ricordare l’Olocausto e le sue vittime… di ogni epoca. Compresa la nostra!

Nelle foto: in alto, ebrei in un campo di concentramento; in basso, rastrellamento di ebrei.


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(2.2.11) RIFLESSIONI SULLE ULTIME NOVITA' (Arianna Sigillò) - Cari amici, avendo appreso anche io le "ultime novità" a Galatro, non potevo che dire la mia. Ho visto usare affermazioni come "clima di apprensione e preoccupazione", "intimidazione alla chiesa", "malviventi" che hanno rapinato il bar e infine intento di battere la mentalità "mafiosa"...
Mi soffermerò brevemente su questi punti dicendo che condivido pienamente il modo "leggero" con cui affronta l'intera situazione il nostro Don Cosimo dicendo che "se la carne fosse stata di maiale e l'avessero messa davanti casa sua se la sarebbe arrostita", perchè è proprio questo il tono con cui va affrontato il tutto.
Mi spiego. Qualche volta ho sentito parlare di un detto dialettale secondo il quale esistono tre categorie di uomini: l'Omani, l'Omanicchi e i Quaqquaraquà. Noi viviamo in uno splendido paese molto caratteristico, dove ci si conosce praticamente tutti, il tipico paesino composto da "quattru casi e nu furnu", per cui propongo agli esecutori di tali ridicolaggini, perchè altro non sono, di risolvere in altro modo le loro "divergenze", se così le si può definire, con i diretti interessati, in maniera civile, rispettosa e sopratutto dignitosa, tale da poterli definire "Omani" e non semplici "Quaqquaraquà".
Poichè molti dei soggetti appartenenti a questa categoria pensano che sia lo svaligiare le case delle persone, per esempio com'è successo ai miei suoceri il giorno del mio matrimonio, rubando e causando danni nei bar, come da Silvana, o al Primo Cittadino a renderli "Omani", beh ho una brutta notizia da dargli: non è così!
Concludo dicendo che, secondo me, tutto ciò non ha a che fare con la politica, dato che, se questi individui avessero voluto provare ad "ottenere qualcosa" in questo modo dalla politica, e precisamente dall'attuale Amministrazione, si sarebbero "mossi" per tempo e non a fine mandato...
Non l'ho mai fatto, ma permettetemi di presentarvi il mio bambino... puliticchio puliticchio!


Nelle foto, dall'alto in basso: Arianna Sigillò e il suo bimbo.


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(6.2.11) SE PASOLINI OGGI POTESSE SCRIVERE SUL "PALAZZO" (Michele Scozzarra) - Se Pasolini, morto ormai da moltissimi anni, potesse leggere le dichiarazioni che si sprecano, sulla crisi che sta vivendo la politica italiana in questi giorni, sicuramente ripeterebbe, con maggiore forza, quanto già aveva scritto: “Ho l'Espresso in mano, come dicevo. Lo guardo e ne ricevo un'espressione sintetica: 'Come è diversa da me questa gente che scrive delle stesse cose che interessano a me. Ma dov'è, dove vive?'. E' un'idea inaspettata, una folgorazione, che mi mette davanti le parole anticipatrici e, credo, chiare: 'Essa vive nel Palazzo'. Non c'è pagina, riga, parola in tutto l'Espresso (ma probabilmente anche in tutto Panorama, in tutto il Mondo, in tutti i quotidiani e settimanali dove non ci siano pagine dedicate alla cronaca), che non riguardi solo ed esclusivamente ciò che avviene 'dentro il Palazzo'. Solo ciò che avviene 'dentro il Palazzo' pare degno di attenzione e interesse: tutto il resto è minutaglia, brulichio, informità, seconda qualità... E naturalmente, di quanto accade 'dentro il Palazzo', ciò che veramente importa è la vita dei più potenti, di coloro che stanno ai vertici. Essere 'seri' significa, pare, occuparsi di loro. Dei loro intrighi, delle loro alleanze, delle loro congiure, delle loro fortune; e, infine, anche, del loro modo di interpretare la realtà che sta 'fuori dal Palazzo': questa seccante realtà da cui infine tutto dipende, anche se è così poco elegante e, appunto, così poco 'serio' occuparsene".
Ma, se Pasolini potesse, continuerebbe a ripetere anche oggi che in Italia "gli uomini che decidono la politica italiana, e in definitiva la nostra vita, non sanno nulla o fingono di non sapere nulla, di ciò che è radicalmente cambiato nel 'potere' che essi servono, praticamente detenendolo e gestendolo"; aveva ragione quando si chiedeva "cos'è più scandaloso: se la provocatoria ostilità dei potenti a restare al potere, o l'apocalittica passività del paese ad accettare la loro stessa fisica presenza (... quando il Potere ha osato ogni limite, non lo si può mutare, bisogna accettarlo così com'è)”; aveva ancora di più ragione quando scriveva che "uscendo fuori dal Palazzo, si ricade in un nuovo 'dentro': cioè dentro il penitenziario del consumismo. I personaggi principali di questo penitenziario sono i giovani... I giovani che sono nati e si sono formati in questo periodo di falso progressismo e falsa tolleranza, stanno pagando questa falsità (il cinismo del nuovo potere che ha tutto distrutto) nel modo più atroce. Eccoli qui, intorno a me, con un'ironia imbecille negli occhi, un'aria stupidamente sazia, un teppismo offensivo e afasico, quando non un dolore e un'apprensività quasi da educande, con cui vivono la reale intolleranza di questi anni di tolleranza...".
Quando Pasolini scriveva queste cose, in Italia ne seguiva una ridda di discussioni e tutti i "maitres a penser" finivano regolarmente per dargli del pazzo, del visionario. In effetti, le apparenze sembravano dargli torto. Dov'era, nell'Italia democratica, laica, progressista e moderna di quegli anni, quel "Mostro" che egli intravedeva all'orizzonte, quel "potere che manipola i corpi in modo orribile e che non ha nulla da invidiare alla manipolazione fatta da Hitler, perché li manipola trasformando la coscienza, cioè nel modo peggiore".
Se Pasolini potesse, penso riproporrebbe oggi, con maggior vigore, lo storico “articolo delle lucciole”, sul vuoto di potere, che, ormai da tanto tempo affligge la nostra Nazione, perché si rivela, oggi più che mai, attuale e profetico. Le lucciole… già le lucciole, Pasolini voleva Processare “il Palazzo” in nome delle lucciole.
Una decina di anni fa, direbbe ancora oggi Pasolini, è successo “qualcosa”: “Poiché sono uno scrittore e scrivo in polemica, o almeno discuto, mi si lasci dare una definizione di carattere poetico-letterario di quel fenomeno che è successo una decina di anni fa. Ciò servirà a semplificare e ad abbreviare il nostro discorso (e probabilmente anche a capirlo meglio). Da una decina di anni, a causa dell’inquinamento dell’aria sono cominciate a sparire le lucciole. Il fenomeno è stato fulmineo e folgorante… le lucciole non ci sono più. Sono ora soltanto un ricordo, abbastanza straziante del passato…”.
Quindi quel “qualcosa” che è successo anche nella gestione del potere nei nostri paesi, non solo nella nostra Nazione, Pasolini lo definisce “la scomparsa delle lucciole”. Tuttavia egli non scrive solo per polemizzare su questo punto, benché questo gli stia molto a cuore… scrive per una ragione molto diversa: “Tutti i miei lettori si saranno certamente accorti del cambiamento degli uomini di potere: essi sono diventati delle maschere funebri. E’ vero: essi continuano a sfoderare radiosi sorrisi, di una sincerità incredibile. Nelle loro pupille si raggruma della vera, beata luce di buon umore. Quando non si tratti dell’ammiccante luce dell’arguzia e della furberia. Cosa che agli elettori piace, pare quanto la piena felicità. Inoltre, i nostri uomini di potere continuano imperterriti nei loro sproloqui incomprensibili: in cui galleggiano i flatus vocis delle solite promesse stereotipate. In realtà essi sono appunto delle maschere. Son certo che, a sollevare quelle maschere, non si troverebbe nemmeno un mucchio d’ossa o di cenere: ci sarebbe il nulla, il vuoto”.
Terribile questo sfrontato di un Pasolini ma, nella sua sfrontatezza, riesce a dare una spiegazione molto semplice alle cose che dice: “Oggi in realtà (anche nei nostri piccoli paesi aggiungo io!) c’è un drammatico vuoto di potere. Ma questo è il punto: non un vuoto di potere amministrativo, né un vuoto di potere politico in un qualsiasi senso tradizionale. Ma un vuoto di potere in sé”.
Pasolini continuava ad insistere nel ripetere che tutto questo si è verificato “specie negli ultimi dieci anni…”, perché a suo giudizio è successo proprio negli ultimi dieci anni che “le persone che hanno detenuto il potere, non hanno capito che si era, storicamente, esaurita la forma di potere che essi avevano servilmente servito negli anni precedenti (traendone peraltro tutti i possibili profitti) e che la nuova forma di potere non sapeva più (e non sa più) che cosa farsene di loro”.
La spiegazione di come, gli uomini di potere, sono giunti a questo “vuoto”, per Pasolini è molto semplice: “gli uomini di potere sono passati dalla “fase delle lucciole alla fase della scomparsa delle lucciole” senza accorgersene: non hanno sospettato minimamente che il potere, che essi detenevano e gestivano, non stava semplicemente subendo una normale evoluzione, ma stava cambiando radicalmente natura… si sono illusi che nel loro potere tutto sostanzialmente sarebbe rimasto uguale. Gli uomini di potere hanno subìto tutto questo, credendo di amministrare il potere”.
Le lucciole, il Palazzo, il processo al Palazzo… un Pasolini che a distanza di molti anni dalla sua morte interroga e fa ancora discutere per la sua ingombrante presenza… che oltre ad essere ingombrante, è soprattutto scomoda, molto scomoda… per tutti!
Certo, le lucciole sono sparite… ma quanti sono quelli che, oggi, hanno una tale libertà dal potere, da poter sinceramente dichiarare, come diceva Pasolini: “Io, ancorché multinazionale, darei l’intera Montedison per una lucciola…”.
Ma queste oggi, purtroppo per noi, non passano neanche come belle parole…

Nella foto: Pier Paolo Pasolini.


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(11.2.11) QUESTO PRESEPE NON MI PIACE (Angelo Cannatà) - Nell’al di là, pur tra mille impegni, Martino e Conia non dimenticano Galatro. Seguono (con apprensione) eventi che rischiano di finir male.
Conia: Hai letto? “La ‘ndrangheta è in guerra contro lo Stato”.
Martino: “Centinaia gli arresti: i grandi latitanti della Locride o della Piana finiti al 41 bis. Quando lo Stato comincia a far male, i boss rispondono con le minacce.
Conia: Anche a Galatro purtroppo la situazione degenera. Un tempo non era così: nel nostro paese - oasi di pace - la politica non aveva legami con la mafia.
Martino: Sei il solito ingenuo, Giovanni, in passato certi legami non mancavano… e tuttavia in parte, nella tua ingenuità, hai ragione.
Conia: Cosa vuoi dire, non capisco.
Martino: Voglio dire che c’erano i legami, ma tutto era diverso. Prendiamo gli anni ’70 (per fare un esempio), c’era qualche segnale equivoco, è vero, ma tutto era…
Conia: Vai al dunque.
Martino: Anche allora Galatro subiva l’influenza del clima generale calabrese e italiano, e la mafia cercava legami con la politica. Basta ricordarsi per chi votavano i boss locali. Ma nonostante ciò, ripeto, era tutto molto diverso.
Conia: Non capisco.
Martino: Voglio dire che in quegli anni la politica, pur compromessa, aveva la “forza” di controllare la mafia (faceva favori, ma esercitava un’egemonia); oggi – mio caro amico – è la mafia che controlla la politica. Ti sembra una differenza da poco?
Conia: Vuoi dire che la situazione sta sfuggendo di mano, che…
Martino: … sì, proprio questo voglio dire. Dopo l’attentato al sindaco Panetta (possiamo criticarlo politicamente, ma sul piano personale è stimabile); dopo l’attentato a Don Cosimo (parroco colto – di buone letture – amato dalla comunità); dopo l’attentato ai fratelli Lucia (persone oneste e disponibili, con tutti). Dopo tutto questo, che cosa deve ancora accadere per capire che la situazione sta sfuggendo di mano?
Conia: Per riprendere il tuo discorso… possiamo dire che la politica non controlla più nulla, che non utilizza, ma è utilizzata, che…
Martino: E’ così. Il riassunto generale è questo: ci sono stati anni in cui la politica prendeva i voti dalla mafia, faceva qualche “inciucio” con i boss locali e tutto finiva lì. A Galatro come in altre realtà. Oggi, la debolezza della politica lascia troppo spazio (temo: tutto lo spazio) a certi ambienti. Insomma, la mafia entra in scena “quasi direttamente”. I risultati sono sotto gli occhi di tutti.
Conia: Entra in scena per ragioni politiche?
Martino: No. Tutto è strettamente legato ai soldi: ci sono interessi molto forti. Non dimenticare che nei prossimi anni bisogna ri-definire il problema delle Terme.
Conia: E’ possibile fare qualcosa? Come finirà? Fai una previsione.
Martino: Io non prevedo, io so. Ricordati che parliamo dall’al di là. A noi è dato “vedere”.
Conia: E dunque, dimmi.
Martino: Vedo che se la spirale di violenza non si blocca - in qualche modo - finirà male. E’ stato attaccato il potere politico (governo e opposizione); minacciato il potere religioso. Capisci cosa sto dicendo? Chi governa, chi si oppone, chi amministra i sacramenti: tutti sono sotto minaccia. Come non vedere che c’è qualcuno che dice: il vero potere sono io.
Conia: Sei preoccupato?
Martino: Sì. Questo presepe non mi piace.

Nelle foto: il poeta Antonio Martino e l'abate Giovanni Conia.


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(13.2.11) MA COSA STA SUCCEDENDO A GALATRO? (Michele Scozzarra) - I recenti, inquietanti, episodi di intimidazione che si sono verificati nelle ultime settimane nel nostro piccolo paese (prima contro la casa colonica del Sindaco, le terme, la centrale elettrica…poi contro la Chiesa e don Cosimo… per finire al rinvenimento di due fucili caricati a pallettoni nel retro della casa di Mario e Fortunato Lucia), non possono non portarci a pensare: “Ma cosa sta succedendo a Galatro…?”.
Anche se, in questi giorni, la notizia si sta allargando a macchia d’olio, anche al di fuori dei confini del nostro paese, ritengo che voler individuare la matrice di tutto questo con la prossima scadenza elettorale sia fuorviante, oltre che mistificante.
Con una chiarezza che non lascia spazio ad alcuna possibile diversa interpretazione, durante il Consiglio Comunale aperto per esprimere la solidarietà a Panetta, il Sindaco di Giffone, Aristodemo Alvaro, ha detto: “Non si può continuare a parlare dei nostri paesi come isole tranquille, parlare anche di Galatro come isola felice e incontaminata dal problema delinquenziale. Questo non è vero e continuare a dire questo vuol dire chiudere gli occhi, voler mettere la mortadella sugli occhi… anche qui a Galatro la ‘ndrangheta c’è… come c’è a Giffone e la politica ne deve prendere atto e deve fare i passi utili e necessari perché queste associazioni criminali vangano isolate ma non attraverso l’isolamento fisico, ma attraverso l’isolamento istituzionale e attraverso l’attività delle forze dell’ordine… perché se questo fenomeno non viene arginato, non ha senso dire che nei nostri paesi ci sono 150 o 200 laureati e centinaia di diplomati… nonostante questo la battaglia non la vinciamo. Per questo penso che la solidarietà per quanto successo esprime anche un augurio, quello che non vi criminalizzate “politicamente”… perché il vero pericolo è altrove”.
Già… il vero pericolo è altrove, dice il Sindaco di Giffone. E come non dargli ragione, soprattutto, laddove si intravede una realtà indifferente a tutto… sbigottita, attonita, preoccupata per qualche ora, o per qualche giorno, poi ci si abitua anche a questo, quasi come una maledizione con la quale non si può non convivere. In questo senso ho ritenuto opportuno di intervenire, con un piccolo racconto (che mi piace riportare come una favola più che seria per chi ha orecchie e vuole intendere!), dal quale emerge come morale che, quando in una comunità c’è una trappola, nessuno può dire che è un problema che non lo riguarda: “Spiando dal buco sulla parete, un topo vide l'agricoltore e sua moglie intenti ad aprire un pacco e pensò subito al cibo che avrebbe dovuto contenere. Tuttavia, terrorizzato scoprì che si trattava di una trappola per topi. Corse fino al cortile della fattoria per avvertire tutti.
La gallina disse: “Mi scusi Signor Topo, capisco che questo sia un grande problema per lei, ma non mi tocca in nulla per cui il fatto non mi disturba”.
Il topo andò dal maiale a riferire che c’era una trappola in casa. Il maiale disse: “Mi scusi Signor Topo, ma non c'è nulla che io possa fare se non pregare”.
Il topo si rivolse allora alla mucca, che rispose: “ Cosa Signor Topo? Una trappola? Sono in pericolo per caso? Credo di no!”.
Allora il topo fece ritorno a casa, testa in giù, abbattuto, per affrontare la trappola dell'agricoltore. In quella notte si udì un rumore, come quello di una trappola che scatta sulla sua vittima. La moglie dell'agricoltore era corsa per vedere cosa aveva preso e al buio, non vide che nella trappola c'era impigliata la coda di un serpente velenoso. E il serpente punse la donna... Alla donna venne subito la febbre. In campagna tutti sanno che per alimentare qualcuno con la febbre non c'è nulla di meglio che un buon brodo di gallina. L'agricoltore prese il coltellaccio da cucina e si occupò di procurare l'ingrediente principale. Siccome la donna non si riprendeva, gli amici e i vicini vennero a farle visita e per dar loro da mangiare il contadino uccise il maiale. Tuttavia la moglie non si riprese e finì per morire e molta gente venne per il funerale… il contadino allora dovette sacrificare la mucca per poter dar da mangiare a tutta quella gente.
La prossima volta che sentirai di qualcuno che si trova dinanzi a un problema e penserai che il problema non ti riguarda, ricordati che, quando c'è una trappola in casa, tutta la fattoria è in pericolo. Quando conviviamo in comunità, il problema di uno è il problema di tutti”.

Da questa prospettiva, la mia domanda iniziale “Ma cosa sta succedendo a Galatro…?”, ci dice che la situazione veramente merita un’ulteriore analisi, un ulteriore sforzo di approfondimento, non solo dalle parti politiche che oggi sono sulla scena a Galatro, sforzo che non si esaurisca nelle scontate espressioni di condanna del fatto e di solidarietà alle vittime, per non finire come in quel plebiscito, descritto da Tomasi di Lampedusa nel Gattopardo, che cambiò tutto per non cambiare nulla: "Dal fondo scuro della piazza salirono applausi ed evviva; dal balconcino di casa sua, Angelica, insieme alla cameriera funerea, batteva le belle mani rapaci; vennero pronunziati discorsi: aggettivi carichi di superlativi e di consonanti doppie rimbalzavano e si urtavano nel buio da una parete all'altra delle case; nel tuonare dei mortaretti si spedirono messaggi al Re (a quello nuovo) ed al Generale; qualche razzo tricolore si inerpicò dal paese al buio verso il cielo senza stelle. Alle otto di sera tutto era finito, e non rimase che l'oscurità come ogni altra sera, da sempre".
Oggi più che mai, dobbiamo amaramente costatare che il vero pericolo reale è che, finiti i clamori e spenta l’eco dei discorsi paonazzi carichi di superlativi e di consonanti doppie, tutto sia messo, come sempre, in silenzio, e nell’oscurità della sera si parli di tutto… perché non si deve cambiare niente!
Stavolta, siamo proprio sicuri che ce lo possiamo ancora permettere…?

Nella foto: Michele Scozzarra.


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(14.2.11) MA LA CALABRIA COME VA DIFFERENZIATA? (Antonio Sibio) - Avete letto bene, non c’è nessun errore. In questo articolo non si parla della raccolta differenziata in Calabria, di come incentivarla, della pigrizia di noi calabresi nel metterla in pratica. In questo articolo si cerca di capire invece in quale contenitore vada buttata la Calabria. Plastica? Carta? Forse umido?
Sicuramente nei rifiuti ingombranti… Eh sì, perché per molte persone probabilmente la Calabria altro non è che un ingombro, un peso, con tutti i suoi problemi atavici, la criminalità organizzata, i suoi ritardi e le sue incompetenze. E così un sindaco di un paese del nord (attenzione, ho detto di un paese del nord, non della Lega Nord) ha pensato bene di usare la Calabria come testimonial di un volantino per la raccolta differenziata, dove però ad essere differenziata nel contenitore è proprio la nostra regione!
Il sindaco di Spresiano, in provincia di Treviso, dopo essersi posto questo enorme problema, ha subito precisato che si è trattato di un equivoco, che non c’era l’intenzione di offendere nessuno. “Siamo per la fratellanza e l’unità d’Italia” dichiara costernato il sindaco della cittadina veneta, Riccardo Missiato. E noi calabresi vorremmo non credere a queste parole? Anzi, dovremmo tutti ringraziarlo di aver messo in luce questa problematica, soprattutto in considerazione che quest’anno ricorre il 150° anniversario dell’Unità (?) d’Italia.
La spiegazione dell’equivoco è data dal fatto che l’immagine della Calabria c’è finita per caso dentro il cestino della differenziata, nulla di voluto.“Credo che abbiano messo un’immagine a caso, tirata fuori da internet per fare prima”. Visto? Un’immagine a caso, la prima tirata fuori da internet. Infatti, chi di noi aprendo internet non si trova davanti come prima immagine quella della Calabria?
Il bello è che nessuno in comune ha intravisto in quei lineamenti i tratti geografici della Calabria. Ma forse a qualcuno di voi il nome di questo sindaco non è nuovo. Qualche anno fa propose un argine, poi divenuto fosso, in pratica una buca, per bloccare gli incontri degli omosessuali sulle rive del Piave. Anche in quella occasione il povero sindaco fu frainteso, e dovette precisare di non avercela assolutamente con i gay.
Fatto sta che questo sindaco del nord, eletto in una lista civica appoggiata anche dal PD, ha posto all’attenzione nazionale un serio problema, che presto il Governo (immagino già le proposte della Lega…) sarà tenuto ad affrontare: ma la Calabria, come và differenziata?

Nelle immagini: in alto il volantino usato dal comune di Spresiano (Treviso) per la raccolta differenziata; in basso Riccardo Missiato, sindaco di Spresiano.


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(16.2.11) GALATRO PAESE "TRANQUILLO" (Biagio Cirillo) - Galatro, paese da tutti definito tranquillo e, a sentire chi ci abita, “troppo tranquillo”, quasi da depressione; invece, a quanto sembra, qualcuno, per rompere la tranquilla armonia, cosa si inventa?... s’inventa di alterare la tranquillità e a spese degli onesti e tranquilli cittadini galatresi inizia a fare “dispetti” o, come si può anche interpretare, “intimidazioni”.
Per prima cosa se la prende con il primo cittadino appiccando fuoco alla casetta di campagna, primo gesto incivile, e così facendo, dato che a breve inizia la campagna elettorale per la candidatura del Sindaco, crea un po' di confusione a livello politico.
Ma l’incivile non si ferma qui, si permette di andare oltre e, come se non bastasse, porta un sacchetto di carne del suo “simile”, oh scusate, di maiale, e lo deposita d’avanti al portone della chiesa, per fare a suo avviso un dispetto o intimidazione al parroco che forse avrà detto qualcosa che non era di suo gradimento, o chi sa per quale altro motivo.
Pensavo che dopo aver sentito questo la cosa si sarebbe fermata qua, invece no, la scalata verso il vandalismo prosegue, va oltre, in un sacco nascosto nella nuova costruzione dei fratelli Lucia con dentro delle armi.
Adesso io mi domando, cosa ci può essere dietro tanta cattiveria? E anche se ci fosse qualcosa, non sarebbe stato meglio affrontare la cosa da uomini, invece di fare tutto questo casino che fa male a tutta la comunità galatrese e anche a noi emigranti?
Caro personaggio, che sicuramente sarai amico dei galatresi e sicuramente anche mio, non credi che sia meglio finirla qua prima che le cose si mettano male? Adesso penso ti sia divertito abbastanza; pensa, se vieni scoperto farai sicuramente una figuraccia con tutti i tuoi paesani, oltre che dovresti fare i conti con la legge.
Spero tanto per me, per il mio paese e per i miei paesani che dispiaceri di questo genere non si verifichino mai più. Inoltre bisognerebbe cambiare un po' la mentalità di noi meridionali che, pur essendo gente buona e onesta, non riusciamo, per il bene della comunità, a denunciare abusi da parte di chi non sa stare al mondo e mette a repentaglio la tranquillità e a volte la vita altrui.
Galatresi, facciamo politica onesta, creiamo un po' di lavoro, molliamo l’invidia che a volte ci acceca senza motivo, pensiamo che, se qualcuno crea qualcosa, lo fa oltre che per se stesso anche per il bene del paese, candidiamo un sindaco e aiutiamolo a migliorare il paese, creiamo benessere, lasciamo ai nostri figli più il meglio che si può lasciare, aiutiamo la giustizia a isolare le teste calde senza pensare di essere “infami”. Più cose facciamo e più il futuro di Galatro sarà migliore.
Prima di scrivere mi sono soffermato a leggere l’
articolo di Michele Scozzarra che seguo da sempre con interesse e che, oltre all’interessamento per quello che sta succedendo a Galatro in questo momento, narra la storia del topolino che, oltre ad essere simpatica, ci deve far riflettere.
Chiudo dicendo solo questo: se vogliamo bene a Galatro rispettiamolo e nello stesso tempo facciamolo rispettare…

Nella foto: Biagio Cirillo.

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(17.2.11) AGLI ELETTORI DEL PDL (Angelo Cannatà) - Cari elettori del Pdl, conosco i vostri argomenti su Berlusconi: l’uomo è cacciatore e peccatore - dite - giudicarlo è da moralisti; il politico è giusto ed efficiente: merita la nostra fiducia. Metà del paese ha, naturalmente, un’opinione diversa. Come uscirne? Se escludiamo la violenza, restano – sole armi legittime – la ragione e la logica. Provo a usarle.
Dite di essere liberali; il liberalismo teorizza la divisione dei poteri; dovreste difendere la divisione dei poteri (e il ruolo della magistratura).
Conosco l’obiezione: la magistratura è politicizzata. Ammettiamo, per ipotesi, che ciò sia vero. Cosa ne deriva, cosa dice la logica? Di buttare a mare le pagine di Montesquieu, o di portare in tribunale gli argomenti della difesa? La democrazia ha le sue regole. Non vi piacciono? Mi rendo conto. “L’uomo è un legno storto”, direbbe Scalfari con Kant, “un’incredibile mescolanza di istinti e di ragione”. E’ evidente che certe posizioni rispondono all’istinto gregario del gruppo, più che alla logica e alla ragione.
Allora non resta che l’altro argomento. La Politica.
Nel sistema di pesi e contrappesi (ancora esistente in Italia), c’è una via per uscire dall’impasse di un paese spaccato in due e paralizzato. La situazione rende auspicabile - anche per voi, cari amici - lo scioglimento delle Camere e il ricorso alle elezioni anticipate. Vinca il migliore: dopo aver ascoltato bene (senza imbrogli mediatici) gli opposti punti di vista. Che la ragione illumini, oggi, chi può prendere decisioni importanti; e domani, chi deve decidere – col proprio voto – il futuro del nostro Paese.

Da "La Repubblica" del 15.2.2011

Nella foto: Berlusconi e Ruby Rubacuori.


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(19.2.11) SULLA CALABRIA L'INFERNO DEI PREGIUDIZI (Michele Scozzarra) - Ho letto con interesse, ma non con stupore, l’articolo di Antonio Sibio, a commento della notizia che un “sindaco di un paese del nord”, come se niente fosse, ha ritenuto di usare l’immagine della Calabria come testimonial di un volantino pubblicitario per la raccolta differenziata, dove ad andare a finire nella spazzatura è proprio la fotografia della nostra Regione.
Che scrivere di fronte alla lettura di simili notizie? C’è da dire ben poco, e quel poco è da ricercare nell’influenza dei “cattivi maestri” che negli anni, animati da un esasperato livore antimeridionale, sulla base del presupposto che Sud=Mafia, hanno innescato un processo, falso e menzognero per buona parte degli abitanti il Meridione d’Italia, i cui nodi già da qualche tempo stanno venendo al pettine (e le farneticazioni della lega di Bossi sono solo punta di un gigantesco iceberg!).
Ricordo un mio intervento di tanti anni addietro, precisamente dopo le “pesanti” critiche seguite all'uscita del libro “L'Inferno” di Giorgio Bocca, dove è stata attaccata, genericamente, buona parte della stampa del Sud, definita “complice della malavita e arretrata di trenta anni rispetto a quella del Centro-Nord”.
In seguito, abbiamo avuto anche modo di leggere, che “L'Italia sia un Paese di second'ordine, lo dimostra il fatto che non ha saputo incivilire il Meridione…”.
Sicuramente, da questo punto di vista, le recenti sortite del “sindaco del paese del nord”, non ci fanno sobbalzare più di tanto, anche se riesce difficile rispondere a farneticazioni del genere, ma bisogna pure rispondere, civilmente, per dire che confondere il mancato sviluppo economico del Sud e le sue inefficienze di carattere burocratico con la “civiltà” è un giudizio storico di esile spessore...
Che cosa rispondere a chi pretende “d'incivilire” la Magna Grecia, la terra di Archimede e di Pitagora, di Empedocle e di Stesicoro, di Sciascia e di Alvaro, di Pirandello e di Telesio... E' meglio stendere un velo di pietoso silenzio su tutto questo, altrimenti bisognerebbe pur domandare dove erano i loro antenati, più di duemila anni fa, quando i nostri antenati meridionali gremivano i vecchi teatri per gustarvi le tragedie di Eschilo, di Sofocle, di Euripide...
Non può Giorgio Bocca, ed oggi i suoi nuovi adepti, dire che mafia e Meridione sono indissolubilmente legati. Lo sono, forse, dal punto di vista storico, ma con quella mafia che (bisogna ammetterlo!) aveva un codice di comportamento, quella mafia che mai avrebbe crudelmente, ed inutilmente, trucidato la moglie del generale Dalla Chiesa o fatto sciogliere nell’acido un povero bambino... mentre la mafia che agisce oggi, anche se spara per mano di siciliani o calabresi, ha un'impronta ed un marchio di fabbrica che vengono da fuori, da lontano, magari da molto lontano…
In pratica, è chiaro a tutti che la mafia ha finito di essere “cosa nostra”, dei meridionali in genere, anzi ormai è diventata anche patrimonio del Nord e della sua avidità mercantilistica e del suo culto del guadagno ad ogni costo.
Come ci rendono tristi le cose che sto scrivendo, ma non possiamo far finta di non accorgerci, amaramente, che “cosa nostra” non è più “nostra” ma, oggi più che mai, appartiene a chi ha predicato e praticato l'ossequio del potere ed il compromesso ed ha, in maniera cosciente o meno, negato il primato della coscienza sull'interesse e sul profitto.
Giorgio Bocca e i suoi “discepoli” non potranno mai ammettere queste cose, forse si irriteranno anche, pensando che tanti poveri uomini del Sud (certi della verità, umiltà e rettitudine della propria posizione umana, che non ha niente a che fare con la cultura mafiosa), guardano a loro come se fossero dei “poveracci” che non sanno quello che dicono e fanno. Al massimo, potranno forse ammettere (almeno come ipotesi), un dialogo con autorità “vip” della cultura meridionale, dove parlare dell'uomo del Sud vuol dire, spesso, azzardare immagini o linee di pensiero imprecise, indefinite, a volte del tutto sfuocate, su ciò che ha costruito, o non è riuscito a costruire, fino ad oggi.
Ciò che per questa gente, e per la loro cultura razzista, appare letteralmente inaudito è la possibilità che un “Meridionale”, magari di modesta cultura e rango sociale, possa, con la fiera mitezza dello sguardo dei poveri, non chinare il capo di fronte a loro e ai diktat imposti dalla cultura che si ritiene egemone.
Nel suo “Inferno” Bocca non è riuscito a descrivere il vero l'Inferno che l'uomo del Sud ha sperimentato, forse più di ogni altro in Italia: cioè cosa significa essere senza Patria, senza un focolare, disperso in tutti i Continenti della terra e, nella grandissima parte dei casi, non contento né complice, ma devastato dalla piaga della mafia e della 'ndrangheta.
Ma, nonostante tutto, quest'uomo rimane attaccato ai valori della vita: l'amicizia e l'ospitalità, l'accoglienza anche nelle case più povere; la saggezza profonda nelle parole e nel pensiero, anche negli uomini più umili; la pazienza impressionante con la quale ognuno sa attendere la propria storia.
Sicuramente esistono anche aspetti negativi o carenti, certamente diversi da quelli descritti dalla fredda ed estranea denuncia dei denigratori di turno: la mancanza di una professionalità che determina una grave incapacità ad organizzare nuove forme di lavoro, e l'eccesso di campanilismo e di caparbietà che non consentono le forme più elementari di aggregazione ai fini imprenditoriali e, non ultima, l'estrema compattezza del clan familiare che determina in modo rigido le dinamiche di ogni suo componente.
Affrontare il problema del Mezzogiorno in questi termini, è più serio e più incidente degli attacchi antistorici e paranoici dei vari “maestri” che hanno partorito gente come il “sindaco del paese del nord”.
Non possiamo permettere che le Regioni del Mezzogiorno vengano ridotte all'immagine della mafia e della clientela: la nostra Calabria, in particolare, terra di frontiera tra il Mediterraneo e l'Europa, è ancora un luogo dove, al di là delle farneticazioni di tanti disinformati informatori, esiste ancora una grande umanità, tanto viva ed incisiva, quanto, per molti, inattesa e sconosciuta, nonostante le devastazioni operate a tutti i livelli della vita sociale dalle organizzazioni criminali.
Ma questa è una realtà che, purtroppo, oggi non fa notizia...

Nella foto, dall'alto in basso: cartello antimeridionale al nord; emigranti; valigie e lettere di emigranti.

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(21.2.11) LA CATALESSI DELLA POLITICA GALATRESE - Alle elezioni comunali mancano ormai pochi mesi (la data più probabile è il 29 maggio, non è però escluso che si voti il 22). La politica galatrese è però ancora in piena catalessi. Dentro e fuori i potenziali schieramenti non si discute di nulla di propriamente politico, eccezion fatta per le più o meno probabili candidature. Gli stessi schieramenti non sono ancora definiti. E’ un rebus la collocazione del Centro Popolare Galatrese, ma non lo è meno quella del PD. Anche gli altri, però, risultano non pervenuti.
Uno scenario di assoluta desolazione, storicamente senza riscontri. E se vogliamo anche un segno dei tempi: ci vorrà molta energia per sopravvivere alla devastazione dell’intelligenza e della moralità operata dal berlusconismo. Nell’attuale fase storica il guaio di Galatro è la non percezione dell’emergenza, da cui deriva la convinzione che tutto possa continuare come prima. Nella più assoluta indifferenza alle opportunità (se ancora ne restano) e alle prospettive.
Nulla riesce ormai a far seriamente discutere – e la politica, si sa, dovrebbe essere fondamentalmente discussione. Neppure le voci, sempre più insistenti, di un cambiamento – che dovrebbe avvenire a giorni o sarebbe già avvenuto - della composizione e dell’assetto azionario della società che gestisce le terme.
Così non è per nulla facile prevedere chi sarà a fare la prossima mossa. Si può solo attendere.

Nella foto: la torre del municipio di Galatro.


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(23.2.11) I GALATRESI HANNO PERSO OGNI STIMOLO PER LA POLITICA (Carmelo Romeo) - Ho visto il sondaggio lanciato sul sito, il quale chiede "a cosa serviranno le imminenti elezioni comunali a Galatro". Ho espresso il mio voto che è "a non cambiare nulla"; immediatamente dopo, sono andato a controllare quante persone avevano espresso il proprio voto, e fino a quel momento erano solo 51, tale risultato dimostra che, effettivamente i galatresi hanno perso ogni stimolo per la politica.
Un tempo si parlava di politica tutti i giorni, la minoranza era sempre attiva a spronare la maggioranza, da almeno 20 anni il tutto si è appiattito. Le ultime maggioranze che si sono succedute hanno solo e soltanto assolto il dovere di redigere un librettino, un tempo chiamato "programma elettorale".
Miei cari paesani Galatresi che avete voglia di fare ancora politica, "come la chiamate Voi", che ne parlate solo qualche mese prima delle tornate elettorali, vi vorrei dare un consiglio (mi riferisco all'attuale Amministrazione): evitate di spendere dei soldi per stampare quel librettino chiamato "programma elettorale", tanto, visti i risultati, alla fine quello che scrivete lascia il tempo che trova.
Spero che tutti i lettori apprezzino i lati positivi di questo mio intervento.

Nella foto: Carmelo Romeo.

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(25.2.11) UNO SPACCATO DELLE ATTUALI CONVERSAZIONI POLITICHE (Alfredo Distilo) - Riporto alcuni stralci di un recente scambio di idee sulla politica galatrese avvenuto su una chat fra me ed altri amici concittadini. Credo che, così come il sondaggio, sia una rappresentazione verosimile dello spirito con cui i galatresi si avvicinano alle prossime elezioni comunali:

Carmela Carè - Credo che Bruno Marazzita sia l'unico sindaco che tutti ricorderemo a lungo. Gli altri sono gia finiti o finiranno nel dimenticatoio. Io parlo a livello umano, per il resto il dopo Marazzita è sotto i nostri occhi, non il vuoto ma il baratro.

Nicola Pettinato - Questi commenti sono la cartina di tornasole del fallimento di Galatro: un sindaco che ha fatto del nepotismo la sua miniera di consensi e che pubblicamente si vantò di aver fatto approvare il progetto delle terme senza porte e finestre diventa un'icona. Complimenti ai sedicenti sindaci di sinistra che lo hanno seguito, complimenti anche a tutti noi galatresi per la grande "vision" che contraddistingue le nostre scelte.

Carmela Carè - Non mi sembra il caso di infervorarsi così, ho detto e ribadisco che Marazzita a livello umano rimarrà il sindaco di tutti. Non era un commento politico il mio, anche se l'opera dei suoi successori è fin troppo evidente.

Alfredo Distilo - Caro Nicola, per 10 anni (dal '75 all '85) + 1 (1990/91), sono stato il braccio operativo del Sindaco Bruno Marazzita e ti assicuro che, al di là dei suoi difetti (e chi non ne ha?) e del suo nepotismo (e quale sindaco non ne ha avuto?), ha interpetrato il suo ruolo alla "Grande". Era di una lungimiranza unica e lo dimostra tuttora l'opera per eccellenza che ha creato dal nulla: le Terme. Anche se poi non abbiamo avuto la fortuna di vederle svilupparsi come ci si aspettava. Ma la struttura c'è, è moderna e funzionale anche se la costruzione è stata iniziata da oltre 30 anni. Certamente qualche merito ce l'hanno anche le amministrazioni che sono venute dopo di lui, ma l'invenzione è stata sua, come suo è stato il primo finanziamento di 5 miliardi di lire, quello del progetto senza porte e finestre, ma questo è stato un merito, non un demerito, perchè la mancata approvazione avrebbe comportato la revoca del finanziamento (poi aumentato a 8,5 durante l'amministrazione Galluzzo) e l'ultimo di 3 miliardi ottenuto nel breve periodo in cui è stato sindaco nel 1990 per appena un anno. Duole invece constatare l'assoluto stato di abbandono in cui l'attuale amministrazione ha lasciato le due strade che portano alle terme. Eppure hanno avuto tanti finanziamenti, uno dei quali di 160 mila euro per opere di urbanizzazione che, invece di utilizzarlo per completare almeno una delle due strade, hanno pensato bene di rifare i gabinetti pubblici (peraltro non rientranti tra le opere d'urbanizzazione), cambiare i pali dell'impianto d'illuminazione della villa comunale e aumentare a dismisura il numero di lampioni nel tratto della via A. Moro, compreso tra il ponte Fermano e la passerella di piazza mercato. Faccio notare che questi impianti erano stati realizzati da non più 15 anni, quindi, ancora nuovi e perfettamente funzionanti. Questo al Sindaco Bruno Marazzita glielo dovevo anche se, quando è venuto a mancare, i nostri rapporti si erano incrinati a causa di una incomprensione che non vale la pena riportare.

Daniele Fenoli - Un sindaco che fa approvare un edificio senza porte e finestre la dice lunga sul suo peso politico. Se poi diamo la colpa anche a lui per il fallimento di Galatro, c'e da preoccuparsi. Ricordo che mi piaceva tanto essere il suo zerbino... che goduria.

Nella foto: scorcio di piazza Matteotti a Galatro.


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(1.3.11) I CATTOLICI E IL BANANA (Domenico Distilo) - Suscita sconcerto l’appoggio che, tanto al vertice quanto alla base, la Chiesa italiana, passando sopra alle molte voci critiche o apertamente dissenzienti al suo interno, continua a fornire al Banana, evitando, pur in mezzo a reiterati distinguo e prese di distanze a cui è costretta dalle pressoché giornaliere “performance” del Nostro, di pronunciare ciò che ci si aspetterebbe: una condanna aperta, definitiva, senz’appello.
La spiegazione più ricorrente chiama in causa ragioni di mera convenienza: il regime delle esenzioni, i soldi alle scuole cattoliche, l’impegno a non assumere decisioni sgradite sui cosiddetti valori non negoziabili – fine vita, matrimoni gay, adozioni da parte di coppie non eterosessuali o di single.
Nella propensione per il Banana, nella disponibilità a “contestualizzare” – per dirla con mons. Fisichella - tutte le esternazioni di un personaggio che il mondo non ci invidia, ci deve essere invece qualcosa di più profondo, che ha a che fare con i riflessi condizionati di una lunga, lunghissima stagione nella quale il rapporto tra Chiesa e democrazia è stato all’insegna della conflittualità, della contrapposizione netta.
L’idea di fondo della chiesa preconciliare era contraria alle società aperte, alle democrazie considerate luoghi e strumenti della diffusione dell’errore, a cui sono stati costantemente preferiti regimi autoritari purché dichiaratamente cattolici, dall’Italia di Mussolini alla Spagna di Franco al Portogallo di Salazar.
Nella stessa Francia la gerarchia andava d’accordo più con l’Action Francaise che con Maritain.
L’appoggio alla DC di De Gasperi nell’Italia del secondo Dopoguerra, lungi dal segnare una svolta dottrinaria e strategica verso la democrazia, si spiega con il prevalere di esigenze tattiche, con il pericolo comunista giudicato incombente. Ne è una riprova l’atteggiamento nei confronti di Sturzo: negli anni Venti, agli albori della dittatura, scaricato a favore di Mussolini e “incoraggiato” all’esilio in Inghilterra; a distanza di trent’anni usato contro De Gasperi per promuovere l’alleanza tra Dc e destre alle elezioni amministrative di Roma.
La svolta prende corpo solo con il pontificato di Giovanni XXIII, che, anche sulla scorta della mutata situazione internazionale – sono gli anni di Kennedy e Krusciov - , dà il via libera al primo centrosinistra di Fanfani e Moro, a cui si oppongono apertamente i cardinali Siri e Ottaviani, irriducibili alfieri della conservazione.
E sono, in fondo, gli eredi di Siri e Ottaviani a mantenere, oggi, un’apertura di credito nei confronti del Banana, da cui è probabile che si aspettino non solo una legislazione sovrapponibile alla dottrina – una sorta di sharia cattolica - ma la riduzione se non l’annullamento degli spazi di partecipazione consapevole alla democrazia, operazione che passa, sostanzialmente, attraverso il ridimensionamento o la distruzione della scuola pubblica.
Come dire che la riconquista dell’ Italia da parte del cattolicesimo potrà ricominciare, partendo da zero, quando essa sarà totalmente sprofondata nel neopaganesimo consumistico del Banana, potendo trovare, a quel punto, materia molto più disponibile e plasmabile nelle giovani generazioni inebetite dai reality.
Se non è questo il progetto politico, se non sono queste le aspettative, non si vede quale sia la ragione per cui dei cattolici debbano continuare a sostenere, oltre ogni decenza, colui che passerà alla storia come il presidente del bunga-bunga.

Nell'immagine: Il Banana-Berlusconi.


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(5.3.11) UN SALUTO DA DON GIUSEPPE (Don Giuseppe Sofrà) - Carissimi Galatresi,

nell’imminenza della
mia partenza da Galatro vorrei far giungere attraverso il sito, il mio saluto a tutti i galatresi presenti a Galatro e quelli che vivono lontano. Il mio saluto a tutte quelle persone, buone, semplici e oneste che, ho avuto modo di conoscere, di stimare ed apprezzare in questi due anni e mezzo del mio servizio sacerdotale nel nostro paese. Ringrazio particolarmente coloro che curano il sito incoraggiandoli a camminare speditamente su questa strada. Ringrazio le autorità civili e militari e le varie associazioni. Di Galatro mi porterò un buon e ricco ricordo, certamente non potrò dimenticare, i bambini, i ragazzi e i giovani, con i quali abbiamo condiviso esperienze di crescita umana e cristiana veramente forti. Auguro a tutti di portare avanti sempre il buon nome di Galatro, che il Signore possa custodirvi tutti nel suo amore e nella sua pace.

Con affetto vi benedico!
Sac. Giuseppe Sofrà
Galatro, 4 marzo 2011

Visualizza il documento originale di Don Giuseppe (PDF) 15,6 KB

Nella foto: Don Giuseppe Sofrà.

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(5.3.11) CARO DON GIUSEPPE... (Michele Scozzarra) - Caro don Giuseppe,
con la tua designazione, da parte di Mons. Luciano Bux, alla titolarità della parrocchia di San Pietro di Caridà, anche per te si è conclusa una pagina significativa della tua storia nella Chiesa di Galatro. Per quasi due anni e mezzo, insieme a don Cosimo, hai esercitato splendidamente il tuo ministero sacerdotale e il cammino percorso è stato intenso e importante, soprattutto nel campo della formazione dei giovani, dove con le attività dell’oratorio “don Bosco” e le iniziative realizzate con l’estate-ragazzi, tra fruitori ed animatori, sei riuscito a coinvolgere quasi tutti i giovani galatresi.
La nostra comunità ti ha accolto con gioia nel momento in cui sei arrivato in mezzo a noi e, oggi, nel momento della tua partenza, con la preghiera ti accompagna nella comunità che ti è stata assegnata, alla quale hanno fatto parte, nei secoli passati, grandi figure di sacerdoti galatresi, tra i quali il Canonico Giovanni Conia e l’Abate Antonio Martino.
Da domani, anche tu dovrai, forse ancor più di quanto hai fatto in mezzo a noi, ascoltare, assolvere, incoraggiare, raccogliere le gioie ed i dolori della tua nuova comunità… dovrai avere ancora di più la “santa inquietudine” del sacerdote di Cristo, il quale non può restare indifferente a che tanti suoi parrocchiani vivano nel “deserto”. E, come ci dice continuamente il Santo Pontefice, anche nei nostri paesi vi sono tante forme di “deserto”: vi è il deserto della povertà, il deserto della fame e della sete, vi è il deserto dell’abbandono, della solitudine, dell’amore distrutto. E, oggi più che mai, il compito dei Pastori della Chiesa è di lavorare per cercare di condurre gli uomini fuori da questo deserto, verso luoghi di vita, verso l’amicizia con Colui che ci dona la pienezza della vita, perché non è il “potere” che redime, ma l’amore, per questo la Parrocchia non è “una realtà civile, burocratica, funzionale secondo i principi del mondo e della “politica” che lo governa”; ma è “una porzione del Popolo di Dio in un territorio definito che rientra nella realtà del grande mistero della Chiesa”.
Caro don Giuseppe, penso che in questo momento, anche a te possiamo solo dire “grazie” per il servizio che hai reso alla nostra Chiesa particolare, nella certezza che continuerai a testimoniare, nella nuova realtà che ti è stata affidata, che ciò che abbiamo di più caro nella nostra fede, ciò per cui vale la pena spendere tutte le nostre energie, è Cristo stesso, e testimoniare la nostra vicinanza al Papa, che non ha reticenze nel dire, in forma chiara per tutti: “Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero... La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde - gettata da un estremo all’altro: dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo all’individualismo radicale; dall’ateismo ad un vago misticismo religioso; dall’agnosticismo al sincretismo e così via. Ogni giorno nascono nuove sette e si realizza quanto dice San Paolo sull’inganno degli uomini, sull’astuzia che tende a trarre nell’errore. Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare “qua e là da qualsiasi vento di dottrina”, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie… Noi, invece, abbiamo un’altra misura: il Figlio di Dio, il vero uomo. É lui la misura del vero umanesimo. “Adulta” non è una fede che segue le onde della moda e l’ultima novità; adulta e matura è una fede profondamente radicata nell’amicizia con Cristo. É quest’amicizia che ci apre a tutto ciò che è buono e ci dona il criterio per discernere tra vero e falso, tra inganno e verità. Questa fede adulta dobbiamo maturare, a questa fede dobbiamo guidare il gregge di Cristo. Ed è questa fede, solo la fede, che crea unità e si realizza nella carità. San Paolo ci offre a questo proposito, in contrasto con le continue peripezie di coloro che sono come fanciulli sballottati dalle onde, una bella parola: fare la verità nella carità, come formula fondamentale dell’esistenza cristiana. In Cristo, coincidono verità e carità. Nella misura in cui ci avviciniamo a Cristo, anche nella nostra vita, verità e carità si fondono. La carità senza verità sarebbe cieca; la verità senza carità sarebbe come “un cembalo che tintinna”.
Con questi pensieri, ti esprimo il mio grazie per il servizio reso alla comunità di Galatro, e ti assicuro che la nostra preghiera non mancherà di accompagnarti e seguirti in questa nuova pagina di fede affinché tu possa, così come scrive Eliot, essere un vero missionario capace di “edificare la Chiesa”, facendo in modo che essa non sia considerata “estranea” ai veri bisogni degli uomini, perché questa è l’unica strada per la costruzione di una società più giusta.

“In luoghi abbandonati
Noi costruiremo con mattoni nuovi
Vi sono mani e macchine
E argilla per nuovi mattoni
E calce per nuova calcina.
Dove i mattoni sono caduti
Costruiremo con pietra nuova
Dove le travi sono marcite
Costruiremo con nuovo legname
Dove le parole non sono pronunciate
Costruiremo con nuovo linguaggio.
C’è un lavoro comune
Una Chiesa per tutti
E un impiego per ciascuno
Ognuno al suo lavoro.
Senza indugio, senza fretta
Costruiremo il principio e la fine della strada
Una Chiesa per tutti
E un mestiere per ciascuno.
Ognuno al suo lavoro”.


(T.S. Eliot, Cori da La Rocca)

Nella foto: Don Giuseppe Sofrà.


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(15.3.11) E VUI CARU SILVIO VI SCIALATI... (Angelo Cannatà) - In occasione dei 150 anni dell’unità d’Italia, Conia e Martino discutono. A un certo punto, i vecchi argomenti vengono attualizzati. Letti al presente.

Conia: Ho capito Antonio… sono d’accordo… ma adesso vorrei…
Martino: Dimmi.
Conia: …vorrei porti una domanda particolare… cosa diresti oggi al nuovo “Sovrano”… al Presidente del Consiglio?
Martino: Quel che dissi nel 1866 a Re Vittorio Emanuele.
Conia: Le stesse parole?
Martino: Con qualche necessario aggiornamento. Adatterei l’invettiva dialettale al 2011. Ma tu dovresti aiutarmi in questa elaborazione.
Conia: “O Cavaleri ch’a Roma stati… apriti ss'occhi, ss'aricchi annettàti”
Martino: Buona apertura.
Conia: “Lu regnu vostru…”
Martino: No, caro Giovanni, “lu Statu vostru...” Non ci sono più sudditi, ma cittadini.
Conia: “Lu Statu vostru è tuttu suprasutta e vui, patri e patruni, chi faciti?
Martino: Vui jiti a pilu, cantati e futtìti”.
Conia: Vedo che entri subito nel tema più scottante.
Martino: Perché perdere tempo?
Conia: Giusto. Ma vorrei sentirti poetare sulla corruzione: onorevoli, alti funzionari, ceto medio impiegatizio…
Martino: Oggi si parla di una “casta” che soffoca i cittadini…
Conia: Appunto.
Martino: “Ministri, senaturi e deputati / fannu camurra e sugnu ntisi uniti, / sucandu a nui lu sangu su' arricchiti”.
Conia: “E vui caru Silviu li guardati / vui jiti a pilu, futtìti e abballati”.
Martino: Ecco! Vedo che sei entrato nel tema, anche tu.
Conia: Non c’è controllo, né moralità, né buoni esempi: questo vuoi dire?
Martino: Sì.
Conia: Nelle invettive attacchi le varie forme di corruzione. Non risparmi nessuno.
Martino: Colpisco tutti i livelli della scala sociale.
Conia: Su alcune categorie insisti di più...
Martino: “Cummessi e cancelleri di preturi, / prùbbica sicurezza e abbocati / e speciarmenti li ricivituri / a tutti ndi spogghiaru e su' ngrassati”.
Conia: D’accordo. Ma i politici, gli amministratori… tutelano il bene comune… dovresti essere più cauto…
Martino: Ti sbagli: “Sindaci, segretari e salariati / e cunsigghieri tutti e assessuri, / su latri cittadini patentati: su idhi li judei, nui lu Signuri!”
Conia: I politici sono Giudei, e i cittadini il Signore in croce?
Martino: E’ così.
Conia: E il Presidente?
Martino: “E vui caru Silviu li viditi, e jiti a pilu, cantati e futtiti”.
Conia: Torniamo alle tasse: sono l’obiettivo continuo delle tue denunce.
Martino: Sono un peso enorme anche oggi.
Conia: Usi parole forti contro gli esattori – come li definisci? – “A l’esatturi, poi, lupi affamati…”
Martino: “uh, lampu mu li mina e mu li cogghi, / ca quantu furti, frodi, quantu mbrogghi!”
Conia: E il Presidente?
Martino: “E vui caru Silviu vi scialati, vui jiti a pilu, futtìti e abballati”.
Conia: Stai dicendo che il Cavaliere promette di non mettere le mani in tasca agli italiani, ma in realtà…
Martino: “L'agenti di li tassi su' na piaga / cancarenusa supa a lu vidhicu, / sempi la pinna loru scrivi 'paga', / e di li murti loru nenti dicu... / E vui caru Silviu chi faciti? / Ballastivu? E mò jiti e futtìti!”
Conia: E’ feroce la tua critica, Antonio. Hai qualche proposta? Un suggerimento?
Martino: “Fermativi nu pocu e rifrettiti, / basta cu st'abballari e stu futtìri / guardati chisti piaghi ca ciangiti, / e canusciti tutti li mpiegati”.
Conia: Bisogna ammette gli errori. I consensi cominciano a scendere… E’ questo che intendi?
Martino: “Certu, si vui guardati, aviti a diri: / mannàjia l'abballari e lu futtìri! / E vi accorgiti ca regnati in guerra, / odiatu di lu celu e di la terra”.
Conia: E’ interessante questa lettura al presente della celebre invettiva.
Martino: E’ solo un gioco letterario. Ma forse hai ragione tu, può essere utile. Libera il mio pensiero da un’interpretazione revisionista. Io sono un liberale - mio caro - guardo avanti, scrivo per un futuro migliore. Non ho nostalgie filo-borboniche.
Conia: Un liberale?
Martino: Se ancora non hai capito leggi “Antonio Martino e la crisi del Mezzogiorno post-unitario”.
Conia: Dove lo trovo?
Martino: Ma come dove lo trovi!? Su questo sito, Giovanni, lo troverai su questo sito. A volte sei proprio lento, imbranato, eppure hai scritto delle poesie stupende.
Conia: Cosa hai detto?
Martino: Che le tue poesie sono stupende.
Conia: Grazie, sei un amico. Pensa, mi era sembrato di sentire una critica.

Si salutarono, Martino corse dal buon Dio per farsi perdonare. Sembra che nel Paradiso dei poeti i peccati di orgoglio intellettuale permangano. Ma questa volta Antonio l’aveva fatta grossa: un pensiero cattivo e una bugia in piena “Coraìsima”!!! Per fortuna fu subito assolto. La bontà divina – dicono – copre col suo mantello ogni cosa. E consola.

Nelle foto: Giovanni Conia (1752-1839) e Antonio Martino (1818-1884).

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