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< 2006 Cultura 2007 2008 >

7.1.07 - L'arte del presepe a Galatro
di Mario Cucinotta

15.1.07 - Il laboratorio di Gianni Aloe

18.1.07 - Galatro è così
di Biagio Cirillo

1.3.07 - 'A casa di Gori e Maria
di Biagio Cirillo

10.3.07 - Melo Cordiani e i suoi mobili

15.3.07 - Nietzsche e Leopardi: un libro di Angelo Cannatà
di Domenico Distilo

5.5.07 - La Madonna di Tablada

8.5.07 - 'A Crucivia
di Giuseppe Ocello

14.5.07 - I quadri di Aldo Cordiano

25.5.07 - Un artista galatrese a Seregno
di Biagio Cirillo

31.5.07 - Presentato a Cittanova il libro di Angelo Cannatà

4.6.07 - Premio "Calabria America" a Bruno Zito

15.6.07 - E' bello!
di Biagio Cirillo

5.7.07 - Dolci ricordi di Galatro
di Guerino De Masi

25.7.07 - Il romanzo della Galatro d'un tempo
di Guerino De Masi

9.8.07 - Antiche fiere e gabelle
di Guerino De Masi

13.8.07 - La banda e la musica a Galatro
di Massimo Distilo

20.8.07 - Amici di 'na vota
di Salvatore Panetta

30.8.07 - L'illusorietà del libero arbitrio
di Guerino De Masi

4.9.07 - Ancora su libero arbitrio e dintorni
di Francesco Zoccali

7.9.07 - Cerimonia di premiazione per Bruno Zito

8.9.07 - Non mi sottraggo al confronto
di Guerino De Masi

7.10.07 - Il Gradus Trio di Nicola Sergio a Polistena

24.11.07 - I colori di Aldo Cordiano
di Michele Scozzarra

17.12.07 - La neve e i paracadutisti
di Guerino De Masi





Particolare del presepe a S. Nicola (foto N. Pettinato) (7.1.07) L'ARTE DEL PRESEPE A GALATRO (di Mario Cucinotta) - Il simbolo più importante e rappresentativo del Natale e della magia che lo avvolge è il Presepe: esso risale all'epoca di San Francesco D'Assisi che a Greccio nel 1223 realizzò la prima rappresentazione vivente della Natività. In seguito, grazie all'invito del Papa durante il concilio di Trento e al fatto che riusciva a trasmettere la fede in modo semplice e tradizionale, nel XVII secolo, il presepe iniziò a diffondersi anche nelle case dei nobili dell'epoca sotto forma di "Soprammobili" e continua ripetersi tutt'oggi nelle case e nelle chiese dei cristiani di tutto il mondo.
Uno degli artisti che è riuscito a portare all'estero la tradizione tutta italiana della realizzazione del presepe è il sig. Giuseppe Trimboli, di origine galatrese, nato il 2 novembre del 1944 ed emigrato in Argentina insieme alla madre nel 1954 portando con sé la nostalgia e le tradizioni di una terra che forse non avrebbe più rivisto. Presepe a S. Nicola e Peppino Trimboli (foto N. Pettinato) Trovandosi in Argentina a Buenos Aires, una delle città più grandi del mondo formata per il 35% da italiani, iniziò a realizzare presepi che gli venivano commissionati da emigrati calabresi, riproducendo in miniatura le case dei paesini montani che molti avevano abbandonato, e lasciando nei loro cuori un segno tangibile della lontananza dalla propria terra.
Con il passare degli anni formò un Circolo Sociale e Culturale chiamato "Michelangelo" che portò avanti come presidente per sedici anni. Purtroppo in seguito alla malattia della madre il sig. Trimboli fece ritorno dopo 40 anni al paese natìo (2002) e da allora vi rimase, continuando l'arte del padre Gaudioso Trimboli che allestiva il presepe nella chiesa di San Nicola negli anni Trenta e Quaranta. Il Trimboli nella realizzazione iconografica della Natività rappresenta la trepidazione e la gioia che accompagna la più grande festa familiare dell'anno. Molti sono i turisti ed emigrati che ogni anno si recano a Galatro in visita ai presepi ricchi di luci e statuine del sig. Giuseppe Trimboli e grande l'emozione e la soddisfazione che ne traspare.

Nelle foto:
In alto: Particolare del presepe a S. Nicola - Al centro: Presepe a S. Nicola con l'autore - In basso: Presepe alla Montagna (Documentazione fotografica a cura di Nicola Pettinato).

*Articolo tratto dalla rivista "Turismo in Calabria", num. Dic. 2006-Gen. 2007.


Presepe alla Montagna (foto N. Pettinato)


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Gianni Aloe (15.1.07) IL LABORATORIO DI GIANNI ALOE - Vi presentiamo un esauriente servizio fotografico - realizzato da Nicola Pettinato - sul nuovo stabile laboratorio di antiquariato aperto recentemente a Galatro dal nostro concittadino Gianni Aloe, il quale ha maturato una grande esperienza nel settore, operando per molti anni in Danimarca, prima di trasferirsi nuovamente nel proprio paese.
Come si può notare dalla sequenza di foto (di cui un'anteprima avevamo dato durante la precedente
esposizione estiva all'aperto), i pezzi che il laboratorio contiene sono molto pregiati e variegati. Si va dai divani alle poltrone, alle scrivanie impreziosite con ricche decorazioni, ai candelabri, alle macchine da cucire, cassepanche, statuette di vario genere, macchine fotografiche, tavoli e suppellettili di varie fogge, orologi e tanto altro.
Naturalmente facciamo i migliori complimenti a Gianni Aloe per aver avviato questa nuova attività a Galatro. Il suo laboratorio merita certamente di essere visitato.

Divano con serie di macchine da cucire Contenitori di varie dimensioni
   
Suppellettili varie Tavolo con suppellettili
   
Candelabro a sette braccia Macchina fotografica e statuine
   
Cassa decorata Divano a due posti
   
Bassorilievo Bassorilievo
   
Scrivania Visione d'assieme del laboratorio
   
Utensili metallici Orologio
   
Panca Orologi ed altro materiale
   
Poltrona Scrittoio
   
Appendi-abiti

Panca

Supporto in ferro
La documentazione fotografica di questo servizio è a cura di Nicola Pettinato

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(18.1.07) GALATRO E' COSI' (di Biagio Cirillo)

Galatru è così

Canta u gadhu, canta a gadhina,
Galatru è bellu sira e matina,
cu strati rutti e mai conzati
e cu campagni abbandunati.

No su' vacabundi i galatrisi,
ma non zappanu cchiù, scirpa e maghisi;
i festi 'n chiazza 'i fannu belli
ballando cu amuri 'i tarantelli.

Sonanu, ballanu, recitanu e cantanu,
no senti mai ca idhi si lagnanu,
i fimmani, poi, su rivigghianti,
sannu chi vonnu propriu tutti quanti.

'O nord 'u sannu ca 'o meridioni,
nci sugnu puru fimmani boni,
ma l’omani scapoli bar e barveri
e non penzanu mai pe 'na muggheri,
tantu a mamma lava, cucina e stira,
si faci nu mazzu da matina a sira.

Cu sapi! Cchiù avanti cangianu i cosi
e 'i vidimu giuvani sposi,
magari cu tanti picciridhi,
mu fannu nu jornu 'u paisi crisciri.
  I ngiuri

Spara u cannùni, ammàzza nu merlu,
scappa la renna i chistu mpèrnu,
u lupu si spagna e si faci biondu,
pemmu sgàvita lu chiumbu.

U pizzitanu chi pizzi non faci
appiccica u focu e prepara li braci,
tostu arriva, e mbriacu di vino,
doppu i lìttari u postarinu.

U scrivanu scrivi urgenti
a lu prefettu e a lu sergenti,
manda fujendu lu colonnellu
mu sbriga tuttu stu grandi macellu.

Non chianta cipudhi lu cipudharu,
non guarda cchiù crapi lu craparu,
cu grida troppu è gridazzaru,
non fuma sigari lu pipparu.

Camina dirittu lu benadittu,
senza bacchetta e senza barrittu.
Oh paisani, non v’affenditi,
ma chisti ngiuri vi li teniti.

La filastrocca "I ngiuri" non è offensiva, ma solleva scherzosamente i soprannomi di noi galatresi: "Merlu" è il mio soprannome. I lettori che si riconoscono nei soprannomi la accolgano con simpatia. Io l’ho scritta conoscendo i miei paesani quali persone simpatiche che stanno allo scherzo.
Biagio Cirillo - Bolzano

Giuseppe Ocello e Biagio Cirillo
Biagio Cirillo - a destra - col suo amico Giuseppe Ocello presso la fontana di Donna Antonetta


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(1.3.07) 'A CASA DI GORI E MARIA (di Biagio Cirillo) - Ecco la poesia più bella che ho scritto. La tenevo tutta per me perchè è parte di me e dei miei genitori; solo adesso, non so come, ho trovato lo spirito di farla pubblicare. La poesia s'intitola 'A casa di Gori e Maria cioè la casa che i miei genitori, con tanti sacrifici, un giorno mi hanno donato. Là sono nato io, i miei fratelli e le mie sorelle, là ho trascorso la mia infanzia, là ho lasciato una parte del mio cuore, là ho lasciato i miei fratellini e le mie sorelline, là ho lasciato il mio povero nonno, là ho lasciato i miei genitori e tutti con le lacrime sul viso.
Per me questa poesia è un pezzo del mio passato, mi fa tanto pensare e tornare indietro con gli anni: momenti di povertà e nello stesso momento di felicità e spensieratezza.
Non voglio andare oltre, spero tanto che i lettori la comprendano per la sua originalità e la sappiano apprezzare.

'A casa di Gori e Maria

Veni lu mbèrnu e la primavera,
io abitu sempri nta chidha carredha,
staiu nta casa ca dha nescia
e m’andotaru Gori e Maria.

Nta chidha casa idhi abitaru,
mi dezzaru a casa i quand’era cotràru,
quandu scazu zumpava i scaluna
di supa a chiazza a tutti i puntuna.

Setti figghi dha ndi criscìmmu
cu mamma, papà e puru lu nonnu,
stavamu stritti ma larghi di cori
pecchì eramu figghi i "cumpari Gori".

Non c’eranu i quatri supa li mura
ma caci janca pe pittura,
non c'era lu bagnu ma nu gabinettu
sutta la scala cu tantu rispettu.

No lavatrici e mancu lu frigu,
a televisioni a videmu 'ngiru,
nu solaru di lignu e perlini
e sutta a zimba porcu e gadhini.

Chistu m’ezzaru e l’apprezzai,
atru non vozzi e dha restai,
sta casa faci parti di mia
pecchì era 'a casa di "Gori e Maria".


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Melo Cordiani (10.3.07) MELO CORDIANI E I SUOI MOBILI - Melo Cordiani, la cui vena di creatività è stata sempre fertile nei vari campi nei quali, di volta in volta, ha deciso di riversarla, da diversi anni si occupa della produzione di mobili artigianali, con risultati eccezionali.
Questo può far pensare che possa essersi risvegliata, dopo decenni di letargo, la tradizione ebanistica del nostro paese, esaltata nel secolo scorso da illustri maestri quali Ocello e Villone.
Nei manufatti di Cordiani la ricezione dei vari modelli stilistici si esprime in creazioni assolutamente originali, in una cifra unica, non tributaria di alcun stilema predefinito.
Per apprezzare le sapienti geometrie di Melo Cordiani, che coniugano apprezzabilmente estetica e funzionalità, basta guardare il seguente servizio fotografico - realizzato da Nicola Pettinato - o visitare il laboratorio dell'artista artigiano in via Bosco Longa a Galatro.
Melo Cordiani può inoltre essere contattato al seguente indirizzo e-mail:
paolo.cordiani@tin.it.

Libreria Ingresso
Libreria in legno di castagno ed ulivo Ingresso
La firma dell'artista sul frontespizio della libreria Bilancia a due piatti
Firma dell'artista sul frontespizio della libreria Bilancia a due piatti in ulivo
Sedie lavorate Tavolino rotondo a tre piedi incrociati
Sedie in castagno ed ulivo Tavolino rotondo - "tundinu" - a tre gambe incrociate in ciliegio
Particolare della decorazione sulla spalliera di una sedia Decorazione in bassorilievo sulla spalliera di una sedia
Decorazione sulla spalliera di una sedia Bassorilievo decorativo sulla spalliera di una sedia
Particolare dei cassetti di una scrivania Tavolo
Doppio cassetto di scrivania - particolare Tavolo in castagno
Minitavolo con sedie soprammobile Tavolino
Sobrammobile - Tavolo con sedie in miniatura Tavolino in noce
Stipetto Bauletto
Stipetto a due ante Bauletto
Portaoggetti Cassapanca
Portaoggetti in castagno e noce Cassapanca in castagno ed ulivo
Credenza - parte superiore Baule
Credenza - parte superiore Baule in ciliegio
Credenza - parte inferiore Vetrata
Credenza - parte inferiore Vetrata
Tavolino da salotto in noce
Tavolino da salotto in noce

La documentazione fotografica di questo servizio è a cura di Nicola Pettinato

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La copertina del libro di Angelo Cannatà
Acquista il libro
(15.3.07) NIETZSCHE E LEOPARDI: UN LIBRO DI ANGELO CANNATA' (di Domenico Distilo) - Angelo Cannatà, un nostro concittadino che da qualche anno si è trasferito con la famiglia in provincia di Roma, dove insegna filosofia nel liceo scientifico di Genzano, ha pubblicato, grazie ad un progetto della scuola sostenuto da altri enti, un interessante libro su Nietzsche e Leopardi - Edizioni Liceo Vailati, pp.192, € 15 - nel quale opera un’approfondita disamina dei non pochi “debiti” del filosofo tedesco nei confronti del poeta italiano.
Cannatà, esaminando con puntuali riferimenti la vasta letteratura sul tema, sostiene, intanto il carattere filosofico della poesia di Leopardi (che definisce, con un’espressione di Heidegger riferita ad Holderlin, “pensiero poetante”), carattere non disconosciuto da Nietzsche – contrariamente all’opinione di Emanuele Severino secondo cui la ricezione nietzscheana di Leopardi sarebbe avvenuta dal versante filologico, con conseguente sottovalutazione della grandezza filosofica del Recanatese; in secondo luogo l’origine leopardiana dei temi che caratterizzano il primo Nietzsche, il Nietzsche, cioè, che non ha ancora consumato la rottura con Schopenhauer e il cui sentimento della vita si esprime, nei vari scritti, pressoché negli stessi ritmi, addirittura con gli stessi termini riscontrabili nei Canti e negli Idilli, al punto, si potrebbe aggiungere se l’ipotesi non fosse manifestamente peregrina, da far pensare al plagio.

Tra gli scrittori europei frequentati da Nietzsche Leopardi occupa, questo è indubbio, un posto di primo piano. Anzi, Nietzsche è talmente compenetrato di “leopardismo” che ben dopo l’esaurimento della fase schopenhauriana culminata nelle "Inattuali" e fin nel cuore del suo pensiero maturo, nella teoria dell’eterno ritorno, al centro, com’è noto, del celeberrimo "Così parlò Zarathustra", è possibile avvertire echi leopardiani e cogliere assonanze, peraltro evidenti, col "Sabato del villaggio".
Nietzsche, dunque, tributario di Leopardi, un Leopardi che, per il fatto stesso di aver rappresentato un punto di riferimento di un autore fondamentale della filosofia contemporanea, viene riscattato da certe letture italiane, tra le quali quella di Benedetto Croce, che pur riconoscendo e magari esaltando la grandezza poetica del Recanatese, o meglio, proprio per il fatto stesso di riconoscerla ed esaltarla, ne misconoscono, non poi tanto implicitamente, quella filosofica, inapprezzata per non essersi espressa, conformemente alla lezione hegeliana (non a caso Lucio Colletti una volta definì la filosofia italiana “una provincia del Reich filosofico”), in forma sistematica, “la verità potendocisi offrire nell’unica forma del sistema scientifico di essa”, come si legge nella prefazione alla "Fenomenologia dello Spirito", l’opera forse più importante, certo la più suggestiva, del filosofo di Stoccarda.
Cannatà, appare evidente, aderisce alle letture che, a partire dal Leopardi progressivo di Cesare Luporini, valorizzano il Leopardi filosofo, ricusano di indulgere nella separazione crociana di filosofia e poesia ed evidenziano come il poeta marchigiano abbia colto poeticamente l’universale, confutando nei fatti, parecchi decenni prima che venisse formulato, lo schema crociano secondo cui la poesia e l’arte in generale non potrebbero aspirare che alla “conoscenza del particolare”, una sorta di “cognitio inferior” - al pari di quella dispensata dalle scienze empiriche, definite “meri apparati di pseudoconcetti” - rispetto alla conoscenza storico-filosofica, la sola degna del nome.
Per riassumere: se lo stile aforistico e la mancanza di spirito sistematico non hanno fatto velo allorché si è trattato di riconoscere la statura filosofica di Nietzsche, lo stesso non può non avvenire per Leopardi, che non è stato grande filosofo meno di quanto sia stato grande poeta e ha gli stessi titoli di Nietzsche per essere collocato tra i profeti della crisi della modernità e tra i maestri del cosiddetto “smascheramento”, per stare, insomma, tra gli interpreti più lucidi dell’epoca del Superuomo (o Oltreuomo), benché si tratti di un Superuomo senza la nietzscheana Volontà di potenza.
Il libro di Cannatà contiene poi altri spunti, sui quali magari sarà il caso di soffermarsi in altra sede. Un’ultima cosa va però detta: la prioritaria finalità didattica del lavoro non ha comportato il sacrificio dell’esigenza di svolgere un preciso percorso di ricerca, nel quale l’autore si è cimentato con risultati a nostro avviso apprezzabili sia sul piano storico che su quello teoretico. Relativamente al primo ha infatti concentrato esiti di ricerche dispersi in una bibliografia non facilmente dominabile dal cultore non specialista; quanto al secondo, ha prodotto una chiara riformulazione in chiave attualizzante del pensiero di Leopardi, una rilettura cioè né settecentesca né ottocentesca ma postmoderna, nonostante la presa di distanze del secondo Nietzsche.


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La Madonna della Montagna di Tablada in Argentina La Madonna della Montagna di Galatro (5.5.07) LA MADONNA DI TABLADA - Vi proponiamo un'immagine - foto a sinistra - della Madonna della Montagna venerata dagli italiani di origine galatrese che vivono in Argentina.
Il culto della Madonna nelle terre d'oltre mare è stato tramandato dai nostri compaesani che, per motivi di lavoro, in tempi ormai lontani, si trasferirono in Argentina. La venerazione nei confronti della Madonna della Montagna è presente tuttora anche se, da varie testimonianze raccolte, le modalità di svolgimento della festa, col passare degli anni, si sono ovviamente trasformate e tipologia e partecipazione dei fedeli si sono differenziate e variegate nel tempo.
A gestire i festeggiamenti in Argentina è un'associazione che si chiama "Associazione Madonna della Montagna di Galatro, Reggio Calabria". A presiedere il comitato è il signor Nicola Congiustì. E' stata creata una vera e propria parrocchia che si chiama appunto "Parrocchia Maria SS. della Montagna".
Il viso del bambino nella Madonna di Galatro I fedeli galatresi sono riusciti ad edificare anche una chiesa propria che si trova al n. 4800 di calle Necochea, nel quartiere La Tablada, sito nel comune di La Matanza, in provincia di Buenos Aires.
La tempistica dei festeggiamenti è diversa rispetto a Galatro dove, come tutti sanno, il giorno della festa è fisso, ovvero l'otto settembre (pe 'sa curuna chi avìti a la testa / l'ottu settembri facimu la festa). In Argentina invece il giorno stabilito per i festeggiamenti è la seconda domenica di settembre, dunque una data mobile.
Esaminando la statua della Madonna argentina si nota come, probabilmente, la realizzazione della stessa sia stata commissionata ad un artista cui è stato dato come riferimento la foto della statua di Galatro (in alto a destra). Infatti le pose, sia della Vergine che del Bambino, sono quasi perfettamente identiche. Leggermente diverse sono invece le finiture dei visi delle due statue: mentre i volti delle due Madonne, pur con espressioni differenti (forse solo uno sguardo più vivace nella statua argentina), mantengono entrambe un alto grado di soavità, il viso del Bambinello di Tablada sembra invece molto più rifinito rispetto a quello di Galatro (a destra in basso) che ha connotazioni infantili meno spiccate e lineamenti meno aggraziati.

Nelle foto: a sinistra la statua della Madonna della Montagna di Tablada in Argentina; a destra in alto l'omonima statua di Galatro, a destra in basso il viso del Bambino della statua di Galatro.


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Visione d'assieme dell'esterno del rione Crocevia. (8.5.07) 'A CRUCIVIA (di Giuseppe Ocello) - (Pubblichiamo una lirica - con annessa breve lettera introduttiva - che ci giunge dalla Svizzera e che riguarda uno dei rioni più caratteristici del nostro paese, ovvero quello che un tempo era il ghetto, l'antico quartiere ebraico di Galatro: la "Crucivia". Non a caso il nome con cui era ed è ancora conosciuto tale rione è "Judèca", ossia Giudecca: luogo dei Giudei.)

Ciao a tutti, galatresi e non. Sono Giuseppe Ocello, detto "u cannuni" (u grandi), vorrei rispondere alla lettera di Biagio Cirillo, nome d’arte "merlo" (vedi sezione
Le Lettere).
Caro Biagio non sei tu che devi ringraziare, ma io per come ci avete accolti e trattati, tu e i tuoi fratelli. Non so cosa dirvi. Grazie di cuore.
Ti ricordi che ti avevo accennato alla Crocevia? Ho scritto velocemente queste due righe:

'A Crucivia

Cu' nci ricorda 'a Crucivia,
tutta mpestàta di mularìa?
Mò si nci passi non c’è cchiù nudhu,
poi sulu parlari cu corchi muru.
Non c’è Biagiu, non c’è Carmelu,
no Peppi 'i Muntagna e no fràisa Melu.
Non c’è Garidha cu fràtisa Turi,
no jamu cchiù mu abbivaràmu i muli.
Non c’è Turi 'i Ciunna, no Ntoni Sorianu
e non ci su mancu io, puru luntanu.
Quantu sirati passammu arrigghiandu,
gridandu, zumpandu e puru minandu.
Si jocava a mmuccia o a cavadhìna,
arridendu e zumpandu era quasi matìna.
Chi belli ricordi nta Crucivia,
si tornarìa arretu 'u stessu farrìa.

Saluti da Giuseppe Ocello

Nella foto: visione d'assieme della parte esterna del rione Crocevia.

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(14.5.07) I QUADRI DI ALDO CORDIANO - Vi proponiamo, all'interno del nostro Mercatino, alcuni quadri del pittore galatrese Aldo Cordiano.
L'artista vive nella vicina Plaesano ma, per motivi di lavoro, la sua presenza a Galatro è comunque costante. Il pennello in casa Cordiano è una tradizione di famiglia, infatti anche il padre di Aldo era attivo come pittore, così come lo è il fratello Domenico, che vive fuori regione.
Le cinque tele che proponiamo appaiono ispirate a natura e forme tipiche delle nostre zone, il tutto filtrato da una interpretazione fortemente stilizzata delle forme. Particolarmente interessanti le due opere con al centro una personale visione di paesaggi marini: "Fondale marino" e "Chianalea di Scilla". Tutte e cinque le opere sono delle tempere su tela.
Per il momento, non essendo stata definita una quotazione dei quadri, si può visionarli ma non acquistarli direttamente on line.
Per ammirare le tele di Aldo Cordiano entrare nel nostro
Mercatino, quindi spostarsi nella sezione Quadri.

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(25.5.07) UN ARTISTA GALATRESE A SEREGNO (di Biagio Cirillo) - Cari galatresi, a San Carlo, una piccola frazione di Seregno in provincia di Milano, ho uno zio artista.
Da piccolo faceva cestini per necessità, dal momento che la sua famiglia viveva e lavorava in campagna. Trasferitosi al Nord, ha iniziato a farli per passione.
E’ apparso persino sui giornali locali, ha insegnato l’arte ai ragazzi in alcune scuole, ha fatto cestini a tutti i parenti ed amici, le culle per i nipotini, soprammobili e altro; e tutto questo in una piccola cantina sotto casa.
La cosa curiosa è che fa tutto questo per hobby: compra i migliori materiali per l’esecuzione dei cestini e poi le persone che vanno a trovarlo le porta in cantina e fa scegliere loro uno o più dei suoi favolosi capolavori.
Pensate che, circa dieci anni fa, è arrivato a Galatro con il suo vespino 50. A Bolzano è arrivato con la vespa carica di cestini.
Ci tenevo a far sapere a tutti che ho uno zio favoloso e pieno di fantasia. A proposito, mio zio si chiama Nicola Marazzita ed è fratello di mia mamma. Caro zio, con tanto affetto ti dedico questa poesia, un bacione e scusa se l’ho fatta pubblicare prima di farti sapere qualcosa in merito.
Un saluto agli amici della Redazione e ai galatresi.

'U zzi Cola

Sutta a nu catòiu umidu e scuru,
chinu di virghi mpenduti a lu muru,
nc’è n’omu chi ntrizza, l’amarighiàtu,
no staci certu facendo 'u bucatu.

Nc'è zzèma Cola chi faci panàri
pemmu i rigala ad amici e cumpàri,
nu penzèru pe tutti i parenti,
pemmu li dassa tutti cuntenti.

Coppi, panàra e bomboneri
e suprammobili pe la mugghèri,
una ndi penza e centu ndi fà,
cu arriva pigghia e poi si ndi và.

No pigghia sordi ma complimenti,
rigala tuttu e non si ndi penti
pecchì è n’omu di tantu rispettu
chinu d’amuri e chinu d’affettu.

Certu ca st’òmu è propriu anticu,
no penza 'e sordi ma penza all’amicu,
mali di schina, acciàcchi ed affànni
pecchì suparau ormai l’ottantanni.

A zè Rosaria è propiu cuntenta,
'u dassa fari e non si lamenta,
nchiana 'a casa cu tanta fami
e sutta 'a cantina cala domani.


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La copertina del libro di Angelo Cannatà
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(31.5.07) PRESENTATO A CITTANOVA IL LIBRO DI ANGELO CANNATA' - Il libro di Angelo Cannatà, Nietzsche e Leopardi, da noi recensito con un
articolo di Domenico Distilo, è stato presentato alla biblioteca Comunale di Cittanova nel corso di un incontro con l'autore e la presenza degli studenti del Liceo Classico "V. Gerace".
Pubblichiamo la relazione con cui Domenico Distilo ha presentato il volume, gli interventi degli altri docenti del Liceo, la relazione di Angelo Cannatà, gli interventi degli alunni e le risposte dell'autore.

Relazione del prof. Domenico Distilo

Relazione dell'Autore

Intervento del prof. Giovanni Valenzisi

Intervento della prof.ssa Isabella Loschiavo

Interventi degli studenti e risposte dell'Autore


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L'avv. Bruno Zito, vincitore del Premio 'Calabria America' 2007 (4.6.07) PREMIO "CALABRIA AMERICA" A BRUNO ZITO - L'avvocato Bruno Zito, originario di Galatro e da molti anni nostro collaboratore da Buenos Aires, si è aggiudicato il prestigioso Premio "Calabria America" 2007, riservato alle personalità d'origine calabrese che si sono affermate nel campo della cultura, delle arti, dello sport, della politica e delle professioni e che, pur in contesti socio-ambientali spesso difficili, sono riusciti a raggiungere le più alte vette del successo.
Il Premio Calabria America è stato istituito dal "Centro d'Arte e Cultura Bruzio" in collaborazione con la Regione Calabria, l'Amministrazione Provinciale di Reggio Calabria e istituzionalizzato nel Comune di Gioia Tauro.
La cerimonia di premiazione è prevista per Domenica 2 Settembre a Gioia Tauro, ore 18,00, presso il Centro Culturale di "Palazzo Baldari".
All'avv. Bruno Zito vanno naturalmente le più fervide felicitazioni e i più calorosi complimenti da parte di Galatro Terme News.
Riportiamo sotto la comunicazione ufficiale del Sindaco di Gioia Tauro e dei Presidenti della Commissione con la quale viene stabilita l'assegnazione del Premio.

Gioia Tauro 12 Maggio 2007.
Pregiatissimo Avv. Bruno ZITO ho il piacere di comunicarLe che, la Commissione del "Premio Calabria America", ha all'unanimità deciso di conferirLe il Premio Speciale per l'anno 2007 "Calabria America" riservato alle personalità d'origine calabrese che si sono affermante nel campo della cultura, delle arti, dello sport, della politica e delle professioni, esaltando in Italia e all'estero il prestigio e la genialità del popolo Bruzio. Il Premio, istituito dal "Centro d'Arte e Cultura Bruzio" in collaborazione con la Regione Calabria, l'Amministrazione Provinciale di Reggio Calabria e istituzionalizato nel Comune di Gioa Tauro, oltre a voler essere un riconoscimento alla laboriosità dei nostri corregionali che, pur in contesti socio-ambientali spesso difficili, sono riusciti a raggiungere le più alte vette del successo, si pone come contributo nel rinsaldare i vincoli fra i Calabresi sparsi nel mondo e la loro Terra d'origine.
La manifestazione si svolgerà presso il Comune di Gioia Tauro, che ormai si candida come area di sviluppo primario per tutta la Regione. Il rilevante impulso, infatti, prodotto dal porto di Gioia Tauro è riconosciuto come elemento più che favorevole alla crescita economica e civile. La manifestazione offrirà anche un'occasione d'analisi e di dibattito, da parte di Giornalisti, Docenti universitari e altri Studiosi del settore, sullo sviluppo socioeconomico della Calabria in relazione al contributo dei calabresi, residenti all'estero o in altre Regioni d'Italia, che rappresentano una grande risorsa.
Saremo lieti di poterLa incontrare a Gioia Tauro per la Cerimonia del Premio, che si svolgerà Domenica 2 Settembre, alle ore 18.00, presso il Centro Culturale di "Palazzo Baldari".
I miei più cordiali saluti.

Il Sindaco di Gioia Tauro
Dott. Giorgio Dal Torrione

Il Presidente
Mº Mimmo Morogallo

Il Presidente Onorario
Dott.ssa Ana Laganà Madia

Nella foto in alto: l'Avv. Bruno Zito.


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Biagio Cirillo (15.6.07) E' BELLO! (di Biagio Cirillo) - Una mattina d’inverno mi sono alzato presto, mi sono messo davanti al mio computer e, dopo aver riletto le mie poesie in dialetto galatrese, ho cominciato a scrivere le prime cose che mi sono passate per la testa.
Forse era un bel giorno, forse mi ero svegliato con la luna buona, o non so quale "forse" mi ha detto di fare una poesia con tutto il bello che ci circonda.
Leggetela e se non Vi piace cestinatela.

E’ Bello!

E' Bello il bene
è Bello l’amore
è Bella la gioia nel nostro cuore;

è Bello l’affetto
è Bello il rispetto
è Bella la voglia di andare a letto;

è Bello il fiume
è Bello il ruscello
è Bello anche il mio paesello;

è Bello il cielo
è Bello il mare
è Bella pure la voglia d’amare;

è Bello il sole
è Bella la luna
è Bella la voglia d’avere fortuna;

è Bello levante
è Bello ponente
è Bello conoscere tanta gente;

è Bella la mamma
è Bello il papà
è Bello andare di qua e di là;

è Bella la tua
è Bella la mia
è Bello scrivere una poesia.

Allora, che ve ne pare? Anche se non è nel mio stile, penso che tutto sommato non è male.
Come al solito tanti saluti a tutti. Un saluto particolare ad Agatino e sua moglie: grazie al suo test dell'intolleranza ho perso 14 kg e sto bene con lo stomaco. Non vorrei fare pubblicità ma lo consiglio a tanti che come me hanno qualche chilo in più. Saluti alla Redazione e a tutti i miei parenti.

Nella foto in alto: Biagio Cirillo.


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Servizio fotografico presso gli studios della Villa di Galatro. 1949: i miei fratelli, in ordine decrescente: Domenico, Rachelina, Palma detta Auriemma, Nazzareno, Pasquale. (5.7.07) DOLCI RICORDI DI GALATRO (di Guerino De Masi) - Ho scritto ultimamente del ricordo degli aquiloni realizzati con i manifesti elettorali.
Vorrei adesso con voi condividere altri flash di un tempo passato, ma che è quanto mi rimane di quei preziosi anni del passato, della mia infanzia a Galatro.

'U Bandituri
Qualche anno dopo. 1955: presso lo stesso 'studio all'aperto' Auriemma, nonno Michele Simari, Nazzareno, io e il piccolo Alfredo. Affacciato all'angolo "d'a calateda" che taglia la curva di via Regina Margherita, con le mani attorno alla bocca a mò di megafono, "u bandituri" lanciava il suo messaggio promozionale. Era il "media" della mia infanzia. Mi pare si chiamasse Rocco di nome, quanto al cognome sono incerto, ma mi sembra di ricordare... Aloi.
Ricordo lo strillo della sua voce che prolungava le parole come per permettere che arrivassero il più lontano possibile.
Mio fratello Nazzareno mi disse che l'antenato del bandituri conosceva la posizione ideale del paese per far giungere la sua possente voce fino "a Longa".
Da una recente conversazione con mio cognato Rocco Marazzita (che con molta autoironia dice d'essere Rocco "imbutu"), ho appreso che questo speciale bandituri era suo nonno!
La voce urlata, ma chiara e cadenzata, annunciava: cu' voli vinuuuuuuu! con dovizia di particolari sulla qualità, la speciale "cantina proponente" e a volte il prezzo. Dopo un pò, lo stesso annuncio si risentiva di nuovo ma per me molto più lontano, magari "du quarteri".

Nelle foto: a sinistra, servizio fotografico presso gli "studios" della Villa di Galatro. 1949: i miei fratelli, in ordine decrescente: Domenico, Rachelina, Palma detta Auriemma, Nazzareno, Pasquale.
A destra, qualche anno dopo, 1955: presso lo stesso 'studio all'aperto' Auriemma, nonno Michele Simari, Nazzareno, io e il piccolo Alfredo.


1953: foto di famiglia con grammofono Un altro ricordo impresso nella mia memoria è collegato a quest'uomo. Probabilmente un bracciante, abituato a lavori umili e di fatica. Era l'epoca della raccolta delle olive.
"U trappitu" (con la caratteristica "tr" del nostro dialetto galatrese che fa quasi "ci" pittosto che "tri" , come invece per es. i rosarnesi) era dietro casa mia, proprio "a curva".
Una lenta fila di portatori di sacchi pieni di olive appena raccolte, passava per la via.
1953: Rachelina, Mamma, Domenico, Auriemma, Pasquale, Nazzareno ed io Guerino. Sotto il peso del carico, avanzavano curvi e silenziosi, forse per non sprecare il fiato, nei loro vestiti neri, unti di olio, come il panno di iuta che poggiava sulle loro spalle e che poi, a carico svuotato, tornando dritti e con la schiena inarcata all'indietro come per raddrizzarsi, portavano allegramente sulla spalla oramai alleggerita o addirittura sventolandolo lungo il corpo a braccia lente.
Quest'uomo non urlava più, il lavoro era differente, e sorrideva beatamente seguendo questa fila di portatori di sacchi d'olive che, avendo svuotato il carico, di nuovo se ne tornava per un'altra coda che li avrebbe di nuovo visti sfilare davanti a casa mia in gravoso silenzio.

Nelle foto: a sinistra, 1953: foto di famiglia con grammofono.
A destra, 1953: Rachelina, Mamma, Domenico, Auriemma, Pasquale, Nazzareno ed io Guerino.


Pani friscu e olio extra vergine. Quant'era bonu!
Periodicamente, nel forno sotto casa, proprio a ridosso di quel ruscello che lambiva le mura delle abitazioni e che separava casa nostra dalle "arangari" dei Papa, mia madre faceva il pane!
In questa foto, non mi vedete, ma ci sono anch'io! 1952: S. Ferdinando, le mie prime 'vacanze' al mare. Ricordo solo la paura dell'acqua. Con le mie cugine Italia Pettinato, una figlia di mio zio Antonio Simari, Rachelina, Mamma, mia cugina Caterina, un'alta mia parente e, sulla sabbia, Pasquale, Nazzareno ed Auriemma. Nazzareno ci ha ricordato che, ad ogni sfornata, la mamma mandava i miei fratelli più grandi verso quella o quell'altra famiglia a portare una pagnotta avvolta in un panno, perché sapeva che erano "bisognosi".
Ma quello che ricordo io, è quella larga fetta di pane bianco, ancora fumante, adagiato in un piatto che io porgevo al signore del Trappitu. Quel Signore, di cui non so nemmeno il nome, delicatamente affondava un specie di piccolo mestolo in quel recipiente pieno di olio appena spremuto e lo versava altrettanto delicatamente su quel pane fresco che tenevo con religiosa attenzione, pregustandone il sapore dal profumo soave che inondava l'ambiente.
E a proposito di sapori e profumi.

Mbiviti nu pocu i mustu figghioli!
Effetti speciali dagli studios di Napoli! Fotomontaggio fatto realizzare da mio padre Giuseppe Demasi, allora in servizio di Leva a Napoli 1931/32 con la foto della sua amata Meluzza Simari. Lungo la via che partendo "da villa" entrava in paese, nei pressi "du macellu", vicino ad una "gabbina da currenti", c'era una volta un muretto fatto di mattoni e non più alto di un metro e sessanta credo.
Quel muretto era strategico per noi piccoli poichè, aiutati dai "grandi", ci serviva da punto di attesa.
Sapevamo che prima o poi, tutte quelle donne con in testa "nu barili" poggiato "supra na curuna" fatta di stoffa, loro meno silenziose dei portatori di olive, tra una chiacchera e un'altra cosa, si sarebbero fermate per riposare "nu pocu".
Stavolta faceva più caldo che nel periodo delle olive, e le "cummari" che trasportavano in testa i barili di "mustu", anche loro in fila ma sempre impegnate in conversazioni tra loro ed i passanti ("undi ghiti cummari? a lu ccà!"), non meno faticoso il trasporto, ma perlomeno permetteva una breve sosta di riposo. E dove fermarsi senza dover posare il pesante barile se non al muretto che noi avevamo individuato?
Queste care donne, sapevano bene che il dolcissimo mosto era di nostro gradimento e non ci negavano un assaggio del prezioso nettare che succhiavamo attraverso le apposite cannuccie (per carità non quelle delle bibite odierne, ma quelle originali, naturali ed ecologiche, delle canne del canneto vicino).
Quel dolcissimo sapore di uva appena spremuta mi è rimasto impresso tanto chiaramente da risvegliare in me il ricordo del mio caro paese Galatro ogni volta che assaporo un grappolo d'uva... purtroppo sulla tavola della mia cucina.

Nelle foto: sopra a sinistra, non mi vedete, ma ci sono anch'io! 1952, S. Ferdinando, le mie prime "vacanze" al mare. Ricordo solo la paura dell'acqua. Con le mie cugine Italia Pettinato, una figlia di mio zio Antonio Simari, Rachelina, Mamma, mia cugina Caterina, un'alta mia parente e, sulla sabbia, Pasquale, Nazzareno ed Auriemma.
Sopra a destra, effetti speciali dagli studios di Napoli! Fotomontaggio fatto realizzare da mio padre Giuseppe Demasi, allora in servizio di Leva a Napoli 1931/32 con la foto della sua amata Meluzza Simari.


Foto di famiglia per il passaporto. 1958: da sinitra in alto Pasquale, mamma Meluzza Simari, Nazzareno, Guerino, Mario e Alfredo.   Foto in Francia con noi piccolini per il passaporto della mamma. Siamo nel 1960 o 61 e c'è anche l'ultimo nato in Francia: Raffaele
Nelle foto: sopra a sinistra, foto di famiglia per il passaporto. 1958, da sinitra in alto Pasquale, mamma Meluzza Simari, Nazzareno, Guerino, Mario e Alfredo.
Sopra a destra, foto in Francia con noi piccolini per il passaporto della mamma. Siamo nel 1960 o '61 e c'è anche l'ultimo nato in Francia: Raffaele.


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Guerino De Masi (25.7.07) IL ROMANZO DELLA GALATRO D'UN TEMPO (di Guerino De Masi) - A briglia cchiù bella
Quanto è vero che un niente ci impegnava e ci divertiva.
Durante le caldissime estati di Galatro, non confrontabili con quelle afose ed umide della Lombardia, il cocente solleone era da noi ragazzi lenito dalla frequentazione assidua delle “piscine nostrane” che erano le briglie lungo il nostro Metramo, con tanto di massaggio acquatico, tobogans scivolosi e trampolini mozzafiato per i temerari più grandi.
Alcune di queste vicine al ponte (non quello della villa), altre più a monte ma meno frequentate.
Il costume adamitico era d’obbligo ed ognuno trovava refrigerio in quelle acque correnti della nostra fiumara.
Tra questi mini bagnanti c’ero anch’io con i miei fratelli Nazzareno e Pasquale.
La brillante idea che loro ebbero fu quella di trovarci una “briglia” tutta nostra.
L’avventura, che sembrò eccitante per la novità, dovette presto raffreddarci per l’impervia situazione trovata. Erbacce dovunque con quei caratteristici scivolosi “lippi” verdi, tanto disgustosi quanto pericolosi, ed il fondo delle piccole cascate cosparso d’insidiosi rami nascosti.
E’ stato proprio in uno di questi rami nascosti sul fondale che Pasquale andò ad infilzarsi pericolosamente. Con mio fratello sanguinante e con gli entusiasmi gelati tornammo a casa dalla mamma ancora una volta allarmata dalle “prodezze” di questi figli sempre in cerca di qualcosa per farla impensierire.

A funtana dassa u signu
Guerino De Masi da bambino E a proposito di refrigerio, posti scivolosi e incidenti.
Ancora durante le torridi estati galatresi, per non stare tutti a gironzolare per la casa, ognuno di noi trovava un piccolo incarico che ci tenesse occupati in quel periodo di vacanze scolastiche.
A me era stato indicato il laboratorio di “Deritu”.
Il suo negozietto di sarto e barbiere (!) era su quel pendio a destra della chiesa (dei "madonnisi") con la strada in selciato di pietre bianche levigate dal tempo.
Vi si accedeva per quella piccola scalinata di pietra che serviva anche da banco di lavoro.
Ho visto così come si faceva una barba, come si affilava l’enorme rasoio su quello strano attrezzo di cuoio, come si imbastiva una giacca e... finalmente è lì che ho imparato a fare l’asola per i bottoni!
Il mio compito era di essere disponibile a quanto il “maestro” chiedeva.
Ora andare a comprargli le “due nazionali” dal tabacchino che si trovava “o quarteri”, ora scopare i capelli, oppure stare lì in silenziosa attesa.
Per sopportare il caldo persistente, ci eravamo procurati delle bottigliette di vetro che riempivamo alla fontana vicino "o macellu".
Il posto era infestato di gigantesche ortiche e la vasca di raccolta dell’acqua, perennemente bagnata dagli schizzi del rubinetto aperto, favoriva la crescita di licheni e muffe varie resi scivolosi dall’umidità.
E’ lì che poggiai il piede scalzo per avvicinare il collo della mia bottiglietta da riempire al rubinetto troppo distante per la mia taglia infantile.
Lo scivolone fu inevitabile con conseguente frantumazione della mia preziosa bottiglietta che andò a conficcarsi nel mio piede sinistro procurandomi una profonda ferita di cui porto le cicatrici a ricordo di quel bel tempo.

Decorazioni fatali
L’estate per noi bambini era anche il tempo delle feste in paese e di quella festa per antonomasia che è “a festa da Muntagna”.
C’erano i palchi, le processioni, le fanfare, i concerti in piazza e le decorazioni luminose che abbellivano le vie per tutto quel periodo.
I lavori richiamavano tanti operatori e, tra questi, qualcuno che applicava tutte queste magiche luci sui pali lungo le vie. Non credo che si applicassero le normative 626!
Fu là, su uno di questi pali, sulla via che costeggia la riva destra di Metramo, un po’ prima che si arrivasse al ponte, quello vicino alla casa di mia zia Carmela Pettinato, “a baruna”, che un giovane elettricista rimase appeso al palo di legno, con ancora quei caratteristici archetti dentati attaccati alle scarpe, folgorato dalla corrente elettrica.
Un’immagine che non posso dimenticare e che, da buon elettrotecnico, ho bene presente nella mia mente ogni volta che lavoro sotto tensione.

Il fotografo che non c'è più
Non so se era "a cicorda" oppure "o biviu", ma certamente era un evento eccezionale. Una “famosa” gara ciclistica doveva passare per quel posto così lontano per me ma non per i numerosi ragazzi più grandi che a gruppetti andarono a vedere il passaggio dei ciclisti.
Ovviamente non poteva mancare il nostro fotografo. Come si chiamava? “Foto Pancallo”... mi sembra di ricordare il timbro blu su alcune nostre vecchie foto di famiglia.
Ricordo che le foto speciali, come quelle della cresima di mia sorella Auriemma, o dei miei fratellini, foto da mandare al papà che era lontano, queste foto erano scattate nella via, di fronte a casa nostra.
Uno sfondo era creato al momento con la stesura d’un lenzuolo o di una coperta. Un vaso di fiori, una pianta o una sedia, o magari uno specchio, e lo studio era approntato per il servizio che il nostro fotografo avrebbe con tanta professionalità eseguito.
Il particolare più importante, per me che di fotografia non ne capivo niente, era la sedia a rotelle sulla quale era obbligato il nostro caro fotografo.
Sul posto del passaggio dei ciclisti il fotografo ci andò anche lui, con la sua sedia a rotelle munita di pedali che azionava energicamente con le mani.
Purtroppo, fu il suo ultimo servizio fotografico.
Seppi che al ritorno di quell'evento eccezionale, lungo la discesa che porta a Galatro, la sedia a rotelle seguita dalla calca dei ragazzini, andò a rovinarsi nella timpa dove il caro nostro fotografo ci lasciò, anche lui caduto sul posto di lavoro.

Nelle foto: in alto a sinistra Guerino De Masi oggi; sotto a destra da bambino.


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Sorbole (9.8.07) ANTICHE FIERE E GABELLE (di Guerino De Masi) - La fiera del paese vicino (Cincrundi? Ferlitu? o Preizzanu? non ricordo!) richiamava gli abitanti dei dintorni già in quei lontani anni.
Ricordo di esserci stato anch’io, portato da mia mamma e dai miei fratelli.
La strada era quella di campagna che permetteva di arrivare prima alla festa e, soprattutto, si viaggiava lungo le tenute e all’ombra degli alberi.
'Fristinache' Alla nostra sinistra un albero (che a me pareva gigantesco) aveva curiosi frutti che i miei dissero essere delle sorbole! Frutti che ho potuto rivedere su un albero solo alcuni anni fa in Toscana, ma che ora ornano il mio giardino a Velasca.
Alla fiera era tutto un groviglio di persone e merci esposte. Dai "pifferi" - fischietti di terra cotta a forma di uccellino da soffiarci dentro avendoli prima riempiti d’acqua - ai venditori di piatti che, con le loro "promozioni", sfidavano le leggi fisiche di resistenza meccanica sottoponendo il vasellame a dure prove che avrebbero convinto l’uditorio all’acquisto, alle verdure più belle che si potevano vedere sulle nostre tavole:
le "fristinache", quelle strane carote giganti dal gusto squisito;
le "patate dolci" che gustavamo come il più buon dolce che avessimo mai assaporato.
E i "mustazzoli", così dolci ma tanto duri! a forme e colori i più svariati.
Ma alla fiera, la mamma c’era andata soprattutto per acquistare delle sedie che ci servivano.
Ad acquisto fatto, sedie in spalla, si faceva ritorno verso Galatro.
Ma le sedie non venivano introdotte al paese di giorno! C’era u "daziu".
E da precursori dell’evasione fiscale..., eludendo "a guardia"... si andava di notte a recuperare quelle quattro sedie tanto utili per la casa e che erano rimaste nascoste nelle campagne d’intorno, perchè non si voleva che gravassero ancora di più sulle allora esigue finanze familiari con il pagamento di quell'iniqua tassa.

'Mustazzola'

Nelle foto: in alto a sinistra le "sorbole"; a destra le "fristinache" (carote); in basso i "mustazzola".


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La banda di Galatro nel 1928, diretta dal maestro Antonio Annetta. (13.8.07) LA BANDA E LA MUSICA A GALATRO (di Massimo Distilo) - Galatro ha una significativa tradizione musicale, tant'è che il numero di persone che, in forme professionali o amatoriali, si sono nelle varie epoche dedicate alla pratica musicale è abbastanza cospicuo.
Negli ultimi decenni si è registrata la presenza di un discreto drappello di musicisti, diplomati in diversi conservatori italiani, che si dedicano alla musica in modo stabile. Lo strumento più praticato è stato il pianoforte, ma esistono anche diplomati di clarinetto.
L'insegnamento del pianoforte ha visto la presenza nel nostro paese di diversi maestri che hanno istruito molti giovani nello studio dello strumento. Alcuni di tali giovani hanno poi continuato gli studi in forme istituzionalizzate, altri hanno proseguito l'attività privatamente praticando la musica in sedi e situazioni nelle quali si è creata l'opportunità. Qualche altro ha conseguito delle lauree musicali all'università coronando con un titolo accademico un percorso di studi strumentistico privato precedentemente seguito.
Insomma esiste a Galatro una varietà di attività musicali che da sempre è stata in auge. Oltre a pianisti e organisti, sono esistiti suonatori di mandolino - famiglie di veri virtuosi dall'orecchio e dalla tecnica non comuni - ed ottimi suonatori di chitarra; una varietà che va dai costruttori e suonatori di strumenti a fiato di tradizione popolare, ai suonatori di fisarmonica ed organetto; dai suonatori di tamburo, tamburello, grancassa, piatti o percussioni in genere, ai virtuosi del canto; fino ad arrivare ai suonatori di tutta una gamma di strumenti a fiato tipici dell'epoca in cui ancora nel nostro paese esisteva la banda musicale.
A Galatro si sono formati, in tale epoca, ottimi elementi che hanno dato lustro, oltre che alla banda del proprio paese, anche a complessi bandistici di altri centri vicini e lontani. Tra i virtuosi del clarinetto può essere citato Francesco Distilo che debuttava già nel 1904, a sei anni, con un brano per clarinetto piccolo in Mi bemolle e che sarebbe successivamente diventato uno dei solisti più validi della regione, invitato a suonare nei complessi bandistici più quotati.
Ma il numero di validi strumentisti che ha prodotto la banda di Galatro è stato comunque notevole fin dalla sua fondazione che si può far risalire al finire dell'Ottocento. Inizialmente la banda era municipale, sostenuta dal sindaco del tempo, Giovambattista Buda, ed era diretta dal maestro Giuseppe Mazziniani che aveva formato un organico di circa 30 elementi in grado di esibirsi anche nei centri vicini.
Due giovanissimi suonatori di tamburo e grancassa. Dopo un primo scioglimento per problemi di carattere burocratico, la formazione bandistica si ricompone grazie all'arrivo nel 1902, da Sant'eufemia d'Aspromonte, del maestro Micuccio De Angelis che mette insieme un discreto organico.
Nel frattempo, 1907, ritorna anche il maestro Mazziniani che costituisce una seconda banda. Si determina così una rivalità che finisce però per nuocere alla qualità musicale delle due formazioni.
Le due bande si riuniscono nuovamente in un'unica formazione subito dopo la prima guerra mondiale e il maestro Mazziniani ne assume la direzione costituendo un organico di circa 45 elementi che si esibisce con successo in molti centri delle province di Reggio e Catanzaro.
Dopo la partenza di Mazziniani nel 1925, la banda si risolleva nel 1927 con l'arrivo del maestro Antonio Annetta che, giunto a Galatro dopo esperienze di direzione bandistica in Argentina, costituisce un organico di ben 60 elementi che riscuote successi in tutta la regione fino alla morte del maestro avvenuta nel 1936.
Dopo un decennio di stasi, dovuto anche alla seconda guerra mondiale, la banda riprende vigore nel 1946, quando a dirigere il complesso viene chiamato il noto maestro Nicola Porzio che, con un organico di circa 45 elementi, conduce nel 1947 una lunga e fortunata tournée in Calabria e Sicilia.
L'anno dopo viene chiamato alla direzione Virgilio Colella che forma una banda di 55 elementi, pretendendo che tutti i componenti fossero diplomati. Oltre che dalla Calabria arrivano solisti da Napoli e dalla Puglia. Il successo ci fu, ma fu accompagnato anche dal totale dissesto economico e il 16 agosto del 1948, sul palco di Bagnara, in occasione dei festeggiamenti per San Rocco, la banda di Galatro diede il suo ultimo spettacolo. Ma, secondo la leggenda, non fu propriamente uno spettacolo musicale. Molti musicisti intendevano protestare per il mancato pagamento delle loro spettanze e sul palco di Bagnara, invece che le note di famose arie d'opera, sarebbero risuonati i colpi di strumento con i quali i componenti della banda se le diedero tra di loro di santa ragione, di fronte ad un attonito pubblico in attesa. Ognuno dei componenti della banda pare sia tornato a casa con mezzi di fortuna e il maestro Colella avrebbe abbandonato Galatro nella notte senza farsi mai più vedere, anche perchè probabilmente pressato dai creditori.
Così si chiude il capitolo della banda di Galatro, un capitolo che ha avuto degli indiscutibili momenti di successo e che di certo non meritava una fine così ingloriosa. Forse è per questo motivo che da quasi cinquantanni nessuno ha più tentato con convinzione di formare nuovamente una banda musicale a Galatro e quasi nessuno dei giovani che si avvicinano alla musica, sceglie di suonare strumenti a fiato.
Ma i tempi cambiano e probabilmente sarebbe ora di vedere le cose sotto un'altra ottica.

Nelle foto:
in alto, la banda di Galatro intorno al 1928, quando era diretta dal maestro Antonio Annetta visibile nel cerchio centrale;
in basso, due giovanissimi suonatori di tamburo e grancassa in occasione di una festa religiosa.

Fonti bibliografiche:
C. Carlino / C. Caruso, Le bande musicali in Calabria, Gangemi Editore, Roma / Reggio C., 1985


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(20.8.07) AMICI DI 'NA VOTA (di Salvatore Panetta) - Ciao a tutti, sono Salvatore Panetta detto "u Renna", vorrei rispondere alla poesia di Giuseppe Ocello detto "u Cannuni" dedicata a noi suoi amici. Questa breve mia poesia è dedicata agli amici di sempre, gli amici di un bellissimo rione, "La Crucivia", un antico quartiere di Galatro.

Amici di 'na vota

Cari amici da crucivia
mo vi scrivu na bella poesia.
Cu' vi scrivi è Turi Garidha (u Renna):
purtroppu a vita ndi portau luntanu,
mu si sparti a vecchia mularia,
ma lu passatu sempri affiora
nta lu ceravedu nostru,
quandu nta la Crucivia
tanti arrisati si facìa.
Ricordu cu tantu affettu e simpatia
chidha bellissima cumpagnia,
cu Peppi Ocellu dettu u Cannuni,
Biagio Cirillu dettu u Merlu,
cu tutti i frati soi.
Turi i Ciunna e fraisa Peppi,
Muntagna e fraisa Melu,
Ntoni Sorianu e fraisa Manueli,
e non pè ultimu Cheli Sorrenti figghiu i Vitu.
Chi mularia spenserata,
tra na gridata e n'arrisata.
Mo vi salutu a tutti amici mei.

Saluti da Salvatore Panetta


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(30.8.07) L'ILLUSORIETA' DEL LIBERO ARBITRIO (di Guerino De Masi) - “Con la volontà si può ottenere tutto” ovvero: volere è potere!"
Ho letto alcuni mesi fa l’
articolo di Francesco Zoccali sul tema del libero arbitrio ed allegato approfondimento.
A seguito del suo ultimo intervento sull’ottimismo della volontà nel quale fa riferimento al suo scritto del 2001, mi sono finalmente deciso ad intervenire a mia volta, pur con i miei limiti, senza voler competere con la preparazione culturale dell’autore dei sopraccitati articoli a cui vanno il mio rispetto e stima per quanto con competenza ha espresso.
Nessuno oramai si stupirà se nei miei interventi mi rifaccio alla Bibbia. Non potrei fare altrimenti e lo Zoccali ha giustamente fatto riferimento sin dalle sue prime frasi al dibattito teologico, prima ancora che filosofico, fino ad arrivare alla fisica quantistica, ultima frontiera scientifica.
Ci è noto, mi pare, che la Nobel Montalcini si dichiara “non credente” (nel senso comune del pensare religioso) come pure lo era Einstein. Pertanto, non mi aspetto da loro qualcosa che possa in qualche modo collegarmi alla fede ed alla fede in Dio che crea l’uomo libero di ubbidirgli e ciò sin dall’Eden.
Se è vero, com’è vero, che l’uomo è condizionato sin dall’infanzia, ed oserei dire prima ancora della sua nascita, è vero anche che ognuno è responsabile delle proprie decisioni e scelte nell’arco della sua vita.
Quando qualche tempo fa abbiamo discusso dell’uomo ad immagine di Dio (a somiglianza di Dio). In quella occasione ricordavo che è peculiarità della persona di Dio, e dunque dell’uomo che è a sua immagine, la facoltà di pensare, esprimere sentimenti e dunque di scegliere in quanto persona. Se tali caratteristiche non sono riscontrate nell’uomo, abbiamo dunque davanti qualcosa che non “assomiglia” a Dio.
E’ vero anche che, sulla base del Touring, la macchina tende ad imitare la mente (perlomeno gli studiosi ricercano in tal senso); non mi trovo comunque in sintonia col pensare che l’uomo abbia un programma “predefinito” al quale non può sfuggire, perché tale pensiero elimina ogni sua responsabilità d’azione e dunque non sarebbe nient’altro che una macchina!
Sin dalla Genesi, primo libro della Bibbia(1), Dio che ha messo l’uomo (e la donna) nel giardino di Eden, chiede che si mangi di tutto fuorché dell’albero della conoscenza del bene e del male posto in centro al giardino. Impensabile dunque che Adamo ed Eva non avessero avuto alcuna alternativa che l’ubbidire. Difatti, la loro disubbidienza trascinò il genere umano in questa disavventura del mondo in cui regna il peccato!
In ultima analisi, l’uomo “scelse” di “non ubbidire” a Dio. Fidandosi delle insidie del “nemico delle nostre anime”, “scelse” invece il suo nuovo “signore”, il serpente antico, satana, che non manca di condizionare l’umanità tutta, per mantenerla sotto la schiavitù del “suo volere” malvagio.
La prima promessa biblica di un salvatore si trova anch’essa in questo primo libro(2): ...la sua progenie ti schiaccerà il capo... Preannuncio dell’incarnazione di Dio in Gesù che avrebbe vinto il maligno per ridare a l’uomo “la libertà di scelta perduta in Eden”, e con essa l’invito a riceverlo di nuovo prima come Salvatore ed infine come Signore.
Vi è un altro brano nella Bibbia, nel Vecchio Testamento(3), che chiaramente invita a “scegliere”: ...ho messo davanti a te la vita e la morte, scegli la vita... diceva il Profeta da parte di Dio. Un tale invito sarebbe senza senso se nell’uomo non ci fosse alcuna possibilità di scelta.
L’invito si estende in tutto il Nuovo Testamento fino all’ultimo dei libri che è l’Apocalisse. Nella sua conclusione(4), l’invito ad aprire il cuore al Signore (ed anche qui non avrebbe senso senza questa benedetta possibilità di scelta che Dio ci dà) dicendo ...ecco, sto alla porta e busso, se qualcuno aprirà io entrerò e cenerò con lui ed egli con me...
Rimane pur vero che la Bibbia parla dell’elezione divina e per questo basti un testo per tutti, quello di Paolo ai Romani(5) che sembrerebbe una chiamata arbitraria di Dio alla quale l’uomo non potrebbe sottrarsi (questa è la posizione calvinista “estrema”, quando parla dell’elezione incondizionata), ma ad una attenta analisi si delinea come la chiamata ed elezione divina è relegata al servizio piuttosto che alla salvezza. Questa elezione, o chiamata, è collegata alla preconoscenza divina più che al servo arbitrio di Agostino ed i suoi seguaci estremisti.
Il messaggio biblico pone sempre la responsabilità dell’individuo nell’accettare o nel rifiutare il Vangelo che è salvezza e potenza di Dio per chiunque crede(6). Mai e poi mai, la bibbia pone l’uomo sotto una cappa d’imposizione sia per ubbidire al Signore che (e tanto meno) per credere in Lui. Sempre, sin dalla nascita della chiesa del Nuovo Testamento, l’invito che Gesù prima(7) e gli apostoli dopo(8) hanno fatto agli uomini fu ed è: ravvedetevi, convertitevi, e credete al vangelo.
Se l’uomo fosse nell’impossibilità di scegliere, tutto il vangelo e la sua storia millenaria non sarebbe altro che un bluff, una presa in giro, ed una illusione che ben presto sarebbe stato smascherata. Gloria a Dio perché non è così. Da più di duemila anni, uomini e donne hanno scelto di credere in Gesù per il perdono dei loro peccati, per la loro salvezza eterna e per un ritornare al Padre Celeste che nel suo amore trascendente li ha creati “liberi di dire sì” e concludere con le ultime parole di Apocalisse(9): Amen vieni Signore Gesù.

Note:
(1) Genesi 3:3
(2) Genesi 3:15
(3) Deuteronomio 30:19
(4) Apocalisse 3:20
(5) Romani 8:29,30
(6) Romani 1:16
(7) Marco 1:15
(8) Atti degli Apostoli 2:38
(9) Apocalisse 22:20


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Francesco Zoccali (4.9.07) ANCORA SU LIBERO ARBITRIO E DINTORNI (di Francesco Zoccali) - Voglio ringraziare innanzitutto Guerino che ha avuto la pazienza e l’interesse di seguire le mie argomentazioni circa questa istanza, il libero arbitrio, che è una questione vecchia come l’uomo ed ha una così grande rilevanza da essere stata, tra l’altro, posta come cardine fondamentale della religione cristiana e non solo. Capisco bene che il nostro ‘essere’ si ribella tout court di fronte ad una espressione come quella che dichiara l’illusorietà del libero arbitrio ma la finalità dell’intelletto e della razionalità è quella della ricerca della verità vera senza misticismi ed inganni di alcun tipo anche a costo di scardinare visioni che sono state per millenni e sono tutt’ora alla base della coscienza e dello schematismo della mente umana.
E’ sempre necessaria, come diceva il nostro filosofo meridionale Giordano Bruno, una ‘morale eroica’, un comportamento pronto ad andare anche contro il senso comune per potersi liberare da ataviche convinzioni che potrebbero essere false. Giordano Bruno continuò ad asserire ostinatamente che è la Terra a ruotare intorno al Sole, sostenendo la tesi copernicana, ponendosi contro ciò in cui credevano tutti ed anche contro la Chiesa che voleva la Terra come sito eletto da Dio per l’uomo e che quindi doveva essere perfetta ed al centro dell’universo intero. Giordano Bruno pagò con la vita l’aver sostenuto con forza la sua tesi, contrariamente a quanto fece invece Galilei che abiurò, e fu arso al rogo quale eretico dalla stessa Chiesa per opera del ‘Santo Uffizio’. Oggi pure i bimbi sanno che è la Terra a ruotare intorno al Sole ma questa conoscenza non ci è derivata dall’opera di Dio ma dall’operosità dell’intelletto che si è spinto oltre il comune senso di ‘guardare’ ed oltre quanto asseriva pervicacemente la Chiesa.
Il libero arbitrio, come sicuramente tante altre convinzioni umane, in quanto tali, non sono assolute e quindi sono passibili di rettifiche ed infatti sono state spesso modificate se non sovvertite. Non dimentichiamo ad esempio l’altra rivoluzione del comune senso del fluire del tempo che ci è pervenuta dalla genialità di Einstein attraverso la sua concezione della relatività del tempo e dello spazio.
Guerino, come sicuramente tanti altri lettori, giustamente si pongono la domanda: ma che senso avrebbe una esistenza umana pre-programmata? Ebbene, io ribadisco che invece non ha senso quello che l’uomo pensa del fatto di considerarsi una macchina, ha senso invece cercare la verità a qualunque costo, anche a costo di doversi considerare una semplice misera macchina! Perché l’uomo deve continuare a porsi di fronte a sé stesso ed agli altri come un essere perfetto, un semidio, e non riesce a vedersi quale egli è? Un semplice misero animale sociale che in questa era particolare della tecnologia si sta, tra l’altro, distruggendo con la stessa? Perché non riesce nemmeno ad immaginare di poter essere (al limite) una semplice misera macchina?
D’altronde c’è comunque da sottolineare che nelle mie argomentazioni non ho mai asserito che l’uomo è completamente privo di libero arbitrio (potrebbe anche esserlo) ma ho detto che questo è molto ma molto più limitato di quanto si possa comunemente arguire. Ma perché, ci si potrebbe chiedere, l’uomo, essendo un robot, ha la coscienza nitida di autodeterminarsi? E qui la risposta, o meglio una probabile risposta, ci viene ancora dalla scienza ed in particolare dalla teoria della evoluzione di Darwin. Se l’uomo fin dalla notte dei tempi avesse avuto la coscienza netta di essere un robot egli avrebbe perso da tempo il suo entusiasmo per la vita ed il suo istinto di autoconservazione e la sua esistenza sarebbe stata già spenta probabilmente. Se in passato è esistito un uomo che ha pensato di essere una macchina probabilmente sarà stato quantomeno depresso e la Natura con l’evoluzione naturale propria non l’ha favorito, né lui né la sua progenie. Quindi l’ipotesi avanzata e percepita da quest’uomo è morta sul nascere.
Se invece vi è stato, come vi è stato, un uomo in cui, ad un certo punto della storia dell’umanità, è emersa la coscienza che egli è libero di decidere, ebbene, ciò lo ha portato ad essere più entusiasta della vita, più voglioso di operare e prolificare e ciò è stato favorito dal meccanismo, un po’ perverso, per certi versi, della evoluzione naturale. Questo secondo uomo di cui parlo è esistito, ha vissuto meglio, ha prolificato ed ha dato origine a noi tutti e noi tutti ci ritroviamo con questa sensazione della libertà decisionale codificata nei nostri geni.
Insomma, il nostro libero arbitrio potrebbe essere un meccanismo che si è creato ad opera della evoluzione naturale per garantire il perpetuarsi della specie umana. Ma questo non significa che lo stesso uomo, per mezzo del suo intelletto, non lo possa quantomeno criticare, nel senso di ‘giudicare’, darne un ‘giudizio razionale’ e tentare di vagliarne la veridicità mettendola perlomeno in dubbio.

Circa le argomentazioni che Guerino avanza a sostegno della realtà del libero arbitrio dico semplicemente che, mi dispiace, ma rifiuto drasticamente il confronto in quanto si basa su un preconcetto, quello dell’esistenza di un Dio buono, onnisciente, onnipotente, provvidenziale, ecc. (chi più ne ha più ne metta), che non hanno alcun sostegno come dimostrazione logica quindi non degne di essere prese in considerazione nemmeno come trampolino di partenza per una qualsivoglia congettura basata sui rigidi canoni della logica formale e della scienza.
E non dimentichiamo che quello che siamo diventati lo dobbiamo alla scienza e non a un presunto Dio: mi si obbietterà che anche la scienza ci è data da Dio ma, se ciò è vero, c’è da considerare che la scienza (fornita da Dio) si è mossa sul sentiero della critica al libero arbitrio e quindi ciò significherebbe che sarebbe lo stesso Dio che sta mettendo in guardia l’uomo circa l’attendibilità di questo concetto troppo presuntuosamente ed irrazionalmente dato per certo!

Bene, detto ciò, ho voglia ora di mettere un po’ da canto la parte razionale che palpita spesso in me con veemente bramosia di ricerca e verità per lasciare libero spazio al cuore che pure palpita con tanto calore. E torniamo dunque alla nostra piccola Galatro sebbene ben lontana dalle questioni che riguardano l’universo e oltre.
Mi ha procurato una non lieve emozione l’occorrenza che Guerino De Masi dopo tanti anni di lontananza da Galatro abbia via via riconquistato i suoi ricordi di adolescente in un crescendo di nostalgia che lo ha riportato quest’anno nel suo paese natìo. Le esperienze, i luoghi, le passioni che avevano determinato la sua gioventù si sono rinverdite d’incanto e lo hanno condotto per mano, non senza una lacrima che sicuramente è corsa calda lungo il suo viso, a riappropriarsi di ciò che aveva un po’ perso. Quella lacrima si è ahimè moltiplicata nel vedere la situazione attuale di una realtà che tarda a cambiare in maniera drastica e sta scorrendo in un fiume assieme a tante altre di tanti altri meridionali che devono, loro malgrado, dopo le loro esperienze altrove, riconoscere in maniera nitida che il luogo in cui sono cresciuti, in cui hanno cominciato a maturare le basi del loro essere persona, è semplicemente al di fuori del mondo.
Un impulso di rivalsa, a reagire, a scuotere le coscienze si è impossessato di lui con la passione del buon meridionale e con l’entusiasmo del ‘fare’ tipico delle genti nordiche portandolo, tra l’altro, ad organizzare il raduno di emigrati e galatresi alle terme. E ciò rappresenta bene quanto ho già detto circa la risorsa dei nostri emigrati come fonte di impulso al nuovo.
Ho esperienza personale, nel mio piccolo, di più persone che tornate dal Nord o dall’estero hanno manifestato la loro operosità con voglia di agire e con una carica di industriosità che qui da noi è spesso carente e puntualmente ho visto crollare questa energia nel nulla dopo un breve periodo di permanenza degli stessi in questo ambiente che risulta deprimente in tal senso. Eh si! Purtroppo pare che sia l’ambiente sociale intorno ad un individuo che lo determina abbastanza incisivamente nelle sue azioni ed emozioni (altra lancia spezzata a sfavore del libero arbitrio).
A quanto pare è tutto o gran parte dell’ambiente che dovrebbe cambiare all’unisono affinché l’energia rinnovativa del singolo si possa esprimere, manifestare e determinare. E tale cambiamento a quanto pare è destinato a Galatro come in tutto il Meridione a passare attraverso, non gli anni come dovrebbe, ma i secoli. Le menti fertili ed industriose ai quali pure il Meridione contribuisce a dare la genesi sono costrette ad andare via lasciando qui il marcio se non l’inutile che tende ad ingenerare altro marcio ed altro inutile che ostacola il normale seppur lento progredire. La gente è rassegnata ma continua a restare aggrappata a questa terra come fosse l’ultimo lido prima del baratro più abissale. E nessuno, a quanto pare, si accorge che dovrebbe essere lui in prima persona a staccare la spina col passato ed affrontare con coraggio il nuovo per smuovere il pantano.
Non vorrei concludere con sole e tutte note negative ma è questo che la maggior parte della gente dovrebbe capire, seppur con dolore, seppur con sofferenza, e cominciare ad adoperarsi per cambiare in prima persona e per creare assieme a tanti altri quell’onda travolgente che la nostra terra brama pietosamente, in ginocchio, piangendo, pregando, dimenandosi, da tempo ormai immemore!

Nella foto: Francesco Zoccali

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L'avv. Bruno Zito (7.9.07) CERIMONIA DI PREMIAZIONE PER BRUNO ZITO - Nella splendida cornice di Palazzo Baldari a Gioia Tauro si è svolta qualche giorno fa la cerimonia di premiazione per i vincitori della XIV edizione del premio "Calabria America". Come già da noi annunciato tempo fa, con grande soddisfazione per la nostra Redazione, tra coloro che si sono fregiati quest'anno della prestigiosa statuetta c'è l'avvocato Bruno Zito, di origine galatrese, nostro collaboratore da Buenos Aires.
Il riconoscimento, ideato e fondato dal maestro Mimmo Morogallo, è assegnato annualmente alle più significative espressioni professionali tra i calabresi all'estero e anche a coloro che nella propria terra si sono distinti nell'ambito della cultura, dell'arte, dello sport e delle professioni.
Molto numeroso il pubblico presente alla cerimonia alla quale hanno presenziato, oltre al maestro Morogallo, il sindaco di Gioia Tauro, Giorgio Dal Torrione, ed altre importanti personalità.
Al momento della consegna del premio, l'avvocato Bruno Zito, titolare di uno dei più importanti studi legali di Buenos Aires, ha dichiarato: "Non scorderò mai Galatro; quello con la Calabria è un legame per me indissolubile".
All'avv. Zito rinnoviamo i più fervidi auguri!

Nella foto: l'avvocato Bruno Zito, vincitore del premio Calabria America 2007.

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(8.9.07) NON MI SOTTRAGGO AL CONFRONTO (di Guerino De Masi) - Sul libero arbitrio
Non mi aspettavo che il mio scritto fosse unanimemente condiviso, pertanto, non mi meraviglio della
risposta di Francesco Zoccali. Il confronto sulla questione del libero o servo arbitrio ha visto colti e preparati uomini confrontarsi nei secoli (vedi per es. Erasmo da Rotterdam e Lutero) e non capisco perché Zoccali dichiari di rifiutarne drasticamente il confronto perché secondo lui mi baso sul preconcetto dell’esistenza di un Dio buono!
Presunta esistenza (a parer suo) non sostenuta da dimostrazione logica o da congiuntura di logica formale e scientifica e pertanto indegna di essere presa in considerazione.
Tale scelta di posizione optata dallo Zoccali, e che rispetto pur non condividendola, richiede una “fede” che a mio parere supera di gran lunga la fede del credere in Dio.
In effetti non è poca quella (la fede) da applicare per credere che il nostro libero arbitrio si sia “creato” ad opera dell’evoluzione! (Darwin)
Una evoluzione “naturale” che con il suo meccanismo avrebbe favorito in quel secondo uomo l’emergere ad un certo punto di una coscienza di libertà di decidere facendolo vivere meglio, prolificando e dandoci oggi questa “sensazione” di libertà decisionale oramai codificata nei nostri geni!
Il verbo "barà" (“creare”) è un verbo unico.
Utilizzato solo in Genesi e con un unico soggetto: Dio.
Dio crea dal nulla (barà ex nihilo). Nel principio Iddio creò il cielo e la terra (Genesi 1:1). Verbo assolutamente “impossibile” all’infuori di Dio creatore se consideriamo la prima legge di termodinamica che dichiara che “nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”.
Io credo in Dio che crea dal nulla, senza alcun supporto tecnologico o materia prima. Egli crea, non trasforma.
Credo in Dio, non “presunto” ma “reale”, per chi accetta la sua rivelazione, che si avvicina all’uomo che è sua creatura.
Non lo si dimostra. Sfido comunque la dimostrazione della sua non esistenza!
Quanto alla “teoria” evoluzionistica Darwiniana (fortunatamente così chiamata dal mio interlocutore e non definita scienza come tanti arditamente affermano), anch’essa deve fare i conti con la legge della termodinamica, la seconda, che recita: tutto invecchia, tutto deperisce.
E’ l’Entropia, questa brutta bestia, che fa tanto paura perché ci dice che ogni energia utilizzata si appiattisce e non sarà mai più utilizzabile. Questa Entropia che ci costringe a fare i conti con essa quando valutiamo il rendimento di qualsiasi macchina ad energia. Questo rendimento non raggiunge mai 1, ma 0,90 nei casi più fortunati.
Però è questo che viene affermato con l’evoluzionismo di Darwin (che comunque dubitava se fidarsi o meno della sua umana logica in quanto derivata dall’evoluzione), che il rendimento sia superiore a uno.
Cioè l’evolversi migliorando delle cose.
Ci vuole tantissima fede!
Basti pensare alla complessità dell’unicellula, che di gran lunga supera quella dei nostri migliori e sofisticati meccanismi automatici, per almeno dubitare che l’evoluzione abbia combinato tale apparizione per caso!
Se passeggiando in piazza Matteotti trovo un cronometro ultracompleto con calendari e quadranti i più svariati, dunque di gran valore, non penserò che le molecole si siano per puro caso assemblate fino a comporre questa meravigliosa tecnologia, ma penserò che appartenga a qualcuno e che ci sia stato un costruttore, almeno per la marca che vi è riportata! (Il paragone non è esagerato, mi vengono in aiuto studiosi biologi e ricercatori medici. L’unicellula è forse un più semplice meccanismo dell’orologio?)
Giordano Bruno che si rifece a Copernico, come pure Galileo, Keplero ed anche Isaac Newton, hanno applicato quella scienza che è intrinseca nella creazione e che il ricercatore scopre ma non inventa (vedi Zichichi nel suo libro: Perché credo in Colui che ha fatto il mondo).
La Chiesa, quella Cattolica Romana, medievale, prima ancora di mettere sul rogo Giordano Bruno, aveva nel secolo precedente messo all’Indice, e dunque come libro proibito, lo scritto di Copernico perché non “geocentrista” ma ben “eliocentrista”.
Ma è la Chiesa, quella Cattolica Romana, quella delle Sante Inquisizioni, quella delle Bolle, dell’Indice, che si opponeva a queste menti geniali che scoprendo le leggi del creato dissentivano dai suoi ciechi e per nulla cristiani dogmi. Non c’entra Dio e la Sua rivelazione che è la Bibbia Parola del Signore e colui che crede in Lui.
Le espressioni che troviamo nella Bibbia, e quelle a proposito del sole in rapporto alla terra, non sono per nulla in opposizione alla scienza, ma normali espressioni del parlare, tali e quali a quelle di oggi quando parliamo del tramonto!
Ogni buon ricercatore scientifico sa che ciò che abbiamo scoperto nella natura, il creato, è così insignificante di fronte a quanto ancora ignoriamo. Chi sa dire cosa c’era prima del Big Bang? Cosa c’è oltre gli Universi? Dov’è l’inizio? Dove la fine? Perché? Perché noi che siamo animali pensanti ci troviamo a riflettere su questo? Quante risposte ancora ci mancano?
Di fronte ai suoi interlocutori Giobbe dovette dire: Ma a chi credete di parlare? Le cose che affermate le so anch’io. Ma della vastità del Suo creato, non ne percepiamo che un lembo (alcune traduzioni danno: una frangia) e del fragore della Sua opera, non ne percepiamo che un sussurro (Giobbe 26: 4-14).
Dico questo perché ritengo che, a torto, alcuni pensano che in quanto credente e credente in Dio creatore, io non possa applicare la logica tanto decantata e relegata, pare, solo a chi mette da parte Dio e la fede in Lui, pensando di avere strumenti più alti e razionali essendo scientifici e dunque degni (loro sì) di avere opinioni e pareri che contano e dunque confrontabili.
Da animale pensante e sociale, ho anch’io una logica che applico in ogni campo del pensare e dell’agire. Affronto e confronto pareri, idee, opzioni per giungere ad un risultato che collimi con una logica, la mia logica.
Pur non negando neanche io che il condizionamento in un certo qual modo ci tocca tutti, e dunque non mi cristallizzo su una definizione strettamente dogmatica del libero arbitrio (in ogni modo divergendo dall’idea di macchina preprogrammata), affermo comunque la responsabilità individuale delle nostre scelte personali e collettive così come trovo nella lettura, lo studio e l’applicazione a me stesso della Bibbia che è Parola di Dio e dall’analisi che riesco ad effettuare nel mio piccolo quotidiano di artigiano, padre di famiglia e cittadino del mio paese, l’Italia, dove spero perduri uno stato di diritto. Diritto che presuppone la libertà di scelta e di pensare.
E’ con questo spirito che mi addentro nelle riflessioni riguardanti Galatro e le problematiche affrontate in questo sito che così calorosamente ci ospita.

I miei incontri a Galatro
Ma passiamo al mio breve soggiorno a Galatro.
Sì, le emozioni furono tante tornando al mio caro vecchio paese.
Senza la “Raffaella Nazionale”, ho finalmente incontrato, dopo esattamente cinquantanni, il mio amico di prima infanzia, Vincenzo Fazio, che saluto ancora con piacere (Carramba che sorpresa!...)
Se non ci sono state calde lacrime, profondi ed intensi sentimenti mi hanno accompagnato in quei pochi giorni e continuano ad occupare i miei pensieri.
Con piacere ricordo gli incontri fatti:
- Prima persona incontrata quella prima mattina davanti a quella che era la mia casa.
- Maria Simari “guardafili”, la cara signora vedova di Giuseppe Marazzita, nostra da sempre vicina di casa, mamma di “Nicolino”, sorella di Giuseppe vigile in pensione!
La cena in casa della figlia e quelle stragustosissime melanzane ripiene.
- Il Signor Maurizio, che ci riceve alle Terme. Lui che mi ha incuriosito sin dalle prime telefonate fatte per informazione. Sempre presente. Sempre disponibile. Sempre cordiale e gentilissimo ma con uno sguardo perennemente malinconico assorto nelle innumerevoli occupazioni e preoccupazioni dell’hotel.
- Biagio Cirillo, ovviamente, e tutta la cara famiglia d'a “crucivia”. Le buone conversazioni con la sorella ed il marito. I suoi attivissimi fratelli di Bolzano. E la tarantella ballata con Biagio alle Terme.
- Michele Scozzarra, avvocato che dapprima mi smontò dicendomi che la mia venuta a Galatro avrebbe inquinato (alterato) i miei genuini ricordi, ma che poi si dimostrò essere una squisita persona con la quale la conversazione fu ricca per la sua disponibilità al dialogo ed all’ascolto.
- Il medico Lucia, attento osservatore e suggeritore di prospettive future per il paese.
- La visita a casa Distilo, chiedendo del Dott. Domenico, assente, ma l’incontro con la sua stimatissima mamma, la prof. sig.ra Messina, il nostro breve dialogo ed il suo regalo di una vecchia edizione di poesie.
- E che dire del “tabacchino” Callà, del barista Juventino “Eurobar”, dell’altro barista figlio della sig.ra Sgrizzi, del prof. Galluzzo, di Pino membro della chiesa evangelica, del sig. sindaco Panetta, del geom. Alfredo Distilo e del “postino” mio caro cugino Nicola Pettinato che ci ha dedicato tanto del suo tempo e della sua cara mamma.
Parlare poi e ancora degli altri miei cugini: Domenico Mannella, figlio di mia Zia Rosa, sorella di mia mamma, la sua famiglia con tutti i nipotini... là sì ci fu qualche calda lacrima. Biagio (Biasi) Pettinato incontrato fortuitamente a Plaesano mentre con mia moglie degustavamo un gelato nella piazzetta. A Rosarno, gli altri miei cugini Mannella, Pepé e le loro care famiglie. E finalmente una capatina a S. Ferdinando ad incontrare mio fratello maggiore Domenico in vacanza con famiglia.
Non mi sono prefisso altro, venendo a Galatro questa estate, che di rivivere i miei dolci vecchi ricordi. La realtà mi ha catapultato nel grande bisogno che c’è e che mi coinvolge sentimentalmente pur non avendo alcun interesse personale.
Sarà pure, come dice Francesco Zoccali, che il mio è il “fare” tipico delle genti nordiche, ma quello che sento da quando visito il sito, e soprattutto dalla mia ultima vacanza, è questa passione dettata dall’amore per il mio caro paese natio.
Ed in conclusione, tornando alla questione Galatro, ribadisco la necessità, secondo il mio punto di vista, che i singoli si diano una mossa! E su questo concordo pienamente su quanto ha detto il nostro Francesco, per creare quell’ondata travolgente che la nostra terra brama assieme a tanti altri che avranno questa agognata visione.
Con rispetto saluto calorosamente Francesco Zoccali che mi ha dato anche questa volta lo spunto per esprimermi e la Redazione per lo spazio offertomi.

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Nicola Sergio Michael Rosen (7.10.07) IL GRADUS TRIO DI NICOLA SERGIO A POLISTENA - Appuntamento importante per gli appassionati di musica jazz. In occasione dell'Autunno Jazz di Polistena Sabato 27 Ottobre, alle ore 21.00, all'Auditorium Comunale, sarà di scena il Gradus Trio, reduce da una serie di successi riscossi in tutta la penisola.
Del trio fa parte il pianista galatrese Nicola Sergio, che da qualche tempo ha deciso di vivere a Parigi, e che si sta gradualmente e sempre più solidamente affermando nel campo del jazz, genere musicale che negli ultimi anni sta letteralmente spopolando, soprattuto fra le giovani generazioni.
Nella serata di Polistena il trio - che ha come suoi componenti oltre a Nicola Sergio al pianoforte, Igor Spallati al contrabbasso e Alessandro Paternesi alla batteria - avrà come ospite il famoso sassofonista di origine londinese Michael Rosen che in questa occasione ha scelto di esibirsi insieme ai tre artisti italiani, il che la dice lunga sulla qualità musicale dei tre giovani musicisti.
Dunque, a distanza di un bel po' di anni, Nicola - che ha iniziato i suoi studi a Galatro con Massimo Distilo - torna a suonare all'Auditorium di Polistena. In quella sala si era già esibito da ragazzino, sbalordendo il pubblico con una vertiginosa Marcia Turca di Mozart. Una bella soddisfazione anche per il nostro paese che un giovane talento musicale si affermi ad ottimi livelli.

Nelle foto: a sinistra il pianista galatrese Nicola Sergio; a destra il sassofonista angloamericano Michael Rosen.


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Aldo Cordiano: Chianalea di Scilla (24.11.07) I COLORI DI ALDO CORDIANO (di Michele Scozzarra) - Ricordo ancora la stanza che, negli anni Settanta, fungeva da Studio al giovane pittore Aldo Cordiano: allora mi capitava spesso di sedere sulle sedie sporche di colore, che facevano da cornice alle decine di tele sparse un pò ovunque nella stanza-laboratorio, per assistere, in un incanto misterioso, al suo lavoro, alla grande magia che si percepiva nell’assistere, in diretta, alla sua espressione artistica che è stata sempre la sua grande passione: la pittura.
Aldo Cordiano è nato a Galatro nel 1956, è sposato ed è padre di due figli, prima di lavorare come impiegato presso il Comune di Galatro, ha conseguito il diploma al Liceo Artistico “Mattia Preti” di Reggio Calabria, dove è stato allievo di Luca Monaco e di Ugo D’Ambrosi.
La pittura di Aldo Cordiano si esprime in termini prevalenti nella tempera, che è una tipologia di lavoro particolarmente difficile: trattare la tempera, infatti è molto difficoltoso, perchè questa crea dei colori molto strani, che devono essere studiati molto bene prima dell’impiego e, solo un sapiente estro creativo riesce a conciliare, infatti i colori delle sue tele materializzano dei momenti che sembrano sfuggire alla pianificata, e piatta, realtà di tutti i giorni. La stessa natura, colta nella sua accezione poetica, rappresenta per il Cordiano, un rifugio dove assaporare insieme alla ricerca del globale, soprattutto, la bellezza del particolare.
Uno studio particolare sulla natura sembra suscitare nel nostro Artista un fascino eccezionale, che traspare in tutte le sue opere, come lui stesso ci tiene a sottolineare: "l'attenzione sulla natura, ed un lavoro particolare sulla natura, mi è sempre risultata stimolante... Non tanto un lavoro sul paesaggio, perché quando io incomincio a lavorare, non mi metto lì a copiare o, semplicemente, cambiare i colori... ma, i luoghi della mia espressività sono creati dalla mia immaginazione che cerca di andare oltre quello che vedo, gioca con i colori, e crea effetti particolari che, magari, si gustano e si vivono in un solo istante, nell'arco di tutta la giornata. Non è detto che una pietra non possa essere colorata... oppure il mare non possa essere verde, anziché azzurro... Queste non sono cose tanto irreali, inventate da me".
Aldo Cordiano: Fondale marino La sua ricerca di perfezione, i suoi stupendi quadri e le tematiche di ampio respiro che riesce a far emergere dalle sue opere, danno la misura dell'artista, del suo tentativo di ricerca non dovuto semplicemente alla tecnica, ma a quel profondo bisogno di trasmettere valori sapientemente profondi e significativi, acquisiti attraverso una cultura artistica matura e decisa.
Aldo Cordiano ha fatto di tutto: dalla pittura alla scultura, dalla grafica pubblicitaria a qualche copertina di giornale e, grazie all'insegnamento ed all'attenzione di maestri del calibro di Luca Monaco ed Ugo D'Ambrosi, ha potuto avere un'educazione artistica ed accademica non indifferente, acquisendo un bagaglio artistico che consente, davanti ad un suo lavoro, di capire subito di non trovarsi davanti all’opera di un autodidatta.
Se gli chiediamo da dove parte, da cosa trae origine la sua pittura, così ci risponde: “Non faccio nessuno schizzo preliminare, vado direttamente sulla tela: tutto quello che viene fuori, parte da una linea grafica che esce spontaneamente: è un unico taglio con colori forti e vivaci. Tutto questo, con la padronanza della scelta dei colori, per ottenere i risultati che mi sono prefisso”.
Parte delle opere di Aldo Cordiano sono distribuite in tutta Italia: nella sua catalogazione si contano più di 400 opere, non esiste Regione della nostra Penisola che non ospita dei suoi lavori, nonostante abbia fatto pochissime mostre e la diffusione delle sue opere sia avvenuta solo "per conoscenza diretta" da parte di persone che, conoscendo il valore dell’artista e delle sue opere, ne hanno fatto direttamente richiesta. Anche se, è doveroso aggiungere, come tante volte, ai fini di lucro ha preferito fare della beneficenza. Qualche anno addietro, finanche al "Meeting per l'Amicizia fra i Popoli", che si tiene a Rimini ogni estate, è stata esposta una sua opera, che poi è stata venduta, devolvendo il ricavato in opere di bene.
Certamente il Cordiano ha una sua personale visione delle cose, con una fertilità di immagini molto vicina alla laboriosità della nostra gente di Calabria: "Sono molto legato alla nostra realtà ed, in particolare, alla cultura meridionale, che si ritrova in molti miei lavori, ci dice l'Artista, ad esempio, l'ulivo, che possiamo definire come la pianta simbolo della nostra terra, l'ho sempre rappresentato in forma umana...".
Questa grande fertilità di immagini, presente in ogni opera dell’artista, sboccia nella sua pittura la forza prorompente del suo sentimento e della sua sensibilità, sempre pronta a cogliere nei fenomeni naturali, che vuole mettere in risalto nelle sue opere, quel fascino misterioso che ha sempre incantato l'uomo fin dalle sue origini: i suoi colori sono il simbolo di un'emozione segreta che gli consente di andare ancora più a fondo nella realtà, per capire, conoscere e dare rilievo ad una piccola e sconosciuta cronaca, per farne Storia.

Nelle foto due opere di Aldo Cordiano: in alto "Chianalea di Scilla" (tempera su tela cm 50X70); in basso "Fondale marino" (tempera su tela cm 50X70).

Per visualizzare altre opere del pittore galatrese consulta la sezione
Quadri del nostro Mercatino.

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(17.12.07) LA NEVE E I PARACADUTISTI (di Guerino De Masi) - La mia prima volta con la neve
Non ricordo esattamente in quale anno è accaduto, ma certamente prima del 1958.

In effetti, faccio fatica ad avere ricordi della mia infanzia tra la neve all’infuori di quelli che ti lasciano il segno come quella prima mattina di fine autunno del 1958 in Francia.
Il viaggio interminabile da Rosarno a Grenoble assieme alla mia numerosa famiglia, con al seguito una montagna di valige, scatole e zaini vari, è un ricordo che per me rimane di notte! Non ho la minima reminescenza di paesaggi osservati dai finestrini dell’affollato vagone ferroviario. Ricordo solo la notte, e notte tra la nebbia era quando usciti dalla vecchia stazione della città di Grenoble, fummo caricati su una delle prime Peugeot “familiari” Diesel del tassista che ci doveva accompagnare a “La Croix de la Pigne”, piccolo villaggio a più di mille metri di altitudine, non molto lontano da quel santuario di “Notre Dame de la Salette”.
Di quel tragitto, di circa 40 km, non ricordo altro che la montagna di pacchi legati sul portabagagli sopra il tetto da dove scopriremo a notte fonda che una delle preziose valige contenente il corredo di mia sorella Rachele era volata via! Non ricordo neanche come si trascorse la prima notte oltralpe se non quel freddo pungente mai sperimentato prima nei miei otto anni di vita a Galatro.
La mattina fu strabiliante, esaltante. Eravamo arrivati davvero in un altro mondo.
Il cielo spazzato via da quella nebbia notturna era di un azzurro regale. Le montagne che circondano l’altopiano erano maestosamente impressionanti con i loro quattromila metri di altezza ed oltre. Siamo ai piedi dell’Obiou, località famosa perchè nel '50 un aereo canadese con cinquanta prelati provenienti da Roma si era schiantato in una notte.
Davanti a noi, un bianco abbagliante come non avevo mai visto prima. Più di un metro di neve copriva i campi, le stradine e le case di questo nuovo e misterioso villaggio. Un bianco con leggere tinte di celeste là dove la neve ammucchiata aveva maggior spessore per essere stata spinta dal vento della notte.
Con gli anni dovetti imparare a convivere con questa neve che ha fatto la gioia dei nostri giochi d’infanzia, ma anche dopo quando per la prima volta mi cimentavo in una discesa mozzafiato, io galatrisi, apprendista sciatore sul “Col de la Faucille” presso Ginevra.
Non doveva essere così piacevole per mio padre ed i miei fratelli maggiori che per via del loro lavoro di boscaioli, questa neve dovevano combatterla e sopportarla tra le foreste dell’Isère.

Ma quella mattina là, prima del ’58, in Calabria, a Galatro, nella mia casa da’ curva… non capivo che cosa poteva essere successo. I rami degli alberi nell’orto del signor Papa erano tutti coperti di escrescenze bianche. Ma tutti gli altri alberi che scorgevo dalla nostra finestra erano anche loro “fioriti”! Che cosa strana!
Per la prima volta nella mia vita stavo osservando la neve.

Paracadutisti in vista
Anche questa volta il ricordo è molto lontano ma indelebile nel tempo.
Era un tardo pomeriggio estivo ed il cielo azzurro e senza nuvole della nostra Galatro era segnato soltanto dalla piccola luna piena che spuntava sopra “Salici”.
Già da bambino mi meravigliavo di fronte alla bellezza della natura con i suoi misteri tutti da scoprire, e questa splendida armonia tra forme, colori e profumi del mio amato paese.
Piccolino, magro, abbronzato, riccioluti capelli castani (al punto che a casa ero soprannominato “tizzunedu”), braccia lungo il corpo, la faccia rivolta al cielo al punto da pregiudicarne il mio equilibrio, stavo lì a guardare il cielo, estasiato da tanta bellezza.
Non feci in tempo a sentirne il rumore, ma l’aereo che passava sopra al nostro cielo rilasciò quasi contemporaneamente due piccole lune piene ai suoi lati e proseguì la sua corsa oltre le colline che per me stanno lì, oltre “u cafuni” di “rumbulu”.
Era precipitato!
Mi accorsi subito che non ero solo ad aver osservato l’evento.
Un folto gruppo di ragazzi più grandi urlava mentre i paracadutisti stavano venendo giù.
Diversi di loro si lanciarono nella direzione dove era scomparso l’aereo, tagliando dritto tra le boscaglie. Nazzareno e Pasquale, i miei fratelli maggiori, facevano parte della comitiva.
Tornarono a casa che oramai era buio. Ci dissero che uno dei paracadutisti era caduto nella piazza del paesino a noi vicino tra la folla che lo riceveva a braccia aperte …mi pare che fosse Maropati?
Sul posto dove si è schiantato l’aeroplano, i ragazzi hanno raccolto vari piccoli oggetti. Ricordo di un sembiante di rubinetto in ottone che veniva esibito orgogliosamente come prova che: …c’ero anch’io!
E tu ricordi?
C'eri anche tu?


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