(7.7.19) GALATRO E I SOGNI ANDATI IN FRANTUMI (Mario Lucia) - L’articolo pubblicato di recente su Galatro Terme News, a firma del prof. Domenico Distilo, offre molti spunti di riflessione sulla situazione socio economica di Galatro. Ha fotografato quarant’ anni di storia con una semplicità ed efficacia uniche, riconsegnandoci lo stato dell’arte di un paese che appare, anzi lo è, in sofferenza su tutti i fronti.
È questa la sensazione che si ha facendo un paragone con il passato, ricordando i vecchi tempi quando le aspettative dei giovani apparivano piene di speranze perchè stavano per realizzarsi alcuni grandi progetti che avrebbero consentito uno sbocco sul piano del lavoro ed uno sviluppo per la collettività.
Già le vecchie terme avevano dato un impulso importante sul piano occupazionale, molte persone prestavano la loro attività, regolarmente retribuita, assieme ai paramedici e personale medico di diverse specializzazioni, portando a casa uno stipendio decente, assicurando una stabilità demografica degna di un paese in fase di sviluppo. Moltissime erano le persone che per cure di diverse patologie affluivano alle terme da paesi limitrofi e non.
Per chi ha la mia età e ricorda quei periodi e vuole spogliarsi da qualsivoglia schema ideologico, facendo un’analisi obiettiva, può affermare, senza tema di smentite, che tutte quelle aspettative, tutti i sogni, tutti i progetti, sono miseramente andati in frantumi. Ma nessuno ne parla, come se su questo paese si sia formata una cortina fumogena imperscrutabile e tutti avessero remore ad esprimere le proprie opinioni.
Eppure è sotto gli occhi di tutti che i fallimenti di questa amministrazione superano abbondantemente i successi. Perchè cari amici, in questo paese, chi ci governa da diversi anni, ritiene, a torto o a ragione, che le scelte, gli obiettivi, i risultati, i fallimenti ed anche i successi, ove ce ne fossero, devono restare confinati ai palazzi del potere. Da quelle postazioni nulla trapela e nulla è fruibile in termini di comunicazione, se non le scarne notizie pubblicate sul sito del Comune. In realtà la comunicazione, in un sistema democratico, rappresenta un punto nodale della missione politica ed il cordone ombelicale tra potere e persone che devono essere al centro di tutte le scelte operate.
Ma andiamo al nocciolo della questione. Si sono fatte delle scelte di vitale importanza sulle terme, alcune clamorosamente fallite, altre strade si stanno percorrendo nel tentativo di giungere ad una gestione in house providing di difficilissima attuazione, se non impossibile perchè non in linea con la legislazione attuale che, invece, privilegia la strada della gara ad evidenza pubblica. Se teniamo in considerazione che in questo frangente il sistema sanitario calabrese è al collasso, perchè in dissesto ed i fondi regionali sono ridotti al minimo e comunque vanno a privilegiare i servizi essenziali, per le strutture termali la vedo veramente dura e sarà difficile sperare in un rilancio nel breve e medio termine.
Ma tutto tace e nulla è dato sapere in modo chiaro sul futuro che ci attende. In seguito avremo occasione di affrontare anche questo argomento, ora invece voglio cogliere lo spunto dall’articolo del prof. Distilo per attenzionare tutti su un problema che è stato trattato recentemente, ma che a nessuno ha stimolato la curiosità di conoscere in modo dettagliato gli aspetti tecnici e legali di una situazione che mi sembra assurda e paradossale. Mi riferisco alla struttura della scuola materna, dichiarata inagibile con perizia tecnica chiesta dal Comune. Ne ha parlato qualche tempo fa anche l’ing. Sollazzo, che, essendo strutturista ha le carte in regola per esprimere un autorevole parere tecnico, come anche altri tecnici presenti a Galatro.
Pare e sembra oltremodo inverosimile, che un manufatto di tale portata, costruito nei primi anni ottanta, con sistemi antisismici di quel periodo, che per molti anni ha ospitato generazioni di fanciulli, sia oggi dichiarato, con tanto di perizia tecnica, inagibile perchè a rischio sismico ZERO. Nella mia personale valutazione, non sono un tecnico, significa che la struttura, sollecitata anche da un sisma di grado 1 o 2 della scala Richter possa implodere. Aggiungo che anche le vibrazioni prodotte da un mezzo pesante potrebbero far collassare l’edificio. Ho la netta sensazione che qualcosa non mi torna. Se il rischio è così alto perchè l’edificio viene usato come ricovero dei mezzi comunali e vi transitano operai? Perchè non viene recintato adeguatamente per prevenire incidenti con possibili conseguenze drammatiche? Come mai non viene fatta alcuna azione legale nei confronti della ditta appaltatrice e del direttore dei lavori?
Come cittadino, poichè sulla questione sorge qualche legittimo dubbio, propongo che l’amministrazione faccia chiarezza in pubblico, facendo relazionare il tecnico che ha prodotto la perizia e fugare definitivamente i dubbi che serpeggiano tra la gente. Pertanto, esorto gli amministratori ad esprimersi, perchè nell’uno o nell’altro caso la situazione deve essere dipanata. Se l’edificio è a rischio crollo, anche a distanza di anni devono essere perseguiti i responsabili perchè hanno messo a serio rischio la vita di moltissimi bambini e insegnanti e su questo non si deve transigere.
Nel caso in cui la perizia ordinata dal Comune fosse in qualche modo deficitaria, cosa rara ma possibile, sarebbe opportuno avviare altre verifiche tecniche. Con ciò non è mia intenzione denigrare alcuno e remare contro l’Amministrazione comunale, non rappresenta un fatto politico, ma di trasparenza nei confronti della collettività e di dovere nei confronti dei piccoli che negli anni hanno occupato la struttura e di tutte le famiglie che, inconsapevoli dei rischi, hanno fatto frequentare i loro figli per interi cicli scolastici. Pertanto, rinnovo l’invito agli amministratori ad essere più chiari sulla questione allo scopo che ogni cittadino sia criticamente coinvolto.
Ancora restano pendenti molti nodi e dubbi sulle prospettive di sviluppo del nostro paese: vecchie e nuove terme, casa di riposo, ostello della gioventù, campo di calcio, strutture in montagna, diga, centrale idroelettrica, fiumi, piano strutturale, etc. etc. E manca clamorosamente una visione strategica per il futuro.
Ma la riflessione che tutti dobbiamo fare per quanto la situazione appare chiara e insostenibile, da qualsivoglia angolazione si guardi, è che i flussi migratori dei nostri giovani e di intere famiglie sono inarrestabili, al punto che, percorrendo le strade del Paese, come dice il prof. Distilo, è difficile imbattersi con persone e scambiare qualche battuta, altro che dibattito politico...
Esorto la cittadinanza ad essere proattiva per tentare di risolvere questioni che sono di vitale importanza per il futuro dei nostri giovani, altrimenti si continua a navigare a vista rischiando di sbattere sugli scogli.
Problematiche la cui risoluzione potrebbe davvero rappresentare un punto di partenza per un effettivo slancio del territorio. Mi riferisco ad es. ed in particolare alle questioni sospese relative alla diga, ai fiumi ed alla famigerata centrale idroelettrica. Problemi per i quali occorrerebbe, appunto, un maggiore interessamento anche da parte dei cittadini, che dovrebbero farsi attivi protagonisti del risveglio di Galatro e dintorni. Ciò per contribuire altresì a dare una maggiore autorevolezza ed efficacia alle iniziative assunte in merito dalla pubblica amministrazione.
È in sostanza ora che i galatresi si rendano conto della triste realtà in cui viviamo e si rimbocchino le maniche per tentare di garantire non solo al nostro piccolo borgo, ma anche ai paesi limitrofi un futuro migliore. È il momento cioè di agire più che di criticare l’operato dell’attuale o delle varie amministrazioni che si sono susseguite nel nostro paesino negli ultimi decenni.
È il tempo di sfruttare gli strumenti concessi alla popolazione dal nostro ordinamento, quali ad es. la possibilità di accedere agli atti, la facoltà di presentare istanze, petizioni, reclami, ecc. che offrono ad essa l’opportunità di avere una maggiore partecipazione alla vita ed agli affari pubblici. Tali espedienti, infatti, costituiscono, com’è noto, la base del nostro sistema democratico. È innanzitutto, com’è risaputo, la nostra Carta Costituzionale nel suo incipit a sancire che la sovranità appartiene al popolo.
Pertanto propongo ai cittadini galatresi, singoli o in qualità di membri delle associazioni presenti sul territorio, la formazione di un "Comitato pro Galatro", che abbia come scopo lo scioglimento dei sopra enunciati nodi.
La più riuscita tra le manifestazioni dell’estate galatrese è, nell’opinione generale, il Palio della gastronomia, una gara tra i vari quartieri del paese che si cimentano su un tema, ogni anno diverso, della nostra tradizione gastronomico-culinaria. La riuscita è nella stessa “natura della cosa”, che rende inevitabile, spontanea, piacevole e socializzante la partecipazione popolare nelle distinte fasi della confezione delle ricette e della preparazione-degustazione dei piatti, anzi, del piatto da sottoporre, da parte di ciascun rione in competizione, al giudizio di una qualificata giuria.
Ad uscirne rafforzata, alla fine, è l’idea, concepita da Ludwig Feuerbach nel secolo XIX, che “l’uomo è ciò che mangia” e, si può aggiungere, “ciò che mangiava”, dal momento che il presente, ciò che siamo, dipende dal passato, da ciò che siamo stati.
Alla premiazione del migliore piatto si è aggiunta, da qualche anno, quella della “location” – come si ama dire, con enfasi tipicamente provinciale, in inglese -, cioè della postazione nella quale avviene la degustazione da parte dei giurati.
Ciò detto, ci sono degli aspetti sui quali non si possono non esprimere perplessità, da tradurre in domande alle quali, si spera, qualcuno saprà fornire le giuste risposte.
In primo luogo: qual è il ruolo del Comune e quale quello della Pro Loco nell’organizzazione dell’evento, atteso che la Pro Loco non pare abbia altra ragion d’essere che l’organizzazione del Palio della gastronomia, non comparendo in nessun altro evento o iniziativa nel restante arco dell’anno?
A seguire: la Pro Loco Galatro ha una vita statutaria e sociale, con organismi dirigenti, deliberanti e operanti che vanno dall’assemblea dei soci al direttivo e al presidente, oppure è interamente sussunta nella figura del presidente, che in tal caso sarebbe di fatto un commissario, più o meno straordinario?
Quanto allo specifico del Palio della gastronomia: un solo componente tecnico, su cinque, nella giuria non è davvero troppo poco?
Come mai si attribuiscono i 4/5 dei posti a figure di rappresentanza istituzionale di dubbia o inesistente competenza tecnico-gastronomica?
E’ stata mai presa in considerazione l’opportunità di affiancare a una giuria tecnica - non di figure istituzionali, precisiamo, ma tecnica - una giuria popolare, come avviene spesso in simili manifestazioni?
Cosa vuol dire l’abbinamento di ciascun rione a una Pro Loco della provincia?
Il Palio serve a riscoprire e promuovere la tradizione gastronomica galatrese o le tradizioni dell’intera provincia?
Infine, ma non in ultimo: proprio il successo della manifestazione induce a chiedersi se esista una storia documentata, fotografica e non solo, di essa, con la descrizione dei piatti vincenti, di quelli perdenti, dell’albo d’oro dei rioni vincitori e quant’altro. Ad essersi fatto carico di tutto questo dovrebbe essere stato, negli anni, proprio l’ente organizzatore.
Un ultimo dubbio: esistono verbali delle giurie che hanno laureato nei vari anni il rione vincitore? Ed esiste un regolamento della giuria? Da essi si potrebbero evincere i criteri in base ai quali la vittoria viene attribuita a questo o a quell’altro rione. Non sarebbe, checché se ne pensi, un dettaglio irrilevante: l’essenza di una manifestazione è nella sua storia, non in altro.
Per concludere una curiosità “statistica”: è mai possibile che tra i rioni sempre partecipanti ce ne sia uno, “I Barracchi”, coincidente con la parte alta di via Angelo Lamari, che non ha mai vinto? Ci risulta che tra gli animatori della partecipazione del rione alla competizione ci siano persone, peraltro non poche, che si prodigano per la riuscita dell’evento con grande impegno, dedizione e competenza. Strano che le loro soluzioni non abbiano mai incontrato il totale gradimento dei giurati, essendo arrivati più volte secondi ma mai primi. Sarà, però, certamente un caso: lungi da noi l’idea di attribuirle la complessità di una questione “metafisica”.
La Marinella che ha vinto il primo premio per la location ispirandosi ad un romanzo di Alfredo Distilo
Ritornato dalle vacanze mi è stata recapitata una lettera che, nell’elencare tutte le cose non fatte o male fatte di questa amministrazione, si faceva notare per la sua passione per il bene del nostro paese. Nel ringraziare questa signora per avermi scelto come suo interlocutore voglio subito dirle di essere completamente d’accordo su quanto lei scrive in quella lettera. C’è da mettersi le mani tra i capelli, voglio dire però a questa signora che un grande personaggio del passato diceva che non basta denunciare, così come del resto fino ad oggi stiamo facendo tutti, ma bisogna anche avere un programma di cambiamento.
Sono d’accordo con quanto scriveva qualche settimana fa l’avv. Maria Francesca Cordiani. E’ necessario creare un’organizzazione che non solo metta in evidenza i problemi del paese ma studi anche il modo e la possibilità di risolverli. A mio giudizio un’organizzazione formata da uomini e donne, senza distinzione di colore politico, che abbiano una visione giovane del futuro, con alle spalle un gruppo di persone che abbiano esperienza certa nei vari campi della vita e che siano loro da supporto, potrebbe essere un buon motivo di partenza.
Sono certo che persone che si siano già mosse in questa ottica ci sono e non staranno certo a guardare. Se pensate che ciò possa succedere e pensate che io possa esservi utile in qualche modo contattatemi, io ci sarò. Ci organizzeremo.
Che significa la proposta della nostra testata sulla toponomastica? Leggo che “Una comunità di individui è tale se ha il senso della propria identità, che non nasce dal presente”. Giusto. Si nega valore però anche al passato remoto “che la distanza, quando non pietrifica, rende evanescente.” Insomma, gli eroi del Risorgimento chi se li ricorda più? Eliminiamoli dalla toponomastica. Se la proposta è questa, non condivido. Non toccate Via Garibaldi. Il passato, anche quello remoto, ha senso. Eccome!
Voglio dire che trovo troppo radicale l’idea di “una nuova intitolazione delle vie”, se si pensa a tutte le vie del paese. In alcuni nomi è sedimentata una storia di sangue e lotte per la libertà, ed giusto ricordarli anche oggi.
Altra cosa è proporre, come credo vada intesa l’idea del nostro giornale, di cambiare l’intitolazione di alcune vie (o indicare un criterio per le nuove). In questo caso l’idea è valida - e condivido in pieno - perché in effetti certi nomi, anche alla luce della nuova storiografia, forse non meritano d’essere ricordati: cito dall’ottimo storico Piero Melograni: “Il generale Cadorna impose ai comandanti di reprimere fulmineamente l’indisciplina delle truppe, senza vincoli procedurali.” In breve: Cadorna sterminò, decimò (“la triste storia delle decimazioni è lunga”) moltissimi soldati italiani “in modo mostruoso”. La moderna storiografia ha rivisto negativamente il giudizio su Cadorna, è il caso di lasciare ancora, a Galatro, una strada col suo nome?
Ecco: è solo un esempio di come, volendo occuparsi di toponomastica, occorra procedere: distinguendo. Senza fare di tutta l’erba un fascio. Il passato, anche quello remoto, non è tutto da buttare. Quando invece non ci sono ragioni perché la vecchia intitolazione delle vie permanga (e i casi sono molti), si modifichi.
Si modifichi con serenità d’animo come fanno altrove, valorizzando le personalità del luogo: a me, e a molti galatresi, i nuovi nomi delle vie - Rocco Callà, sindaco e uomo di cultura; Nicola Mancuso, sindacalista e alfiere delle lotte dei lavoratori; Don Agostino Giovinazzo, sacerdote; Piero Ocello, poeta ed educatore; eccetera - piacciono molto.
Certo, è piccola cosa modificare solo la toponomastica: per la rinascita del nostro borgo ci vuole altro: elaborare un’idea di Paese per il futuro; aiutare economicamente chi non ce la fa; creare - sfruttando incentivi europei - lavoro e occupazione; ripensare le Terme senza scannarsi politicamente; valorizzare la tradizione, l’arte, le Chiese; inserire Galatro nei flussi turistici; insomma, urge una classe dirigente propulsiva, dinamica, che stimoli e crei e suggerisca progetti (artigianato, agricoltura, green economy), eventi, azioni; non ultima l’iniziativa minima di aprire un’edicola (almeno quella!): che cos’è un paese dove non arrivano nemmeno i giornali? Enzo Biagi scriveva: “Considero il giornale un servizio pubblico, come i trasporti pubblici e l’acquedotto. Non manderò nelle vostre case acqua inquinata.” Suvvia, amici lettori, ma ci rendiamo conto del degrado? La stampa non può mancare in un paese civile. E’ ora di rinascere. Si metta mano alla toponomastica, d’accordo; ma si avviino anche programmi socialmente significativi. Altrimenti è puro nominalismo.
Non c’è dubbio che le cose siano andate così: la descrizione è fenomenologicamente corretta, ma poco analitica, tralasciando di spiegare perché, a un certo punto, uomini e formazioni politiche di sinistra abbiano immaginato di dover abbandonare lo schema lavoro VS capitale. A meno di non volerla attribuire ad una sopravvenuta ed inspiegabile metamorfosi del rivoluzionario di professione in radical-chic, la ragione è da ricercare nel fatto che si trattava di uno schema troppo… schematico, che non reggeva di fronte a società occidentali, compresa quella italiana, che invece di polarizzarsi secondo la profezia di Marx enunciata nel terzo libro de Il Capitale, profezia incentrata, com’è noto, sulla “legge” della caduta tendenziale del saggio del profitto, sono andate sempre più articolandosi, differenziandosi, stratificandosi, in una parola, sempre più complessificandosi, fino al punto che è apparso inevitabile governarle dal centro, secondo un paradigma interclassista che sostituiva la ricerca e l’ampliamento del benessere generale alla lotta di classe.
Lo schema lavoro VS capitale, del resto, era obsoleto già alla fine dell’Ottocento, allorché la chiesa della Rerum Novarum e il riformismo secondinternazionalista avevano soppiantato la rivoluzione proletaria annunciata dal Manifesto del Partito Comunista del 1848. Lo è diventato vieppiù nel Novecento, per cui non vedo come lo si possa risuscitare nel ventunesimo secolo inoltrato. Se lo si facesse la cosa avrebbe, forse, una qualche valenza tattica, non certo una strategica.
Se guardiamo alla parte migliore della storia del Novecento, quella dipanatasi dalla fine della seconda guerra mondiale all’inizio degli anni Ottanta, non possiamo non vedere come l’espansione della democrazia e del benessere sia andata di pari passo con l’espansione del ceto medio; così come non possiamo non vedere come il restringimento del ceto medio a seguito dei noti fatti seguiti alla globalizzazione ponga un serio problema di tenuta delle nostre istituzioni democratiche, minacciate da sovranismi e nazionalismi nonché da un nuovo ordine internazionale che va imperniandosi su potenze reazionarie, la Russia di Putin in primis.
Più che a riflettere negli schieramenti e nelle forze in campo una polarizzazione in fase avanzata nella società, con i poveri sempre più poveri e i ricchi sempre più ricchi – giuste le analisi dell’economista francese Thomas Piquetty, - penserei a ricostruire il centro, rinfoltendo i ranghi della classe media e dandole adeguata espressione politica. È il solo modo per tagliare l’erba sotto i piedi ai nuovi fascismi. Ricordando che quelli storici approfittarono, per andare al potere, proprio dell’interruzione della crescita del ceto medio seguita alla guerra mondiale.
Nella foto: quadro di Pierre-Auguste Renoir dal titolo "Bal au moulin de la galette" che ritrae un momento di vita della piccola borghesia francese dell'Ottocento.
Affermi che “lo schema lavoro VS capitale era obsoleto già alla fine dell’Ottocento” in tempi di lotta di classe contro i padroni, e non vedi “come lo si possa risuscitare nel ventunesimo secolo.” Giusto. Ma critichi una cosa che non ho detto. Cito dal Fatto Quotidiano: “Significa che qui (come ancora nel Novecento) si pensi all’abolizione del capitalismo? No. Si sottolinea che i costi umani del sistema industriale, denunciati dall’autore del Capitale, permangono e sono tragicamente messi in evidenza dal ricatto di Mittal”.
Insomma, caro Domenico, l’articolo ha un senso tutto politico: Salvini-Meloni-Berlusconi si ricompattano, cosa deve fare la sinistra? In Italia c’è un vento di destra e quasi certamente la Lega dilagherà nelle elezioni politiche, l’unico modo di fare argine (almeno in parte) è l’unità della sinistra. Unità vera, però; non un “cartello elettorale” (Fronte popolare), ma un partito nuovo di tutta l’area progressista che abbia nella difesa del lavoro il proprio fondamento, secondo schemi sperimentati dai laburisti inglesi e dai democratici americani.
Negli Stati Uniti due soli partiti (democratico e conservatore) si contendono il potere; perché l’Italia non dovrebbe andare in questa direzione con un partito progressista (uno, non mille) che difenda valori, principi, e un’idea di Paese da contrapporre alla destra? Credo che nei tempi lunghi della Storia questa sia la direzione. Ho proposto di accelerare i tempi: di formarlo oggi un partito laburista italiano (superando la resistenza degli apparati). Sono certo che un grande partito progressista, tutelando davvero operai e ceto medio, li allontani dal pifferaio Salvini che sorride, fa i selfies e promette il paradiso, mentre nascosto è pronto - Dio non voglia - il manganello.