(24.3.19) BASTA FAKE NEWS SULLE TERME! (Carmelo Panetta) - Nei giorni scorsi è apparso sul giornale Galatro Terme News un articolo in cui un abituale “Commentatore” dei fatti galatresi, pur premettendo di essere solo un autodidatta, ci accusa di prendere in giro i cittadini perché, a suo dire, la società in house a cui intendiamo affidare la gestione delle Terme non si potrebbe fare, a meno di non commettere violazioni delle norme dedicate a dette società e, soprattutto, ci avverte che, semmai andassimo ugualmente avanti, saremmo tenuti pagarne le eventuali conseguenze politiche (con le dimissioni) ed amministrative (per gli eventuali danni erariali).
Fin qui nulla di nuovo, perché questo “dotto” intervento si inserisce in una lunga sequenza di “avvisi” che abbiamo ricevuto in questi anni da “insigni giuristi” che, di volta in volta, ci hanno fatto sapere che il contratto con l’ex gestore non si poteva sciogliere, che il Comune non poteva gestire direttamente le Terme, che l’ordinanza di sgombero sarebbe stata annullata dal TAR con condanna al pagamento di un risarcimento di milioni di euro, e così via.
E se non fosse stato per l’inaccettabile invito ai consiglieri a disertare la seduta del Consiglio Comunale in cui si discuterà dell’argomento, avremmo dedicato alle elucubrazioni del “Commentatore” l’importanza che meritano: meno di zero.
Ma visto che questo “intervento a gamba tesa” appare chiaramente finalizzato ad interferire sul sereno e regolare svolgimento del Consiglio Comunale che sarà chiamato a pronunciarsi sulla proposta di costituzione della società in house, facendo presagire ai consiglieri che un eventuale voto favorevole potrebbe essere causa di notevoli fastidi (verosimilmente per effetto della tempesta di esposti - anonimi e non - che, come sempre accaduto in questi anni, si scatenerà subito dopo l’approvazione dell’atto deliberativo) riteniamo necessario sgomberare il campo dall’ennesima fake news diffusa ad arte sulla vicenda delle Terme.
Ebbene, chiunque abbia avuto la pazienza di leggere l’articolata proposta di delibera che si trova pubblicata sul sito web del Comune, non avrà fatto fatica a individuare la parte dedicata alla sussistenza dei presupposti per l’affidamento in house della gestione delle Terme alla costituenda società a totale partecipazione pubblica.
In particolare, nella delibera si dà atto della “conformità della proposta di statuto alle prescrizioni del codice civile e ai requisiti previsti dall'ordinamento comunitario e nazionale in materia di affidamento diretto dei servizi pubblici locali a rilevanza economica, come recentemente positivizzati con le Direttive Appalti 2014/24/UEe 2014/25/UE ed ulteriormente sistematizzati nel corpo normativo del D.Lgs. n. 175/2016, come di seguito sinteticamente riportati:
1) Possesso dell'intero capitale sociale da parte del Comune di Galatro, unico soggetto pubblico socio;
2) Sussistenza del cosiddetto "controllo analogo" così come delineato dalla giurisprudenza comunitaria (es. Corte C.E., sentenza 11.05.2006, causa C-340/04 - sentenza Carbotermo s.p.a.) e interna (es. Cons, Stato, sez. VI, n.168/2005; sez. V, n. 7345/2005) (Art. 1, 4 e 28 della proposta di statuto);
3) Previsione statutaria, in via certa e permanente, della incedibilità a privati, in tutto o in parte, della partecipazione totalitaria detenuta dal Comune di Galatro quale ente pubblico unico socio della società (es. Corte C.E., sentenza 11.05.2006, causa C-340/04 - sentenza Carbotermos.p.a.; Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 03.03.2008, n. I) (Art. 8 della proposta di statuto);
4) Quasi esclusività, quantitativa e qualitativa, delle attività svolte dalla società partecipata nei confronti dell'ente controllante (sentenza Teckal C-I07/98; sentenza Carbotermo s.p.a. C340/04) e realizzazione da parte della società "in house", sul piano sostanziale, della parte più importante della propria attività nei confronti ovvero per conto dell'ente controllante (sentenza Teckal C-I07/98), nel senso che ogni altra attività abbia solo un carattere marginale (Corte Giust. CE. Sez. II, 17.07.2008, causa C-371/05) ovvero venga realizzata a favore di soggetti diversi dall'ente controllante in misura quantitativamente irrisoria e qualitativamente irrilevante sulle strategie aziendali e, in ogni caso, non fuori dalla competenza territoriale del socio pubblico che detiene il controllo societario; con ciò precisando, che alla luce delle citate Direttive Appalti 2014/24/UE e 2014/251UE nonché degli artt. 4, comma 4, e 16, comma 3, del D.Lgs. n. 175/2016, detta condizione di "marginalità" è da ritenersi soddisfatta ove oltre l'80% dell'attività del soggetto affidatario in house sia effettuata nello svolgimento dei compiti ad esso affidati dal soggetto controllante o da altre persone giuridiche controllate dall'Amministrazione affidante (Art. 4 della proposta di statuto)”.
Il “Commentatore” sostiene, invece, che la società comunale non sarebbe in linea con le norme comunitarie e nazionali perché mancherebbe il requisito dell’esercizio dell’80% della propria attività in favore dell’ente pubblico controllante che, secondo la sua personale interpretazione, sarebbe previsto dall’art. 5 del D. Lgs. 50/2016 (Codice dei Contratti Pubblici).
Tuttavia il giureconsulto autodidatta, pur avendolo citato, dimostra di non aver compreso il significato dell’art. 5 del Codice Contratti, perché in caso contrario avrebbe avuto chiaro che quando la norma prevede che “oltre l’80 per cento delle attività della persona giuridica controllata” deve essere “effettuata nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dall’amministrazione aggiudicatrice controllante” intende dire che l’attività prevalentemente esercitata dalla società deve essere quella oggetto dell’affidamento da parte dall’ente controllante e non che tale attività deve essere obbligatoriamente effettuata in favore di quest’ultimo.
In altre parole, per essere in linea con l’art. 5 sarà necessario che la nuova società in house realizzi almeno l’80% del proprio fatturato attraverso l’espletamento delle attività che le verranno affidate dal Comune, che nel nostro caso si identificano con la gestione delle Terme. Di contro, risulta del tutto irrilevante che il servizio sia destinato ad utenti finali di natura privata, purché ciò avvenga nell’ambito delle attività oggetto dell’affidamento.
E chi avrà il tempo di consultare il business plan pubblicato sul sito web del comune potrà facilmente verificare che la gestione delle terme rappresenterà non l’80% ma addirittura il 100% dell’attività della costituenda società.
Ora, non sappiamo né ci interessa sapere se, in questo caso, il Commentatore abbia scritto quelle sciocchezze solo per ignoranza oppure per realizzare suoi obiettivi reconditi, visto che si è già pubblicamente proposto come intermediario per l’affidamento delle Terme ad imprenditori di sua conoscenza pur sapendo che la sua richiesta è non solo giuridicamente (perché quel tipo di concessione può essere assegnata a privati solo previa gara pubblica di evidenza europea) ma anche politicamente irricevibile (perché la nostra scelta per la gestione pubblica non è in discussione).
Di sicuro possiamo tranquillizzare i cittadini ed i consiglieri comunali che lo slittamento dei tempi originariamente previsti per il varo della società in house è stato causato esclusivamente dalla nostra volontà di approfondire con il massimo scrupolo tutti i profili amministrativi e contabili del procedimento, in maniera da giungere in Consiglio Comunale con una proposta seria, credibile e legittima sotto tutti i punti di vista. E le doti di onestà, competenza e preparazione professionale dei funzionari e dei consulenti che ci stanno aiutando nella fase di costituzione della società ne sono la migliore garanzia.
La storia recente dimostra che, sulle Terme, non abbiamo mai fatto passi avventati e che tutte le nostre scelte hanno trovato il pieno avallo della magistratura penale, civile ed amministrativa. Adesso il nostro unico obiettivo è quello di creare una entità solida e affidabile che, sotto il costante controllo dell’Amministrazione Comunale, possa garantire il rilancio della struttura termale e dell’economia galatrese.
E non consentiremo a nessuno di mettere i propri biechi interessi davanti a quelli dei nostri concittadini.
P.S. La stoica tolleranza che abbiamo sino ad oggi dimostrato nei confronti del “Commentatore” per gli insulti e le diffamazioni di cui ci fa continuamente oggetto su Facebook ha raggiunto il suo limite. Di conseguenza, sappia che, d’ora in poi, sarà chiamato anche lui a risponderne nelle opportune sedi.
L’art. 21 dice: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”. La libertà di pensiero implica il diritto di poter manifestare liberamente le proprie idee attraverso i mezzi di diffusione: da quelli tradizionali (televisione, radio, stampa, spettacoli) a quelli più moderni come internet.
Il diritto di critica consiste in una valutazione diretta ad esprimere un giudizio od a manifestare un’opinione su fatti e/o condotte di terzi. Questo in linea teorica, ma la giurisprudenza come delimita il diritto di critica? I limiti cui la critica politica è ammissibile, ha sottolineato la Corte europea dei diritti dell’uomo, sono più ampi di quelli della semplice critica, e perciò in tale ambito la critica può essere esercitata con modalità più nette e vibranti, senza rituali ed ipocriti omaggi a stili e forme espressive. “La critica si sostanzia nell’espressione di giudizi o, più genericamente, di opinioni e che in quanto tale non può pretendersi rigorosamente obiettiva, posto che la critica, per sua natura, non può che essere fondata su un’interpretazione, necessariamente soggettiva, di fatti e di comportamenti (Cass., Sez. V, 27 Giugno 2000, N. 7499)”.
Dall’Europa giunge un importante punto di riferimento per la giurisprudenza laddove si afferma che l’uomo politico “agisce come personaggio pubblico, esponendosi inevitabilmente e coscientemente ad un controllo approfondito da parte dei giornalisti e dei cittadini”; per cui “i politici devono dimostrare grande tolleranza, soprattutto quando rendono dichiarazioni pubbliche che possono suscitare critiche” in quanto “il loro diritto alla protezione della reputazione va bilanciato con l’interesse alla libera discussione delle questioni politiche” (Corte Europea dei Diritti dell’Uomo). In tema di diffamazione a mezzo stampa, sussiste l'esimente del diritto di critica, quando le espressioni utilizzate, pur se veicolate nella forma scherzosa e ironica propria della satira, consistano in un'argomentazione che esplicita le ragioni di un giudizio negativo collegato agli specifici fatti riferiti e non si risolve in un'aggressione gratuita alla sfera morale altrui (Sez. 1, Sentenza n. 5695 del 05/11/2014).
Detto questo, mi spieghi signor Sindaco, per quale recondito motivo io non potrei invitare i consiglieri a disertare il Consiglio Comunale chiamato a pronunciarsi sulla proposta di costituzione della società in house? Per quale motivo non avrei diritto a dire ciò che penso? Le vorrei ricordare che, al di là del Consiglio Comunale, né io né Lei siamo dei Giudici. La sua resta sempre e comunque un’opinione personale della quale bisogna dare conto all’ANAC e sarà questo Ente a verificare l’aderenza, in concreto, dei presupposti per l’affidamento in house. L’ANAC, con comunicato del Presidente del 03/08/2016 (pubblicato il 07/09/2016), ha precisato che l’adozione dell’atto predetto da parte dell’Autorità richiede la previa analisi dell’incidenza delle disposizioni del Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica sulla disciplina dei requisiti identificativi dell’istituto dell’in house providing.
Ribadisco che la giurisprudenza della Corte di Giustizia sul cd. requisito della «attività prevalente» ha indicato quale elemento necessario per la sussistenza della relazione in house che l’ente controllato «realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o con gli enti locali che la controllano» (sentenza Teckal,18 novembre 1999, in C-107/98, par. 50 ).2
Successivamente, il requisito in questione è stato oggetto di un ulteriore chiarimento da parte della Corte di Giustizia nella sentenza cd. Carbotermo, 11 maggio 2006, in C-340/04,3 che ha precisato che “si può ritenere che l'impresa in questione svolga la parte più importante della sua attività con l'ente locale che la detiene, ai sensi della menzionata sentenza Teckal, solo se l'attività di detta impresa è principalmente destinata all'ente in questione e ogni altra attività risulta avere solo un carattere marginale”. Per verificare se la situazione sia in questi termini il giudice competente deve prendere in considerazione tutte le circostanze del caso di specie, sia qualitative sia quantitative. Qualora non bastasse, si studi la recente sentenza, a dire il vero un tantino complessa, del Consiglio di Stato Sez. V, Sent., (ud. 27-09-2018) 16-11-2018, n. 6459.
Relativamente a quanto espresso nel suo intervento, nella parte in cui afferma che avrei obiettivi reconditi, visto che mi sarei pubblicamente proposto come intermediario per l’affidamento delle Terme ad imprenditori di mia conoscenza pur sapendo che la richiesta è giuridicamente irricevibile (perché quel tipo di concessione può essere assegnata a privati solo previa gara pubblica di evidenza europea), vorrei ricordarLe che, avendo a cuore le sorti delle Terme e dei Galatresi che si aspettano da queste una occupazione, e sapendo che le Terme di Antonimina hanno effettuato una manifestazione di interesse per la gestione delle Terme che, pare, sia andata deserta, e considerata la vostra incapacità, mi sono offerto per dare una possibilità all’Amministrazione da Lei guidata, per salvare il salvabile.
Non ho amici da sistemare, non ho interessi personali da tutelare, non sono un lobbysta. Per la cronaca, i miei amici imprenditori che, eventualmente, avrebbero manifestato un interesse in caso di gara pubblica ad evidenza europea, sono già nel settore termale e non hanno bisogno delle Terme di Galatro per aumentare i propri profitti. Lo avrebbero fatto conoscendo la mia integrità morale a garanzia di nessun condizionamento di tipo mafioso e di tipo politico. A conferma di questo ricorderà che le condizioni erano: nessuna tangente e la governance non galatrese, mentre tutti i dipendenti, previo possesso dei requisiti, sarebbero stati di Galatro. Non ritengo doverLe dedicare altro tempo, ma vorrei che Lei rispondesse ai seguenti quesiti:
- è vero che parte del soffitto della hall delle terme è crollato, che vi sono delle infiltrazioni di acqua e che nessuna manutenzione, ordinaria o straordinaria, è stata ancora avviata?
- è vero che aveva (ha) un accordo di massima con dei professionisti forestieri per avviare un progetto di ristrutturazione delle Terme?
- lei è a conoscenza che un Ente Locale che si avvale di consulenze esterne, pur avendo nel proprio organico il personale idoneo ad adempiere al tipo di consulenza richiesta, commette un danno erariale?
- lei è a conoscenza che inserire in bilancio dei crediti inesigibili costituisce un danno erariale?
Certo è che il suo intervento è il sintomo di una confusione politica-amministrativa e di un nervosismo senza pari che non promette niente di buono per le Terme e per i Galatresi.
2 A questo proposito, conformemente all'art. 1, lett. a), della direttiva 93/36, basta, in linea di principio, che il contratto sia stato stipulato, da una parte, da un ente locale e, dall'altra, da una persona giuridicamente distinta da quest'ultimo. Può avvenire diversamente solo nel caso in cui, nel contempo, l'ente locale eserciti sulla persona di cui trattasi un controllo analogo a quello da esso esercitato sui propri servizi e questa persona realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o con gli enti locali che la controllano (sentenza Teckal, 18 novembre 1999, in C-107/98, paragrafo 50).
3 In applicazione di detti principi, si può ritenere che l'impresa in questione svolga la parte più importante della sua attività con l'ente locale che la detiene, ai sensi della menzionata sentenza Teckal, solo se l'attività di detta impresa è principalmente destinata all'ente in questione e ogni altra attività risulta avere solo un carattere marginale (Carbotermo, 11 maggio 2006, in C-340/04, paragrafo 63).
Perché non si può dimenticare il manifesto del gennaio 2017, con il quale l’attuale opposizione sosteneva che il Comune non poteva gestire le Terme perché, a suo dire (ma soprattutto a dire dell’avvocato della società ex concessionaria, che ci ha costruito sopra un ricorso al TAR), “le leggi e la stessa Regione Calabria indicano strade diverse che portano dritto all’individuazione del gestore attraverso una procedura ad evidenza pubblica, obbligo peraltro sancito “dai principi discendenti dall’art. 81 del trattato UE e dalle direttive comunitarie in materia di appalti, quali quelli della loro necessaria attribuzione mediante procedure concorsuali, trasparenti, non discriminatorie, nonché tali da assicurare la parità di trattamento ai partecipanti”. E poi abbiamo visto tutti com’è andata.
Allo stesso modo, non si può scordare la lettera dell’ottobre 2017, sempre diffusa a mezzo stampa, con la quale il gruppo di minoranza si è “dissociato” dalle modalità di gestione diretta della Terme.
Ma ciò che fa più sorridere è la constatazione del fatto che i consiglieri di Galatro Viva, sempre lesti a criticare le nostre decisioni, da anni vanno ripetendo che ci sarebbero altre forme di gestione comunale delle Terme migliori di quelle da noi proposte, ma si sono sempre guardati bene dal rivelarle. Tanto da farci sorgere il dubbio che considerino queste informazioni il Quarto Segreto di Fatima.
A parte l’ironia, quanto accaduto dimostra in cosa consista la differenza tra noi e loro: l’Amministrazione Comunale ha sempre avuto le idee chiare sul futuro delle Terme, assumendosi ogni volta che è stato necessario la responsabilità delle decisioni più utili per il bene della collettività, anche se spesso non si trattava di quelle più semplici o comode. E per questo, pur avendo sempre operato nella più adamantina legalità, ha subito attacchi feroci, contumelie, denunce ed esposti, provenienti anche da soggetti che si definiscono avversari politici, avendo però l’impagabile soddisfazione di vedere le proprie scelte sistematicamente confermate ed approvate dalle varie autorità giudiziarie che si sono pronunciate.
La minoranza, invece, si è sempre nascosta, vivacchiando nelle ambiguità, dicendo a parole di essere a favore della gestione pubblica ma poi, nei fatti, schierandosi sempre dalla parte del gestore privato, attaccando l’amministrazione comunale per le sue scelte, ma non indicando mai quale avrebbe dovuto essere la soluzione diversa.
E questo stesso atteggiamento ha caratterizzato il comportamento dell’opposizione nella vicenda della società in house. Infatti, se avessero avuto realmente a cuore le sorti delle Terme e l’individuazione della migliore forma di gestione pubblica, dopo aver ricevuto in anteprima tutti gli atti relativi alla costituzione della società nel corso di un’apposita riunione tenutasi nella stanza del Sindaco oltre un mese fa, ci avrebbero fatto pervenire le loro proposte di modifica e, perché no, ci avrebbero chiarito a cosa fanno riferimento nel documento consegnato al segretario prima di abbandonare il Consiglio Comunale quando testualmente scrivono: “Affinché l’Amministrazione Comunale possa gestire direttamente le Terme c’è un solo modo, ma non è quello prospettato dalla Delibera di Giunta nr. 12 del 05/03/2019.” Ma poi, pensandoci, ci siamo resi conto che, visto che si trattava del Quarto Segreto di Fatima, era troppo pretendere che lo rivelassero nel corso di un banale Consiglio Comunale. Invece, come al solito, hanno scelto la fuga, lasciando la sala del consiglio dopo la presentazione del “documento bomba”, come qualcuno lo ha definito.
Ma se sono scappati lo hanno fatto a ragion veduta, perché sapevano che il loro grossolano bluff, escogitato per poter abbandonare il campo senza prendersi la responsabilità politica di votare a favore o contro la società, non poteva reggere ad una discussione con il gruppo di maggioranza. Sapevano bene, difatti, che quel documento contiene solo aria fritta, un’accozzaglia di argomentazioni, messe insieme alla rinfusa, che tutto provano tranne che la delibera approvata dal Consiglio in loro assenza sia illegale.
Perché la sussistenza dei requisiti previsti dalla legge per l’istituzione della società in house è analiticamente dimostrata nel corpo del provvedimento ed è attestata non solo dai responsabili dei servizi, ma anche dal lungo e articolato parere favorevole del Revisore dei Conti, che ovviamente non è stato smentito dal “documento bomba”, né si vede come avrebbe potuto esserlo.
Quindi, nessuna sorpresa. C’è chi si assume le proprie responsabilità per tentare di offrire un futuro migliore ai galatresi e chi, invece, scappa. Noi non scappiamo.
Galatro, 17 aprile 2019.
Per l’Amministrazione Comunale – Carmelo Panetta - Sindaco
Quanto alle motivazioni della scelta del tipo di società, appare chiaro che si tratta di un ripiego. L’in house è un escamotage per sfuggire ai mille inconvenienti della gestione diretta comunale. È, per dirla tutta, una gestione diretta diversamente denominata, avendone tutti i pregi, e, ahinoi, tutti i difetti. I pregi si riassumono nel far restare proprietà e gestione in capo al Comune, cioè ai cittadini di Galatro. I difetti però sono macroscopici, a partire dalla capitalizzazione della società, che dovrà avvenire con capitali comunali, con la conseguenza che eventuali perdite dovrebbero essere ripianate attingendo al bilancio comunale. Se, facendo i debiti scongiuri, capitasse il default della società in house, esso si trascinerebbe dietro, con un grado di probabilità elevatissimo, il default del bilancio comunale. A meno che non si tratti di un bilancio con un attivo tale da rendere la frazione di esso da impegnare dapprima nella capitalizzazione e successivamente nel ripianamento delle perdite della società Terme di Galatro un’entità del tutto trascurabile. Quand’anche ci fossero la “sostenibilità dell’operazione”, la “programmazione previsionale” e la “rendicontazione economico finanziaria” non è assolutamente detto che non avvenga il default, per una ragione attinente allo statuto epistemologico dell’economia, che è una scienza empirica e, come tutte le scienze empiriche, è esposta alla confutazione dei fatti, cioè al non verificarsi delle previsioni. Su questo punto la maggioranza glissa, ma è chiaro che si tratta del punto cruciale della questione, più della stessa fattibilità legislativa messa in risalto dal documento della minoranza, perché riguarda un aspetto sostanziale e non meramente giuridico-formale.
Aspetto, il giuridico-formale, relativamente al quale il documento della maggioranza evita di entrare nel merito, in particolare riguardo alla questione dell’ottanta per cento delle attività della società aggiudicataria che dovrebbe essere riservato all’ente aggiudicante. Che ne dovrebbe fruire in proprio e non per terzi quali sarebbero gli utenti delle terme. Così come non entra nel merito dei rilievi circa la conformità della società in house alla legislazione vigente più che a un del tutto opinabile ed astratto fumus boni iuris deducibile da quesiti posti alla Corte Costituzionale e alla Corte di Giustizia europea sul Codice degli appalti.
Ma se il documento della maggioranza elude rilevanti aspetti tecnico-giuridici, quello della minoranza non è da meno nello sfuggire al nodo politico della questione. Se l’in house non è fattibile, qual è la proposta della minoranza per le terme? Par di capire, ma non lo si dice espressamente, che non si veda altra strada che il “ricorso al mercato”, alla gara di evidenza pubblica per riportare le terme sotto una gestione privata. Ma è davvero una strada raccomandabile e percorribile nell’attuale contesto locale e nazionale e dopo il triste finale della vicenda Terme Service? (A proposito: è di pochi giorni fa la notizia del fallimento, certificato dal tribunale di Vibo Valentia). Se si facesse la gara di evidenza pubblica ci ritroveremmo, con altissima probabilità, ad avere un operatore locale con caratteristiche simili alla defunta Terme Service, con serie prospettive di replicarne la vicenda.
Ed è raccomandabile e percorribile la strada del coinvolgimento nella proprietà e/o nella gestione di altri enti territoriali, a partire dalla sgarrupata Città Metropolitana? Perché mai dovremmo mettere in comune una risorsa che è nostra?
Non resta, a nostro avviso, che tentare la mossa del cavallo. Se la legislazione attuale è limitante o impossibilitante, ci si provi a farla cambiare. Facendo, con altre terme e con la guida dei sindacati delle aziende termali, Federterme, Assoterme ecc., un lavoro di pressione, di lobbyng, su governo e Parlamento. Vivaddio, non saranno soltanto le Terme di Galatro a soffrire di una legislazione che è stata costruita, non soltanto nel settore termale, per penalizzare il pubblico, considerandolo sentina di tutti i mali. Mentre ci sono casi e contingenze nei quali non c’è alternativa al fallimento che l’intervento e la gestione pubblici, per l’interesse, appunto, pubblico.
Per comprendere le posizioni di questa Amministrazione vorrei ripartire dalla replica al mio intervento sulla società in house del 24 marzo 2019. Cito testualmente: […] “il Commentatore abbia scritto […] per realizzare suoi obiettivi reconditi, visto che si è già pubblicamente proposto come intermediario per l’affidamento delle Terme ad imprenditori di sua conoscenza pur sapendo che la sua richiesta è non solo giuridicamente (perché quel tipo di concessione può essere assegnata a privati solo previa gara pubblica di evidenza europea) ma anche politicamente irricevibile (perché la nostra scelta per la gestione pubblica non è in discussione)”. Tenete a mente la frase in parentesi ed evidenziata in grassetto ovvero “la gestione pubblica non è in discussione”.
Orbene, tutti ricorderete l’iter che questa Amministrazione ha seguito prima di arrivare alla decisione per la società in house. La storia comincia nel 2011 quando l’allora ed attuale Sindaco dichiara che le Terme sarebbero rientrate nella disponibilità comunale e che non avrebbe intrapreso alcuna azione giudiziaria sia per le lungaggini dei procedimenti e sia per risparmiare risorse finanziarie del Comune. Scelta, questa, a mio avviso condivisibile anche in virtù del fatto che per chiudere un processo civile occorrono circa 500 giorni in primo grado, 800 in secondo grado e 1200 in Cassazione. Dopo quattro anni e 10 mesi di silenzio, giusto giusto per le elezioni Amministrative 2016, ecco che la Giunta Comunale partorisce la bozza di Statuto della Fondazione che avrebbe dovuto gestire le Terme. Statuto dato alla luce, vorrei ricordare, senza consultare nessuna forza politica o culturale ovvero i singoli cittadini.
Ebbene secondo l’estensore della replica al mio intervento, la gestione pubblica non è in discussione. In merito a tale affermazione lo informo che nella delibera nr. 8 del 19.04.2016 con oggetto Costituzione fondazione “Terme di Galatro” e adempimenti consequenziali, a pagina 2 si rileva: “Il Sindaco espone il percorso compiuto per far ritornare le Terme alla gestione pubblica, tramite uno strumento giuridico che non è né la società per azioni né la società a responsabilità limitata ma una fondazione aperta, o meglio, una fondazione di partecipazione che consenta, dopo un certo periodo, l’apporto di altri soggetti istituzionali e di privati”. Nello statuto della Fondazione che accompagna la citata delibera, invece, per ben 7 volte si rilevano frasi in cui si prospettano collaborazioni con Enti pubblici e privati. Di grazia, signor Sindaco ci può indicare a quali Enti privati si riferiva sia Lei che l’estensore dello statuto?
E’ lapalissiano che, se fosse andata in porto la Fondazione, ci sarebbe stata l’intromissione dentro la Fondazione di Enti privati (società) non direttamente riconducibili ad Enti pubblici con la beffa che, mentre questi Enti privati (società) avrebbero avuto una fiscalità di vantaggio, i dipendenti e i fornitori sarebbero stati tassati secondo le regole ordinarie. Per fortuna dei Galatresi gli interventi della Corte di Cassazione e la Riforma del Terzo Settore ne hanno impedito la costituzione.
Sostanzialmente Galatro, dopo ben 6 anni, si ritrova con un pugno di mosche in mano e senza una pianificazione che tenda allo sviluppo economico e sociale della nostra comunità. A dire il vero ci sarebbero già i presupposti per abbandonare il campo ma la presunzione e l’arroganza di questa Amministrazione, per dimostrare la sua competenza, s’inventa la gestione in economia”. Tale gestione è stata, immediatamente, criticata dallo scrivente per mancanza dei presupposti giuridici. Per tale motivo con una nota, trasmessa alla Segretaria Comunale e responsabile della trasparenza e prevenzione della corruzione, D.ssa Elisabetta Tripodi, chiedevo alla stessa di farsi promotrice, presso il Consiglio Comunale, dell’annullamento in autotutela della delibera nr. 15 del 24/04/2017. Con propia nota nr. 2628 del 29/06/2017 la d.ssa Tripodi rispondeva che: “Con riferimento alla sua nota del 22.05.2017, di pari oggetto, si sottolinea come nessun potere di revoca in autotutela sia attribuito al Responsabile della prevenzione della corruzione rispetto ad un atto di un organo collegiale come il Consiglio comunale. Rispetto alla deliberazione in oggetto solo lo stesso organo consiliare potrebbe revocarla. Tuttavia nei confronti della stessa, qualora ritenuta illegittima, sono esperibili i rimedi giurisdizionali previsti dalla legge”.
Faccio notare che la d.ssa Tripodi, nella sua qualità di Segretario Comunale, ha dato alla delibera consiliare la forma dell’atto pubblico e che la medesima non ha messo in discussione le mie argomentazioni ma, come Pilato, se n’è lavata le mani, consigliandomi di rivolgermi al TAR, come se avessi un interesse legittimo da tutelare, pur sapendo che non avevo titolo per farlo.
Riguardo alla successiva sentenza del TAR, Sezione Staccata di Reggio Calabria, ho già argomentato in un apposito intervento (reperibile negli archivi di questa testata giornalistica) in cui ho dimostrato il macroscopico errore del Tribunale Amministrativo oltre al fatto che si è trattata di una sentenza copiata, adattata alla circostanza ed incollata dall’estensore. Mediante ciò, l’Amministrazione, guidata dal Rag. Carmelo Panetta, ha mal gestito le Terme per due stagioni e si appresta a gestirle per la terza. Questa nuova stagione in economia viene eseguita in forza di una variazione di bilancio della Giunta effettuata lo stesso giorno in cui il Consiglio Comunale si apprestava ad approvare una delibera con la quale si sarebbe decisa la costituzione di un’apposita società in house providing per la gestione delle Terme. Anche sulla società in house ho dimostrato l’illegittimità della sua costituzione (articolo reperibile negli archivi della testata).
A questo punto una domanda sorge spontanea: considerato che l’affidamento diretto alle società in house può essere effettuato, sotto la propria responsabilità, dalle amministrazioni aggiudicatrici e dagli enti aggiudicatori in presenza dei presupposti legittimanti definiti dall’art. 12 della direttiva 24/2014/UE e recepiti nei medesimi termini nell’art. 5 del d.lgs. n. 50 del 2016 e nel rispetto delle prescrizioni di cui ai commi 2 e 3 dell’art. 192, a prescindere dall’inoltro della domanda di iscrizione, perchè questa Amministrazione non provvede a gestire le Terme mediante la società in house? Anche in questo caso aspettiamo un intervento del Sindaco che giustifichi la condotta della sua Amministrazione.
A questo punto, mi corre l’obbligo di riprendere l’intervento di Domenico Distilo dal titolo “Il busillis delle terme” ove l’autore pone la domanda alla minoranza di una eventuale controproposta. Che la minoranza abbia una soluzione per la gestione comunale delle Terme ne sono certo. Comprendo e giustifico anche le motivazioni per le quali, nel corso del Consiglio Comunale del 16 aprile 2019, la minoranza non abbia rilanciato con la sua proposta. Abbiamo visto come questa Amministrazione, nelle sue scelte riguardo le Terme non ha mai, dicasi mai, coinvolto nè la minoranza nè le varie associazioni presenti sul territorio, gestendo tutta la vicenda Terme con un proprio disegno.
Chiedo, quindi: per quale motivo la minoranza consiliare avrebbe dovuto esporre il proprio progetto? Credo che la minoranza, proprio per spirito di servizio, abbia fatto benissimo a non rilanciare con la propria proposta, per evidenziare i limiti di questa Amministrazione che ha tolto dignità e speranza a decine di persone con promesse che sono state puntualmente disattese.
Mi corre, altresì, l’obbligo di ricordare ai galatresi che il Sindaco, nel corso di una assemblea pubblica dove ha annunciato la costituzione della società in house, ha avuto la sfrontatezza di affermare che con la società in house ci sarebbero stati almeno 60 posti di lavoro. Evidentemente in quella occasione il Sindaco era sotto l’effetto dell’adrenalina e non si è reso conto di quello che stava dicendo. Se, in tale occasione, avesse fatto i conti della serva avrebbe capito della baggianata che stava dicendo.
Approfitto di questa occasione per evidenziare l’ennesima presa per i fondelli ai cittadini di Galatro da parte del Sindaco. Volando basso, per prudenza, evidenzio che un lavoratore alle Terme tra Irpef (come sostituto d’imposta), netto in busta paga, contributi previdenziali ed assistenziale verrebbe a costare almeno 1.800 Euro al mese che moltiplicato per 60 sarebbero 108.000 Euro al mese che, ancora moltiplicato per 8 mesi (da aprile a novembre), ci porta alla considerevole cifra di 864.000 Euro, solo di costo del lavoro. Nella mia esperienza professionale queste cifre le ho solamente viste in aziende che fatturano almeno 5 milioni di Euro all’anno e non credo che, con tutta la buona volontà, le Terme di Galatro abbiano la possibilità di fare determinati fatturati.
Sulle Terme, insomma, il Sindaco ha promesso un uovo di struzzo ma ha deposto solamente un uovo di colibrì giamaicano. Detto ciò, chiedo al Sindaco di restituire la dignità e la speranza ai galatresi che sono andati via e ai pochi che sono rimasti, rassegnando le proprie dimissioni per manifesta incapacità.
A parte che per la Società TERME DI GALATRO SRL resta confermato quanto già espresso nel mio intervento, apparso sempre su queste pagine, in data 17/03/2019,2 ma dalla lettura del nuovo Statuto, pur se formalmente ineccepibile, sul piano attuativo rilevo due criticità, di cui una, verosimilmente, sarà evidenziata dalla Corte dei Conti e dall’ANAC, per cui non ho alcuna intenzione di sostituirmi a questi due Enti. Per quanto riguarda, invece, la seconda criticità, evidenzierò i limiti dello Statuto, cercando di poter raggiungere il maggior numero di lettori.
Comincio con il dire cos’è uno Statuto di una società. Lo statuto è quell’atto che regola la vita interna ed il funzionamento della società, nel rispetto delle norme inderogabili poste dal Codice Civile. In sostanza lo Statuto per la società è come la Costituzione per una Nazione. È, quindi, lo statuto che identifica una società, ed è nello statuto che la società TERME DI GALATRO SRL viene definita come società "in house providing".
Tra le norme che costituiscono lo statuto vi è “obbligatoriamente” a pena di nullità della società, l’oggetto sociale. Esso rappresenta l' "attività economica" che i soci intendono perseguire mediante la costituzione della società. L’oggetto sociale dovrà in ogni caso essere rappresentato da un'attività economica lecita, possibile, determinata o determinabile.
Chiarite le funzioni dello Statuto Societario e dell’Oggetto Sociale, occorre richiamare l’intervento fatto dal Sindaco, sempre su queste pagine, in data 24/03/2019, dal titolo Basta fake news sulle terme!
In tale intervento il Sindaco affermava che la gestione pubblica del complesso termale non è in discussione. Da Galatrese che ha a cuore lo sviluppo economico-sociale del proprio Comune non può non far piacere. Solo che a tale affermazione, pare, e qui il condizionale è d’obbligo, che ci sarebbero delle fitte contrattazioni per affidare alcune delle attività previste dall’oggetto sociale a terzi. Non si sa a che titolo verrebbero affidate, se con affidamento diretto, mediante affitto di ramo d’azienda ovvero con bando ad evidenza pubblica. Certo è che tutto si può dire di questa Amministrazione tranne che sia un’Amministrazione che brilli in trasparenza. Premesso che ho forti dubbi sull’omologazione della società da parte della Corte dei Conti e dell’ANAC, per i motivi già indicati con l’intervento del 17/03/2019, ma se le voci fossero confermate dai fatti, oltre a contraddire la gestione pubblica ribadita dal Sindaco, verrebbe meno il “controllo analogo” che è un altro elemento essenziale per la costituzione delle società "in house providing".
Ma cos’è il Controllo Analogo? Il T.A.R. di Milano, 22 marzo 2012, n. 892, precisa che il controllo analogo deve ritenersi sussistente solo in presenza di un potere assoluto di direzione, coordinamento e supervisione dell'attività del soggetto partecipato da parte dell'ente controllante-affidante, che consenta cioè a quest'ultimo di dettare le linee strategiche e di influire in modo effettivo ed immediato sulle decisioni dell'affidatario.
Prima di entrare nello specifico del “controllo analogo” appare opportuno inquadrare la società pubblica nella forma dell’ "in house providing".
L’espressione “in house providing” è stata utilizzata dalla giurisprudenza comunitaria per esprimere la situazione nella quale la pubblica amministrazione acquisisce beni, servizi o lavori attraverso l’autoproduzione per il tramite della propria compagine organizzativa, senza quindi il ricorso a terzi (il mercato) tramite gara.
Il legislatore comunitario nel 2014 ha tentato di riorganizzare la materia di appalti e concessioni con tre importanti direttive (concessioni 2014/23/UE, appalti 2014/24/UE e settori speciali 2014/25/UE), fornendo una bussola per svelare i concetti di affidamento in house e di controllo analogo.
Si narra che l’affidamento in house rappresenta una classica storia italiana, quasi caricaturale, a colorare un sistema di gestione clientelare dell’impresa pubblica, che usa il grimaldello dell’in house providing per evitare la gara pubblica […], assegnare appalti e concessioni a soggetti determinati, assumere dipendenti senza controlli ed altro.
L’in house disegna il fenomeno della «autoproduzione» di beni, servizi o lavori da parte della pubblica amministrazione, che evita la gara pubblica ed il mercato acquisendo un bene o un servizio all’interno della propria organizzazione […] o, comunque, affidando la produzione dei beni o dei servizi ad un soggetto societario formalmente distinto dall’ente ma controllato dall’ente in maniera così penetrante da potersi dire che si inserisca all’interno stesso dell’ente stesso, come una sua longa manus [… per il quale i servizi pubblici vengono svolti «in casa», in deroga al principio, nazionale ed europeo, della scelta del contraente attraverso procedure ad evidenza pubblica].3
Va subito ricordato come il modello dell’in house sia stato oggetto di iniziale elaborazione da parte della sentenza della Corte CE 18/11/1999, in causa C-107/98 (caso Teckal).
Con il leading case «Teckal» sono stati enucleati i due criteri cumulativi al ricorrere dei quali è consentito l’affidamento diretto dell’appalto pubblico: a) l’Amministrazione aggiudicatrice deve esercitare sul soggetto aggiudicatario un «controllo analogo» a quello esercitato sui propri servizi; b) il soggetto aggiudicatario deve realizzare la parte più importante della propria attività con l’ente o gli enti pubblici che lo controllano.
In secondo luogo, il concetto di controllo analogo,[…] viene inteso, agli effetti pratici, come un rapporto di subordinazione del soggetto aggiudicatario all’Amministrazione aggiudicatrice.
L’interpretazione prevalente ritiene che un siffatto controllo debba contenutisticamente tradursi nella dipendenza formale, nella dipendenza economica e nella dipendenza amministrativa.
Ne deriva, come prima considerazione, che, affinché vi sia controllo analogo, l’ente pubblico deve esercitare sulla società delle prerogative più stringenti rispetto a quelle previste e disciplinate dal codice civile.
Il controllo analogo deve essere tale da garantire all’Amministrazione la possibilità di influenza dominante sia sugli obiettivi strategici, che sulle decisioni importanti degli enti in house; il che potrebbe essere garantito da specifiche clausole statutarie, ad esempio prescriventi un potere di approvazione o di veto su determinate deliberazioni. […]
Con riguardo, poi, al requisito della «destinazione prevalente dell’attività», si è già detto come la sentenza «Teckal» abbia statuito che l’attività svolta dalla società in house debba essere prevalentemente a vantaggio dell’Autorità controllante. […]
Sempre con riguardo al requisito della destinazione prevalente dell’attività, è opportuno precisare come la giurisprudenza post-Teckal abbia specificato che la verifica deve essere effettuata «in concreto»; occorre guardare non solamente all’oggetto sociale, ma alle attività effettivamente svolte, e principalmente alla quota del volume d’affari realizzato con gli appalti affidati dall’azionista pubblico (in termini, indirettamente, Corte CE 12/12/2002, in causa C-270/99, Universale Bau). […]
Con la sentenza Stadt Halle (11/01/2005, in causa C-26/03) la Corte di Giustizia ha statuito che l’affidamento diretto è consentito solamente in caso di originaria e totalitaria partecipazione pubblica alla società.
Probabilmente allo scopo di arginare la diffusione del modello in house, con conseguente compromissione del valore della concorrenza, la Corte di Lussemburgo ha interpretato restrittivamente il requisito del «controllo analogo».
Da ciò deriva, come principale conseguenza, l’esclusione dell’affidamento diretto alle società miste, e la conseguente esclusione delle stesse dall’ambito dell’in house.
Il fondamento di razionalità di tale tesi riposa nell’assunto che la presenza, anche minoritaria, di un soggetto privato nella società impedisce all’Amministrazione aggiudicatrice l’esercizio di un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi, enucleando un intreccio tra interessi pubblici e privati.
Tale orientamento è stato confermato dalla sentenza della Corte CE 21/07/2005, in causa C-231/03 (caso Coname).
Con la successiva sentenza Parking Brixen (13/10/2005, in causa C-458/03) si registra un ulteriore passaggio nell’actio finium regundorum dell’in house, avendo la Corte negato la possibilità (per il Comune di Bressanone) di affidare una concessione di servizi pubblici ad una società per azioni integralmente pubblica, il cui statuto prevedeva peraltro a breve termine l’apertura del capitale sociale a soggetti privati, oltre che affidare al Consiglio di Amministrazione un’autonomia gestionale inidonea a garantire stabilmente l’influenza dell’ente pubblico.
Ciò significa che il rispetto dei requisiti che legittimano il ricorso all’in house deve perdurare durante l’intera vigenza contrattuale, ovvero che i criteri devono essere soddisfatti permanentemente.
Se ne inferisce come neppure il controllo totalitario sia più sufficiente ai fini della sussistenza del controllo analogo, allorché sia ravvisabile un’autonomia del soggetto affidatario rispetto all’affidante.
Per quanto riguarda, invece, la giurisprudenza nazionale si segnala che è stato ritenuto illegittimo l’affidamento diretto di servizi pubblici locali secondo il modello dell’in house, per violazione dei principi di fonte comunitaria, allorché lo statuto della società affidataria, seppure integralmente partecipata dall’Amministrazione locale, preveda l’astratta possibilità che una quota azionaria, seppure minoritaria, possa essere alienata a terzi, venendo in tale caso a mancare, potenzialmente, il requisito del controllo analogo a quello esercitato sui servizi interni (Cons. Stato, sez. V, 30/08/2006, n. 5072; Cons. Stato, sez. V, 08/01/2007, n. 5), come pure allorché i poteri attribuiti alla maggioranza dei soci (con la mancata previsioni di disposizioni specifiche) non siano in grado di vincolare l’attività sociale alle decisioni dell’ente pubblico (Cons. Stato, sez. V, 13/07/2006, n. 4440; Cons. Stato, sez. V, 11/05/2007, n. 2334).
Coerentemente, è stato ritenuto illegittimo l’affidamento in house del servizio pubblico di gestione dei rifiuti urbani per mancanza dei requisito del controllo analogo, in un caso in cui della società affidataria, all’atto dell’affidamento, faceva parte un soggetto privato, la cui presenza escludeva che nei confronti della suddetta società la stazione appaltante potesse esercitare un controllo analogo a quello esercitato nei confronti dei propri uffici (Cons. Stato, sez. V, 11/09/2015, n. 4253).
Sempre in tema di controllo analogo, la giurisprudenza ha ritenuto che la partecipazione pubblica totalitaria sia una condizione necessaria ma non sufficiente, occorrendo altresì che il rapporto di controllo analogo si traduca in una relazione di subordinazione gerarchica della società in house, privata dunque di qualsivoglia grado di autonomia (Cons. Stato, sez. VI, 11/02/2013, n. 762).4
In virtù di quanto evidenziato, si ritiene che qualora la Società TERME DI GALATRO SRL dovesse affidare a terzi anche una sola delle attività indicate nell’oggetto sociale, verrebbe meno il controllo analogo per la parte concessa a terzi.
Sarà quindi compito del gruppo di minoranza “Galatro Viva” vigilare che tutte le attività, indicate nell’oggetto sociale, siano effettivamente svolte dalla Società TERME DI GALATRO SRL come espressione del Comune di Galatro.
Prima di chiudere con una personale riflessione, faccio, inoltre, presente che secondo quanto disposto all’art. 19, co. 2, del Testo Unico, le società a controllo pubblico stabiliscono, con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale nel rispetto dei princìpi, anche di derivazione europea, di trasparenza, pubblicità e imparzialità e dei princìpi di cui all’art. 35, co. 3, del D.Lgs. n. 165/2001.
Evidenziato quanto sopra, permettetemi di fare una riflessione personale. Nel summenzionato intervento del Sindaco di Galatro, Rag. Carmelo Panetta, vengo “accusato” di avere interessi personali nella gestione delle Terme di Galatro. In tale intervento si legge: “Tuttavia il giureconsulto autodidatta, pur avendolo citato, dimostra di non aver compreso il significato dell’art. 5 del Codice Contratti” nonché “ora, non sappiamo né ci interessa sapere se, in questo caso, il Commentatore abbia scritto quelle sciocchezze solo per ignoranza oppure per realizzare suoi obiettivi reconditi, visto che si è già pubblicamente proposto come intermediario per l’affidamento delle Terme ad imprenditori di sua conoscenza”.
Nel cogliere l’occasione per restituire al mittente l’aggettivo di ignorante, faccio presente che alludendo ad improbabili ed inverosimili interessi personali nella gestione delle Terme, oltre ad aver offeso la mia integrità morale, evidenzia una miopia politica senza precedenti. Miopia che ha distrutto i sogni e le speranze dei galatresi nel vedere la propria cittadina sviluppata sia economicamente che socialmente.
Faccio presente, altresì, e lo dico senza paura di essere smentito, che Cortina d’Ampezzo, Livigno, Bormio, Desenzano del Garda e per finire, ma ne potrei citare altre cento di località, Sirmione non sono state costruite, come località turistiche dalle sole Amministrazioni Locali, ma, e soprattutto, dai capitali che sono arrivati da Milano, da Roma o dalla Germania. Detto ciò, Rag. Panetta, Sig. Sorbara e Avv. Simari, se veramente tenete a Galatro, dimettetevi e fatevi dimenticare.