MAPPA METEO RECAPITI UTILI MERCATINO FOTO CODICE FISCALE PAGINE RADIO GALATRO IERI E OGGI FIRME
Archivi Generali  
< gen-giu 19 Commenti 2019
Luglio-Dicembre
gen-giu 20 >

1.7.19 - Quarant'anni fa a Galatro...
Domenico Distilo

7.7.19 - Galatro e i sogni andati in frantumi
Mario Lucia

10.7.19 - Galatro si sta svuotando: galatresi svegliatevi!
Nicola Sollazzo

12.7.19 - Formiamo un Comitato civico per salvare Galatro
Maria Francesca Cordiani

13.7.19 - Carola, le Ong e le domande filosofiche
Angelo Cannatà

22.7.19 - L'affaire Lega-Russia e le ambiguità di Salvini (dialogo immaginario)
Angelo Cannatà

8.8.19 - Il leghista tipo...
Domenico Distilo

14.8.19 - Palio della Gastronomia: manifestazione riuscita ma sorgono interrogativi

31.8.19 - Un paese abbandonato a se stesso dove le attività chiudono
Nicola Sollazzo

9.9.19 - Passato, presente e toponomastica

21.9.19 - Galatro, toponomastica e personalità del passato
Angelo Cannatà

1.10.19 - Caro Fioramonti che idea ha della scuola?
Angelo Cannatà

9.11.19 - Serve un partito del lavoro (contro le contraddizioni del capitale)
Angelo Cannatà

17.11.19 - Democrazia e ceto medio: riflessione sulla proposta di Angelo Cannatà
Domenico Distilo

21.11.19 - Attenti al manganello! Dialogando con Domenico Distilo
Angelo Cannatà

16.12.19 - La posta in gioco
Domenico Distilo

30.12.19 - Dialogo immaginario: Beccaria e il garantista a oltranza
Angelo Cannatà





(1.7.19) QUARANT'ANNI FA A GALATRO... (Domenico Distilo) -
  • ...la sera piazza Matteotti pullulava di gente che passeggiava, al punto che non si sarebbero potuti aggiungere altri gruppi di passeggiatori;

  • c’era l’amministrazione comunale che aveva da poco acquisito le vecchie terme e si preparava a riaprirle al pubblico;

  • c’erano i partiti (DC, PCI, PSI, MSI) che discutevano tra loro e al loro interno dei problemi del paese (e non solo);

  • c’erano ancora due parrocchie;

  • c’erano le scuole piene di bambini (anche a Tre Valloni), nonostante il trend delle nascite si fosse già invertito rispetto al baby boom;

  • c’era la Camera del lavoro CGIL;

  • c’era il Circolo Enal Cineforum in via Garibaldi;

  • c’era Radio Enal Galatro;

  • c’era la Società Sportiva Galatro che partecipava ai campionati ufficiali della Lega Nazionale Dilettanti;

  • c’era una sala cinematografica presso il vecchio oratorio parrocchiale dove si proiettavano film di (quasi) prima visione quali “Il tempo delle mele”;

  • c’era un organico comunale oltremodo nutrito e con posti tutti full-time;

  • c’erano più di dieci “putighi” di generi “alimentari e diversi”;

  • era impossibile, percorrendo il paese nelle ore diurne dal punto più alto di via Angelo Lamari alla Villa comunale o viceversa, non imbattersi in almeno venti persone;

  • c’erano diversi ciabattini e una risuolatura di scarpe non comportava una “passeggiata” a Polistena;

  • il Consiglio Comunale era costituito da 20 consiglieri;

  • la Giunta dal sindaco e da quattro assessori più due supplenti;

  • c’erano più di 100 bidelli (oggi collaboratori scolastici) in servizio nelle scuole della provincia ma residenti a Galatro;

  • a Tre Valloni c’era una scuola agraria gestita da un ente regionale;

  • c’erano più giovani che anziani;

  • si pubblicavano diversi giornali (necessariamente cartacei) da parte di vari gruppi ed associazioni: il Gruppo, La Talpa, Il nuovo galatrese, ecc.;

  • la biblioteca comunale era ubicata in piazza Matteotti;

  • a congiungere via Bosco Longa con via Lungo Metramo c’era il “ponte corto”;

  • stavano per cominciare i lavori per la costruzione della diga sul Metramo;

  • si tenevano comizi in piazza Matteotti per le elezioni politiche ed europee fissate nella tarda primavera, a poche settimane di distanza le une dalle altre;

  • era già il decimo anniversario dello storico concerto di Little Tony (un evento epocale) in via Stabilimento balneare (l’attuale viale Aldo Moro) per la festa della Madonna della Montagna;

  • c’era il PCI in opposizione alla maggioranza DC in consiglio comunale;

  • da poco si potevano vedere, in un televisore a colori, alcuni programmi a colori;

  • altrettanto da poco erano arrivate tre suore dell’ordine di don Guanella per alloggiare le quali era stato costruito un appartamento contiguo ai locali che avrebbero ospitato la scuola materna (tanto comunale quanto statale), da qualche anno dichiarati inagibili per rischio sismico;

  • i giovani, finite le superiori, non si iscrivevano nelle università del nord ma, nella stragrande maggioranza, optavano per Messina e Cosenza, i due atenei a minore distanza dal luogo di residenza.

  • Nella foto: campanile e tetto della Chiesa matrice di San Nicola in Galatro.


    Torna ai titoli


    (7.7.19) GALATRO E I SOGNI ANDATI IN FRANTUMI (Mario Lucia) - L’articolo pubblicato di recente su Galatro Terme News, a firma del prof. Domenico Distilo, offre molti spunti di riflessione sulla situazione socio economica di Galatro. Ha fotografato quarant’ anni di storia con una semplicità ed efficacia uniche, riconsegnandoci lo stato dell’arte di un paese che appare, anzi lo è, in sofferenza su tutti i fronti.

    È questa la sensazione che si ha facendo un paragone con il passato, ricordando i vecchi tempi quando le aspettative dei giovani apparivano piene di speranze perchè stavano per realizzarsi alcuni grandi progetti che avrebbero consentito uno sbocco sul piano del lavoro ed uno sviluppo per la collettività.

    Già le vecchie terme avevano dato un impulso importante sul piano occupazionale, molte persone prestavano la loro attività, regolarmente retribuita, assieme ai paramedici e personale medico di diverse specializzazioni, portando a casa uno stipendio decente, assicurando una stabilità demografica degna di un paese in fase di sviluppo. Moltissime erano le persone che per cure di diverse patologie affluivano alle terme da paesi limitrofi e non.

    Per chi ha la mia età e ricorda quei periodi e vuole spogliarsi da qualsivoglia schema ideologico, facendo un’analisi obiettiva, può affermare, senza tema di smentite, che tutte quelle aspettative, tutti i sogni, tutti i progetti, sono miseramente andati in frantumi. Ma nessuno ne parla, come se su questo paese si sia formata una cortina fumogena imperscrutabile e tutti avessero remore ad esprimere le proprie opinioni.

    Eppure è sotto gli occhi di tutti che i fallimenti di questa amministrazione superano abbondantemente i successi. Perchè cari amici, in questo paese, chi ci governa da diversi anni, ritiene, a torto o a ragione, che le scelte, gli obiettivi, i risultati, i fallimenti ed anche i successi, ove ce ne fossero, devono restare confinati ai palazzi del potere. Da quelle postazioni nulla trapela e nulla è fruibile in termini di comunicazione, se non le scarne notizie pubblicate sul sito del Comune. In realtà la comunicazione, in un sistema democratico, rappresenta un punto nodale della missione politica ed il cordone ombelicale tra potere e persone che devono essere al centro di tutte le scelte operate.

    Ma andiamo al nocciolo della questione. Si sono fatte delle scelte di vitale importanza sulle terme, alcune clamorosamente fallite, altre strade si stanno percorrendo nel tentativo di giungere ad una gestione in house providing di difficilissima attuazione, se non impossibile perchè non in linea con la legislazione attuale che, invece, privilegia la strada della gara ad evidenza pubblica. Se teniamo in considerazione che in questo frangente il sistema sanitario calabrese è al collasso, perchè in dissesto ed i fondi regionali sono ridotti al minimo e comunque vanno a privilegiare i servizi essenziali, per le strutture termali la vedo veramente dura e sarà difficile sperare in un rilancio nel breve e medio termine.

    Ma tutto tace e nulla è dato sapere in modo chiaro sul futuro che ci attende. In seguito avremo occasione di affrontare anche questo argomento, ora invece voglio cogliere lo spunto dall’articolo del prof. Distilo per attenzionare tutti su un problema che è stato trattato recentemente, ma che a nessuno ha stimolato la curiosità di conoscere in modo dettagliato gli aspetti tecnici e legali di una situazione che mi sembra assurda e paradossale. Mi riferisco alla struttura della scuola materna, dichiarata inagibile con perizia tecnica chiesta dal Comune. Ne ha parlato qualche tempo fa anche l’ing. Sollazzo, che, essendo strutturista ha le carte in regola per esprimere un autorevole parere tecnico, come anche altri tecnici presenti a Galatro.

    Pare e sembra oltremodo inverosimile, che un manufatto di tale portata, costruito nei primi anni ottanta, con sistemi antisismici di quel periodo, che per molti anni ha ospitato generazioni di fanciulli, sia oggi dichiarato, con tanto di perizia tecnica, inagibile perchè a rischio sismico ZERO. Nella mia personale valutazione, non sono un tecnico, significa che la struttura, sollecitata anche da un sisma di grado 1 o 2 della scala Richter possa implodere. Aggiungo che anche le vibrazioni prodotte da un mezzo pesante potrebbero far collassare l’edificio. Ho la netta sensazione che qualcosa non mi torna. Se il rischio è così alto perchè l’edificio viene usato come ricovero dei mezzi comunali e vi transitano operai? Perchè non viene recintato adeguatamente per prevenire incidenti con possibili conseguenze drammatiche? Come mai non viene fatta alcuna azione legale nei confronti della ditta appaltatrice e del direttore dei lavori?

    Come cittadino, poichè sulla questione sorge qualche legittimo dubbio, propongo che l’amministrazione faccia chiarezza in pubblico, facendo relazionare il tecnico che ha prodotto la perizia e fugare definitivamente i dubbi che serpeggiano tra la gente. Pertanto, esorto gli amministratori ad esprimersi, perchè nell’uno o nell’altro caso la situazione deve essere dipanata. Se l’edificio è a rischio crollo, anche a distanza di anni devono essere perseguiti i responsabili perchè hanno messo a serio rischio la vita di moltissimi bambini e insegnanti e su questo non si deve transigere.

    Nel caso in cui la perizia ordinata dal Comune fosse in qualche modo deficitaria, cosa rara ma possibile, sarebbe opportuno avviare altre verifiche tecniche. Con ciò non è mia intenzione denigrare alcuno e remare contro l’Amministrazione comunale, non rappresenta un fatto politico, ma di trasparenza nei confronti della collettività e di dovere nei confronti dei piccoli che negli anni hanno occupato la struttura e di tutte le famiglie che, inconsapevoli dei rischi, hanno fatto frequentare i loro figli per interi cicli scolastici. Pertanto, rinnovo l’invito agli amministratori ad essere più chiari sulla questione allo scopo che ogni cittadino sia criticamente coinvolto.

    Ancora restano pendenti molti nodi e dubbi sulle prospettive di sviluppo del nostro paese: vecchie e nuove terme, casa di riposo, ostello della gioventù, campo di calcio, strutture in montagna, diga, centrale idroelettrica, fiumi, piano strutturale, etc. etc. E manca clamorosamente una visione strategica per il futuro.

    Ma la riflessione che tutti dobbiamo fare per quanto la situazione appare chiara e insostenibile, da qualsivoglia angolazione si guardi, è che i flussi migratori dei nostri giovani e di intere famiglie sono inarrestabili, al punto che, percorrendo le strade del Paese, come dice il prof. Distilo, è difficile imbattersi con persone e scambiare qualche battuta, altro che dibattito politico...

    Esorto la cittadinanza ad essere proattiva per tentare di risolvere questioni che sono di vitale importanza per il futuro dei nostri giovani, altrimenti si continua a navigare a vista rischiando di sbattere sugli scogli.

    * * *

    Articoli attinenti
    19.09.2016 - Imminenti novità per la scuola di Galatro
    22.09.2016 - Il Sindaco chiarisce riguardo gli avvicendamenti nei plessi scolastici
    26.09.2016 - Il Sindaco risponda ai galatresi sulla Scuola dell'infanzia
    09.10.2016 - Il Sindaco non risponde sulla Scuola dell'infanzia. E' affaccendato nella fantomatica fondazione terme?
    29.10.2016 - Scuola dell'infanzia, fondazione terme e raccolta differenziata
    01.07.2019 - Quarant'anni fa a Galatro...

    Nella foto in alto: scorcio di Galatro con rudere.

    Torna ai titoli


    (10.7.19) GALATRO SI STA SVUOTANDO: GALATRESI SVEGLIATEVI! (Nicola Sollazzo) - Il mantra che gira insistentemente nel paese è uno ed univoco: Galatro si sta svuotando, Galatro è ormai un paese al collasso.

    Negli ultimi anni oltre il cinquanta per cento dei residenti ha abbandonato definitivamente il paese ed ancora oggi settimanalmente intere famiglie partono verso il nord od all’estero in cerca di lavoro con la certezza di non tornare mai più.

    Si dirà, sì, però questa è una situazione che tocca molti paesi della Calabria e del Meridione in generale ma la risposta è che però non tutti hanno le stesse possibilità di sviluppo socio-economico che Galatro ha.

    Diga, Terme, Turismo e via elencando sono l’invidia di tanti paesi verso il nostro ed a buona ragione se ci fossero amministratori in grado e con la volontà di saperli e volerli apprezzare ed aiutare per andare avanti.

    Gli amministratori del nostro paese si attaccano alla volontà del popolo che li ha eletti ma loro non danno giustizia al popolo che vuole essere considerato, vuole esprimere le proprie opinioni sui problemi del paese che riguardano l’essere stesso dell’uomo e della sua famiglia.

    Il popolo galatrese vuole essere e vuole contare.

    Ma a Galatro regna il populismo che è l’esatto contrario del dare voce al popolo.

    Il populismo vuole significare approfittare della ingenuità della gente e qualche volta della sua ignoranza delle cose, per dare a chi ha delle responsabilità maggiore forza e potere.

    Si ingannano i cittadini promettendo e non mantenendo mai le promesse fatte, sfruttando il sì della gente per andare avanti nei loro obbiettivi.

    Cacciarono in malo modo il gestore delle Terme perché avevano in mente di costituire una fantomatica fondazione che, facevano sapere, avrebbe potuto dare lavoro a tantissimi cittadini.

    Ma quante persone a Galatro erano al corrente in che cosa consistesse questa fondazione, quale era il potere che consentiva al sindaco ed a pochi altri suoi amici di fiducia di disporre la propria volontà senza condizioni?

    Era già stato fatto lo statuto da parte di un avvocato spendendo anche dei soldi (nostri) ma senza sapere che la legge non consentiva questo tipo di organizzazione e quindi dimenticando quel vecchio detto che dice: non dire gatto se non ce l’hai nel sacco.

    Ed ora abbiamo una struttura termale tremebonda dal punto di vista occupazionale e, da quanto si sente dire, anche dal punto di vista legale.

    E’ necessario un sussulto di tutti i cittadini rimasti a Galatro che vogliono il bene del paese, è necessaria una unità di tutte le persone di buona volontà perché ci sia un nuovo punto di riferimento della collettività che dia finalmente una possibilità di alternativa ad una amministrazione incapace e dia altresì un forte impulso al cambiamento.

    * * *

    Articoli attinenti
    07.07.2019 -
    Galatro e i sogni andati in frantumi
    01.07.2019 - Quarant'anni fa a Galatro

    Nella foto in alto: scorcio di Galatro con rione Pecorello e chiesa di San Nicola.

    Torna ai titoli


    (12.7.19) FORMIAMO UN COMITATO CIVICO PER SALVARE GALATRO (Maria Francesca Cordiani) - Prendo spunto dagli articoli pubblicati recentemente su questo giornale a firma del prof. Domenico Distilo, del dott. Mario Lucia e dell’ing. Nicola Sollazzo, che documentano la situazione ahimè davvero allarmante in cui versa il nostro piccolo borgo, per rimarcare nuovamente la necessità della costituzione di un comitato civico, che anche in sinergia con le istituzioni locali, si faccia promotore di concrete iniziative atte a promuovere e sollecitare la soluzione di questioni che si trascinano da decenni, tutt’ora rimaste irrisolte, che attanagliano da anni la nostra comunità e quelle viciniori.

    Problematiche la cui risoluzione potrebbe davvero rappresentare un punto di partenza per un effettivo slancio del territorio. Mi riferisco ad es. ed in particolare alle questioni sospese relative alla diga, ai fiumi ed alla famigerata centrale idroelettrica. Problemi per i quali occorrerebbe, appunto, un maggiore interessamento anche da parte dei cittadini, che dovrebbero farsi attivi protagonisti del risveglio di Galatro e dintorni. Ciò per contribuire altresì a dare una maggiore autorevolezza ed efficacia alle iniziative assunte in merito dalla pubblica amministrazione.

    È in sostanza ora che i galatresi si rendano conto della triste realtà in cui viviamo e si rimbocchino le maniche per tentare di garantire non solo al nostro piccolo borgo, ma anche ai paesi limitrofi un futuro migliore. È il momento cioè di agire più che di criticare l’operato dell’attuale o delle varie amministrazioni che si sono susseguite nel nostro paesino negli ultimi decenni.

    È il tempo di sfruttare gli strumenti concessi alla popolazione dal nostro ordinamento, quali ad es. la possibilità di accedere agli atti, la facoltà di presentare istanze, petizioni, reclami, ecc. che offrono ad essa l’opportunità di avere una maggiore partecipazione alla vita ed agli affari pubblici. Tali espedienti, infatti, costituiscono, com’è noto, la base del nostro sistema democratico. È innanzitutto, com’è risaputo, la nostra Carta Costituzionale nel suo incipit a sancire che la sovranità appartiene al popolo.

    Pertanto propongo ai cittadini galatresi, singoli o in qualità di membri delle associazioni presenti sul territorio, la formazione di un "Comitato pro Galatro", che abbia come scopo lo scioglimento dei sopra enunciati nodi.

    * * *

    Articoli attinenti:
    10.07.2019 - Galatro si sta svuotando: galatresi svegliatevi!
    07.07.2019 - Galatro e i sogni andati in frantumi
    01.07.2019 - Quarant'anni fa a Galatro

    Nell'immagine sopra: ipotetico logo del Comitato civico pro Galatro.

    Torna ai titoli


    (13.7.19) CAROLA, LE ONG E LE DOMANDE FILOSOFICHE (Angelo Cannatà) - Dicono che le anime dialoghino nell’aldilà. Ho seri dubbi. Anche per le parole definitive di Immanuel Kant: è dimostrabile l’immortalità dell’anima? “È un paralogisma… e consiste nell’applicare la categoria di sostanza all’io penso trasformandolo in un’entità permanente chiamata anima”. E tuttavia il dialogo tra i grandi di un tempo l’immagino, nella finzione letteraria, come un continuo confronto tra passato e presente. Socrate, per es., cosa direbbe oggi?

    Parlavano da tempo Socrate e Polemarco della giustizia, quando intervenne Trasimaco: “Ogni governo pone le leggi per il proprio tornaconto, e dispone con la forza che diventino per i sudditi il giusto: ‘La giustizia è l’utile del più forte’”.

    “Sbagli, Trasimaco, ‘il vero governante cerca l’utile del più debole’; pensa ai migranti in Italia: lasciarli morire in mare è degno dell’agire politico?”.

    “‘I fatti mostrano che l’ingiusto ha più successo del giusto’, anche in termini elettorali: arrivano voti creando paure. ‘I sottomessi fanno l’interesse del più forte, Socrate, e sono strumenti della sua felicità’”.

    “‘Il vero politico cerca il vantaggio degli altri e non il proprio’; ma è bene fare autocritica, Trasimaco, ‘non dovevamo trattare dei caratteri del giusto prima di averne colto l’essenza’”.

    “D’accordo. Ma, per restare all’Italia, pensi che Carola abbia agito bene? ‘Servono azioni di disobbedienza civile – ha detto – per affermare diritti umani’”.

    “Salvare uomini è giusto: nella sua essenza giustizia è umanità. E tuttavia…”.

    “Fai tua la mia tesi?”.

    “Suvvia, Trasimaco, sai che non accadrà mai… è che sono passati più di due millenni da quando parlavamo di giustizia e ne sono accadute di cose… l’altro ieri discutevo con Hobbes, per dire, e metteva l’accento sulla ‘sicurezza’”.

    “Non mi sembra una posizione errata”.

    “C’è del vero, ma resta il problema umanitario e delle Ong. Molte svolgono un ruolo encomiabile, ma altre si trasformano (senza volerlo? Consentimi il dubbio) in strumento dei trafficanti. Insomma, è conforme alla mia idea di giustizia salvare vite, ma vedo il cattivo uso del principio giusto d’aiutare i naufraghi. Il tema è: possono ancora essere definiti naufraghi se con metodo e sistematicamente vengono trasportati in un luogo determinato dove c’è una nave che li attende? Questo, Trasimaco, mi spinge a esercitare l’arte del mio dubbio, rispetto alle certezze di cui arriva l’eco anche quassù. E comunque, l’esigenza morale d’aiutare i migranti confligge con l’esigenza dello Stato di regolarne il flusso… è questo il vero tema”.

    Aveva appena pronunciato queste parole, Socrate, quando, nella piazza s’avvicinò un filosofo tedesco interrompendolo: “Quando si parla degli interessi dello Stato è un falso problema discutere dell’opposizione tra morale e politica: il benessere dello Stato niente ha a che fare con quello del singolo”.

    “Eccoci alla statolatria; tu sempre su questo tasto batti, Hegel. Il punto è che qui nemmeno si difende lo Stato. Si finge di combattere l’immigrazione - così leggo - ma si vuole che tutto resti com’è perché porta consenso”.

    “Dici bene, Socrate, ma ti sfugge un dato: la politica prevede, nelle sue dinamiche, la creazione di un nemico proprio perché porta consensi; e l’immigrato è il nemico perfetto”. Era Carl Schmitt, inseritosi alla fine nella discussione: “E comunque - aggiunse - nello Stato liberale il ‘politico’ e l’‘etico’ sono subordinati all’‘economico’. Quali interessi alimentano il traffico di migranti?”. Erano al cuore del problema e Socrate amareggiato ne prese atto. “Ora devo andare” - disse - e guardò Trasimaco: “Ho superato le mie perplessità sulla scrittura e sto leggendo il libro di Davigo, tratta altri temi e spiega con lucidità che in Italia è diventato utile non rispettare la giustizia. Ma a differenza di te, Trasimaco, se ne duole”.

    Ma caddero nel vuoto le sue parole… Trasimaco si dileguò, mentre Socrate si preparava a nuovi incontri… su altri temi di cui diremo nelle prossime puntate.

    * * *

    Articolo apparso su Il Fatto Quotidiano martedì 9 Luglio 2019

    Nella foto: Carola Rackete a bordo della nave Sea Watch.


    Torna ai titoli


    (22.7.19) L'AFFAIRE LEGA-RUSSIA E LE AMBIGUITA' DI SALVINI (DIALOGO IMMAGINARIO) (Angelo Cannatà) - Si era da poco conclusa l’accesa discussione su Carola e le Ong, e Socrate già affrontava un altro tema. E’ che in Italia era esploso l’affaire Lega-Russia, una storia di tangenti e petrolio, ed entravano in gioco questioni serie come la patria, la sicurezza nazionale, i finanziamenti occulti di una potenza straniera, la corruzione internazionale. Temi scottanti, sui quali il filosofo ateniese teneva banco da un’ora.

    “Insisto: un conto è parlare di città-stato, o nazione come ora si dice, altro è difenderla davvero affrontando il pericolo. Prima gli ateniesi per me non era uno slogan, andai in guerra a Potidea, a Delio, ad Anfiboli, per onorare la patria.”

    “E combattesti con coraggio, Socrate, a Potidea salvasti la vita ad Alcibiade ferito; a Delio salvasti Lachete.”

    “A un certo punto contano i fatti, Critone, non puoi parlar sempre di patria e autonomia territoriale e poi svenderla per finanziare la campagna elettorale. Domina l’incoerenza. Mi proponesti di fuggire dal carcere (‘se non lo farai la gente ci biasimerà per non averti aiutato’) ricordi?”

    “Rifiutasti, perché ‘l’esistenza di un uomo dev’essere coerente con le sue idee’.”

    “Oggi però non è più così, la corruzione è solo un problema di prezzo: mettere il Paese nelle mani di Putin - se le accuse son vere - costa 65 milioni. Perché l’Italia deve uscire dall’euro? Perché Salvini è entrato nel rublo.”

    “Questa battuta non è tua.”

    “Certo che no, è di Ellekappa. Lucido pure il Fatto: ‘Io rublo, tu rubli’. Insomma, a lavorare per una potenza straniera era proprio il ‘difensore’ - stando all’accusa - degli interessi nazionali. Non è cosa di poco conto: il Paese è ancora sovrano?”

    “Non era poco, per te, nemmeno accettare la fuga.”

    “Avrei rinnegato me stesso: ho sempre difeso le Leggi, non potevo tradirle fuggendo.”

    “Ma si fugge dal proprio dovere in mille modi: sento che stai per dirlo.”

    “Fuggi se cerchi finanziamenti occulti; se le tua politica è oggetto di mercato; ‘se non spieghi nulla, se non puoi nemmeno farlo, se rifiuti le domande…’.”

    "Fuggi dal tuo dovere se non sai chi sei - disse intervenendo Epitteto - insomma, se giuri sulla Costituzione e sei un ministro, hai dei doveri…”

    Critone si riprese subito la scena: “Cosa ti turba di più, Socrate, in questa storia?”

    “Che Salvini neghi l’evidenza: Savoini? ‘Un mio rappresentante’ ma anche no. Nasconde un legame che selfie, tweet, fb, Instagram confermano. E’ un bugiardo.”

    “Ama Protagora - suggerì Critone - ‘sostiene due tesi contrarie su ogni argomento’: ha qualche problema con la verità.”

    Socrate non raccolse. “Mi turba inoltre che le scelte filorusse di Salvini - se è coinvolto nell’affaire - non fossero libere ma condizionate dal denaro. Delle due l’una, Critone, o il leader leghista ha gravi responsabilità, o Savoini dev’essere, in quanto millantatore, denunciato espulso trattato come il peggiore nemico della Lega: ma Salvini può farlo? Che prezzo pagherebbe? Quanti segreti conosce il fedelissimo rinnegato?”

    Era un fiume in piena Socrate, quando intervenne Simone Weil: “Sono domande legittime: la politica è ridotta a mera tecnica per la presa e il mantenimento del potere. Il potere però non è fine a se stesso - va gestito con prudenza, senza prevaricare: perché il leghista convoca i sindacati al Viminale? Che vuol dire? - il potere dovrebbe essere un mezzo per…”

    Dovrebbe essere”, sottolineò Critone, e tornò all’affaire: “Salvini deve riferire in Aula, difendersi dalle accuse, chiarire, mostrare che non è ostaggio di Savoini & Siri.”

    “Parole giuste - disse Socrate -, io non dovevo riferire in Parlamento ma non mi sottrassi a nessuna domanda”, poi cambiò registro: “Savoini tace con i pm, non parla più, da giorni non fa che pregare: ‘Dio, dammi un assegno della tua presenza’.” Risate. Poi il filosofo avviò un altro dialogo di cui diremo.

    * * *

    Articolo apparso su Il Fatto Quotidiano giovedì 18 Luglio 2019

    Nella foto: Salvini e Putin.


    Torna ai titoli


    (8.8.19) IL LEGHISTA TIPO... (Domenico Distilo) -
    ...parcheggia la macchina negli spazi riservati ai disabili;

    tende a non fermarsi allo stop;

    non legge quotidiani online;

    tantomeno cartacei;

    si informa solo sui social;

    e solo sulle “performance” del Capitano;

    è convinto che pagare le tasse sia moralmente disdicevole;

    oltre, va da sé, che da imbecille matricolato;

    allo stadio guarda la partita solo dalla curva;

    non ha la laurea;

    in molti casi neppure il diploma;

    il suo eloquio è costituito, prevalentemente se non esclusivamente, da bestemmie ed imprecazioni;

    è dell’idea che i clandestini vadano buttati in mare;

    sostiene che le questioni si possano (e si debbano) risolvere menando le mani;

    per questo si organizza nelle cosiddette “ronde”;

    ha il culto della “roba”;

    da cui gli discende l’ossessione della sicurezza;

    e della (il)legittima difesa;

    ha pure il culto della famiglia, però subordinato a quello della “roba”;

    secondo lui Dio sta dalla nostra (cioè dalla sua) parte;

    per questo spara a zero contro Papa Francesco;

    e se sapesse che c’è stato un Concilio Vaticano II si schiererebbe con i tradizionalisti di monsignor Lefebvre;

    pur non capendo il latino della messa;

    ama l’America perché là si possono portare le armi;

    a meno che non sia lui o un suo stretto congiunto ad essere preso di mira;

    non ha mai letto la Divina Commedia;

    però ha sentito dire di un certo Dante Alighieri;

    non ha mai letto I promessi sposi;

    però ha sentito dire di un certo Alessandro Manzoni;

    odia gli intellettuali;

    intellettuale e comunista per lui sono sinonimi;

    è convinto che i comunisti siano stati sempre al governo durante la prima repubblica;

    così come considera fuori discussione che i neri sono inferiori ai bianchi;

    ama Putin e i governi autoritari dell’Europa dell’est;

    non ha mai letto la Costituzione della Repubblica Italiana;

    né, invero, nessun’altra;

    ha in odio i “burocrati” di Bruxelles;

    perché il Capitano ha detto che complottano contro l’Italia;

    dice di odiare la globalizzazione;

    ma da padroncino padano-veneto non disdegna, se del caso, di delocalizzare in Romania;

    o in Cina;

    ha in odio i politici di sinistra;

    per questo chiuderebbe il Parlamento;

    perché si sa che i politici, soprattutto se di sinistra, sono tutti ladri;

    ma gli piace sorvolare sui 49 milioni sottratti alle casse pubbliche proprio dalla Lega;

    se di una certa età è stato, in passato, comunista;

    e in gran parte ne ha conservato la forma mentis;

    dominata da un enorme paraocchi;

    ha una variante nel LEGHISTA DEL SUD, che spesso:

    ha la laurea;

    è un politico (o meglio, un politicante) decaduto di centrodestra in cerca di opportunità per tornare in corsa;

    glissa sull’antimeridionalismo storico della Lega;

    in particolare sulle riforme che penalizzano il Sud;

    dice di vedere nella Lega l’antitesi alla vecchia politica;

    dimenticandosi di esserne, per la sua parte, l’incarnazione;

    se non è un politicante, allora è uno che spera che il successo della Lega anche nel Sud porterà (al Sud) lavoro e soldi;

    anche se non si capisce come;

    anche se quelle della Lega sono le vecchie ricette liberiste (sulla carta);

    declinate in altrettanto vecchie politiche assistenzialiste;

    con le tare storiche del sud ha un rapporto ambivalente;

    ad esempio, non disdegna l’appoggio di individui e gruppi in prossimità con certi ambienti (si capisce quali);

    anche se ripete che il Sud, da solo, può e deve diventare come il Nord;

    sorvolando sul fatto che per molti aspetti è il Nord a star diventando come il Sud.

    INFINE: la sintesi del leghista del Nord e del Sud è un nuovo fascismo.

    Con i 5Stelle che stanno a guardare. Come nel romanzo di Cronin.

    Nella foto in alto: elmo leghista.


    Torna ai titoli


    (14.8.19) PALIO DELLA GASTRONOMIA: MANIFESTAZIONE RIUSCITA MA SORGONO INTERROGATIVI - Si è conclusa la nona edizione del Palio della Gastronomia con la vittoria del rione “Campo”, per il miglior piatto, e della “Marinella”, per la location, ispirata al romanzo di Alfredo Distilo Due ragazzi, un cane e il fiume.

    La più riuscita tra le manifestazioni dell’estate galatrese è, nell’opinione generale, il Palio della gastronomia, una gara tra i vari quartieri del paese che si cimentano su un tema, ogni anno diverso, della nostra tradizione gastronomico-culinaria. La riuscita è nella stessa “natura della cosa”, che rende inevitabile, spontanea, piacevole e socializzante la partecipazione popolare nelle distinte fasi della confezione delle ricette e della preparazione-degustazione dei piatti, anzi, del piatto da sottoporre, da parte di ciascun rione in competizione, al giudizio di una qualificata giuria.

    Ad uscirne rafforzata, alla fine, è l’idea, concepita da Ludwig Feuerbach nel secolo XIX, che “l’uomo è ciò che mangia” e, si può aggiungere, “ciò che mangiava”, dal momento che il presente, ciò che siamo, dipende dal passato, da ciò che siamo stati.

    Alla premiazione del migliore piatto si è aggiunta, da qualche anno, quella della “location” – come si ama dire, con enfasi tipicamente provinciale, in inglese -, cioè della postazione nella quale avviene la degustazione da parte dei giurati.

    Ciò detto, ci sono degli aspetti sui quali non si possono non esprimere perplessità, da tradurre in domande alle quali, si spera, qualcuno saprà fornire le giuste risposte.

    In primo luogo: qual è il ruolo del Comune e quale quello della Pro Loco nell’organizzazione dell’evento, atteso che la Pro Loco non pare abbia altra ragion d’essere che l’organizzazione del Palio della gastronomia, non comparendo in nessun altro evento o iniziativa nel restante arco dell’anno?

    A seguire: la Pro Loco Galatro ha una vita statutaria e sociale, con organismi dirigenti, deliberanti e operanti che vanno dall’assemblea dei soci al direttivo e al presidente, oppure è interamente sussunta nella figura del presidente, che in tal caso sarebbe di fatto un commissario, più o meno straordinario?

    Quanto allo specifico del Palio della gastronomia: un solo componente tecnico, su cinque, nella giuria non è davvero troppo poco?

    Come mai si attribuiscono i 4/5 dei posti a figure di rappresentanza istituzionale di dubbia o inesistente competenza tecnico-gastronomica?

    E’ stata mai presa in considerazione l’opportunità di affiancare a una giuria tecnica - non di figure istituzionali, precisiamo, ma tecnica - una giuria popolare, come avviene spesso in simili manifestazioni?

    Cosa vuol dire l’abbinamento di ciascun rione a una Pro Loco della provincia?

    Il Palio serve a riscoprire e promuovere la tradizione gastronomica galatrese o le tradizioni dell’intera provincia?

    Infine, ma non in ultimo: proprio il successo della manifestazione induce a chiedersi se esista una storia documentata, fotografica e non solo, di essa, con la descrizione dei piatti vincenti, di quelli perdenti, dell’albo d’oro dei rioni vincitori e quant’altro. Ad essersi fatto carico di tutto questo dovrebbe essere stato, negli anni, proprio l’ente organizzatore.

    Un ultimo dubbio: esistono verbali delle giurie che hanno laureato nei vari anni il rione vincitore? Ed esiste un regolamento della giuria? Da essi si potrebbero evincere i criteri in base ai quali la vittoria viene attribuita a questo o a quell’altro rione. Non sarebbe, checché se ne pensi, un dettaglio irrilevante: l’essenza di una manifestazione è nella sua storia, non in altro.

    Per concludere una curiosità “statistica”: è mai possibile che tra i rioni sempre partecipanti ce ne sia uno, “I Barracchi”, coincidente con la parte alta di via Angelo Lamari, che non ha mai vinto? Ci risulta che tra gli animatori della partecipazione del rione alla competizione ci siano persone, peraltro non poche, che si prodigano per la riuscita dell’evento con grande impegno, dedizione e competenza. Strano che le loro soluzioni non abbiano mai incontrato il totale gradimento dei giurati, essendo arrivati più volte secondi ma mai primi. Sarà, però, certamente un caso: lungi da noi l’idea di attribuirle la complessità di una questione “metafisica”.


    La Marinella che ha vinto il primo premio per la location ispirandosi ad un romanzo di Alfredo Distilo


    Torna ai titoli


    (31.8.19) UN PAESE ABBANDONATO A SE STESSO DOVE LE ATTIVITA' CHIUDONO (Nicola Sollazzo) - Era un giovane, era seduto ai piedi di un albero della villa comunale, aveva un foglio nelle mani e piangeva e le lacrime gli bagnavano le guance. Piangeva perché, appena maggiorenne, aveva la valigia già pronta per partire ed andare all’Estero per poter trovare un lavoro.

    Sapeva di dover lasciare il suo paese ed aveva una grande tristezza, amava il suo paese, i luoghi dove aveva vissuto la sua infanzia, i suoi amici, quelli che erano rimasti e che presto certamente lo avrebbero seguito. Era triste dover lasciare i suoi genitori, i suoi parenti, le tradizioni che formavano la sua ancora giovane cultura, il verde che circonda il suo paese e che lo rende uno dei borghi più belli esistenti.

    Il giovane che lascia il suo paese lo fa con la morte nel cuore perché sa che avrebbe avuto la possibilità di contribuire al miglioramento economico e sociale del suo paese e sa che coloro che avrebbero potuto innescare questa svolta non lo hanno fatto, o per incapacità o per negligenza. Il ragazzo che lascia il suo paese per trovare lavoro non lo abbandona, è sempre nei suoi pensieri, di certo lo hanno ormai abbandonato tutti quelli che avendone il potere nulla hanno fatto per rendere questo paese degno della civiltà dalla quale deriva.

    Nel foglio che il giovane aveva in mano c’era scritta una canzone diventata a suo tempo famosa e di grande successo. Sottolineata si leggeva una strofa: “Paese mio… la noia, l’abbandono, il nulla sono la tua malattia.” Registrava la situazione del suo paese. Abbandonato a se stesso, il degrado urbano che lo avvolge, animali ed immondizia presenti in ogni dove, abusivismo dilagante con il beneplacito di chi ne è responsabile.

    La mancanza di lavoro è la colpa più grave per coloro che ne sono responsabili perché questa assenza rende l’uomo meno libero e toglie ad esso la dignità del vivere civile. Un paese dove
    i piccoli commercianti chiudono giornalmente, dove non c’è nemmeno un'edicola per poter comprare un giornale vuole chiaramente dire un paese abbandonato a se stesso con i responsabili di questo degrado che non hanno nemmeno il coraggio civile e morale di dire: "Vengano altri perché noi abbiamo fallito."

    Ritornato dalle vacanze mi è stata recapitata una lettera che, nell’elencare tutte le cose non fatte o male fatte di questa amministrazione, si faceva notare per la sua passione per il bene del nostro paese. Nel ringraziare questa signora per avermi scelto come suo interlocutore voglio subito dirle di essere completamente d’accordo su quanto lei scrive in quella lettera. C’è da mettersi le mani tra i capelli, voglio dire però a questa signora che un grande personaggio del passato diceva che non basta denunciare, così come del resto fino ad oggi stiamo facendo tutti, ma bisogna anche avere un programma di cambiamento.

    Sono d’accordo con quanto scriveva qualche settimana fa l’avv. Maria Francesca Cordiani. E’ necessario creare un’organizzazione che non solo metta in evidenza i problemi del paese ma studi anche il modo e la possibilità di risolverli. A mio giudizio un’organizzazione formata da uomini e donne, senza distinzione di colore politico, che abbiano una visione giovane del futuro, con alle spalle un gruppo di persone che abbiano esperienza certa nei vari campi della vita e che siano loro da supporto, potrebbe essere un buon motivo di partenza.

    Sono certo che persone che si siano già mosse in questa ottica ci sono e non staranno certo a guardare. Se pensate che ciò possa succedere e pensate che io possa esservi utile in qualche modo contattatemi, io ci sarò. Ci organizzeremo.

    * * *

    Articoli attinenti:
    25.07.2019 - Chiude lo storico emporio edicola di piazza Matteotti
    12.07.2019 - Formiamo un Comitato civico per salvare Galatro
    10.07.2019 - Galatro si sta svuotando: galatresi svegliatevi!
    07.07.2019 - Galatro e i sogni andati in frantumi
    01.07.2019 - Quarant'anni fa a Galatro

    Torna ai titoli


    (9.9.19) PASSATO, PRESENTE E TOPONOMASTICA - Una comunità di individui è tale se ha il senso della propria identità, che non nasce dal presente (rispetto al quale non si può mai essere pienamente consapevoli: il presente è, infatti, fluido, difficilmente definibile nei suoi contorni e nel suo spessore), né dal passato remoto (che la distanza, quando non pietrifica, rende evanescente e fluido al pari del presente). Può nascere invece, ed è bene che nasca, dal passato prossimo, non più interamente fluido ma neppure irrigidito al punto di presentarsi come un monolite, figura dalle caratteristiche antitetiche alla natura del pensiero umano, contraddistinto dalla vocazione ad essere forma informe, a ri–formarsi (letteralmente: a darsi un’altra forma) anche quando lo si direbbe definitivamente formato.

    Se così stanno le cose la consapevolezza di ciò che siamo, della nostra identità, per noi galatresi del XXI secolo non c’è dubbio sia da cercare nella seconda metà del Novecento (il nostro passato prossimo), studiando ed illustrando le biografie che, relativamente a quell’epoca, hanno impresso alla nostra “piccola” storia il suo carattere particolare segnandola con le loro attività, le loro iniziative, il loro lavoro, i loro successi, il loro carattere, così come con gli errori e le sconfitte, inevitabili nel cammino di qualsiasi vita.

    Per qualità e quantità la vicenda del secondo Novecento, a Galatro in misura significativamente maggiore del resto della Calabria e forse dell’intero meridione, non ha riscontri in altre epoche, essendo questa l’epoca in cui – come abbiamo evidenziato in altre occasioni - un’accelerazione della storia proietta gli individui e la collettività di cui fanno parte in una dimensione mai prima sperimentata, fuori dall’immobilità della civiltà contadina e dentro un gorgo di esperienze, vicende, eventi, opportunità che ciascuno coglie secondo il registro e la cifra unici della propria personalità, contribuendo così a suo modo alla crescita collettiva, che non è soltanto economica, quantitativa, ma culturale ed umana, cioè qualitativa.

    La considerazione e lo studio della storia recente e degli individui che più di altri hanno contribuito a farla dovranno però tradursi in un atto eminentemente politico, che sappia rispecchiare la conquistata consapevolezza della propria identità e che non potrà essere altro che una nuova intitolazione delle vie del paese, così che la toponomastica urbana corrisponda alla memoria e all’identità, la rappresentazione alla realtà.

    A prendere una tale iniziativa dovrebbe essere, va da sé, l’Amministrazione comunale, a cui non dovrebbe dispiacere, dopo quasi tre lustri di sostanziale impalpabilità, trovare il modo di lasciare un segno nella storia del paese.

    Proponiamo di seguito una lista di personalità che nella storia recente di Galatro tale segno lo hanno lasciato. Va da sé che integrarla e/o rimaneggiarla sarà ciò che ognuno potrà fare secondo il proprio particolare punto di vista e la propria sensibilità. Fino alla decisione finale, che dovrebbe interpretare il pensiero e il sentimento collettivi.

    PERSONAGGI ILLUSTRI E MENO ILLUSTRI DELLA GALATRO DELLA
    SECONDA METÀ DEL NOVECENTO A CUI INTITOLARE LE VIE DEL PAESE


    1. Ettore Alvaro, poeta della galatresità - insignito della cittadinanza onoraria
    2. Antonio Annetta, direttore di complessi bandistici
    2. Via dell’Artigianato galatrese
    3. Rocco Callà, sindaco e uomo di cultura
    4. Carmelo Cordiani, educatore e musicista
    6. Francesco Cordiani, medico
    7. Rocco Di Matteo, politico ed educatore
    8. Carmelo Distilo, artigiano - cultore della politica e dello sport
    9. Francesco Distilo, poeta ed educatore
    10. Rocco Distilo, sacerdote e poeta
    11. Rocco Orlando Di Stilo, giurista
    12. Angelo Tito Franzè, educatore e uomo di cultura
    13. Nicola Franzè, protagonista delle lotte dei lavoratori
    14. Via dell’Emigrato, (per onorare tutti i galatresi emigrati)
    15. Ugo Ferrari, medico e innovatore sociale
    16. Michele Galluzzo e Rocco Distilo, calciatori
    17. Don Agostino Giovinazzo, sacerdote
    18. Saverio Lamanna, poeta e saggista
    19. Vittorio Lamari, medico ed uomo di scienza
    20. Felice Lucia, primo presidente della S. S. Galatro
    21. Nicola Mancuso, sindacalista e alfiere delle lotte dei lavoratori
    22. Michele Manduci, sindaco ed educatore
    23. Bruno Marazzita, sindaco
    24. Don Bruno Antonio Marazzita, sacerdote
    25. Bruno Marazzita, avvocato
    26. Carmelo Marazzita, promotore ed organizzatore di eventi
    27. Fanny Margonari, ostetrica a Galatro nell’epoca del baby-boom
    28. Michele Ocello, medico ed uomo di scienza
    29. Piero Ocello, poeta ed educatore
    30. Giuseppe Scinica, vittima della violenza fascista
    31. Don Bruno Scoleri, sacerdote
    32. Giuseppe Scozzarra, capo d'arte
    33. Raffaele Sergio, storico e scultore
    34. Michele Siciliani, magistrato e giurista
    35. Don Nicodemo Siclari, sacerdote
    36. Gaudioso Trimboli e Pasquale Stranieri, calciatori
    37. Bruno Zito, avvocato galatrese a Buenos Aires


    Torna ai titoli


    (21.9.19) GALATRO, TOPONOMASTICA E PERSONALITA' DEL PASSATO (Angelo Cannatà) - Da qualche mese la vita politica del Paese è scossa da scelte irrazionali - qualcuno sa davvero perché Salvini ha distrutto il governo di cui era il dominus? - decisioni folli dall’esito per fortuna positivo: un governo progressista che i giornali democratici apprezzano, con l’eccezione incomprensibile di Repubblica. Intendiamoci, incomprensibile se rifiutiamo l’idea che Carlo De Benedetti decida e disponga a Largo Fochetti nonostante la dichiarata autonomia della testata. Lo scrivo qui oggi ma è tema da riprendere perché dice di certi orientamenti che incidono sulla vita del Paese. Ma veniamo alle questioni nostre, a Galatro, dove qualche movimento/atto (anche minimo) sarebbe benefico. Sempre meglio della palude stagnante.

    Che significa la
    proposta della nostra testata sulla toponomastica? Leggo che “Una comunità di individui è tale se ha il senso della propria identità, che non nasce dal presente”. Giusto. Si nega valore però anche al passato remoto “che la distanza, quando non pietrifica, rende evanescente.” Insomma, gli eroi del Risorgimento chi se li ricorda più? Eliminiamoli dalla toponomastica. Se la proposta è questa, non condivido. Non toccate Via Garibaldi. Il passato, anche quello remoto, ha senso. Eccome!

    Voglio dire che trovo troppo radicale l’idea di “una nuova intitolazione delle vie”, se si pensa a tutte le vie del paese. In alcuni nomi è sedimentata una storia di sangue e lotte per la libertà, ed giusto ricordarli anche oggi.

    Altra cosa è proporre, come credo vada intesa l’idea del nostro giornale, di cambiare l’intitolazione di alcune vie (o indicare un criterio per le nuove). In questo caso l’idea è valida - e condivido in pieno - perché in effetti certi nomi, anche alla luce della nuova storiografia, forse non meritano d’essere ricordati: cito dall’ottimo storico Piero Melograni: “Il generale Cadorna impose ai comandanti di reprimere fulmineamente l’indisciplina delle truppe, senza vincoli procedurali.” In breve: Cadorna sterminò, decimò (“la triste storia delle decimazioni è lunga”) moltissimi soldati italiani “in modo mostruoso”. La moderna storiografia ha rivisto negativamente il giudizio su Cadorna, è il caso di lasciare ancora, a Galatro, una strada col suo nome?

    Ecco: è solo un esempio di come, volendo occuparsi di toponomastica, occorra procedere: distinguendo. Senza fare di tutta l’erba un fascio. Il passato, anche quello remoto, non è tutto da buttare. Quando invece non ci sono ragioni perché la vecchia intitolazione delle vie permanga (e i casi sono molti), si modifichi.

    Si modifichi con serenità d’animo come fanno altrove, valorizzando le personalità del luogo: a me, e a molti galatresi, i nuovi nomi delle vie - Rocco Callà, sindaco e uomo di cultura; Nicola Mancuso, sindacalista e alfiere delle lotte dei lavoratori; Don Agostino Giovinazzo, sacerdote; Piero Ocello, poeta ed educatore; eccetera - piacciono molto.

    Certo, è piccola cosa modificare solo la toponomastica: per la rinascita del nostro borgo ci vuole altro: elaborare un’idea di Paese per il futuro; aiutare economicamente chi non ce la fa; creare - sfruttando incentivi europei - lavoro e occupazione; ripensare le Terme senza scannarsi politicamente; valorizzare la tradizione, l’arte, le Chiese; inserire Galatro nei flussi turistici; insomma, urge una classe dirigente propulsiva, dinamica, che stimoli e crei e suggerisca progetti (artigianato, agricoltura, green economy), eventi, azioni; non ultima l’iniziativa minima di aprire un’edicola (almeno quella!): che cos’è un paese dove non arrivano nemmeno i giornali? Enzo Biagi scriveva: “Considero il giornale un servizio pubblico, come i trasporti pubblici e l’acquedotto. Non manderò nelle vostre case acqua inquinata.” Suvvia, amici lettori, ma ci rendiamo conto del degrado? La stampa non può mancare in un paese civile. E’ ora di rinascere. Si metta mano alla toponomastica, d’accordo; ma si avviino anche programmi socialmente significativi. Altrimenti è puro nominalismo.

    * * *

    Articoli attinenti
    09.09.2019 - Passato, presente e toponomastica
    15.07.2009 - Cancellare via Cadorna!

    Torna ai titoli


    (1.10.19) CARO FIORAMONTI CHE IDEA HA DELLA SCUOLA? (Angelo Cannatà) - Nella difficile stagione politica attraversata dal Paese, il Fatto Quotidiano, diretto da Marco Travaglio, ha un’attenzione particolare - di controllo e stimolo - per il governo M5S-PD. Pubblichiamo dalle colonne del Fatto l’intervento di Angelo Cannatà, sui temi della scuola, rivolto al Ministro della Pubblica Istruzione.

    * * *

    Caro ministro Fioramonti, è iniziato il nuovo anno scolastico e a lei spetta guidare, in questo governo che s’annuncia di legislatura, la Pubblica Istruzione verso un porto sicuro. Lo dico subito: è partito col piede sbagliato minacciando le dimissioni; si può avere ragione nel merito, talvolta, e rovinare tutto perché si sbagliano i tempi e la forma: insomma, parlar di dimissioni prima ancora di sedersi sulla sedia che fu di Benedetto Croce mi sembra, scusi, un’incredibile gaffe.

    Ma veniamo alle cose più importanti. La attende un compito gravoso, ministro, perché la scuola versa in condizioni misere e non s’intravede via d’uscita, decine di ministri della Pubblica Istruzione l’hanno distrutta. Non esagero. La scuola non è più luogo di cultura e studio, dominano corsi d’aggiornamento sulla sicurezza (senza mettere in sicurezza gli istituti); corsi sull’ambiente; la violenza; la droga… e naturalmente progetti: sulla cittadinanza; l’educazione stradale; il clima… L’elenco è infinito e certo s’è “cambiato verso”, ma il cambiamento non è di per sé progresso.

    Voglio dire che scuola è lettura dei classici, lezione, studenti che ascoltano, dibattiti e commenti in classe, domande, pensiero critico: dimenticarlo è un delitto. Troppi ministri hanno imposto schemi aziendalistici: efficienza, profitto; ma la Pubblica Istruzione non è una fabbrica, i risultati maturano nei tempi lunghi e quanti incespicano all’inizio, emergono, spesso, alla fine del processo formativo. E’ così. Negarlo aumenta la dispersione scolastica. Dicono: “Gli studi devono essere funzionali all’immissione nel mercato del lavoro”. Funzionalità e mercato, il Dio denaro anzitutto. Non va bene. Se non educa l’istruzione pubblica alla critica dell’esistente, quale altra agenzia educativa lo farà?

    Sono tante le domande che vorrei porle, ministro, ne consenta alcune dopo anni d’insegnamento nei licei: con quale atteggiamento s’appresta a svolgere il suo ruolo, imporrà anche lei dall’alto riforme che il mondo della scuola rifiuta? Presterà attenzione al disagio sociale dei prof? Dialogherà coi sindacati, i docenti, i genitori in un rinnovato rapporto scuola-famiglia-territorio? E ancora: l’edilizia scolastica e l’aggiornamento dei programmi, li sente come priorità? La cronaca racconta d’insegnanti aggrediti e picchiati, intende fare qualcosa per proteggerli? Si indica l’Europa come guida: è convinto che occorrano anche stipendi europei, che il prestigio sociale dei prof passi pure dalla retribuzione economica?

    Cosa farà per la vivibilità delle aule, le è chiaro che bisogna andare verso la formazione di classi col tetto massimo di 20 studenti? Ci saranno effetti benefici sulla didattica, la disciplina, l’apprendimento, il rapporto col docente, e la qualità dell’istruzione. Ritiene pure lei, come tanti, che la scuola sia un’azienda, o che in essa ci si confronti anche con emozioni e sentimenti degli allievi? Reputa valida l’alternanza scuola-lavoro, o pensa che la scuola sia consacrata alla cultura con docenti che studino anche psicologia e sappiano relazionarsi con gli alunni?

    Infine: eviterà il caos delle “chiamate dirette”, delle supplenze infinite, delle classi accorpate, degli orari ridotti; darà una cadenza regolare ai concorsi per l’immissione in ruolo? Insomma, signor ministro, che idea ha lei della Pubblica Istruzione? Le riforme improvvisate non piacciono ai docenti. Ne prenda atto. C’è bisogno di un intervento profondo, coerente, organico: di una riforma vera. L’ho scritto ma repetita iuvant: il filosofo Gentile, nonostante il classismo, aveva una visione, un disegno, un’idea (forte) di scuola e di Paese. Qual è la sua idea ministro Fioramonti? Non è chiaro, ed è un limite ora che il premier Conte mostra rinnovata attenzione per la Pubblica Istruzione.

    La giudicheremo dai fatti, ministro, le siano da guida e stimolo le parole che Calamandrei pronunciò in un’altra epoca: “Trasformare i sudditi in cittadini è miracolo che solo la scuola può compiere”. In classe non arrivano più sudditi, certo, ma trasformare molti giovani d’oggi, con le loro peculiarità, in cittadini consapevoli, resta un compito arduo, delicato, difficile. Buon lavoro.

    Articolo apparso su Il Fatto Quotidiano venerdì 13 Settembre 2019

    Nella foto: il ministro dell'istruzione Lorenzo Fioramonti.


    Torna ai titoli


    (9.11.19) SERVE UN PARTITO DEL LAVORO (CONTRO LE CONTRADDIZIONI DEL CAPITALE) (Angelo Cannatà) - Nel nome di Marx il socialismo reale ha compiuto infiniti misfatti distruggendo anche ciò che di buono c’era nel filosofo di Treviri; nessuna nostalgia per l’autore del Manifesto, ma è certo che Marx, mentre esaltava la funzione storica della borghesia, ne vedeva anche le contraddizioni, le tendenze del sistema e il bisogno capitalistico del profitto, dagli effetti talvolta tragici. Non penso qui tanto alla “teoria del valore” (contestata da Sraffa in Produzione di merci a mezzo di merci), quanto ai “costi umani” del capitalismo industriale che il Nostro denuncia con lucidità: “la logica del profitto privato” crea lavoro ma tende a scontarsi anche con la salute e l’interesse collettivo.

    Significa che qui (come ancora nel Novecento), si pensi all’abolizione del capitalismo? No. Si sottolinea che i costi umani del sistema industriale, denunciati dall’autore del Capitale, permangono e sono tragicamente messi in evidenza da Mittal che ricatta di lasciare Taranto “per colpa” dell’abolizione dello “scudo penale”. E’ illuminante la vignetta di Vauro: l’ex Ilva ci pone di fronte a una scelta: “O con me o con me”, e non è un dettaglio che sia la morte a parlare. Molti gli errori commessi: dai rapaci imprenditori che “pensano solo al profitto” ed esportano miliardi all’estero; ai politici di destra e di sinistra che “pensano solo al consenso” e non elaborano una seria politica industriale. E oggi? Tutti contro il governo Conte che ripristina - abolendo lo “scudo penale” - la legalità costituzionale: un ribaltamento vergognoso della verità avallato dai giornaloni, e un disastro politico perché Taranto non è salva dalla catastrofe ambientale e diecimila operai rischiano il lavoro: il danno e la beffa. Si prenda atto che governi deboli non producono una politica industriale coraggiosa, che ci vuole un progetto, un’idea di Paese e un governo capace d’attuarla.

    Pd e 5stelle non hanno sbagliato a presentarsi uniti in Umbria; l’errore - ha ragione Cacciari - sta nel non fare un’alleanza organica: solo un serio governo progressista può affrontare il tema lavoro attenuando fortemente i costi umani dello sviluppo. E’ utile tenere insieme filosofia, economia, politica:

    a) la filosofia: Marx denuncia i costi umani del sistema industriale; Hans Jonas parla di “Principio responsabilità” contro la tecnica che devasta l’ambiente: il libro è del 1979 ma deve essere sfuggito ai Mittal e ai Riva (lo stabilimento di Taranto è stato sequestrato perché inquinante e “fonte di malattia e morte”, scrivono i giudici);

    b) il potere economico: i Mittal (come già i Riva) se ne fottono dei costi umani e del Principio responsabilità: pensano al profitto, avallati da chi parla di “ovvie garanzie per l’investitore straniero” (Stefano Folli, Repubblica, 6 novembre). Ovvie perché? Da quando in Italia c’è licenza di uccidere tramite polveri sottili?

    c) Infine la politica: mostra la sua impotenza e non tutela la salute né i posti di lavoro (vedremo adesso l’esito delle trattative a Palazzo Chigi); i dem intanto tremano, “perderemo anche l’Emilia”. Ovvio: perché gli operai dovrebbero votarli se anche sul caso Mittal sembrano un appendice di Confindustria?

    Il Pd è dentro un’ambiguità di cui deve liberarsi; urge tornare a principi di sinistra e dare vita a un nuovo partito che affronti i problemi dell’industria, dell’occupazione, della salute dei cittadini e mobiliti le associazioni e la società civile. Non c’è altra strada: Pd+Leu+5Stelle = Partito del lavoro. Gli operai di Taranto, Torino, Milano, Genova, Napoli, eccetera, hanno bisogno di sentirsi tutelati da un soggetto politico che li rappresenti davvero e torneranno a votarlo; altrimenti Salvini forever “che almeno li salva dagli immigrati che rubano il lavoro” (so bene che non è così, ma gli operai si son bevuti questa narrazione). Perdere ancora tempo prima della nascita di un Partito del lavoro significa porsi in condizioni di debolezza nei conflitti col capitale (non solo Mittal); fare il gioco di Salvini, sovranista che difende il capitale straniero; dichiarare la propria impotenza e irrilevanza politica.

    Articolo apparso su Il Fatto Quotidiano venerdì 8 Novembre 2019


    Torna ai titoli


    (17.11.19) DEMOCRAZIA E CETO MEDIO: RIFLESSIONE SULLA PROPOSTA DI ANGELO CANNATA' (Domenico Distilo) - La proposta di fusione dei tre partiti del centro-sinistra (col trattino) in una nuova formazione che dovrebbe chiamarsi Partito del Lavoro, avanzata da Angelo Cannatà nel suo ultimo articolo, mi suscita delle perplessità non dappoco. Anche se credo di capire da dove nasca: l’insofferenza per una sinistra che sembra essersi separata dal suo background storico-culturale per avventurarsi in territori che da sempre appartengono alla destra. Col risultato di perdere buona parte dell’elettorato tradizionalmente di sinistra – gli operai e le categorie a questi affini - senza guadagnare, o senza guadagnare a sufficienza, tra quello di destra (la borghesia grande, media e piccola).

    Non c’è dubbio che le cose siano andate così: la descrizione è fenomenologicamente corretta, ma poco analitica, tralasciando di spiegare perché, a un certo punto, uomini e formazioni politiche di sinistra abbiano immaginato di dover abbandonare lo schema lavoro VS capitale. A meno di non volerla attribuire ad una sopravvenuta ed inspiegabile metamorfosi del rivoluzionario di professione in radical-chic, la ragione è da ricercare nel fatto che si trattava di uno schema troppo… schematico, che non reggeva di fronte a società occidentali, compresa quella italiana, che invece di polarizzarsi secondo la profezia di Marx enunciata nel terzo libro de Il Capitale, profezia incentrata, com’è noto, sulla “legge” della caduta tendenziale del saggio del profitto, sono andate sempre più articolandosi, differenziandosi, stratificandosi, in una parola, sempre più complessificandosi, fino al punto che è apparso inevitabile governarle dal centro, secondo un paradigma interclassista che sostituiva la ricerca e l’ampliamento del benessere generale alla lotta di classe.

    Lo schema lavoro VS capitale, del resto, era obsoleto già alla fine dell’Ottocento, allorché la chiesa della Rerum Novarum e il riformismo secondinternazionalista avevano soppiantato la rivoluzione proletaria annunciata dal Manifesto del Partito Comunista del 1848. Lo è diventato vieppiù nel Novecento, per cui non vedo come lo si possa risuscitare nel ventunesimo secolo inoltrato. Se lo si facesse la cosa avrebbe, forse, una qualche valenza tattica, non certo una strategica.

    Se guardiamo alla parte migliore della storia del Novecento, quella dipanatasi dalla fine della seconda guerra mondiale all’inizio degli anni Ottanta, non possiamo non vedere come l’espansione della democrazia e del benessere sia andata di pari passo con l’espansione del ceto medio; così come non possiamo non vedere come il restringimento del ceto medio a seguito dei noti fatti seguiti alla globalizzazione ponga un serio problema di tenuta delle nostre istituzioni democratiche, minacciate da sovranismi e nazionalismi nonché da un nuovo ordine internazionale che va imperniandosi su potenze reazionarie, la Russia di Putin in primis.

    Più che a riflettere negli schieramenti e nelle forze in campo una polarizzazione in fase avanzata nella società, con i poveri sempre più poveri e i ricchi sempre più ricchi – giuste le analisi dell’economista francese Thomas Piquetty, - penserei a ricostruire il centro, rinfoltendo i ranghi della classe media e dandole adeguata espressione politica. È il solo modo per tagliare l’erba sotto i piedi ai nuovi fascismi. Ricordando che quelli storici approfittarono, per andare al potere, proprio dell’interruzione della crescita del ceto medio seguita alla guerra mondiale.

    * * *

    Articoli attinenti
    09.11.2019 - Serve un partito del lavoro
    14.04.2015 - Thomas Piketty, Il Capitale nel XXI secolo

    Nella foto: quadro di Pierre-Auguste Renoir dal titolo "Bal au moulin de la galette" che ritrae un momento di vita della piccola borghesia francese dell'Ottocento.

    Torna ai titoli


    (21.11.19) ATTENTI AL MANGANELLO! DIALOGANDO CON DOMENICO DISTILO (Angelo Cannatà) - Caro Domenico, ho letto il tuo bel testo e ti ringrazio per l’attenzione, il garbo, e il gusto per il dia-logos: mi piace la tua passione politica. E lo stile. La cura dell’argomentazione, anche nei passaggi che non condivido. Mi contesti. E vabbè. “Dialettica, mon amour”.

    Affermi che “lo schema lavoro VS capitale era obsoleto già alla fine dell’Ottocento” in tempi di lotta di classe contro i padroni, e non vedi “come lo si possa risuscitare nel ventunesimo secolo.” Giusto. Ma critichi una cosa che non ho detto. Cito dal Fatto Quotidiano: “Significa che qui (come ancora nel Novecento) si pensi all’abolizione del capitalismo? No. Si sottolinea che i costi umani del sistema industriale, denunciati dall’autore del Capitale, permangono e sono tragicamente messi in evidenza dal ricatto di Mittal”.

    Insomma, caro Domenico, l’articolo ha un senso tutto politico: Salvini-Meloni-Berlusconi si ricompattano, cosa deve fare la sinistra? In Italia c’è un vento di destra e quasi certamente la Lega dilagherà nelle elezioni politiche, l’unico modo di fare argine (almeno in parte) è l’unità della sinistra. Unità vera, però; non un “cartello elettorale” (Fronte popolare), ma un partito nuovo di tutta l’area progressista che abbia nella difesa del lavoro il proprio fondamento, secondo schemi sperimentati dai laburisti inglesi e dai democratici americani.

    Negli Stati Uniti due soli partiti (democratico e conservatore) si contendono il potere; perché l’Italia non dovrebbe andare in questa direzione con un partito progressista (uno, non mille) che difenda valori, principi, e un’idea di Paese da contrapporre alla destra? Credo che nei tempi lunghi della Storia questa sia la direzione. Ho proposto di accelerare i tempi: di formarlo oggi un partito laburista italiano (superando la resistenza degli apparati). Sono certo che un grande partito progressista, tutelando davvero operai e ceto medio, li allontani dal pifferaio Salvini che sorride, fa i selfies e promette il paradiso, mentre nascosto è pronto - Dio non voglia - il manganello.

    * * *

    Articoli attinenti
    17.11.2019 - Democrazia e ceto medio: riflessione sulla proposta di Angelo Cannatà
    09.11.2019 - Serve un partito del lavoro
    14.04.2015 - Thomas Piketty, Il Capitale nel XXI secolo

    Nella foto: manganello fascista.

    Torna ai titoli


    (16.12.19) LA POSTA IN GIOCO (Domenico Distilo) - Questo articolo di Domenico Distilo, scritto qualche settimana prima delle elezioni europee di maggio e non pubblicato per un disguido, è ancora, mutatis mutandis, di stringente attualità. Lo proponiamo nella versione originale.

    * * *

    Il mondo che abbiamo ancora (non sappiamo per quanto) la buona sorte di abitare venne concepito sull’isola di Terranova, il 12 e 13 agosto 1941, dal presidente degli Stati Uniti F. D. Roosevelt e dal primo ministro inglese W. Churchill, che fissarono nella “Carta atlantica” i principi cardine su cui si sarebbe retto l’ordine internazionale dopo la vittoria sul nazifascismo.

    Indipendenza e libertà dei popoli e delle nazioni, libera circolazione delle persone e delle merci, diritti umani avrebbero costituito i pilastri di un sistema che, in ragione della successiva opposizione dell’URSS e dei suoi satelliti, sarebbe stato denominato “occidentale”, caratterizzante cioè il “mondo libero”, democratico e liberale, al di qua della “cortina di ferro”, mentre al di là di essa la censura e il gulag per gli oppositori politici dominavano la scena.

    In tutti questi decenni il liberalismo e la democrazia hanno rappresentato i capisaldi, il terreno comune nell’ambito del quale si svolgeva la competizione politica, di norma tra più o meno socialisti e più o meno liberali, con forze (residuali) di destra e di sinistra che si collocavano fuori del sistema, cioè fuori della democrazia liberale, che contestavano in nome di principi che facevano riferimento al fascismo e/o al comunismo nelle loro varie versioni e gradazioni.

    La democrazia liberale non è però che poggiasse sul nulla: le sue fondamenta erano in un ceto medio in costante espansione grazie alle politiche economiche keynesiane, nonché in una media e piccola borghesia pienamente integrate nel sistema sotto il profilo economico e, di conseguenza, ancorate saldamente al suo centro politico.

    Come dire che per decenni alla centralità economica ha corrisposto la centralità politica, finché non è accaduto qualcosa che ha spostato gli equilibri, determinando l’erosione dei ceti medi e il loro spostamento in massa dal centro politico verso l’estrema destra, secondo uno schema già sperimentato negli anni Venti e Trenta.

    I populismi e i nazionalismi sono la versione attuale dei nazionalismi e dei fascismi di quegli anni, soprattutto in ordine alla composizione sociologica dei movimenti che li esprimono. Esattamente come novant’anni fa, a gonfiare le vele del nazionalismo sono i ceti medi che non si sentono (e non sono) più tali, perché i redditi di cui disponevano sono stati pesantemente decurtati dalla globalizzazione e, soprattutto in Europa, dalle politiche liberiste che la hanno accompagnata. C’è da aggiungere che assecondando senza misura e senza remore queste politiche, la sinistra di fatto si è suicidata.

    Il resto lo fanno i social, sui quali, come ben diceva Umberto Eco, ogni imbecille ha la possibilità di dire la sua e dove tutti, di conseguenza, si convincono che soluzioni facili sono a portata di mano per ogni tipo di problema, soluzioni che sarebbero fortemente ostacolate dalle élites dei vitalizi e degli stipendi d’oro, di certo in combutta con la cospirazione mondiale giudaica. Così che nel “laboratorio Italia” il governo giallo-verde non paga dazio, in termini di indice di gradimento, per le scelte demenziali contro l’Europa, contro l’euro, contro i mercati, contro tutto ciò che non dà l’idea di promanare dalla pancia del cosiddetto popolo.

    Il rischio che stiamo correndo, ci vuole poco per rendersene conto, è un rischio mortale per le democrazie liberali, e potrà essere stornato solo se sovranisti, nazionalisti, populisti, demoilliberali (cioè fautori di una democrazia non liberale, storicamente mai esistita se non nella forma della tirannide) e altra simile compagnia cantante verranno sonoramente sconfitti nelle urne di maggio. Da un popolo che, recuperando responsabilità e consapevolezza, avrà capito che la democrazia o è liberale o non è; che o i partiti e la classe politica riescono ad essere all’altezza di un ruolo di guida che non assecondi le pulsioni irrazionali che allignano in una società malata, oppure, con il ritorno dei nazionalismi, la guerra tornerà ad essere all’ordine del giorno dal momento che, giusto quanto diceva il presidente francese Mitterrand, “nazionalismo significa guerra”.

    Poiché la democrazia liberale non è più il terreno comune della competizione politica e rischiano di prendere il sopravvento forze antidemocratiche e illiberali, va sfumata la tradizionale contrapposizione (centro) destra-(centro)sinistra in nome della difesa della civiltà occidentale, seriamente minacciata da est ad ovest, da nord a sud, per intenderci dalla Russia di Putin all’Italia di Salvini, dal Brasile di Bolsonaro agli USA di Trump, mentre l’ordine internazionale è saltato da quando in USA, già con Obama, esplodendo poi con Trump, ha ripreso a circolare il vento isolazionista degli anni Venti, che si traduce nello slogan insensato America first.

    Il ritorno in auge delle destre estreme (“da Casa Pound a Casa… leggio”, copyright Renzi) ha riportato all’ordine del giorno il razzismo, che non è un incidente della storia ma il portato di condizioni di malessere socioculturale che si traduce in atteggiamenti aberranti di discriminazione e di chiusura.

    Nella foto: Roosevelt e Churchill sulla nave Prince of Wales nella baia di Terranova nel 1941.


    Torna ai titoli


    (30.12.19) DIALOGO IMMAGINARIO: BECCARIA E IL GARANTISTA A OLTRANZA (Angelo Cannatà) -

    GARANTISTA – Il 10 gennaio la Camera vota la proposta del forzista Costa per eliminare la legge che blocca la prescrizione; la ringrazio, Beccaria, per aver accettato il dialogo ed entro subito nel merito: la Bonafede allunga i processi e ne risente pure la sua celebre “presunzione d’innocenza”: siamo all’ergastolo processuale. Che ne pensa?

    BECCARIA – Grazie a lei per l’opportunità che mi offre d’attualizzare il mio pensiero. In verità la questione è più complessa di come la pone: ho parlato anche di “certezza della pena”, e l’uso strumentale della prescrizione la calpesta, converrà con me che questo è un problema enorme che non si può sottovalutare.

    G. – “Meglio un colpevole in libertà che un innocente in carcere”.

    B. – Lo dice a me? Ho dedicato parte di Dei delitti e delle pene a questo tema, ma oggi è centrale un altro dato: troppi responsabili di atti gravi – omicidi, reati ambientali, crac bancari – sono in libertà per sopravvenuta prescrizione. Non va bene. Finiscono in carcere solo piccoli delinquenti e la gente non crede più nella giustizia.

    G. – Scusi Beccaria, ma pensa davvero di evitare i “processi eterni”, sospendendo la prescrizione? Credo s’ottenga l’effetto opposto: avere imputati a vita.

    B. – Lei inverte l’ordine dei dati reali, i processi s’allungano perché c’è interesse a dilatarli annullando la certezza che al reato segua la pena: oggi al reato segue la prescrizione, per abilità degli avvocati, per i giudici oberati da carichi di lavoro, per…

    G. – Non la riconosco, che fine fa il suo garantismo?

    B. – È che lei vede solo quest’aspetto del mio pensiero. In verità parlo anche di adeguata “proporzione fra delitti e pene”, del “danno alla società” quale “vera misura dei delitti” (cap. VIII). Quanti gravi danni, oggi, si commettono contro i cittadini e la società? Il garantismo è un valore, certo, ma oggi è diventato un alibi per chi delinque. Le sembra strano che non sopporti di essere strumentalizzato?

    G. – Eppure lei ha lottato per trasformare l’antico “processo offensivo” in processo “informativo”. C’è bisogno di tempo, di sentire le parti, i testimoni, gli…

    B. – Giusto, ma i miei temi vanno letti al presente; le situazioni mutano. Oggi abili avvocati trovano il modo di allungare il processo con la richiesta di nuove perizie, ostruzionismi, escussione di nuovi testimoni, generando disuguaglianze. C’è una giustizia per i ricchi lenta e inconcludente e una, implacabile, per i poveri. Non va bene.

    G. – Lei ha parlato di “prontezza della pena”, non può contestare la prescrizione…

    B. – Oggi tutto è diverso; e comunque la sua citazione è parziale, legga anche il passo successivo del cap. XXX: “Quei delitti atroci, dei quali lunga resta la memoria tra gli uomini… non meritano alcuna prescrizione in favore del reo”. Vuole che le faccia l’elenco dei delitti e delle frodi che, negli ultimi anni, sono stati prescritti perché non c’era la legge Bonafede? Mi creda, si può intervenire per una riforma complessiva della giustizia (migliorando il sistema), ma abolire quanto c’è di buono è insopportabile: spiace per il Pd (la sua proposta di legge di fatto reintroduce la prescrizione) e per la smemoratezza di qualche magistrato.

    G. – Stento a credere che il teorico del “giusto processo”…

    B. – “Giusto processo” nel Settecento significava soprattutto “terzietà del giudice”. Oggi sulla giustizia incombe la mannaia della prescrizione. Vogliono tornare indietro? Facciano pure, ma non in mio nome: lo dico anche ai giornaloni che incredibilmente hanno cambiato idea. Ha ragione Scarpinato: “Il sistema penale inefficiente non è un errore, ma una scelta dovuta all’illegalità delle classi dirigenti”. La prescrizione piace alle anime belle come lei (garantiste a oltranza) e ai grandi criminali. I criminali che fanno le leggi. È il delitto perfetto.

    * * *

    Articolo apparso su Il Fatto Quotidiano sabato 28 Dicembre 2019


    Torna ai titoli

    INDIETRO

    Copyright @ Associazione Culturale del Metramo 1999 -