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5.7.10 - Prima nazionale a Palmi per "Cilea mon amour": intervista a Gianni Barone
Massimo Distilo

16.7.10 - Le contrade di Galatro (II)


20.7.10 - Riuscita prima per "Cilea mon amour"
Massimo Distilo

23.7.10 - Le recensioni al libro di Cannatà su Scalfari


28.7.10 - Sugnu galatrisi e mi ndi vantu, e si penzu a domani non mi schiantu

Pasquale Cannatà

1.8.10 - Michelangelo Penticorbo nominato Cavaliere dal Presidente Napolitano

Michele Scozzarra

3.8.10 - Un fotografo di origine galatrese che vive a Londra

Roberto Raschellà

14.8.10 - U sviluppu du tandalu

Pasquale Cannatà

19.8.10 - Tropea Film Festival: iniziata la quarta edizione

Massimo Distilo

20.8.10 - Rappresentata a Galatro "L'eredità dello zio buonanima"

Michele Scozzarra

24.8.10 - TropeaFilmFestival: nella serata di Tornatore vince il film di Papaleo

Massimo Distilo

1.9.10 - Due video sul Tropea Film Festival

Massimo Distilo

4.9.10 - La tradizionale passeggiata musicale "Tropea Porte Aperte"

Massimo Distilo

18.9.10 - A quarant'anni dalla rivolta di Reggio, un fotoracconto di Fabio Cuzzola

Domenico Distilo

19.9.10 - Conclusa la stagione "Armonie della Magna Graecia"

Marialetizia Bonanno

21.9.10 - Mostra fotografica personale: "Uggiate ieri, oggi e domani..."

Roberto Raschellà

23.9.10 - Il concorso letterario Metauros

3.10.10 - Le contrade di Galatro (III)

18.10.10 - Io e l'italiano

Pina Lamanna

21.10.10 - Un volume su Guglielmo Cottrau

Marialetizia Bonanno

3.11.10 - Presentato a Cittanova il fotoracconto di Cuzzola sulla rivolta di Reggio


4.11.10 - 'U luttu: una poesia di Gaetano Grillea

Michele Scozzarra

10.11.10 - Pioggia di premi per il poeta Rocco Giuseppe Tassone

14.11.10 - Recensione sulla rivista "Jazzit" per il disco di Nicola Sergio


21.11.10 - Tanti auguri a mio padre

Biagio Cirillo

28.11.10 - Kubrik e il soffio vitale del monolite

Pasquale Cannatà

1.12.10 - Vanto Galatro allor sarà d'Italia...

Umberto Di Stilo

4.12.10 - I penzèri

Biagio Cirillo

8.12.10 - La processione della SS. Immacolata a Nicotera Marina

Umberto Di Stilo

22.12.10 - Il convento "Sant'Elia di Cupessino"

Umberto Di Stilo

23.12.10 - Il presepe nella chiesa di San Nicola

Nicola Pettinato

29.12.10 - Successo a Polistena per il Nicola Sergio Trio

Massimo Distilo





(5.7.10) PRIMA NAZIONALE A PALMI PER "CILEA MON AMOUR": INTERVISTA A GIANNI BARONE (Massimo Distilo)



www.cileamonamour.com  www.myspace.com/cileamonamour

Gianni Barone arriva puntuale all'appuntamento. Si nota subito che questo giovane produttore ed ideatore musicale che divide la sua vita fra Milano e la Calabria è abituato a lavorare con nerbo e ritmo e, mentre parla appassionatamente, brilla già nei suoi occhi l'immagine di ciò che vuole realizzare.
Beviamo qualcosa e ci sediamo in giardino, fruendo dell'ombra di un albero di noci. E' qui che accendiamo il recorder e lui comincia a parlare...


...sono Gianni Barone. Una persona normale con la passione per le cose belle, in particolare per la musica, per l’arte, per la letteratura in genere. Poi, professionalmente, sono un imprenditore che lavora nel settore cultura, in particolare nell’editoria e nelle produzioni musicali.

Tra pochi giorni, Domenica 18 luglio, ci sarà questa rappresentazione relativa al progetto Cilea mon amour a Palmi. Cosa ti aspetti veramente dal progetto Cilea mon amour in generale, al di là della singola rappresentazione che ci sarà a breve?
Cilea mon amour è il primo progetto della Nau Records, una etichetta musicale che inizierà a vivere proprio attraverso il disco che abbiamo registrato il 9 e 10 maggio dello scorso anno e la cui uscita è prevista per il prossimo dicembre. Questo perché ho scelto di non pubblicare il classico disco, ma di distinguere l’etichetta anche in questo.
Il progetto in sé, Cilea mon amour, è innanzi tutto un atto d’amore nei confronti di Palmi, e di mio padre che era originario di quel luogo e, di conseguenza, verso la nostra terra. E’ un progetto che ha un carattere internazionale, in cui ho deciso di coinvolgere Nicola Sergio, un pianista anch’esso calabrese ma operante da più anni a Parigi, perché volevo segnare ulteriormente il progetto con un’identità fortissima. Da lì siamo passati alla scelta di un ensemble internazionale guidato da Nicola che ha magistralmente arrangiato le musiche di Cilea. E’ nato così questo progetto che non è semplicemente musicale, ma uno spettacolo molto complesso che tende a lavorare sulla musica, sull’arte. L’esibizione musicale sarà infatti accompagnata da una installazione di videoarte realizzata da Gian Luca Beccari, uno dei più importanti videoartisti in ambito italiano e internazionale. L’inaugurazione sarà il 18 a Palmi, successivamente lo distribuiremo sul territorio nazionale ed in particolare nel circuito teatrale.

Quali sono le difficoltà che si incontrano in questo specifico frangente nel fare il tuo mestiere, cioè l’ideatore e il produttore di progetti musicali? Volendo, puoi soffermarti sull’aspetto di quando ti trovi ad operare dalle nostre parti.
La produzione ha diverse aree di coinvolgimento che sono necessarie dal punto di vista operativo. La parola stessa “produzione” implica il denaro. Non è quindi un fatto culturale fine a se stesso, anche se noi come Nau Records lavoriamo molto sui principi, sulla morale, sull’etica e sul rispetto dell’ambiente. Cerchiamo di realizzare i nostri prodotti ad impatto zero, pensando anche alle emissioni di CO2 che rilasceremo nell’atmosfera.
Una produzione è molto complessa perché ha in prima istanza un carattere creativo, poi segue la parte organizzativa dove metti insieme le energie e gli elementi necessari per la realizzazione del progetto-prodotto. Infine vi è la fase di realizzazione.
Operare dalle nostre parti è più o meno in linea con l’operare in qualsiasi parte d’Italia o del mondo. La difficoltà che spesso qui si ha in più è data da una burocrazia a volte un po’ più lenta rispetto ad altri luoghi e la difficoltà di trovare dei partner o sponsor con cui poter collaborare attraverso attività di “fund raising”, che nei fatti oggi è una delle discipline più adoperate per la realizzazione degli eventi in genere. Avendo la Calabria un’economia debole e una classe imprenditoriale molto limitata si riscontrano dei limiti oggettivi nel creare un sistema e una “macchina-lavoro” ben strutturata. Invece in un luogo come la Lombardia accade che circa il 70% di un evento venga sostenuto da sponsorizzazioni private e solo per il 30% da enti pubblici, che di frequente partecipano e sostengono il tutto anche semplicemente prestando il luogo dove l’evento si svolgerà o garantendo la gratuità delle affissioni. Inoltre devo confessare che ho riscontrato poca professionalità da parte di quelli che si definiscono operatori del settore, come quello grafico e pubblicitario in genere.

Questa realtà che stimola così poco, che manifesta i segni di una situazione economica più debole rispetto ad altre aree, ha degli aspetti che alla fine possono considerarsi positivi, paradossalmente?
Sono molto realista e credo di no. La cultura è presente, si evolve, cresce dove ci sono i soldi ed investimenti adeguati. I teatri funzionano poco, i cinema sono chiusi o chiudono, le gallerie d’arte non esistono, i musei non hanno programmazione, le collezioni private sono una chimera. Io non sono ipocrita e dico le cose così come stanno. Poi si trovano persone assolutamente eccezionali come in qualsiasi altra parte d’Italia. I calabresi non sono meno e non sono più degli altri. Ritengo che il vero limite della nostra Calabria sia rappresentato dalla sua classe politica.

Qual è il tuo rapporto con la musica, con i suoi vari generi? Come si è evoluto questo rapporto?
Non sono un musicista, per quanto abbia studiato fisarmonica e per un po’ solfeggio. Non sono neanche un melomane o un grande esperto di musica. Sono un appassionato di musica jazz, il genere che prediligo, mentre ascolto poco il pop e il rock. Visto il lavoro che svolgo tendo a guardare la musica anche da un punto di vista imprenditoriale, un aspetto che mi diverte tantissimo.
Sottolineo però che le mie produzioni musicali non sono prettamente musicali, vanno oltre quest’aspetto. La musica nei miei progetti si inserisce in una visione molto più ampia, la mia finalità non è semplicemente produrre un disco.

Da uomo che ha in parte vissuto a Palmi, ci puoi parlare del tuo rapporto con la figura di Cilea nel corso della tua vita?
In realtà a Palmi ho vissuto pochissimo. Mio padre era di Palmi, io sono nato a Reggio Calabria e ho vissuto a Cosoleto, un piccolo centro del versante tirrenico meridionale dell’Aspromonte che si affaccia sulla piana di Gioia Tauro. Ho frequentato Palmi assiduamente per ovvie ragioni, ho studiato anche al Liceo Classico locale, con la morte di mio padre mi sono allontanato. Il rapporto con Cilea nasce durante la mia adolescenza. Ho impressa nella mente l’immagine di mio padre che da piccolo mi raccontava sempre di questo suo illustre concittadino, essendo un appassionato di opera lirica mi parlava spesso delle opere del maestro Cilea. Un’altra immagine presente nella mia mente è una foto che ritrae Cilea mentre cammina, durante una delle sue rare visite a Palmi, letteralmente circondato da estimatori. Il prof. Ferraro, che è uno dei massimi biografi di Cilea, mi raccontava lo scorso anno che quando il maestro arrivava iniziavano a gridare: “Nc’è Cilea, nc’è Cilea” e tutta la gente accorreva per vederlo. Un figura quasi mitica, perché è uno dei grandi personaggi della nostra cultura, della nostra area di provenienza. E’ un nome che mi accompagna da sempre. Io ho vissuto dodici anni a Reggio Calabria: il Teatro “Cilea”, il Conservatorio “Cilea”, ricordo quando l’intercity su cui salivo per recarmi a Roma portava il nome “Francesco Cilea”, non ricordo quale mio vecchio collega universitario abitava in via Francesco Cilea.
Poi, un giorno, un mio carissimo amico che si chiama Antonio Ruoppolo, grande esperto di musica, mi donò un CD, un’anteprima del primo lavoro discografico di Nicola Sergio (poi pubblicato dalla Challenge Records), io ascoltai questo straordinario musicista e lo contattai immediatamente perché avevo in mente questo progetto dedicato al grande maestro che è stato ed è bistrattato, anche da noi. Stiamo lì sempre a parlare di Francesco Cilea, ma in realtà non facciamo nulla per far avanzare la sua posizione all’interno della storia della musica. Ti dirò una cosa. L’anno scorso mi mandarono un invito: sui Navigli, a Milano, fecero una serie di serate dedicate alla musica da camera, pianoforte e soprano. C’erano diverse arie relative anche a piccole composizioni da camera fra le quali anche una di Francesco Cilea. Tra le varie biografie di questi grandi maestri che erano rappresentati, vado a leggere quella di Cilea e c’erano tre righe appena. Non parlava affatto della sua vita, vi era una frase che noi abbiamo riproposto nel
sito del progetto “Cilea mon amour”, una sua dichiarazione, la cosa mi lasciò un po’ di amaro in bocca perché mi ha fatto pensare che questo maestro, per quanto rispettato, in realtà è poco conosciuto.

Non è inserito all’interno dei grandi circuiti dei media.
Le istituzioni calabresi dovrebbero fare questo, piuttosto che acquistare delle opere provenienti da fuori. I teatri calabresi dovrebbero produrre le opere liriche di Cilea e distribuirle in ambito internazionale oltre che nazionale. Questo è un problema che mi sta molto a cuore perché la produzione culturale della Calabria è veramente insignificante quando dovrebbe essere all’altezza della sua storia.

Passiamo adesso al pianista a cui ti sei affidato per questo progetto, che poi è Nicola Sergio. Cosa mi dici di lui, e soprattutto della sua musica e del lavoro da lui fatto sulle arie di Cilea in particolare.
Se ho scelto Nicola Sergio è perché penso sia un musicista straordinario. Aggiungerei anche geniale, perché scrive con un linguaggio personale. Puoi trovare dei grandi esecutori, ma un grande musicista se non sa scrivere secondo me non è completo. Poi Nicola ha un animo romantico, riesce con la sua musica a comunicare delle emozioni e delle sensazioni uniche. Non sto qui a discutere di tempi, di logiche di composizione, non entro in tecnicismi che sinceramente mi interessano poco. Sono delle considerazioni che lascio ai critici musicali, ipotizzando che ne capiscano realmente qualcosa. Quello che mi interessa è l’emozione che lui riesce a suscitare. Questa è la parte relativa alla sua musica, alla sua anima che più mi interessa come produttore di musica e quindi di emozioni. Ma c’è un altro aspetto di Nicola Sergio: è una persona non solo competente, ma anche altamente professionale. Io discuto spesso con lui, fisso degli obiettivi, ci confrontiamo su alcune cose e sto tranquillo, so che lui non darà (da uno a dieci) dieci, ma dodici. Lo rispetto tantissimo perché ha lottato, e sta lottando, per arrivare ai risultati cui è giunto.
Vorrei ricordare che questo giovane pianista italiano che vive da due anni a Parigi è riuscito a ritagliarsi uno spazio a livello discografico molto importante. Oggi i musicisti, anche bravi, pagano per farsi produrre le proprie opere musicali o semplicemente per pubblicarle. Nicola Sergio è stato pubblicato qualche mese fa dalla Challenge Records che è una delle etichette indipendenti più importanti del panorama jazz e classica a livello europeo. Ed ha un contratto in esclusiva con la stessa. Noi ci pregiamo di operare con Nicola anche perché siamo arrivati prima della Challenge, siamo stati molto bravi nel trovarlo e identificarlo. Inoltre questa casa di produzione ha anche visto l’alto profilo e l’elevata qualità del progetto Cilea mon amour e non ha avuto problemi a concedere nel contratto questo tipo di libertà a Nicola. Poi, come spesso succede in queste cose, nasce anche un’amicizia personale che viene alimentata dal lavoro, dal calore umano, dalla simpatia, è una persona che a me piace moltissimo. Abbiamo qualche volta anche dei contrasti, per fortuna, per conoscersi meglio e per andare oltre, è un musicista con cui non avrei problemi a produrre altri dieci dischi.

Qual è la cosa del progetto Cilea mon amour che ti soddisfa di più, che ti rende più orgoglioso di aver deciso di realizzarlo.
E’ il progetto in sé, nel senso che dal nulla siamo riusciti a mettere su una produzione internazionale molto importante. Il successo della produzione è un successo collettivo, che va condiviso con Nicola, con gli altri musicisti che hanno lavorato al progetto, con Michael Rosen, un sassofonista americano col quale sono entrato in contatto grazie a Nicola e con cui è nata un’amicizia sincera. Michael ha un animo e un cuore enormi. Il progetto Cilea mon amour l’ho condiviso anche con Paola Recagni che lavora e co-produce con me tutti i progetti siano essi editoriali o musicali; l’ho condiviso con Antonio Ruoppolo che inizialmente mi ha fatto conoscere Nicola Sergio e poi con tutto il mio team di lavoro, una decina di persone che si occupano di varie cose, dall’ufficio stampa, all’organizzazione, al fund raising. Io sono orgoglioso perché abbiamo creato una squadra davvero straordinaria partendo dal nulla.
Abbiamo dato vita a un progetto che nelle nostre intenzioni deve avere vita lunga. Non mi riferisco solo a Cilea, ma alla Nau Records.
Cilea mon amour il 18 luglio sarà presentato a Palmi e noi siamo felici di questo, penso fosse giusto che Palmi accogliesse questo evento interamente dedicato ad un suo illustre figlio. La collaborazione con gli assessori Nunzio Lacquaniti e Francesco Trentinella è stata totale, basata sul rispetto dei ruoli e nella condivisione delle finalità dell’iniziativa. Malgrado la nostra etichetta non abbia una vera presenza ed un peso sul mercato, siamo orgogliosi dell’attenzione internazionale e degli attestati di stima ricevuti.
Sono orgoglioso perché un signore che si chiama Gian Luca Beccari, uno dei più importanti videoartisti a livello europeo, è stato felicissimo di lavorare con noi a questo progetto.

Tornando alla serata del 18 luglio a Palmi, come valuti l’inserimento della soprano Stefania Campicelli all’interno del programma della serata. Pensi che sarà perseguita una sorta di integrazione fra la voce impostata di tipo classico della cantante e il quintetto jazz? Che tipo di integrazione eventualmente sarà cercata?
Ne abbiamo discusso con Nicola, però non svelerò nulla, la vedrete durante il concerto. L’innesto della voce soprano l’ho voluto non solo perché Stefania Campicelli è una giovane artista molto valida, ma anche per un discorso legato alla logica della Nau Records che persegue finalità diverse da quelle tipiche degli spettacoli jazz. Cilea mon amour non è solamente un concerto jazz, è molto di più: è jazz, è musica lirica, è videoarte, è un progetto, come ho già detto, pluridisciplinare. Poi ci sembrava doveroso omaggiare ulteriormente il maestro cantando dei suoi brani. Sarà eseguito il Vocalizzo n. 3 tratto dai Tre Vocalizzi, l’aria O mia cuna fiorita tratta dalla Gloria e Nel ridestarmi una delle poesie di Felice Soffré che Cilea ha musicato.
Stefania e Nicola, cui ho dato ampia libertà, hanno scelto con molta competenza, sposando pienamente i miei gusti ed anche il progetto culturale. Vorrei ricordare che il poeta Felice Soffré è originario di Scido dove spesso Cilea si recò a fargli visita, è un poeta importantissimo anche se dimenticato, anche Pascoli lo notò e lo promosse. Questo per ricordare che noi siamo persone normali come gli altri. Nella nostra ordinarietà ritroviamo la nostra straordinarietà. Spesso i nostri politici dimenticano tutto ciò. Noi ci curiamo della storia degli altri, le istituzioni calabresi acquistano e distribuiscono produzioni che arrivano da fuori e che spesso sono mediocri, la Provincia di Reggio Calabria non è presente come ente patrocinante in quanto l’assessore Santo Gioffrè non ha reputato utile il progetto anche se poi distribuisce sul territorio provinciale gruppi cubani e affini. I calabresi hanno perso la loro memoria storica e questo è il nostro punto di debolezza maggiore.

Ci dici qualcosa degli altri musicisti del quintetto che sarà di scena a Palmi, ovvero del batterista David Georgelet, del contrabbassista Arnault Cuisinier e della flautista Yuriko Kimura.
Sono professionisti di primo livello. David ha lavorato spesso in Italia negli ultimi anni perché collabora con molti musicisti italiani, specialmente giovani come Gianluca Petrella.
Arnault oltre ad essere un grande del contrabbasso è anche un poeta, il suo quartetto è composto da grandi nomi del jazz francese come il pianista Guillaume de Chassy. Infine Yuriko è la più giovane professionalmente ma ha un grande timbro, la voce del suo flauto è impressionante, come Nau Records la stiamo osservando da vicino e con molto interesse.

Che ci dici della regia di Gian Luca Beccari e della scenografia di Aldo Zucco?
Inizio da Aldo Zucco che è uno dei più importanti scenografi - uso un’espressione che non mi piace per niente - “del Sud Italia”. Dico questo perché voglio sottolineare la sua provenienza, Aldo è originario di Taurianova. Insegna all’Accademia di Catania, vive a Reggio Calabria e opera a livello nazionale. Ha fatto delle scenografie per la Rai, per Sky, per il Teatro Rendano, ha lavorato con grandi registi. Stiamo parlando di uno dei professionisti più competenti operanti oggi in Calabria. Ad Aldo mi lega un grande rapporto di amicizia e di stima ancora più grande. E’ una persona con cui lavoro da anni e che mi è stata sempre vicina sia a livello professionale che personale, anche in momenti di difficoltà lavorativa. Ha una competenza elevatissima ed è capace di lavorare con materiali veramente poveri, con un minimalismo straordinario, con una capacità interpretativa e una personalità secondo me unica dal punto di vista scenografico.
Gian Luca Beccari è un Picasso del video. E’ uno dei professionisti più competenti che l’Italia ha in questo momento per quanto riguarda le produzioni video. Ha un’esperienza in campo teatrale davvero notevole. Insieme a Studio Azzurro, Gian Luca Beccari è probabilmente il massimo interprete in Italia in questo settore e siamo onoratissimi che abbia abbracciato l’intero progetto e realizzato la drammaturgia video, nonché curato la regia dello spettacolo.

Ti faccio ora una domanda di carattere “socio-musicale”. Secondo te esistono oggi dei centri fisici – intendo le grandi città del Nord o dell’estero - che conferiscono già di per sé un valore a un’idea musicale che si vuole realizzare o il valore sta nell’idea in sé, al di là della sua collocazione fisica? Intendo dire: i tuoi progetti di produttore hanno un loro valore oggettivo ma, a tuo avviso, perché molti cercano un “imprimatur” esterno dei grandi media lontani - imprimatur che spesso si rivela effimero - e credono poco in se stessi?
E’ una domanda molto interessante. Dal mio punto di vista ci sono diversi livelli di lettura. Oggi le città hanno esigenze molto particolari legate anche al turismo. Ci sono tre elementi che riescono a muovere le grandi masse: la politica (anche se in Italia si è un po’ perso questo, ma se pensiamo ad un’elezione governativa abbiamo trenta milioni di italiani che vanno a votare); c’è poi la religione, l’unica in grado di riempire delle piazze o di fare delle stragi, delle guerre; e infine la musica. Questi elementi sono gli unici che riescono a spostare grandi masse di persone.

Fra i tuoi elementi non pensi che possa essere inserito anche lo sport, per lo meno alcuni sport?
E’ vero, anche lo sport è di massa. Sia la formula uno che il calcio riescono a muovere grandi masse. Decisamente possiamo inserire anche lo sport fra questi elementi. Dicevo, le città hanno necessità di competere fra di loro. Spesso non capiamo in Calabria, o nel Sud in genere, che se io spendo i miei quattrini nel negozio sotto casa, i soldi che girano sono sempre quelli. Il prodotto interno della nostra città, della nostra regione, non cresce se non arrivano soldi da fuori, e per fare questo spesso le città realizzano grandi eventi. Vorrei fare un esempio banalissimo ma concreto. Bilbao, in Spagna, quindici anni fa era un città oramai decadente dal punto di vista industriale, con una disoccupazione altissima. Ad un certo punto il governo autonomo basco decise di investire su un museo che era il Guggenheim di Bilbao. Questo museo portò il primo anno un milione e duecentomila visitatori. In città cambiò tutto. Le grandi compagnie aeree internazionali si adeguarono all’offerta cambiando le rotte in modo da far incastrare le coincidenze.
Se ci pensi, oggi i grandi musei sono realizzati dai grandi architetti famosi, i cosiddetti archistar, perché il contenitore esterno contribuisce per il 50% (insieme all’altro 50% che è il contenuto) al successo dell’operazione. La stessa cosa succede con i prodotti che noi realizziamo. Ipotizziamo che Cilea mon amour abbia un successo nazionale e internazionale, noi indirettamente facciamo marketing territoriale per la città di Palmi e per la regione Calabria a costo zero. Se pensi che questo progetto è stato pensato da teste calabresi, ha come soggetto un grande maestro della lirica italiana che è calabrese, ha come interprete, ideatore, arrangiatore delle musiche un giovane musicista calabrese. Indirettamente noi possiamo produrre dei benefici enormi per l’immagine della Calabria e della città di Palmi.
Un evento lo si programma non solo per creare delle opportunità di crescita socio-culturale ma principalmente per produrre dei ritorni economici. Purtroppo in Calabria questa opportunità strategica non ha ancora attecchito completamente. Prevale il provincialismo che tende a dare peso e importanza solo a soggetti e operazioni esterne, con prodotti culturali che spesso e volentieri deludono per la loro mediocrità. Non è raro che un comune conceda un patrocinio per un evento di basso profilo senza rendersi conto che il patrocinio è un elemento importante di promozione territoriale.
Cilea mon amour ha ottenuto il patrocinio dell’Ambasciata di Francia in Italia, per ottenerlo abbiamo preparato una scheda contenente le motivazioni, non è stato un processo facile. Lo stesso abbiamo fatto con tutti gli altri attori istituzionali cui abbiamo chiesto il patrocinio: la Presidenza del Consiglio della Regione Calabria, i comuni di Varazze, di Bagnara Calabra e di Scido nonché il Conservatorio “Francesco Cilea” di Reggio Calabria e il Conservatorio “Vincenzo Bellini” di Palermo.

A cosa sta pensando Gianni Barone dopo Cilea mon amour?
Stiamo lavorando su tre progetti diversi. Quando produci qualcosa ti guardi in giro, valuti delle proposte, fai delle proposte, cerchi di capire quali di queste sono concretizzabili.
Uno avrà come leader Michael Rosen, il sassofonista americano che oramai fa parte della nostra famiglia. Un altro progetto vedrà impegnato un pianista trentino che si chiama Stefano Raffaelli, anche lui eccezionale, ottimo compositore che lavora principalmente con l’elettronica. Infine Stefano Scarfone, un chitarrista straordinario, con una forte personalità, grande compositore come gli altri due, romano ma figlio della nostra terra.
Come vedi abbiamo un’agenda pienissima. Ti dico la verità, è un lavoro che mi emoziona tantissimo. La cosa straordinaria è il rapporto umano che riesci a creare e l’emozione che hai prima ancora di realizzare il prodotto. E’ quello il momento che mi affascina di più. In realtà dopo che tutto è realizzato non fai altro che constatare il lavoro svolto. Nel caso di Cilea mon amour essendo una prima nazionale, c’è molta attesa, la tensione è alta perché siamo presi dal punto di vista organizzativo.
L’obiettivo è ora riuscire a chiudere un tour per il prossimo anno con Nicola Sergio come protagonista in giro per l’Italia in importanti teatri. Successivamente riuscire a portare Cilea mon amour in Francia, Germania, Olanda, Giappone e, perché no, Stati Uniti.

Nelle immagini: in alto e in basso grafica per la presentazione del progetto Cilea mon amour; al centro il pianista Nicola Sergio (foto by Antonio Belvedere).


Prima nazionale, Domenica 18 Luglio 2010, ore 22.00
Teatro all'aperto, località Motta, Palmi


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(16.7.10) LE CONTRADE DI GALATRO (II) - Eccoci alla seconda puntata degli articoli dedicati alla descrizione delle numerose contrade di Galatro. Nella precedente avevamo parlato di cinque contrade (Pigadi, Bofia, Castedhaci, Fundacaro, Lagudi), oggi ci occuperemo di altre dai nomi particolarmente suggestivi:

JIZZI (o IZZI) - Terreno coltivato a vigneto ricadente nel territorio del Comune di Galatro. Originariamente apparteneva al marchese Izzi, originario dell'allora provincia di Catanzaro (oggi Vibo), esattamente di Sant'Onofrio.

CUNDURI - E' una contrada sulla strada provinciale Galatro-bivio Galatro, posta a destra e a sinistra della strada. E' composta da terreni coltivati ad agrumeti e vigneti. Oggi vi sorgono delle palazzine ed in un certo periodo è stata presente una fabbrica.

CANNAVARIU - Terreno adatto per la coltivazione del cànnamo, che sarebbe la canapa, un'erba dalla quale si produceva la canapa. Il cànnamo, essiccato e messo a bagno per diversi giorni, veniva rammollito rendendolo sfilacciante. Da questo si produceva la stuppa che, filata, dava il filo per tessere coperte, asciugamano, ecc. Il nome ricorda l'ex difensore della Juve e della Nazionale, Cannavaro, il cui cognome dovrebbe avere etimologia simile.

DONNIMPERI - Altra contrada caratteristica di Galatro. E' un terreno boschivo di proprietà del Comune. La marchesa Donnimperi ne fu la prima proprietaria, sembra sia vissuta intorno al 1200 e la contrada prese il suo nome.

CERAMIDIU - Si trova quasi nel centro abitato di Galatro e, precisamente, nei pressi della zona dove si trovava una volta il campo sportivo. Prese il nome di Ceramidìu perchè vi erano delle fornaci per la costruzione delle ceramìde (tegole) di creta che veniva estratta sul posto. A Galatro c'erano i carcaroti, ovvero i fabbricanti di queste tegole.

GONI' - E' una zona nei pressi della vecchia centrale elettrica. Si tratta di un terreno collinoso coltivato ad agrumi ed ulivi. Non si conosce con esattezza l'etimologia del nome, ma sembra che significhi monte.

LI VAGNI - Contrada alquanto montuosa nei pressi dello stabilimento termale. E' un terreno coltivato a bosco e uliveto. Il nome Vagni (bagni) pare l'abbia assunto intorno al 1600 dopo che i monaci basiliani scoprirono l'acqua solfurea. Nella parte bassa scorre il fiume Fermano.

II - Continua...

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(20.7.10) RIUSCITA PRIMA PER "CILEA MON AMOUR" (Massimo Distilo) - Riuscito debutto sera di Domenica 18 Luglio per la prima nazionale dello spettacolo Cilea mon amour, rivisitazione in chiave jazz delle melodie di Cilea. Lo spettacolo, ideato da Nau Records, etichetta che editerà entro fine anno l'omonimo disco, era molto atteso e numerose erano le personalità presenti al Teatro all'aperto di Palmi. Oltre a vari esponenti dell'Amministrazione Comunale locale che ha promosso l'evento, c'erano diversi sindaci dei paesi della Piana, fra cui Carmelo Panetta, sindaco di Galatro, cittadina d'origine di Nicola Sergio, pianista protagonista della serata, che ha elaborato in chiave jazz le arie del grande maestro palmese. Fra gli esponenti del mondo della discografia e della stampa specializzata, anche Maurits de Weert di Challenge Records - casa discografica che ha sotto contratto Nicola Sergio - e Luciano Vanni della rivista Jazzit.
Dopo la sobria, ma elegante ed esaustiva, presentazione di Antonio Ruoppolo, lo spettacolo ha avuto inizio con il trio che vedeva impegnati Nicola Sergio al piano, Arnault Cuisinier al contrabbasso e David Georgelet alla batteria. I musicisti hanno proposto la rilettura dell'aria Anch'io vorrei dormir così, tratta dall'Arlesiana di Francesco Cilea. Gli applausi convinti del pubblico accoglievano la performance. Pubblico attento e numeroso ma che non arrivava, come forse ci si sarebbe aspettati dalla città natale di Cilea e dall'ingresso gratuito, a gremire per intero il teatro.
Nicola Sergio ha spiegato alla fine del brano che la rilettura in chiave jazz mirava a non stravolgere le melodie pur calandole in un'atmosfera del tutto nuova che conferiva loro un diverso sapore. Nella seconda e terza aria, Pur dolente son io e Vieni con me sui monti, tratte rispettivamente da Gloria ed Arlesiana, si è aggiunto il sax soprano dello statunitense Michael Rosen che in alcune fasi ha dialogato mirabilmente col pianoforte e, nei momenti improvvisativi, ha dimostrato una fluida inventiva contenente comunque in sé i piani melodici dell'opera italiana.
Dopo Era un giorno di festa, dall'Arlesiana, che ha visto di nuovo impegnato Nicola Sergio al piano e la sezione ritmica (contrabbasso e batteria), è stata la volta dell'intermezzo classico nel quale tre brani di Cilea - Uno dei Tre vocalizzi, Nel ridestarmi (su testo del poeta Felice Soffré, di Scido) e O mia cuna fiorita (dalla Gloria) - sono stati eseguiti nella loro forma tradizionale dalla soprano Stefania Campicelli accompagnata al piano da Nicola Sergio. La giovane cantante ha dimostrato un marcato istinto interpretativo e grandi capacità di modulazione vocale che hanno conferito ai brani, piuttosto distanti fra loro per carattere e funzione, la parvenza di suggestivi quadretti conchiusi. Perfettamente a suo agio anche il pianista che non ha minimamente risentito dell'improvviso passaggio dal jazz all'accompagnamento classico (d'altronde la sua formazione gli consente perfettamente questo genere di escursioni).
Alcuni aspetti intimisti del Nicola Sergio attuale sono venuti fuori nella rilettura per piano solo di La dolcissima effige (da Adriana Lecouvrer) in cui la morbidità del tocco si è coniugata con slanci improvvisativi nei quali la capacità di coinvolgere l'uditorio si è manifestata con evidenza.
E' seguito poi L'anima ho stanca (da Adriana Lecouvrer) eseguito dalla flautista giapponese Yuriko Kimura, in parte da sola e in parte accompagnata dalla sezione ritmica (Cuisinier, Georgelet), una sorta di schizzo in cui i temi cileani sono stati vestiti di un nuovo abito nel quale le linee nette tracciate dal flauto erano intersecate da brevi sapienti pause che accentuavano le componenti espressive.
La serata si è conclusa con Io son l'umile ancella (da Adriana Lecouvreur) e con Leonida (dedicato ad un altro grande della cultura palmese, Leonida Repaci), nei quali assieme al pianoforte e alla ritmica interveniva nuovamente il sax di Rosen. Il suggestivo tema iniziale di Leonida, dopo un intermezzo denso di innumerevoli digressioni armoniche e melodiche, ritornava alla fine, immerso in una nuova luce strappando gli applausi convinti della platea.
La scenografia di Aldo Zucco e le installazioni di videoart del regista Gian Luca Beccari, ispirate ai temi dei brani, che scorrevano alle spalle del palcoscenico, hanno fatto da contrappunto discreto (un po' troppo?) allo svolgersi dei momenti musicali. La serata si è perfettamente dipanata dal punto di vista tecnico, luci e audio sempre di ottima fattura, anche se forse è stato inevitabile, a causa dell'amplificazione, perdere in parte delle componenti dello spettro di frequenze armoniche di alcuni strumenti, pianoforte in particolare.
Ben congegnata anche la Guida all'ascolto, opuscoletto distribuito dalle hostess all'entrata, che illustrava nei dettagli tutte le componenti del progetto Cilea mon amour, dai musicisti, alla regia, alla scenografia, alla videoinstallazione. Anche in questa guida, però, un po' poche le parole sull'opera di Cilea, a volte incentrate troppo sui suoi limiti rispetto ai suoi pregi e che lo delineano a tratti come figura fuori dal suo tempo, quasi inconsapevole e anacronistico epigono della melodia italiana mentre la musica muoveva in altre direzioni.
La manifestazione Cilea mon amour è comunque pienamente riuscita, come in tutte le prime ci sono delle cose che possono essere migliorate in corso d'opera, ma lo spettacolo c'è e i numeri ci sono tutti per proporlo ora a nuove platee.
Vi proponiamo i video di alcuni momenti della serata:






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(23.7.10) LE RECENSIONI AL LIBRO DI CANNATA' SU SCALFARI - Vi proponiamo un interessante elenco di recensioni sul libro del galatrese Angelo Cannatà dal titolo Eugenio Scalfari e il suo tempo, apparse di recente in Italia su rilevanti organi di informazione.
Per visualizzarle cliccare sul link in basso:

Recensioni al testo su Scalfari (DOC) 51,5 KB

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(28.7.10) SUGNU GALATRISI E MI NDI VANTU, E SI PENZU A DOMANI NON MI SCHIANTU* (Pasquale Cannatà) - Un vocabolario non è un libro da leggere, ma da consultare al momento in cui si voglia conoscere il significato di una parola di cui non si è certi di cogliere la giusta accezione: quando però ci si trova davanti ad un nuovo testo, si leggono la presentazione, introduzione dell’autore e tutte quelle parti che aiutano a capire come muoversi all’interno dell’opera per goderne appieno del contenuto.
Ieri sono venuto in possesso del prezioso
vocabolario del dialetto galatrese, ed ho letto la presentazione nella quale il sindaco loda questa iniziativa e fa i complimenti al caro Umberto che anch’io stimo da sempre: Carmelo è orgoglioso di aver investito parte delle risorse comunali in questa opera culturale perché, dice, un popolo non può progettare il suo futuro se non irriga le radici del proprio passato. Condivido.
Mia moglie, da brava insegnante, è andata a guardare la parte grammaticale e riguardo al verbo mi ha letto della stranezza che nel nostro dialetto non ci sia il tempo futuro: giusta osservazione, ma mi dispiace leggere nella nota (pag. 526) la deduzione che ne trae l’autore. Noi galatresi saremmo rassegnati a non avere prospettive in avanti, a non pensare al futuro, anzi a guardare negativamente, quasi con paura, al domani che ci attende. Non condivido questa lettura antropologica che contraddice il progettare di cui parla Carmelo, anzi la capovolgo.
Se io penso al domani coniugandolo con il tempo presente, vuol dire che già lo vivo oggi, lo assaporo come già avvenuto, ne gusto la bellezza e ne colgo i frutti come fossero già maturi.
Quando tra una settimana saluterò mia sorella ed i miei fratelli dicendo ndi vidimu ann’atr’annu, salterò gli undici mesi di separazione e gusterò già la gioia del ritrovarsi; se due fidanzati pensano a quandu ndi maritamu, evitano il dispiacere del momentaneo distacco e vivono già felici della vita coniugale che verrà; io penso al domani senza averne paura.
Certo la situazione economica e occupazionale di questi anni non induce all’ottimismo, e credo sia stata questa la molla che ha fatto fare ad Umberto le considerazioni di cui sopra, ma l’altissima percentuale di laureati del nostro paese fa pensare che Galatro guarda al futuro con ottimismo e quanto prima, con l’impegno di tutti, migliorerà anche l’aspetto economico.
Venendo al contenuto del vocabolario, ognuno di noi sarà andato a guardare con curiosità alcune parole che ricorda da quando era piccolo, ma siccome è praticamente impossibile documentare tutti i lemmi di una lingua di cui non si abbiano già documenti esistenti, può capitare di non trovarne qualcuno.
Ricordo che da bambino, se si vinceva un confronto individuale o di squadra, si apostrofava l’avversario dicendo ti fici tibbi, ti ho stracciato, asfaltato come si usa dire oggi in gergo calcistico: penso che la frase derivi dall’invocazione di Gesù al suo popolo quod feci tibi?, cosa ti ho fatto di male per meritare la morte in croce?
Qualche bambino, durante le funzioni pasquali che prima del concilio erano tutte in latino, avrà sentito questa esclamazione da parte del sacerdote, e immaginando Gesù come Dio onnipotente e sempre vittorioso, avrà dedotto che avesse affrontato il suo popolo riducendolo a miti consigli: ripetendo a sua volta la frase ti fici tibbi ad un avversario sconfitto, se ne è diffuso in seguito questo significato.
Se qualcuno conosce altre etimologie per questa frase, o se ha altre parole non comprese nel vocabolario e vuole segnalarle, credo che farà un piacere ad Umberto che potrà così arricchire e far crescere la sua creatura.

* Il titolo dato dall'autore a questo articolo ricorda la canzone di Francesco Cortese Io sugnu galatrisu e mi la vantu..., inserita nel CD Li belli canti calabrisi.

Nell'immagine in alto: opera pittorica di Nato Randazzo ispirata a Galatro.


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(1.8.10) MICHELANGELO PENTICORBO NOMINATO CAVALIERE DAL PRESIDENTE NAPOLITANO (Michele Scozzarra) - E’ con vivo piacere che riporto la notizia di un grande riconoscimento ottenuto in Svizzera dal nostro concittadino Michelangelo Penticorbo, per avere elaborato un progetto per l’introduzione di una Università popolare di lingua italiana Unitre (Università delle Tre Età di lingua Italiana) che in Svizzera è una istituzione umanitaria che attraverso la cultura, la formazione e la socializzazione, propone un modello di sviluppo sano e una relazione costruttiva intergenerazionale e interculturale.
Per questa sua opera ha ricevuto una importante onorificenza dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che lo ha nominato “Cavaliere della stella della solidarietà italiana”, per la prima Università popolare in lingua italiana nel mondo, al di fuori del territorio italiano.
L’onorificenza è stata consegnata a Basilea il 3 giugno scorso da Gaetana Farruggio, reggente del Consolato d’Italia di Basilea.
Michelangelo Penticorbo in una lunga intervista rilasciata alla giornalista Evelina Bentivegna, di cui mi piace riportare alcuni stralci, alla domanda cosa ha rappresentato per lui questo riconoscimento ha detto: “E’ stata una bella sorpresa e sto ancora cercando di realizzare quello che mi è successo. Innanzitutto si premia l’idea di portare l’Università popolare italiana in Svizzera, la prima al mondo fuori dall’Italia. Si premia anche il lavoro di tutti i miei collaboratori che hanno lavorato bene a questo progetto e, personalmente, sento una maggiore responsabilità di dover fare sempre di più e sempre meglio per portare l’Unitre in Svizzera ad alti livelli”.
Sul motivo che l’ha spinto a fondare, in Svizzera, l’Unitre ha risposto: “Il motivo principale è da riferire al fatto che, nel corso del miei studi a Bologna, ho potuto verificare che in Italia esistono delle Università popolari e quando sono rientrato in Svizzera ho constatato che qui ne esistono solo di lingua tedesca. Ho quindi pensato di dare un contributo alla comunità italiana in Svizzera in campo culturale. Avevo come fonte d’ispirazione i miei genitori che, come anche i parenti, amici e conoscenti che vivevano qui, avevano un approccio alla cultura che era molto limitato. Così ho pensato ad una struttura innovativa che costituisse una nicchia da dove poter far crescere culturalmente la nostra comunità anche dal punto di vista sociale… qui c’è tanto potenziale per poter soddisfare questa esigenza. Questo è il motivo principale. Un altro presupposto è che ho cercato nella mia vita di trovare un modo per costruire un progetto umanitario in modo da poter contribuire, con le mie idee ed attività, alla crescita della mia comunità. Questa è la passione di fondo, cioè l’elaborazione di un progetto umanitario che poi negli anni si è delineato nella costituzione di una Università di lingua italiana. Un altro motivo, un pò più personale, riguarda il fatto che sento vivo in me il senso di dovere e di rispetto verso i miei genitori, per quello che hanno fatto per me. Loro, pur essendo persone molto interessate ed attive culturalmente, non hanno potuto studiare come ho fatto io, per questo mi sono sentito di dover realizzare per loro e per tutte le persone nella loro stessa condizione… Sicuramente devo ringraziare i miei genitori. Mi hanno dato una spinta importante. Ma un grazie particolare lo devo fare anche a mia moglie che, conoscendo la situazione, mi ha sempre appoggiato, sostenuto ed aiutato a portare avanti il progetto ed arrivare al punto in cui ci troviamo adesso”.
Rispondendo alla domanda come mai l’Unitre in Svizzera si sta diffondendo in maniera così estesa, Penticorbo risponde: “Tutto è dovuto al fatto che c’è un’urgenza di fondo di crescita culturale, una necessità di vivere in maniera attive le proprie radici: ecco perché parliamo in italiano. Nei nostri corsi vengono studenti, in maggioranza, di lingua italiana e anche se partecipano svizzeri, portoghesi e spagnoli si parla sempre in italiano: in questo modo c’è sempre la possibilità di coltivare la nostra cultura… Poi c’è anche da dire che l’Unitre permette di uscire un po’ dagli schemi abitudinari di vita che, soprattutto in passato, non erano del tutto soddisfacenti soprattutto per l’integrazione degli italiani con la società Svizzera”.
Congratulazioni Michelangelo…!

Visualizza il video di un'intervista a Michelangelo Penticorbo sulla Tv svizzera LA1.

Visita il sito dell'UniTre



L'astronomo galatrese Michelangelo Penticorbo tiene una conferenza su "L'universo prima e dopo Galilei" all'Unitre di Basilea.


Michelangelo con l'onorificenza della Repubblica appuntata alla giacca.

Nella foto più in alto: Michelangelo riceve da Gaetana Farruggio, reggente del Consolato d’Italia a Basilea, l'onorificenza conferita dal Presidente Napolitano.


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(3.8.10) UN FOTOGRAFO DI ORIGINE GALATRESE CHE VIVE A LONDRA (Roberto Raschellà) - Mi chiamo Roberto Raschellà e sono figlio di galatresi.
Mi capita a volte di dare uno sguardo a quello che succede a Galatro. Ho passato tante estati al "paese dei miei", quasi tutti i miei parenti sono lì. L'ultima volta che ci sono stato era il 2006.
Da quando mi sono trasferito a Londra, organizzarsi è diventato un po' piu' difficile... e da quando ho deciso di intraprendere la carriera di fotografo... molto di più!

www.ilvicolopaoletto.com è il mio website.

Leggevo le cose che avete riportato sulla legge bavaglio. Sto lavorando a un mio progetto personale a riguardo ed è ancora un "work in progress". Ecco di seguito i link diretti, magari la cosa vi può interessare:

www.flickr.com/photos/ilvicolopaoletto/sets/72157624608827396

www.facebook.com/album.php?aid=455381&id=191644355023

www.youtube.com/watch?v=X5S-fkYtuSA

www.youtube.com/user/ilvicolopaoletto


Da italiano all'estero sono molto sensibile a ciò che succede politicamente e lavorativamente nel nostro paese, avendo poi la fortuna/sfortuna di poter osservare da un punto di vista diverso e esterno. Credo che nel mio blog possiate trovare qualche piccolo esempio e conto di incrementare con il prossimo autunno.
Ringraziando dell'attenzione prestata, sono a disposizione per ulteriori chiarimenti se necessario.
Buon lavoro e complimenti per gli undici anni di attività, oltre al nuovo passaggio a testata giornalistica!


Le due foto sono di Roberto Raschellà.

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(14.8.10) U SVILUPPU DU TANDALU (Pasquale Cannatà) - Probabilmente sarebbe più corretto inserire in un “dizionario dei modi di dire” piuttosto che in un vocabolario, la frase di cui vorrei parlare in questo articolo: anche la frase oggetto del mio precedente intervento (ti fici tibbi) rientrerebbe nella suddetta categoria.
Ieri mi è capitato di sentir parlare di Tantalo, il personaggio della mitologia greca condannato dagli dei a soffrire di fame e di sete: poteva avvicinarsi al cibo ed all’acqua, ma all’ultimo momento questi gli venivano tolti. Era un supplizio terribile!
Facisti u sviluppu du Tandalu si diceva tra noi ragazzi di Galatro non mi ricordo bene se a chi aveva fatto un lavoro per niente in quanto non portava ad alcun risultato utile, oppure a chi aveva espresso un concetto evidente, lapalissiano: che fosse un lavorio mentale oppure manuale, in ogni caso si era affaticato per nulla!
Come già per la frase ti fici tibbi, anche in questo caso credo che tutto nasca da un equivoco: non era Tantalo il personaggio da citare, ma Sisifo, che sempre secondo la mitologia greca era stato condannato dagli dei (ma che permalosi questi abitanti dell’Olimpo!) a spingere sulla cima di una montagna un masso che ogni volta rotolava a valle facendogli ricominciare il lavoro daccapo.
Secondo me si tratta di uno scambio fatto da qualche studente distratto, ma sollecito dai lettori altre interpretazioni per questa frase così come per la precedente.
Pertinente al vocabolario è invece la parola mularìa, detta di un gruppo di bambini chiassosi: mia moglie asseriva si trattasse di una parola friulana dato il significato di mula per ragazza, ma io ricordo che è una parola galatrese, anche se manca nel vocabolario di Umberto.
Buone vacanze a tutti: in questo periodo dell’anno bisogna far riposare il corpo e la mente dalle fatiche del lavoro, ma teniamo attivo il fisico con leggere attività anche sportive e la memoria con questo gioco che ci aiuta a far riemergere ricordi lontani!
Segnalate! Segnalate!

Nella foto: Pasquale Cannatà.

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(19.8.10) TROPEA FILM FESTIVAL: INIZIATA LA QUARTA EDIZIONE (Massimo Distilo) - Ha preso il via a Tropea, nella splendida cornice del Teatro del Porto, la quarta edizione del Tropea Film Festival, una rassegna cinematografica che col passare degli anni acquisisce una struttura organizzativa sempre più solida, così come più consistente e diversificata sembra rivelarsi la qualità delle pellicole (lungometraggi e cortometraggi) di cui è programmata la proiezione fino al 23 agosto.
Nella serata inaugurale - 17 agosto - era atteso Giuseppe Tornatore che, per una serie di impegni, ha rinviato la sua presenza alla serata conclusiva: lo si attende dunque al Teatro del Porto per lunedì 23. In compenso c'è stato il saluto di un altro Giuseppe, ovvero del presidente della Regione Scopelliti. Assieme a quest'ultimo altre autorità quali il sindaco di Tropea Adolfo Repice ed il senatore Gentile.
Nella serata successiva - sobri ma esaustivi i presentatori Claudia G. Moretti e Jeff Bifano - sono iniziate le proiezioni con il lungometraggio del regista Alessandro Porzio dal titolo Non te ne andare, protagonisti Andrea Ferrante, Claudio Salvato e Mariangela Caruso. Un film dominato da una asfissiante cappa di sventura che aleggia costante sui protagonisti, incapaci di venirne a capo se non in rari momenti. Loris, il bimbo al centro della storia, è afflitto da congenite malformazioni cardiache, dalla claustrofobia, dall'assenza della madre e dai contraccolpi della discutibile vita condotta dal fratello, suo tutore, e dagli amici e coinquilini di questo. La violenza e il disprezzo per la propria vita caratterizzano molte scene del film girato in gran parte in interni asfittici e con dialoghi che spesso mettono in evidenza l'instabilità psicologica dei protagonisti.
Qualche sprazzo di luce si ha quando il bimbo Loris, vincendo la propria claustrofobia, imbocca una stradina stretta e buia che sfocia nella casa di un pittore. Da questi sembra emanare una calma interiore che coinvolge Loris e gli apre mondi meno angusti e disperati di quelli frequentati finora. Ma la luce dura poco e si sprofonda rapidamente nell'angoscia.
La serata è proseguita con altri quattro cortometraggi in concorso: Action di Giorgio Caputo, caratterizzato da una forma di metalinguaggio cinematografico e da violenza gratuita in salsa romana; Nero Apparente di Giuseppe Pizzo, a sfondo razziale e con la sua brava dose di violenza; Da Lucia di Roberto Capucci, sul destino e i traumi della guerra, con una bella scorpacciata di carne umana letteralmente macellata; infine Oltre La Siepe di Franco Di Domenico, sugli impossibili amori in chat, in cui ci è stata però risparmiata la vista del sangue.
Speriamo che la direzione imboccata da questa prima serata di pellicole - violenza gratuita a sfondo psichico - non sia quella delle altre serate, o non finisca addirittura per diventare prevalente nel panorama dell'attuale cinema italiano.

Nella foto: Claudia G. Moretti e Jeff Bifano, presentatori del festival.


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(20.8.10) RAPPRESENTATA A GALATRO "L'EREDITA' DELLO ZIO BUONANIMA" (Michele Scozzarra) - Sera di giovedì 19 agosto ho voluto, contrariamente al mio solito, essere tra i primi a gremire la nostra piazza cittadina, per vedere la rappresentazione di una manifestazione teatrale “nostra”, tutta galatrese… vedo centinaia di visi attenti e sorridenti tra il pubblico… un pubblico delle grandi occasioni, che raramente si vede nella nostra piazza, che applaude e ride e, contrariamente a come accade di solito, non ha nessuna voglia di andare a casa, anzi resta con gli occhi incollati fino a che non cala il sipario.
Questi nostri paesi, per molti versi abbandonati a se stessi, hanno bisogno di questo genere di manifestazioni che possano contribuire alla rivalutazione, in termini culturali precisi, del concetto negativo che si ha della nostra terra.
Questa serata, sottilmente, rappresenta una proposta provocatoria per il nostro ambiente: nel lavoro di una Compagnia teatrale c’è qualcosa che mi spaventa… il messaggio di cultura e adattamento alla storia ed alle tradizioni di un determinato ambiente, testimonia come l’uomo di oggi può benissimo vivere ricco e comodo, senza zappare o far pascolare le mucche, ma non potrà mai pensare di poter fare a meno delle sue esigenze fondamentali di comunità, di lavoro creativo, di rapporto con l’ambiente e le sue tradizioni… e di tentare di riuscire a trasmettere tutto questo!
E non è sterile sentimentalismo il parlare della gioia e dell’entusiasmo vissuta in questa serata tipicamente “galatrese”… che possiamo ben dire che “è stata un grande successo”. Come le altre volte, potrà obiettare qualcuno… ma, forse, stavolta è diverso… è ancora più marcato e sentito perché si sentiva il bisogno di assistere a qualcosa di “nostro”… dopo tanto tempo!
“L’eredità dello zio buonanima” una vecchia commedia in tre atti di Antonino Russo Giusti, adattata al vernacolo galatrese dal bravissimo Angelo Cuppari ha avuto un successo notevole, che ha tenuto con il fiato sospeso tutta la gente presente in piazza. Tre atti brillantissimi, già portati in scena dalla stessa Compagnia diversi anni fa (con alcune sostituzioni di qualche elemento che non vive più nel nostro paese), che ha offerto al pubblico uno spaccato di ambiente familiare, di una realtà storica e culturale di almeno una sessantina di anni fa, piuttosto difficile per i particolari stati d’animo da riprodursi in scena e che invece, grazie alla grande bravura del cast eccezionale, si è aperto agli occhi degli spettatori con i toni ed i colori di un fatto di cronaca attuale che sembrava successo veramente nella nostra Galatro.
Gli attori della Compagnia galatrese si sono mossi sul palcoscenico da veri e collaudati artisti parlando il dialetto galatrese con la padronanza di specialisti.
Assieme ad Angelo Cuppari vi è un cast d’eccezione composto da Jasmine Mandaglio, Tiziana Di Stilo, Michele Furfaro, Raffaele Ruggieri, Pasquale Ardizzone, Michele Ardizzone, Federica Crea, Pierangelo Cannatà, Carmela Cordoma. La scenografia è stata curata da Stefania Trungadi, Carmela Pronestì e Maria Panetta. Un ringraziamento particolare è stato indirizzato anche a Sabrina Di Stilo e Pasquale Cannatà, per il lavoro, silenzioso e nascosto, fatto dietro le quinte.
Prima della rappresentazione ho avuto modo di scambiare qualche parola con Angelo Cuppari, che sul lavoro della Compagnia, per la realizzazione della serata, mi ha detto: “L’adattamento che ho applicato è stato quello di rendere la commedia più vicina alle nostre usanze ed ai nostri costumi, potenziando per quanto è stato possibile gli aspetti brillanti e dando risalto alle diverse sorprese che si sono susseguite nel corso della rappresentazione. Anche se ho cercato in tutti i modi di trasmettere contenuti di forte contrasto morale: l’avversità nei confronti dell’arroganza e l’umiltà e la vicinanza di sensibilità dove vi è buona fede e buoni sentimenti. Anche perché l’arroganza alla fine risulta perdente e l’umiltà e l’onestà vengono premiate. Questo lo presentiamo come desiderio ed auspicio del tipo di società che ci piacerebbe avere.
Noi come gruppo teatrale, con l’esperienza maturata negli anni passati, eravamo abituati a vederci e farci vedere a livelli di un certo spessore, stimati e apprezzati da tutti: dico questo perché una commedia come questa richiede 6 o 7 mesi di preparativi e prove. Per una serie di vicissitudini abbiamo lavorato poco più di 2 mesi e per qualche settimana nemmeno in nodo costante ma saltuariamente.
Ma, abbiamo ritenuto di dover esibirci lo stesso per accogliere la richiesta di diversi nostri concittadini emigrati che, sarebbero partiti dopo il 19… e anche di accogliere la richiesta di tanti galatresi che hanno espresso il desiderio di rivederci “in scena” per chiudere le manifestazioni estive galatresi con la nostra rappresentazione per gustare uno spettacolo simpatico e “nostro”!
Ripeto che c’è voluto molto coraggio e una grande spregiudicatezza per affrontare la scena con una preparazione, in termini di tempo, proprio minima ma abbiamo ritenuto di proporci lo stesso, coscienti di far vivere e gustare una nota profumata di galatresità.
Tra l’altro siamo tranquilli più che mai perché il nostro impegno è spinto ed ispirato soltanto dall’amore che abbiamo per il teatro. D’altronde noi ci proponiamo solo a livello amatoriale. Ringrazio tutti quelli che hanno contribuito perché la serata potesse essere realizzata”
.
Per concludere, da parte mia penso che si debba ringraziare tutta la Compagnia per la stupenda serata vissuta. Sono stati tutti bravi e ci hanno regalato una serata di divertimento dove i problemi quotidiani sono svaniti e abbiamo vissuto un momento di gioia comune (cosa rara al giorno d’oggi!).
Ho avuto la percezione che ci sono stati dei momenti in cui la gente presente partecipava attivamente alla commedia, la viveva, vi era dentro come se tutti ne fossimo personaggi coinvolti… ed è anche per questo che bisogna dire “grazie” per la magnifica serata e… congratulazioni a tutti per il successo!

Nella foto: un momento della commedia "L'eredità dello zio buonanima".


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(24.8.10) TROPEAFILMFESTIVAL: NELLA SERATA DI TORNATORE VINCE IL FILM DI PAPALEO (Massimo Distilo) TROPEA - Cala il sipario sulla quarta edizione del Tropea Film Festival. Ospite d'eccezione nell'ultima serata è stato Giuseppe Tornatore, premio Oscar, regista di diversi film che hanno segnato la storia recente del cinema (La leggenda del pianista sull'oceano, Nuovo Cinema Paradiso per citarne qualcuno).
Dopo la vivace conferenza stampa del 22 agosto, nella quale il regista ha replicato con passione e partecipazione ad alcune domande "scomode" dei giornalisti, l'ultima serata si è dipanata in modo pressochè perfetto. Il numeroso pubblico presente al Teatro del Porto di Tropea ha potuto entusiasmarsi alla consegna, da parte del sindaco Adolfo Repice, del premio "Tropea Film Festival 2010" a Giuseppe Tornatore appunto che, giunto con famiglia al seguito, ha avuto parole di elogio per questa rassegna cinematografica la quale, anno dopo anno, acquisisce maggior prestigio nel panorama italiano e, perchè no, europeo. "I premi", ha detto Tornatore, "sono sempre importanti e fa sempre piacere riceverli, indipendentemente dal luogo di consegna". D'altronde, aggiungiamo noi, perchè un premio preso a Tropea deve essere considerato inferiore ad uno preso in un'altra città italiana, europea o americana? perchè ci troviamo nel Sud dell'Italia e qualcuno ci ha ormai convinto che tutto quello che si fa qua ha valore minore?
Semmai di minore qui abbiamo solamente una classe politica che, in qualche suo rappresentante, si è presentata ieri sera al Teatro del Porto in tutta la sua pochezza. Vedere per esempio un presidente di provincia, chiamato sul palco, che non scuce se non due scontate paroline di circostanza come fosse lì di passaggio ed avesse altro cui pensare, fa davvero specie. Anche perchè questi signori, quando finalmente scuciono soldi e non parole per manifestazioni culturali, non li prendono dalle loro tasche, sono i nostri soldi! Non sembra a volte il caso di ringraziarli e riverirli più di tanto.
Come ha rilevato il comico Rocco Barbaro nei suoi due brillanti interventi della serata, particolarmente apprezzati dal pubblico, "i politici dovrebbero preoccuparsi anche delle vie di comunicazione, delle strade, delle ferrovie: se Tropea o un'altra località si raggiunge con difficoltà come fa a migliorare dal punto di vista turistico, culturale, commerciale?". A questa battuta del comico scroscianti applausi ed acclamazioni si sono levati dal foltissimo pubblico del Teatro del Porto.
Ma veniamo ai vincitori di questa edizione del Tropea Film Festival. Il premio per la migliore regia lungometraggio è andato a Rocco Papaleo per il film Basilicata coast to coast. Il comico-regista non è potuto essere presente perchè impegnato a Vasto nel ritiro di un premio per lo stesso film. D'altronde Papaleo non poteva bilocarsi.
Era presente invece (seduto in parterre assieme all'altro protagonista Andrea Ferrante) il piccolo Claudio Salvato che ha vinto ed ha ritirato personalmente il premio per il miglior attore protagonista lungometraggio. Il bambino è stato effettivamente bravo nella recitazione, forse unico sprazzo di luce in un film (Non te ne andare) piuttosto asfittico e senza momenti esaltanti.
Giovanna Mezzogiorno ha vinto il premio per la migliore attrice protagonista lungometraggio (film Basilicata coast to coast).
Il premio per la migliore regia cortometraggio è andato a Paolo Sassanelli per il film Uerra. Miglior attore protagonista cortometraggio è stato Marco Di Bella nel film Il limite, mentre Piera Degli Esposti è stata la migliore attrice cortometraggio nel film L'altra metà. Il premio per la migliore sceneggiatura lungometraggio è andato a Valerio D'Annunzio per Aria, mentre Mimmo Mancini e Pietro Albino Di Pasquale hanno vinto quello per la migliore sceneggiatura cortometraggio con U su'. Infine la miglior colonna sonora originale è stata quella di Giovanni Allevi nel film Aria.
L'ottimo patron del Tropea Film Festival Bruno Cimino è già in movimento per l'organizzazione della prossima edizione che, ci auguriamo, possa superare i già ottimi risultati raggiunti da quella di quest'anno.

Nella foto: Giuseppe Tornatore col premio TropeaFilmFestival 2010.

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(1.9.10) DUE VIDEO SUL TROPEA FILM FESTIVAL (Massimo Distilo) - Ecco due video sul recente Tropea Film Festival seguito dal nostro giornale come stampa accreditata. Il primo riguarda la premiazione del regista Giuseppe Tornatore che ha ricevuto il premio "TropeaFilmFestival 2010". Il secondo contiene invece il divertente intervento del comico Rocco Barbaro che non ha risparmiato i politici locali nella sua pungente satira; sempre in questo secondo video c'è la premiazione del piccolo Claudio Salvato come miglior attore lungometraggio.


In questo video: Giuseppe Tornatore, Adolfo Repice, Claudia G. Moretti, Jeff Bifano.



In questo video: Rocco Barbaro, Claudio Salvato, Claudia G. Moretti, Jeff Bifano, Michele Mirabello, Francesco De Nisi.


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(4.9.10) LA TRADIZIONALE PASSEGGIATA MUSICALE "TROPEA PORTE APERTE" (Massimo Distilo) - Ci sono delle idee vincenti che si consolidano nel tempo e diventano una tradizione che entra nella storia. Una di queste è certamente la passeggiata musicale Tropea Porte Aperte nei cortili e negli androni dei palazzi nobiliari della perla del Tirreno, che si rinnova da ben 13 anni consecutivi ed è salita agli onori come l'appuntamento più atteso della stagione concertistica itinerante Armonie della Magna Graecia, organizzata dall'associazione culturale "Amici del Conservatorio".
La conferma tangibile ancora una volta è arrivata martedì 31 agosto quando, nonostante una mattinata nuvolosa e un po' piovosa che per fortuna si è trasformata in una serata serena di stelle, una vera e propria marea di persone ha gremito puntualissima il piazzale antistante la Cattedrale da cui, come ogni anno, ha preso il via la passeggiata musicale.
Guidati tra gli incanti poetici e i profumi esotici del centro storico tropeano, descritto con precisione e chiarezza da Pasquale Schiariti, la prima tappa è stata il magnifico Palazzo Toraldo, dove nell'androne si è svolto il primo intervallo musicale. Dalla scalinata, l'incantevole voce del soprano
Marialetizia Bonanno (fra l'altro direttore del nostro giornale) ha suscitato emozioni indescrivibili con le melodie immortali delle antiche arie napoletane accompagnate al pianoforte dal magico tocco del M° Emilio Aversano, le cui note riecheggiavano quasi in lontananza in una delle entrate laterali del Palazzo. La cantante, perfettamente assecondata dal calibrato suono del pianista, ha coniugato rigore interpretativo e creatività timbrica coinvolgendo gli ascoltatori e suscitando entusiastici consensi.
La passeggiata è proseguita tra i vicoli tropeani con il numeroso pubblico, affascinato dal felice connubio tra musica e architettura, che ha compiuto la seconda tappa a Largo Spanò, dove c'era ad attenderlo la giovanissima orchestra di flauti Veipo Flute Orchestra diretta dal M° Verio Sirignano, composta da allievi e ex allievi del Conservatorio di Vibo Valentia. Molto apprezzate le esecuzioni di questa formazione che ha dato prova di ottimo affiatamento (condotta com'è da una bacchetta di prestigio) in brani che hanno spaziato dal classico d'autore all'opera lirica per concludere, nel bis a grande richiesta, con una delle colonne sonore, da pelle d'oca, di Ennio Morricone.
Dopo una sosta all'affaccio di Largo Galluppi dove, sullo sfondo dello splendido panorama, i presenti sono stati ammaliati dalle impareggiabili escursioni timbriche della giovane e valentissima violinista Kameliya Naydenova, si è infine giunti all'ultima tappa della passeggiata musicale nella straordinaria cornice dell'atrio della Curia vescovile. Lì si è creata un'affascinante atmosfera da sogno grazie al duo, ormai consolidato, formato dal pianista Emilio Aversano, vera anima della stagione concertistica e presidente dell'associazione "Amici del Conservatorio", e dalla stessa Kameliya Naydenova che ha estasiato tutti facendo vibrare con trasporto le corde del suo violino.

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(18.9.10) A QUARANT'ANNI DALLA RIVOLTA DI REGGIO, UN FOTORACCONTO DI FABIO CUZZOLA (Domenico Distilo) - Fabio Cuzzola, storico reggino che nel 2008 aveva dedicato ai fatti di Reggio del 1970 un libro di cui ci siamo a suo tempo occupati, torna ora sul tema, in occasione del quarantennale della rivolta (1970-2010), con Fuori dalle barricate, fotoracconto della rivolta di Reggio a cura di Valentina Confido (Città del sole, 2010, € 18) una raccolta di documenti d’epoca – non solo fotografie ma anche articoli di giornale e altro - corredata da una cronologia completa degli avvenimenti dal 1° marzo 1969 – quando la questione di Reggio capoluogo viene sollevata per la prima volta da un’assemblea di parlamentari ed altri politici convocata dal presidente dell’ Amministrazione Provinciale (il taurianovese Giuseppe Macrì) - al 19 settembre 1971, giorno dei funerali di Carmine Jaconis, ucciso alcuni giorni prima dalla polizia durante gli scontri avvenuti presso il ponte sul Calopinace.
Abbiamo incontrato Fabio Cuzzola a Cittanova, dove ormai da un lustro insegna al Liceo Classico, e gli abbiamo rivolto qualche domanda:

Intanto, c’è da chiedersi: perché “fuori dalle barricate”? Reggio ha forse chiuso i conti col suo passato prossimo?
E’ un titolo-invito ad uscire definitivamente da quella stagione di odio e violenza e di riscoprire un ruolo centrale rispetto all’area dello Stretto e alla provincia: credo che con la storia del capoluogo abbiamo perso di vista opportunità e legami territoriali forti, penso all’area grecanica sul versante ionico o alla piana di Gioia.

Nel suo lavoro di ricostruzione lei si è basato sulle testimonianze di chi c’era e sui documenti. E’ un modo di sfuggire alla retorica delle rievocazioni?
Come amo ripetere, questa storia fino a qualche anno fa era chiusa fra l’Annunziata e il Calopinace, le due fiumare che segnavano i vecchi confini di Reggio. A lungo avevano parlato solo i reduci e tutto quello che era stato pubblicato aveva il tono della memorialistica, spesso impregnato di retorica pro o contro la rivolta reggina. In genere, muovendomi nell’ambito contemporaneo prediligo le fonti storiche, questa volta le ho integrate con quelle fotografiche. Un’esperienza nuova. Ho scoperto che molti reggini conservano a casa dei veri “tesori” archivistici. Custodiscono, articoli, foto, volantini, memorabilia che potrebbero essere raccolti in un progetto museale.

Qual è, stando alla sua esperienza anche di docente, il rapporto dei giovani reggini e in generale di chi non c’era, con i fatti di quarant’anni fa?
Spesso, intervenendo nelle scuole, mi accorgo che i ricordi sono limitati a qualche esperienza familiare, o allo slogan “Boia chi molla”, per altro erroneamente attribuito a Ciccio Franco. In genere si assiste alla frammentazione della memoria, non esiste una memoria collettiva, condivisa, questo sicuramente perché siamo ancora nel solco della breve durata e molto deve essere ancora scritto e ricercato, altrimenti si rischia l’oblio. Come è accaduto per il terremoto del 1908.
Da segnalare tuttavia, che in molti manuali scolastici finalmente si comincia a parlare di questi avvenimenti inserendoli adeguatamente all’interno della questione meridionale e della strategia della tensione.

Può fare un bilancio del rapporto dell’opinione pubblica nazionale con i fatti di Reggio?
Anche qui registro dei cambiamenti in positivo. A lungo questo episodio è stato relegato nell’alveo della storia locale; alla storiografia marxista non interessava proprio una lotta etnica di campanile. Successivamente a partire dagli anni novanta, grazie alle testimonianze di un pentito e ai nuovi studi, si è cominciato a parlare di collegamenti con la ‘ndrangheta, con il golpe Borghese, con la strage di Gioia Tauro, insomma la rivolta è entrata a far parte della storiografia ufficiale e ne è testimonianza l’attenzione che i media nazionali e le università di tutta Italia hanno avuto nei confronti proprio di quest’ultima pubblicazione.

Perché proprio un libro fotografico?
Mi ero già interessato in passato della Rivolta, in particolare con il mio penultimo libro soffermandomi sulla persistenza che questo accadimento aveva nei reggini e non solo. Nel corso della raccolta delle interviste – oltre duecento – ho potuto notare come molti conservano piccoli archivi personali, ricchi di volantini, ritagli di giornale, fotografie. E’ da qui che sono partito, entrando in sinergia anche con gli intenti editoriali di Franco Arcidiaco che voleva realizzare qualcosa di nuovo per il quarantesimo. I reggini in quei giorni fotografarono tantissimo, in particolare per documentare quello che i media dell’epoca nascondevano: ad esempio la violenza delle forze dell’ordine. Oggi è una forma di documentazione che si fa in tutte le manifestazioni, allora fu qualcosa di pioneristico.

Volevo focalizzare la sua riflessione sulle cause di quei giorni: il capoluogo… oggi Catanzaro è e resterà il capoluogo della Calabria, Reggio ha perso?
A mio avviso non si è perso solo nel febbraio del ‘71, con l’ingresso dei blindati e la vittoria militare dello stato ma Reggio ha perso quando si è fermata alla sola richiesta per il capoluogo. Diciamolo serenamente, non è che Catanzaro con la sede del capoluogo sia diventata una metropoli di ampio respiro; questo mi sembra sia riconosciuto anche dagli intellettuali della città dei colli.

Fra le foto quelle che mi hanno più colpito sono quelli dei funerali delle vittime, una scelta precisa?
Questo è uno degli aspetti sui quali ho molto lavorato, anche nei libri precedenti. Vorrei ricordare che le vittime non furono tre: Labate, Campanella e Jaconis. A questi bisogna aggiungere il brigadiere Curigliano, l’agente Bellotti, l’alpino Mossini. Cittadini morti nel loro esercizio di appartenenti alle forze dell’ordine. Infine, le sei vittime della Strage di Gioia Tauro e non ultimo – come anche riconosciuto da un o.d.g. votato dal consiglio comunale di Reggio – l’operaio catanzarese Malacaria, ucciso in un attentato mentre partecipava a una manifestazione antifascista contro la Rivolta. Quindi va anche ricordato che nessuna di queste vittime ha ottenuto giustizia e che è ancora in corso l’unico processo per una causa di risarcimento a favore della famiglia Campanella intentato contro lo Stato. Il cammino è lungo ma speriamo si possa arrivare alla meta anche con il sostegno dell’amministrazione comunale.








Nelle foto: in alto la copertina del libro "Fuori dalle barricate"; in basso tre momenti della rivolta di Reggio.

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(19.9.10) CONCLUSA LA STAGIONE "ARMONIE DELLA MAGNA GRAECIA (Marialetizia Bonanno) - E' calato il sipario, giovedì 16 settembre, sulla XIII Stagione concertistica itinerante Armonie della Magna Graecia, organizzata dall'Associazione "Amici del Conservatorio", con il patrocinio della Regione Calabria, dell'amministrazione provinciale di Vibo Valenzia e dei comuni di Vibo, Maierato, Pizzo e Tropea.
Una degna conclusione nella meravigliosa cornice dell'Hotel Club Ipomea a S.Maria di Ricadi, circondato da uno dei più splendidi panorami che offre la nostra Costa degli Dei.
Una serata mite e stellata con la luna che illuminava il mare, ha accompagnato il numeroso pubblico molto attento che ha saputo apprezzare un concerto di altissimo livello con un ricco programma intenso e di qualità.
A esibirsi, l'Orchestra Sinfonica dell'Università di Parma, riconosciuta ufficialmente come centro musicale universitario, fondata nel 2000 dal M° Luca Aversano, con al suo attivo più di 50 concerti in tutto il mondo e composta da giovani allievi e diplomati di diverse nazionalità.
A dirigerla, in qusta occasione, il M° Antonino Sorgonà, musicista reggino, attualmente direttore del Conservatorio "F. Cilea" di Reggio Calabria e artista poliedrico con esperienze musicali solistiche e orchestrali maturate in anni di intensa attività professionale.
Il programma del concerto è stato da me presentato, in quanto vice presidente dell'associazione "Amici del Conservatorio" e soprano protagonista, tra l'altro, della
Passeggiata musicale a Tropea che è da sempre l'appuntamento più atteso della stagione concertistica.
Il concerto ha visto la presenza anche di validissimi solisti che si sono alternati in brani dei più grandi autori della storia della musica con padronanza tecnica e sensibilità musicale. Il duo formato dalle sorelle Naydenova: Kameliya al violino e Ralitsa alla viola, che si sono esibite nella Sinfonia Concertante di Mozart creando un espressivo dialogo tra i due strumenti e l'orchestra in una vera e propria pagina sinfonica. Il M° Emilio Aversano che si è cimentato in un'opera di assoluto valore come il Concerto per pianoforte e orchestra K488 di Mozart raggiungendo vertici melodici di rara bellezza ed eccezionalità con un tocco altamente accademico.
E poi le composizioni orchestrali più famose e suggestive del panorama musicale magistralmente dirette dal M° Antonino Sorgonà, come il Preludio a "La Traviata" di Verdi, i musicisti contemporanei Piazzolla e Morricone e ancora i classici con la Danza ungherese n.5 di Brahms, L'Adagio di Benedetto Marcello e l'Intermezzo da "La Cavalleria Rusticana" di Mascagni, cullati nel sottofondo dall'eco delle onde del mare.
Il concerto si è concluso con un brano virtuosistico, la Csàrdàs di Monti eseguita in maniera eccellente al violino da Kameliya Naydenova e su richiesta del pubblico che ha molto gradito e apprezzato, l'orchestra ha regalato anche dei bis.

Nella foto: Marialetizia Bonanno.

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(21.9.10) MOSTRA FOTOGRAFICA PERSONALE: "UGGIATE IERI, OGGI E DOMANI..." (Roberto Raschellà) - Domenica 26 Settembre sarà inaugurata la mia prima mostra fotografica personale in terra natia, dal titolo Uggiate ieri, oggi e domani..., patrocinata dall'unione di Comuni "Terre di frontiera", presso la biblioteca comunale di Uggiate Trevano (Como).
La mostra si inserisce nel progetto Fai il pieno di cultura, che vede una apertura domenicale straordinaria della biblioteca, a partire dalle ore 14,00.
All'interno della stessa giornata sarà attivo un laboratorio di disegno per bambini, Il paese che vorrei..., dove, dalle ore 15,00 ogni giovane artista avrà a disposizione colori e materiali per immaginare, con l'aiuto della fantasia, il proprio paese ideale. Una ricca merenda aspetta tutti alle ore 16,00.
La presentazione della mostra è alle ore 17,00 ed io,
Roberto Raschellà, sarò felice di rispondere personalmente alle curiosità di voi visitatori. La chiusura della giornata è prevista per le ore 18,00.
L'esposizione fotografica rimarrà aperta per una settimana, fino al 2 ottobre, nei seguenti orari di apertura della biblioteca:

dal lunedi al venerdi dalle ore 15.00 alle 19.00, il sabato dalle ore 14.30 alle 17.30

www.ilvicolopaoletto.com



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(23.9.10) IL CONCORSO LETTERARIO METAUROS - Ecco il bando del Concorso Letterario "Metauros" indetto dall’Università Ponti con la società per il tempo libero e la socializzazione, con l’amichevole patrocinio della prestigiosa associazione messinaweb.eu di Messina, presieduta da Rosario Fodale.
Il concorso è diviso in due sezioni:
  • libro edito di storia locale;
  • poesia singola in lingua italiana.
    La scadenza per l'invio delle opere è fissata per il 31 Dicembre 2010.

    Visualizza il bando completo (PDF) 25 KB

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    (3.10.10) LE CONTRADE DI GALATRO (III) - Siamo giunti alla terza puntata della nostra rassegna dedicata alle numerose e splendide contrade di Galatro che spesso hanno nomi davvero suggestivi. Nella prima puntata abbiamo parlato di Pigadi, Bofìa, Castedhaci, Fundacaro, Lagudi; nella seconda puntata di Jizzi, Cunduri, Cannavariu, Donnimperi, Ceramidiu, Gonì, Li Vagni; ve ne proponiamo stavolta altre sette:

    ZAGUNI - Terreno pianeggiante a nord della Centrale Elettrica e ai piedi del monte S. Elia. Il suo nome, a quanto si dice, deriverebbe da un proprietario terriero siciliano stabilitosi a Galatro nel 1600. Non si conosce l'esatto motivo per cui lo Zaguni (questo era il nome) aveva interesse a coltivare quelle terre a fianco del fiume Métramo.

    SANT'ARENO' (o San Renò) - Contrada sopra Galatro, nei pressi di Laureana di Borrello. Consta di un terreno coltivato a vite ed uliveto. Si racconta che in tale contrada, prima del terremoto del 1783, sorgesse una piccola chiesa intitolata a San Reno. Da ciò deriverebbe il nome di tale contrada.

    MARRADI - Il nome significherebbe "di Marra", ovvero appartenente a Ruggero Marra della provincia di Catanzaro. E' composta da terreni coltivati a uliveto e vite ricadenti nel territorio del comune di Galatro e in quello di Maropati.

    SDOGU - Contrada posta sopra la centrale elettrica. Terreno alquanto montuoso coltivato a vite. Originariamente era coltivato a castagni, dal cui legno venivano costruite le doghe per le botti. Il nome deriverebbe appunto da sdogare, ossia togliere le doghe.

    SPILINGA - Terreno pianeggiante nei pressi del fiume Metramo. E' coltivato ad agrumi ed ulivi. Il nome pare derivi da un feudatario proveniente da Spilinga, attualmente in provincia di Vibo Valentia.

    ROSICCU (Rio Secco) - E' così chiamata tutta la zona a destra e a sinistra del torrente Rio Secco che scorre passando vicino al cimitero di Galatro e le cui acque confluiscono nel fiume Fermano, proprio nell'abitato di Galatro, nei pressi della Villa Comunale.

    PATAMI (o Potàmi) - Il nome si riferisce alla contrada intorno al fiume Potàmi che scende dal monte S. Elia e va ad unirsi al fiume Metramo nei paraggi della Centrale Elettrica.

    III - Continua...

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    (18.10.10) IO E L'ITALIANO (Pina Lamanna) - Il mio legame con la lingua italiana è riconducibile ai primissimi anni della mia vita; infatti, la prima parola che mia mamma mi ha pronunciato é stata in italiano, anzi nella lingua del suo piccolo paese, Galatro.
    Quando ho iniziato ad andare a scuola, non è che ho avuto molti rapporti con lo spagnolo, anzi le prime parole in spagnolo mi sono costate molto, la lettura è stata difficile, per questo ho dovuto studiare durante tutte le mie vacanze del primo anno scolastico.
    La lingua italiana insomma mi avvicina alla Madre Patria, cioè alle mie radici culturali, anzi religiose, se penso che il primo rapporto con la lingua italiana è avvenuto nella preghiera, è stato e ancora lo è con la Madonna del piccolo paese dei miei genitori.
    Mi piace raccontare un piccolo aneddoto che si racconta in famiglia nei giorni della Festa della Madonna della Montagna. Una volta mia nonna ha detto a una nipote di andare a comprare le melanzane per preparare il tipico piatto che si mangia nella veglia della Madonna: “le melanzane ripiene” (‘i melangiani chini). Mia cugina è andata a fare la spesa e ha chiesto, in dialetto, che voleva comprare le melanzane. La povera donna non ha capito cosa voleva la piccola e anche mia cugina è rimasta senza parole. Queste piccole cose sono accadute nei primi anni dell’arrivo in Argentina dei nostri cari antenati, dove poi la lingua d’origine si é mescolata con la lingua del nostro paese.
    Siccome la lingua italiana che io conoscevo era il dialetto, ho deciso di studiare l’italiano. L’amicizia con l’italiano è stata magica perché mi ha avvicinato anche alla lingua dell’arte, la mia passione. Non si può dire che la vera arte è italiana, è la dolcezza della lingua che trasmette la bellezza dell’arte.
    Proprio nel mio primo viaggio in Italia io potevo parlare soltanto in dialetto, anche se capivo benissimo l’italiano. Mi vergognavo anche di fronte ai miei cugini per la mia mancata conoscenza della lingua. Loro in qualche modo mi hanno accolto con tanta emozione e ho avuto un meraviglioso e indimenticabile soggiorno.
    In questi piccoli borghi del sud dell’Italia, le persone più anziane continuano a mantenere la loro propria lingua però i giovani che studiano e lasciano i loro paesi per le città sedi di università, non parlano tanto il dialetto, e devo dire che proprio loro mi hanno incoraggiato a cominciare questo percorso di studio della lingua italiana.
    Poi, nel mio secondo viaggio in Italia, mi hanno fatto i complimenti per i miei progressi con la lingua italiana, che continuo a studiare ancora giorno dopo giorno per migliorarla.
    Volevo studiare l’arte nella mia lingua, la passione che ho da bambina non potevo fare a meno di continuarla con i libri originali, entrando nei grandi musei dell’Italia e sentendo l’arte che trasmettono le grandi opere universali.
    Sebbene questa lingua, che studio con tanto piacere e devozione, a volte, sia un po’ difficile perché non è facile ricordare tutte le regole grammaticali. Però con pazienza, anno dopo anno, faccio lo sforzo per superarmi e conoscere di più questa meravigliosa lingua: “la lingua di Dante”.
    Per noi che siamo oltre Oceano con le nuove tecnologie le distanze non esistono più, in pochi secondi le comunicazioni sono pronte con gli amici in qualsiasi città del mondo in cui si trovino, ed io continuo a conoscere nuove parole in italiano grazie ai rapporti via internet.
    Il motivo principale che mi spinge a studiare l’italiano è che ho una grande fonte d’ispirazione che sono stati i miei genitori, nonni, zii, cugini, amici anche conoscenti che hanno una vicinanza alla cultura che adesso anch’io ho nel cuore.
    Questa urgenza che mi fa studiare la lingua italiana anche è una crescita culturale, una necessità di vivere in maniera attiva le mie radici, ecco perché studio l’ italiano: per sentirmi più vicina all’Italia.

    Nelle foto: Pina Lamanna, scorcio panoramico di Galatro con chiesa della Montagna.


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    (21.10.10) UN VOLUME SU GUGLIELMO COTTRAU (Marialetizia Bonanno) - Per lungo tempo, il repertorio tutt’oggi conosciuto col nome di “canzone napoletana”, ha mescolato forme di epoche differenti, rendendo comunque possibile ai giorni nostri la sopravvivenza di canzoni anche molto antiche, rivisitate dai cantanti di “genere”. Tutto ciò è stato possibile grazie ad una caratterizzazione precisa di questo tipo di musica che, a dispetto della tradizione popolare acquisita nei periodi successivi, in epoca ottocentesca era invece soprattutto di approccio salottiero, particolare questo che contribuì a tramandare per iscritto molte di queste preziose canzoni. Queste composizioni di fonte scritta rappresentavano il frutto di quel fermento tutto napoletano legato all'editoria musicale, che ebbe inizio con Girard e Cottrau e che si amplificò, lungo tutto l’ottocento, sino ad arrivare ai noti Bideri e Ricordi.
    Fatti e documenti testimoniano la nascita e lo sviluppo di un genere tutto partenopeo che, dall’anonima arietta “Si tu nenna”, porta sino a quelli che, senza peccare di troppa enfasi, si possono certamente definire i monumenti della poesia in musica dell'ultimo quarto dell’Ottocento, di cui Di Giacomo e Costa sono di certo i più alti rappresentanti.
    Tutto ciò, però, è stato possibile solo grazie all’importante ed insostituibile ruolo svolto dall’editoria musicale a Napoli, che contribuì nettamente dapprima alla riscoperta e messa alle stampe di un repertorio prettamente orale e poi allo sviluppo della canzone d’autore. A Bernard Girard e Guillaume Cottrau si deve lo sforzo di tramandare questi reperti musicali di origine popolare che, attraverso le loro mani, si trasformarono in arie da salotto divenendo la base di un genere canzonistico che avrà un respiro internazionale.
    Guillaume Cottrau, era conosciuto come “il francese venuto a Napoli al seguito di Gioacchino Murat” e, come tanti stranieri giunti quasi per caso nel Meridione d’Italia, se ne innamorò tanto da diventarne il cantore ideale. Aristocratico francese, Guillaume Cottrau arrivò a Napoli dodicenne al seguito del padre. Nonostante fosse destinato alla carriera diplomatica, a rapirgli il cuore furono le canzoni napoletane, tanto che divenne sia compositore che editore musicale. Questa passione, a partire dal 1825, lo portò a iniziare a raccogliere canti popolari, spartiti e testi, che altrimenti, affidati alla tradizione orale collettiva, sarebbero andati dispersi. Grazie alla collaborazione con la casa editrice Girard, di cui poi divenne comproprietario, Cottrau diede alle stampe i volumetti “Passatempi musicali”, che divennero celebri in tutta Europa contribuendo in modo determinante alla diffusione della canzone napoletana fuori dai confini nazionali.
    Ecco, allora, che finalmente si fa giustizia di un personaggio importante per la storia della musica napoletana, attraverso un lavoro che riesce a mettere in risalto la sua figura.
    Massimo Distilo, con questo suo volume, ha avuto il pregio di raccogliere, in traduzione italiana, quasi tutto il materiale di prima mano sulla vita e l’attività di Guillaume Cottrau, il quale, come dicevamo, è all’origine della nascita e del primo affermarsi della canzone napoletana: le celebri Lettres d’un mélomane, pour servir de document à l’histoire musicale de Naples de 1829 à 1847, pubblicate in francese nel 1885 dall’editore Morano di Napoli, con annessi “Giudizi dei giornali” dell’epoca; Le Portefeuille d’un mélomane, che vide la luce a Parigi, nella Revue Britannique, 1888 ca., lettere ricevute da Guglielmo Cottrau e dal figlio Giulio; Ricordi biografici napoletani: Guglielmo Cottrau, una breve biografia di Guglielmo Cottrau scritta da Edoardo Cerillo (Lylircus), pubblicata a Napoli da Marghieri nel 1881, con appendici tradotte in italiano; gli spartiti di alcune canzoni napoletane di Guglielmo Cottrau, tratte dalla Raccolta completa delle canzoni napoletane composte da Guglielmo Cottrau, uscita nel 1865 per i tipi del Reale Stabilimento Musicale Partenopeo di Teodoro Cottrau, che contiene tutte le canzoni uscite nei fascicoli dei Passatempi Musicali; alcune rare immagini della famiglia Cottrau; nonché un profilo biografico ragionato di Guglielmo Cottrau che fa da introduzione all’intero corpus dei documenti. La prefazione al volume e di Massimo Privitera, docente di Storia della musica all'università di Palermo.
    Musicista dalla carriera concertistica di assoluto rilievo, sia in qualità di solista che in formazioni da camera esibendosi anche in duo a 4 mani con Aldo Ciccolini, Massimo Distilo, come tutti gli artisti di particolare sensibilità, non si è accontentato, affrontando, dopo il diploma in pianoforte al Conservatorio di Reggio Calabria, gli studi per giungere alla laurea in discipline delle arti musica e spettacolo e conseguendo un master in discipline musicali. Questi suoi ulteriori approfondimenti scientifici, lo hanno portato ad approfondire lo studio di questo vero e proprio melomane, ovvero il viscerale amante dell'opera lirica, Guglielmo Cottrau appunto.
    E' così nato questo libro: Guglielmo Cottrau: Lettere di un melomane, con altri documenti sulla prima stagione della canzone napoletana, a cura di Massimo Distilo, Laruffa, € 20 che non può né deve mancare nella libreria di chi crede nella forza della musica, nel fascino del melodramma, nella seduzione delle antiche aree napoletane.
    Un lavoro, questo di Massimo Distilo, per il quale dobbiamo essergli grati e che riporta nella giusta attenzione un personaggio, Cottrau, che con la sua passione ha contribuito a rendere immortale un genere musicale, tipicamente italiano e meridionale, amato ed apprezzato universalmente.

    Ecco alcune delle principali librerie on line in cui il volume è presente:
    Internet Bookshop
    Libreria Universitaria
    Bol libri
    Laruffa Editore
    Webster
    Deastore

    Recensione del libro sul sito della Rai

    Nelle foto: la copertina del volume su Guglielmo Cottrau.

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    (3.11.10) PRESENTATO A CITTANOVA IL FOTORACCONTO DI CUZZOLA SULLA RIVOLTA DI REGGIO - Nell’ambito della manifestazione "Ottobre, piovono libri" organizzata dal Comune di Cittanova s’è svolta presso la Biblioteca Comunale “V. De Cristo” la presentazione del libro di Fabio Cuzzola Fuori dalle barricate, da noi presentato con un’intervista all’autore.
    Pubblichiamo la relazione sul libro di Cuzzola tenuta da Domenico Distilo e l'intervento dell'autore:



    Quando, all’inizio del 2008, uscì il primo dei due libri di Fabio Cuzzola sulla rivolta di Reggio, Reggio 1970, Storie e memorie della rivolta, dei fatti del 1970 non si parlava praticamente più. Nel volgere di quattro decenni su quelle vicende era sceso l’oblio, declassate a evento marginale se non folkloristico di una stagione storico-politica che, si pensava, aveva avuto altrove i suoi centri di gravità.
    Questi altrove erano l’autunno caldo, la bomba a Milano alla Banca dell’Agricoltura, il golpe fantasma di Junio Valerio Borghese, l’attuazione dell’ordinamento regionale previsto dalla Costituzione.
    In Reggio 1970 Cuzzola smonta il paradigma della marginalità puntando sulle testimonianze di chi c’era, di chi ha partecipato, soprattutto mostra come la ribellione di Reggio non sia stato un fatto isolato e avulso dal contesto italiano di quegli anni, una jacquerie meridionale con Ciccio Franco in veste di Masaniello, ma un episodio della politica nazionale preparato nelle sedi politiche nazionali e in esse gestito, dall’antefatto – l’accordo segreto stretto durante una cena al ristorante romano “Vigna dei Cardinali” tra i tre big della politica calabrese, il socialista Giacomo Mancini e i democristiani Riccardo Misasi ed Ernesto Pucci - fino agli ultimi fuochi consumatisi nel settembre 1971, preludio a una “normalizzazione” che per Reggio e la sua provincia sono consistite nella riproposizione di problematiche che la dura – e sbagliata - lotta per il capoluogo non ha neppure scalfito.
    E’ proprio questo il punto ed è proprio questa la domanda che Cuzzola si rivolge: a cosa è servito?
    Si tratta, però, di un’interrogativa retorica: non è servita a nulla, tranne che a far eleggere senatore per una manciata di legislature il sindacalista Cisnal (il sindacato di destra, contiguo al MSI) assurto a capopolo; a fare della Regione Calabria un’entità bicefala, col Consiglio Regionale che si riunisce a Reggio mentre la Giunta ha sede a Catanzaro; a far cullare alla Piana, per alcuni anni, il sogno di un’industrializzazione impossibile (il V° centro siderurgico al posto degli uliveti della Lamia) perché estranea alla vocazione, alla tradizione, alla cultura del territorio.
    Allora: se non è servita a nulla, se Reggio e la sua provincia non hanno cambiato il proprio destino in seguito ai fatti del ’70, se la rivolta è stata domata nel giro di qualche anno, è chiaro che essa va reinterpretata, sottratta alla pretesa dimensione esclusivamente localistica e collocata nel contesto della politica nazionale assegnandole il posto che le spetta nel quadro della strategia della destra – non tanto politica quanto economica, militare, burocratica - volta a cambiare gli equilibri che si esprimevano nei governi di centrosinistra, il cui impulso riformatore nel 1970 non si è ancora completamente spento – è di quell’anno, tra l’altro, l’approvazione dello Statuto dei lavoratori, con il socialista Brodolini al Ministero del Lavoro e il giuslavorista Gino Giugni in veste di ispiratore.

    Dal 1964, anno del presunto tentativo di golpe del generale De Lorenzo, al 1970 la spinta riformatrice del centrosinistra viene infatti man mano attenuandosi, imbrigliata dai dorotei, ma col governo Colombo – quello che vara il famoso pacchetto - essa è ancora in atto, esprimendosi nel riformismo di quei settori della DC che non pensavano che il conservatorismo dovesse essere necessariamente nel Dna del partito cattolico.
    La Dc e i governi di cui essa è il perno attuano ancora, in quegli anni, una politica keynesiana che realizza uno spostamento di ricchezza verso i ceti popolari. Siamo in piena società affluente e gli indici di reddito in forte crescita si portano dietro un cambiamento negli stili di vita e nelle visioni del mondo che distrugge la vecchia Italia della destra profonda di cui ha nostalgia Pier Paolo Pasolini, il famoso regista e scrittore cantore delle lucciole.

    Ma nel 1970 è già passato il Sessantotto, il mitico Sessantotto, che veicola non solo nell’universo giovanile ma in tutta la società un sistema di valori che mette in discussione il principio d’autorità, lasciando presagire processi sociali governati dal basso e che, intanto, con la contestazione della guerra del Vietnam, delinea, al di là della specificità del conflitto, un’idea della rottura del binomio politica-guerra che aveva avuto alcuni anni prima in don Milani, autore della Lettera ai cappellani militari il mentore più perspicuo.
    E’ in questo contesto che scoppia la rivolta di Reggio, rivolta che partiti e intellettuali di sinistra non capiscono per la semplice ragione che non possono inquadrarla nello schema classico dell’ideologia marxista operai vs capitale: se in Calabria non c’erano le fabbriche, così essi ragionavano, non ci poteva essere il proletariato di fabbrica, dunque non si poteva trattare che di un fenomeno intrinsecamente reazionario, opera di piccola borghesia in combutta con settori di quel lumpenproletariat che Marx ed Engels avevano squalificato quale carne da cannone di tutte le manovre reazionarie. Insomma la sinistra rinunciò a capire, lasciando alla destra un’opportunità insperata.
    Questo il quadro descritto da Cuzzola nel volume del 2008, a cui si aggiunge ora un nuovo lavoro essenzialmente documentario – foto, cronologia della rivolta, estratti di cronache dei giornali dell’epoca - il cui titolo Fuori dalle barricate vuole essere l’indicazione di un programma: la storicizzazione della rivolta e la fuoruscita dallo sterile ribellismo, - fuori dalle barricate, appunto - fuoruscita che allude e speriamo preluda, a una matura consapevolezza, a un approccio alle problematiche sociali ed economiche in grado di fare finalmente dei reggini in particolare e dei calabresi in generale gli artefici del proprio destino.
    Il clou del libro penso sia nell’intervista al sindaco Piero Battaglia, l’autore del famoso Rapporto alla Città con cui inizia la storia della Rivolta.
    L’intervista viene fatta nel 2005, poco prima della morte dell’uomo politico reggino duramente segnato dalle accuse di un pentito (poi rivelatesi false) di essere stato tra i mandanti dell’omicidio Ligato. Dichiara Battaglia in una delle risposte: "Noi volevamo una rivolta democratica nella quale non ci fossero episodi di tritolo o episodi di morte. Perché non appartenevano assolutamente alla nostra cultura. E li abbiamo sempre respinti. E questo era lo steccato che divideva noi da loro. I signori della destra del Movimento Sociale non avevano capito il vero spirito della protesta, anzi si erano espressi contro la rivolta. Almirante non ne voleva sapere".
    In queste parole dell’ex sindaco c’è, secondo me, il nodo problematico più importante del futuro lavoro storiografico sulla rivolta di Reggio: se Almirante “non ne voleva sapere” chi ha attizzato il fuoco della protesta violenta? Nel primo libro di Cuzzola è delineata la risposta. E’ stata la destra estrema, i cui esponenti già dalla metà degli anni Sessanta – si pensi al tristemente famoso Stefano Delle Chiaie - facevano frequenti viaggi a Reggio, ospitati da un rappresentante della destra aristocratica, vetero fascista, francamente e sinceramente reazionaria, il marchese Giuseppe Genoese Zerbi.
    L’MSI, il partito della destra in doppiopetto ha solo, in fondo, lucrato elettoralmente mettendo il cappello su un “lavoro” eseguito da ambienti magari ad esso contigui ma non organici.
    Ma torniamo a Fuori dalle barricate. Il libro ci documenta, con le foto, con i servizi degli inviati dei grandi quotidiani nazionali – il TG unico della RAI di allora, come oggi il TG1, ometteva, ovattava, deformava – ci documenta, dicevo, il clima dell’epoca, clima intensamente vissuto anche in Provincia.
    L’anno scorso Fabio Cuzzola ha raccolto delle interviste sull’impatto della rivolta nel vissuto personale di quanti, magari per ragioni d’età, non vi hanno partecipato. Tra gli altri ha intervistato me e il collega Mazzotta. Non siamo i soli a poter rendere testimonianze. Anzi, c’è sicuramente chi ha avuto un ruolo attivo, chi ha fatto le barricate in provincia. Ricordo - un ricordo vago per la allora giovane età - gli incidenti a Cinquefrondi e a Gioia Tauro, i blindati a Rosarno in quello che all’epoca era lo spiazzo della Sovrana, la fabbrica di gelati sulla via Nazionale Sud. Ma soprattutto ricordo che all’indomani della rivolta, anzi, mentre la rivolta non si era ancora esaurita, sono apparsi i cantastorie che in microsolchi da 45 giri, ormai introvabili pezzi da museo di modernariato, cantavano quella che era già sentita come un’epopea popolare, agitando il motivo di Reggio sola contro tutti.
    In particolare ricordo una frase: "A bandera riggitana sa piggharu li ‘mbrugghuni, mentri a Riggiu rrimaniu sulamenti lu bastuni". La lettura popolare della rivolta è riassunta interamente in questi due versi: il popolo di Reggio si sente tradito dai suoi politici, dai suoi onorevoli “chi pinzavanu mi si rrinchinu a so panza” vendendo Reggio ai catanzaresi.
    Nel sentimento popolare, pur con le inevitabili esasperazioni e incomprensioni, c’è un elemento di verità: la politica dell’epoca non ha saputo interpretare il sentimento popolare, la rabbia di Reggio, per condurla verso sbocchi costruttivi. In altre parole: la politica non ha saputo fare il suo mestiere, anche se c’è pur stato qualche politico che ha cercato di entrare in sintonia con il sentimento popolare, di proporsi come catalizzatore del malessere di Reggio. Reggio in fiamme di Giuseppe Reale è il documento di questo tentativo – che credo sia rimasto l’unico -, anche se per un deputato democristiano qual era Reale, peraltro isolato dentro e fuori il suo partito, si trattava di una mission impossible, un tentativo che non sarebbe mai potuto riuscire.
    L’altro ingrediente dell’esasperazione popolare, anche questo ripreso dai cantastorie, è la rabbia che investe non solo politici catanzaresi e cosentini, ma tutta Catanzaro e tutta Cosenza, come se catanzaresi e reggini fossero, tutti insieme, gli artefici delle ambasce di Reggio, di quella che veniva percepita senz’altro come l’umiliazione di Reggio. Così sempre un anonimo cantastorie, voce del popolo reggino, raccomandava di dire “alla città d’i colli (Catanzaro, si sa, sorge su dei colli che rendono il vento l’elemento meteorologicamente caratteristico) c’a Riggiu finiu u tempu di capicolli” versi, questi ultimi due, che contengono la certezza, quantomeno l’auspicio, che una nuova classe politica reggina non si sarebbe più venduta, non avrebbe tradito Reggio.
    Tra Reggio e Catanzaro sembrava perciò essersi alzata una barriera, un muro che non era di mattoni come quello di Berlino ma di avversione radicata, di odio viscerale che metteva in sonno la ragione – che quand’è in sonno genera mostri, giusto quanto ammoniva la nota frase di Goya.
    Fortunatamente – le vie del Signore sono infinite - fu per merito di un reggino, Angelo Mammì, che il muro d’odio s’infranse. I Catanzaresi, che l’anno dopo il capoluogo conquistarono la serie A, poterono far entrare la Calabria nell’Olimpo calcistico – come recitava il titolo a caratteri cubitali in prima pagina della Gazzetta del Sud il giorno dopo - proprio grazie al gol del reggino Mammì al Bari nello spareggio disputatosi al San Paolo di Napoli (detto incidentalmente e per me dolorosamente: nel successivo campionato di serie A lo stesso Mammì avrebbe segnato il gol della vittoria casalinga del Catanzaro contro la Juventus alla prima giornata di ritorno, nel Gennaio 1972).
    Ora del capoluogo a Reggio Calabria non parla più nessuno e ha ragione Cuzzola a dire che Reggio è fuori dalle barricate. Anzi, l’ascesa, nella scorsa primavera, di un politico reggino alla presidenza della Regione Calabria ha definitivamente sepolto quella stagione che è ormai matura per passare alla storia, per essere studiata nei manuali e, pensateci, magari fatta oggetto di tesi per l’esame di maturità.
    Ma, chiediamoci, quale potrebbe mai essere l’interesse di uno studente del XXI secolo a rivangarla? Quale potrebbe essere la molla che, crocianamente, ri-attulizza ciò che appare inesorabilmente passato?
    In primis, il fatto che chi non conosce la propria storia è condannato a ripeterla, in quanto ignorando i demoni del passato non li riconosce quando, casomai, ritornano. In secondo luogo, se non si conosce il passato non si conosce il presente, che è, anche, il risultato di quella sconfitta, di una partita persa perché in quel contesto storico-politico non poteva che essere persa, essendo apparsa al senso comune di allora, fortemente orientato a sinistra e portato a vedere in una rivolta localistica – anche se poi, s’è visto, tale non era - nient’altro che il residuato di un cattivo tempo antico già travolto dalla modernizzazione, spazzato via dal sol dell’avvenire.
    Se c’è una cosa che la rivolta ci insegna, infine, è che va riveduta e corretta una sinistra che ha quasi sempre creduto nella storia ma non si è mai o quasi mai interessata degli uomini che la fanno, come se la storia fosse guidata da leggi deterministiche, impersonali, e fosse un elemento trascurabile la volontà degli uomini che modifica il contesto storico creando, non dal nulla ma creando, i fattori che determinano il futuro.

    Le celebrazioni per il quarantennale della rivolta a Reggio sono così passate, sono anch’esse passato, così com’è passato la rivolta che le ha ispirate. La politica reggina ha dato, tutto sommato, l’impressione di averle organizzate più che altro per dovere d’ufficio, distogliendosi dalle questioni che ruotano intorno alla futura città metropolitana che, ove mai venisse realizzata – cosa allo stato altamente improbabile - realizzerebbe, potrebbe realizzare l’integrazione tra Città e Provincia, forse l’aspirazione dei “provinciali” che quarant’anni fa parteciparono da lontano al moto.
    Una domanda mi viene da porre in conclusione di queste note: è da condividere lo scetticismo di Manzoni, di Voltaire, anche di Cuzzola, sulla partecipazione diretta del popolo quale si esprime nei moti, nelle rivolte, nelle agitazioni di piazza?
    Stando ai risultati della rivolta di Reggio sì; in generale no, ché senza il popolo in piazza nessuna rivoluzione, né inglese, né americana, né tantomeno francese si sarebbe fatta. L’unica cosa che ci consola è che le prossime rivoluzioni, se ci saranno, saranno ad opera delle piazze mediatiche, del popolo del web, certo meno passivo, meno amorfo, meno succube del popolo televisivo.

    Domenico Distilo

    * * *

    Per chi come me è nato negli anni sessanta, la Rivolta fino all’età della coscienza, è stata solo un vago ricordo del gas urticante dei lacrimogeni e una corona d’alloro funebre posta all’angolo del rione Pescatori che, giocando per strada, vedevo rinsecchirsi con il trascorrere di settembre.
    Nessun racconto, nessuna lezione, nessun libro scolastico ne parlava, nessuna targa o via per ricordare, solo l’urlo “boia chi molla” scandito di tanto in tanto allo stadio.
    Poi è arrivato il tempo delle domande, dello studio, della ricerca, spesso nella solitudine di chi soleva ripetere: “ancora la rivolta!? Basta è finito tutto!”
    Già perché trascorso quel drammatico febbraio del ’71, la città si è ripiegata su se stessa, ha eretto delle barricate ideali, contro tutto e tutti, alimentando la cultura del “tutti sono contro Reggio!”, nel tentativo di richiudere ferite profonde.
    Sono trascorsi quarantanni e, anche se siamo nel solco della breve durata, è opportuno cominciare a fare i conti con la nostra storia, come reggini e come calabresi.
    Per fare questa operazione è opportuno liberarsi della lente deformante dell’ideologia, che a lungo ha condizionato la possibilità di crescita della nostra Terra e non ci ha permesso una lettura degli avvenimenti serena e costruttiva.
    Per questo la storiografia ufficiale ha relegato il sud ad un posto marginale.
    Oggi lontano dagli odi del tempo, dal dolore che spinge alla risposta violenta, dalla voglia di scagliare la pietra di Davide contro Golia, bisogna che quell’evento diventi patrimonio della nostra memoria collettiva, in particolare per chi allora per ragioni anagrafiche non c’era.
    Solo qualche punto per sviluppare meglio la mia riflessione:

  • Fu una lotta per il capoluogo, ma fu anche una lotta contro il potere. Da sempre lo Stato quando non capisce i fenomeni tende a denigrarli, e questo ha finito per esacerbare gli animi dei reggini, anche quelli più pacifici, orientandoli verso il qualunquismo dell’antipolitica.

  • Il tema dell’identità, vera e propria bandiera della destra, anello debole per la sinistra del tempo, è ritornato in auge a partire dagli anni novanta, con le esperienze del municipalismo del “glocale”, rivalutando la comunità ed il ripartire dal basso.

  • Diciamolo francamente, Catanzaro con il capoluogo non è sicuramente diventata in questi quattro decenni l’epicentro del Mediterraneo, e così non lo sarebbe e non lo è neanche Reggio con l’etichetta “metropolitana”; se ai titoli non aggiungiamo servizi, idee e sviluppo, questi rimangono solo mostrine politiche.

  • La storia da sempre è in cerca di verità e giustizia, per le vittime della Rivolta ancora siamo lontani sui due campi. Questo è l’aspetto che come cittadini dovrebbe starci più a cuore. Per prima cosa vorrei ricordare che le vittime non sono tre: Labate, Campanella e Jaconis. A questi bisogna aggiungere il brigadiere Curigliano, l'agente Bellotti, l'alpino Mossini, cittadini morti nel loro esercizio di forze dell'ordine; infine le sei vittime della Strage di Gioia Tauro e non ultimo, come anche riconosciuto da un odg votato dal consiglio comunale di Reggio nel 2005, l'operaio catanzarese Malacaria, ucciso in un attentato mentre partecipava ad una manifestazione antifascista contro la Rivolta. Nessuna di queste vittime ha ottenuto giustizia, e che ancora è in piedi l'unico processo per una causa di risarcimento a favore della famiglia Campanella intentato contro lo Stato. Il cammino è lungo ma speriamo si possa arrivare in fondo anche con il sostegno dell'amministrazione comunale, che ha finalmente oggi ha accolto un grido di dolore lungo quarantanni e che spesso ha subito solo strumentalizzazioni politiche.

    Per ultimo una proposta operativa; a Catanzaro sta sorgendo grazie alla tenacia di un gruppo di giovani intellettuali un archivio della memoria storica a partire dalla digitalizzazione delle carte dei processi su piazza Fontana, il cui ultimo atto si realizzò proprio nella città dei colli…… e a Reggio? E’ arrivato il momento di essere operativi, almeno con un archivio o una sezione presso la biblioteca comunale per raccogliere, catalogare, studiare e finalmente liberi infine, narrare.

    Fabio Cuzzola

    Nelle foto, dall'alto in basso: Domenico Distilo e Fabio Cuzzola.

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    (4.11.10) 'U LUTTU: UNA POESIA DI GAETANO GRILLEA (Michele Scozzarra) - Come cambiano le cose: fino a qualche tempo fa, se c’era un argomento considerato tabù per eccellenza, questo era la morte. Non se ne parlava tra la gente “perbene”, perché la morte è considerata la triste testimonianza della nostra caducità… ma ora, da un bel pò di tempo l’argomento, e la stessa parola “morte”, sono stati sdoganati e se ne parla con una facilità che appena pochi anni addietro era impensabile.
    Ho letto, qualche tempo addietro, una poesia di Gaetano Grillea, un delicato poeta rosarnese (nato nel 1917 e morto nel 1993), che in maniera precisa quanto implacabile fotografa “come si tiene il lutto” nei nostri paesi quando muore una persona.
    Per molti versi la poesia si presenta come una satira “spietata” verso una “usanza” dove per rendere rispetto al morto, nei giorni del lutto, si parla di tutto ma “di cui fici l’urtima scumarra, pari ca mancu è veru, non si parla!”
    Siamo davanti ad una satira che riesce a far pensare, e sorridere anche!, su un argomento del quale c’è poco da scherzare, dove non sembra possa trovare spazio nessun contenuto a carattere “umoristico”.
    Ma, in questo caso, con la poesia del Grillea, ci troviamo di fronte ad una lettura della realtà che si presenta come una grande espressione artistica, un genere di quella letteratura che ha caratterizzato l’attenzione verso quei fatti della quotidianità della vita, con l’intento di evidenziarne gli aspetti paradossali e schernire le evidenti assurdità e contraddizioni dell’agire umano.
    Sotto questo aspetto, la poesia “’u luttu” di Gaetano Grillea è veramente un capolavoro.

    ‘U LUTTU
    di Gaetano Grillea

    Cumbeni mi si cunta in poesia
    com’è chi ccà di nui tenimu ‘u luttu:
    ‘A visita chi è? Facciaforia!
    Cù trasi faci ‘mprima ‘u mussu asciuttu,
    cu ll’autri poi si menti ‘u pipitia
    e ja, cu nenti sapi appura tuttu,
    mentri ‘a famigghia, affrritta e ‘ndulurata
    avi ‘u si ncugna ja sacrificata.

    Nta visita (tenuta pì tri jorna)
    vi pari ca si parla ì cui moriu?
    E ggià! Pì rispettari a ccui non torna
    e confortari a ccui ebbi ‘u sbariu,
    di tuttu si discuti, puru ì corna,
    e di ogni fattu novu chi succediu:
    ma di cui fici l’urtima scumarra,
    pari ca mancu è veru, non si parla!

    Si parla, comu no, d’arrobbatini
    di povari arriccuti e di intrallazzi,
    di sciarri, matrimoni e fuitini,
    di vesti curti, di pili e di mustazzi,
    di arburi, d’arangi e mandarini,
    di pumadora e di piparolazzi;
    d’i gusti ‘nto mangiari, cottu o crudu,
    ma propriu ì cui moriu non parla nuju!

    E nu discursu cu ll’atru s’allaccia
    e junta ì una ‘a n’autra famigghia.
    “Sapiti ca Jufà nesciu paccia?”.
    “Sì, fora gabbu e fora meravigghia”.
    “Povera Crista, senza cchiù n’attaccia,
    maritu carceratu, e nd’avi ‘a figghia
    prena di tri misi… su doluri…”.
    “Ddio mu ndi scanza e libbera Signuri!”.

    Inveci mu si staci cittu cittu,
    ognunu si svidica cchiù chi poti
    e accussì nu fattu veni dittu
    (duranti ‘u luttu) quattru o cincu voti.
    “Io, dici una, haiu ‘u cori affrittu
    ca a Jufà nci mancanu tri roti…”.
    “e no sapiti, attacca n’atra ardita,
    ca ‘a figghia è grossa senza pemmu è zzita!”.

    Bella manera, bella costumanza
    di cunfortari cori ‘ngrumulati!
    Si cogghinu, a li voti, ‘nta na stanza
    di mancu menzu lottu, tutti ‘ncugnati
    cchiù i cinquanta fimmini, l’usanza
    voli accussì, e sciurti à tempu d’estati
    ca si diventa grundi di sudura
    e ‘nc’è nu svenimentu ogni menzura.

    Si arriva nu ricunzulu e quarcunu
    si motica mu vaci ‘u pizzulia
    (ca ‘nci piccia ‘u stomacu e a ddiunu
    non poti stari, Gesù e Maria)
    non c’è riguardu e n’ungna di perdunu.
    “’U peiu è di cui mori! Amara mia!
    Vidistivu ‘a mugghieri?... ‘O primu invitu
    Pensau cchiù ‘a panza ca ‘o maritu!”.

    Fora du luttu ‘u murmuru non manca:
    si sapi cu ciangiu e cu si sciuppau,
    cu avia ‘a vesti niriga e cui janca
    cu ‘ncera di parenti e cu mancau;
    ‘a fimmana a sti cosi non si stanca
    e cunta tuttu chiju chi notau…
    Sta visita: l’usanza ancora dura
    e mu si caccia già sarrìa ura!

    Nella foto: Michele Scozzarra.


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    (10.11.10) PIOGGIA DI PREMI PER IL POETA ROCCO GIUSEPPE TASSONE - Una vasta eco di apprezzamenti e consensi in tutta Italia ha suscitato di recente l'opera del Professor Rocco Giuseppe Tassone, cavaliere della Repubblica e noto poeta gioiese. Infatti, nello scorso mese di Ottobre, ha ottenuto importanti riconoscimenti in varie località italiane per le sue opere poetiche in lingua ed in vernacolo calabrese.
    Tra i tanti premi vogliamo ricordare:

    1. La Targa Apice al Merito Poetico 2010 a Rocco Giuseppe Tassone assegnata dall’associazione APICE di Torino per la poesia "Grumijari";

    2. Il Premio Callisto nel concorso letterario “Poeta anch’io” di Bomarzo (VT) per la poesia “Un ateo che ama Dio”;

    3. Primo classificato al premio Patrizio Graziani 2010 indetto dall’associazione teatro fiore di Gioia dei Marsi (AQ) per la poesia “Tramuntu”;

    4. Premio letterario Elio Vittorini Messina per la poesia “I Vecchi”;

    5. Premio Il mare per la poesia “Tramuntu”;

    6. Premio I vizi capitali - la gola non vince solo a tavola indetto da Folci Editore di Roma per il racconto “Polonaise”.

    7. Vivarium 2010 per il saggio "Preghiere e canti religiosi in Calabria".

    Ci sembra il caso di esprimere le più vive congratulazioni al Professor Rocco Giuseppe Tassone che, con la sua attività letteraria e saggistica, contribuisce a dare lustro alle espressioni culturali del nostro territorio.
    Vi proponiamo inoltre il testo di una lirica dal titolo Tramonto, grazie alla quale Tassone ha vinto il Premio “I Poeti di pagine Ribelli”. Il concorso era indetto dal Circolo PRC "A. Zunino" di Carcare (Savona). La poesia è pubblicata nella relativa antologia distribuita da Feltrinelli.

    Tramonto
    E, con l’ultima
    carezza,
    il sole accecò
    il mare!

    Nella foto in alto: il poeta Rocco Giuseppe Tassone.


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    (14.11.10) RECENSIONE SULLA RIVISTA "JAZZIT" PER IL DISCO DI NICOLA SERGIO - Altro importante traguardo per il pianista galatrese Nicola Sergio, il cui recente disco dal titolo Symbols, pubblicato da Challenge Records, ha avuto una lusinghiera recensione su Jazzit, la più importante rivista italiana dedicata alla musica jazz.
    L'apprezzamento per le composizioni di Nicola contenute nell'album e per la qualità del suo pianismo sono espresse in modo nitido. In basso vi proponiamo il testo integrale della recensione così come compare sulla rivista.
    Nicola Sergio, che ormai da diversi anni vive a Parigi, sarà impegnato a breve in un concerto dalle nostre parti. Si esibirà infatti col suo trio nell'ambito dell'Autunno Jazz, il prossimo 27 Dicembre, all'Auditorium di Polistena.



    Visita lo spazio web di Nicola Sergio al seguente indirizzo:
    www.myspace.com/nicolasergio


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    (21.11.10) TANTI AUGURI A MIO PADRE (Biagio Cirillo) - Tanti auguri a mio padre che lo scorso 19 Novembre ha festeggiato il suo 76°compleanno. Con l’occasione voglio raccontarvi, attraverso questa poesia, la sua brutta disavventura nell’ospedale di Polistena. Non voglio aggiungere niente a quello che ho scritto nella poesia, del resto conoscete già questa struttura.
    Un saluto caloroso alla Redazione e un abbraccio a tutti i galatresi.
    Ciao papà, ti voglio bene.

    Patrima o’ spitali
    Non vogghju pèmmu criticu sta terra
    chi tanti voti dissi ch’eni bella,
    ammenzu a tanta genti rispettùsa
    ma di strutturi pubblici è tignùsa.

    Vi cuntu l’avventura d'u spitali,
    ca non mi pozzo ancora ripigghjàri,
    di chiju ca si vidi e ca si senti
    vorrènu appiccicàti tutti quanti.

    Nu patri i setti figghi nd’eppi mali
    e lu portaru prestu a lu spitali.
    Pe l’ambulanza épparu a chi fari,
    pe 'o medicu di guardia potìa morìri.

    Certi cosi àghiu pemmu i dicu:
    l’ambulanza arriva, ma grazi a corchi amicu.
    A fretta fu tanta e stava mali
    e finalmenti arriva a stu “spitali”.

    Chiamamulu così ‘stu monumentu
    chi a sula vista veni lu sgumentu,
    d'a pulizia dassa desiderari,
    di gentilezza megghju non parlari.

    Bongiornu, oppuru bonasera,
    custava tantu puru a la mpermera;
    e a li domandi fatti d'i parenti
    si ndi futtènu tantu e non dicènu nenti.

    Nu misi non bastau a st’omu addoluratu
    mu si vidi ‘nta nu lettu parcheggiatu,
    li vrazza unchiati e tutti annigricati
    di gugghj malamenti azziccàti.

    “Medici dottori” e chi diri
    n'e vogghju propriu criticari,
    i mani si ndi vòzzaru lavari,
    a pàtrima u volènu atterrari.

    Tanti discussioni poi facìa
    a medicina cu la chirurgìa,
    ca stu malatu nudhu lu volìa,
    vi giuru, u nervusu mi venìa.

    Arrivanu doppu tantu a conclusioni:
    pe stu malatu non ci sugnu soluzioni,
    na struttura v’aviti a trovari,
    oppuru a' casa vi l’avìti a levari.

    Così fìcimu, nd’i l’éppimu a levàri
    e, cu tantu amuri di corchi familiari,
    pàtrima cumincia a migliorari,
    si movi e comu nu figghjòlu cumincia a parlari.

    Biagio Cirillo


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    (28.11.10) KUBRIK E IL SOFFIO VITALE DEL MONOLITE (Pasquale Cannatà) - L'altra sera ho rivisto il film 2001 Odissea nello spazio di Stanley Kubrick e guardando la scena in cui le scimmie (ominidi?), dopo aver toccato il monolite misteriosamente comparso nei pressi della grotta in cui si erano rifugiati per la notte, incominciano ad elaborare pensieri ed a servirsi di oggetti presenti sul posto come prolungamento del loro corpo, mi è tornato in mente quanto avevo scritto in un mio precedente intervento dello scorso anno (marzo 2009). Per chi non volesse rileggerlo ne riporto qui si seguito uno stralcio:

    «Abbiamo già parlato nel mio precedente intervento della compatibilità tra il big-bang e il ‘sia la luce’, per cui quando i paleontologi mi raccontano della discendenza dell’uomo moderno dall’australopiteco e/o dal Cro-Magnon, del susseguirsi di altre specie collaterali apparse e poi sparite, della comparsa dell’uomo di Neanderthal a fianco dell’homo sapiens e della sua successiva estinzione, mi viene da pensare se non sia possibile che oggi, a fianco dell’homo sapiens-sapiens attuale (figli dell’uomo) ci possa essere un uomo sapiente-cosciente (figli di Dio): le differenze tra i vari tipi di homo precedenti (erectus, abilis, …) sono morfologiche e culturali (qui per cultura si deve intendere la facoltà di insegnare e trasmettere capacità manuali acquisite, di realizzare utensili di cui esistono reperti archeologici), ma non sappiamo niente del suo pensiero cosciente. Non sarebbe stato possibile a Dio, nel momento da Lui stabilito, prendere un esemplare di uomo sapiente-sapiente-sapiente-quanto-si-vuole, ma sempre fatto di ‘polvere’,… ‘soffiare nelle sue narici un alito di vita e farlo diventare un essere vivente?’. Avrebbe la stessa morfologia dell’homo suddetto (cosa evidente), ma avrebbe la ‘conoscenza del bene e del male’ (cosa che non si può vedere da nessuno scheletro ovunque ritrovato) e sarebbe quindi oltre che sapiente e vivente in senso materiale, anche cosciente del suo essere spirituale: da questo homo discenderebbero tutte le culture che si sono succedute nel corso dei millenni.
    Passando dalla scienza alla letteratura, voglio qui ricordare come a Dante viene riconosciuta una ispirazione teologica nel comporre i celebri versi su Maria (vergine e madre, figlia del tuo Figlio, …), ma tra le tantissime altre frasi di uguale importanza che si potrebbero trovare, a me sembra altrettanto ispirata la seguente: ‘Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza’.
    Da un seme di arancio non nasce una quercia, così come da un seme di scimmia non nasce un uomo: la biologia dice che la specie è formata da esseri viventi che possono riprodursi per incrocio e che possiedono lo stesso patrimonio genetico; non si possono dunque realizzare incroci tra specie diverse, ed è estremamente improbabile (e quindi praticamente impossibile) che una mutazione e/o un incrocio si riveli fertile. È noto a tutti che l'asino e la cavalla generano il mulo, ma quest’ultimo è sterile e quindi non da origine ad altra specie: le mutazioni, gli incroci, sono degli ‘accidenti’ che possono verificasi, ma che non hanno alcun seguito (il ritrovamento di fossili di un certo tipo non dimostrano quindi un bel niente: se tutti gli equini dovessero estinguersi e tra centomila anni non ci fosse documentazione della loro esistenza, il ritrovamento di centinaia di scheletri di mulo, morfologicamente diversi da asino e cavallo, non dimostrerebbe l’esistenza della specie ‘mulo’). Qualche biologo potrebbe rilevare che le considerazioni da me fatte riguardo alle ‘specie’, vanno invece riferite a ‘genere’ o ‘razza’ o altro, ma a me (che non ho approfondite conoscenze in questo campo) sembra che il concetto non debba cambiare anche se spostiamo il ragionamento su un gradino diverso della scala di classificazione biologica, in ambito tecnicamente più corretto.»


    Kubrik nella sua regia ed Arthur C. Clarke nella sua sceneggiatura, hanno assegnato al monolite il compito di infondere negli ominidi quella virtute e conoscenza che la Bibbia attribuisce al soffio vitale di Dio. Nel film ritroviamo infatti il monolite sulla luna ed infine su giove, segno del progresso scientifico e culturale dell’uomo che domina la terra, e la sua natura creatrice ( e quindi divina) è confermata dall’autore nel finale, che riporto da wikipedia:
    «L'astronauta sopravvissuto esce dalla capsula, sconvolto dal viaggio, e viene accolto dalla stanza che gli offre cibo, un letto e una sala bagno: potendo soddisfare i suoi bisogni primari, sopravvive nella sua nuova dimora, in solitudine e in totale tranquillità. Allo stato massimo della sua vecchiaia, l’astronauta Bowman vede davanti a sé il monolite nero e rinasce in forma di feto cosmico, lo Starchild.»
    Come non vedere in quella stanza una rappresentazione del Paradiso, e nell’esclamazione di Bowman (che risulta incomprensibile in questo film, ma che viene ripresa nel suo seguito 2010 - L'anno del contatto tratto dal romanzo 2010: Odissea due scritto dallo stesso Arthur C. Clarke): "è pieno di stelle" una similitudine Dio-monolite, in quanto le stelle rappresentano, riempiendolo, tutto l’universo conosciuto e noi crediamo che Dio ne sia il creatore.


    Guarda il monolite in una scena di "2001 Odissea nello spazio"

    Nella foto in alto: una scena del film di Stanley Kubrik "2001 Odissea nello spazio".

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    (1.12.10) VANTO GALATRO ALLOR SARA' D'ITALIA... (Umberto Di Stilo) - Galatro, paese di antiche origini, guarda con fiducia al decollo del suo termalismo ben sapendo che esso può rappresentare una vera àncora di salvezza per l’asfittica economia locale e che un moderno e ben organizzato turismo termale può avere immancabili positive ripercussioni per il progresso sociale dell’intero circondario.
    Il centro della Piana, dal caratteristico tessuto urbano «a pettine» ha, infatti, tutte le prerogative naturali e paesaggistiche per diventare un ricercato luogo di cura e di riposo senza dover invidiare alcunché a quelle grandi stazioni termali che, in Italia, vanno per la maggiore.
    Lindo ed accogliente, il paese, con le case addossate le une alle altre quasi per vicendevole protezione e con il bianco calvario che svetta in cima alla collina...
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    Nelle foto: Alcuni punti caratteristici del fiume Fermano nei pressi delle Terme di Galatro e le vecchie Terme.

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    (4.12.10) I PENZERI (Biagio Cirillo) - Carissimi amici della Redazione, ultimamente i miei interventi sono stati un po' miseri, non per mancanza di volontà ma il tempo materiale e problemi vari mi hanno occupato le giornate. Anche se le cose ultimamente non sono andate per il verso giusto, ho trovato il tempo per chiudermi nel mio “gabbiotto” e scrivere una poesia.
    Ne ho scritte tante. In passato ho parlato tanto del mio paese, del mio passato, della mia infanzia e insieme abbiamo rivissuto emozioni di un passato povero materialmente ma ricco di esperienze umanamente vissute, quelle esperienze che purtroppo la nuova generazione non ha la fortuna di conoscere.
    Se oggi ho la forza di affrontare le cose è grazie al mio passato che mi ha fatto crescere forte. Purtroppo però, ogni tanto, i pensieri si sovraccaricano e così, non potendo prendermela con nessuno, mi confido con voi attraverso le mie poesie.
    Un saluto va a voi dello staff e a tutti i galatresi.

    I penzèri

    Mi chiudu nto gabbiòttu a penzàri
    comu si vaci avanti e non cadìri,
    penzèri nta la testa a non finìri,
    ma sacciu c’aiu sempri a cumbattìri.

    Notti e jornu penzu e penzu tantu,
    lavuru sempri assài e non mi schiantu,
    'a notti corchi vota a fazzu jornu,
    pe li penzèri io non pìgghiu sonnu.

    O vita mia chi furtuna non canùsci,
    mi scianchi li jornati e non capìsci
    li sporzi chi io fazzu 'u vaju avanti,
    ca guai mi ndi dasti… e propriu tanti.

    Io crìju ch'eni curpa da spurtùna
    chi supr’e mìa eni la patrùna,
    non trovu atri belli spegazzioni
    e aghiu u mi ndi fazzu na ragioni.

    O Dìu chi di lu celu si' patrùni,
    puru di genti boni e di latrùni,
    d’i razzi tu non guardi lu culùri
    abbràzza puru a nùi, povari peccatùri.

    13.11.2010
    Biagio Cirillo

    Nella foto: Biagio Cirillo.


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    (8.12.10) LA PROCESSIONE DELLA SS. IMMACOLATA A NICOTERA MARINA (Umberto Di Stilo) - Il rito, ormai secolare, conserva intatto il fascino degli avvenimenti che parlano direttamente al cuore. Sicché, anche se non riserva alcuna novità, anche quest’anno, in occasione della ricorrenza festiva dell’Immacolata, Marina di Nicotera diventerà meta obbligata per diverse migliaia di fedeli che, provenienti da tutti i centri dell’entroterra, vogliono partecipare a quel tripudio di fede che spinge i pescatori locali a portare in mare la statua lignea della Madonna. La pittoresca processione è sicuramente unica nel suo genere. Ciò sia per le modalità che la caratterizzano, sia per... leggi tutto (PDF) 36,8 KB










    Nelle foto: vari momenti della processione dell'Immacolata a Nicotera in tempi passati e recenti.

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    (22.12.10) IL CONVENTO "SANT'ELIA DI CUPESSINO" * (Umberto Di Stilo) - Nel secolo IX dalla Sicilia occupata dagli Arabi ebbe inizio l'esodo dei monaci greco-siculi che incominciarono a sbarcare sulle coste del reggino. Tra questi si distinse Sant'Elia di Enna (o "Elia il giovane", per distinguerlo meglio) che coi suoi discepoli percorse in lungo e in largo tutta la zona dell'Aspromonte... leggi tutto (PDF) 687 KB


    Facciata del convento Sant'Elia di Galatro


    Corridoio interno


    Scorcio del chiostro

    * Articolo tratto da Maropati e... dintorni, Anno I, n. 2, Maggio 2006

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    (23.12.10) IL PRESEPE NELLA CHIESA DI SAN NICOLA (Nicola Pettinato) - I fedeli che frequentano la Chiesa di San Nicola, come ogni anno, possono ammirare l’artistico presepe a fianco del Trittico marmoreo, frutto della fantasia e della perizia di Giuseppe “Peppino” Trimboli. Il sacrista, dal suo rientro a Galatro dall’Argentina, ha sempre profuso il proprio impegno affinchè non manchi, ogni anno, un segno materiale che rievochi la nascita del Salvatore. Don Cosimo Furfaro, ha fin da subito assecondato e supportato il lavoro di Trimboli che per questo motivo intende, attraverso Galatro Terme News ringraziare il nostro Parroco per la disponibilità e la collaborazione.
    Non mancano gli elementi caratteristici del presepe presenti fin dalla notte di Natale del 1223 quando, secondo la tradizione, per volere di San Francesco a Greccio fu rievocata per la prima volta la Santa notte che vide Dio farsi uomo. Dalla grotta della Natività ai pastorelli, dai fiumi alle montagne, ogni dettaglio è curato con la massima attenzione e passione.
    La soddisfazione di “Peppino” quando mi ha accompagnato in chiesa per scattare le foto a corredo delle note che state leggendo, era evidente. D'altronde il risultato è a dir poco eccellente, considerando i mezzi a disposizione per la realizzazione dell’opera.
    La tradizione del presepe, fortemente radicata a Galatro nei decenni scorsi, con il tempo è andata scemando. Purtroppo il senso del Natale nelle menti e nei cuori di molti ha ceduto alle sirene del consumismo che inducono a considerare il 25 dicembre semplicemente una data del calendario da sfruttare ai fini dell’esaltazione di questo o quel prodotto commerciale. Il presepe può servire per evitare la resa incondizionata di fronte ai messaggi provenienti dall’esterno che tendono a non vedere al di là del “tutto e subito”.
    L’auspicio è che i personaggi e le scenografie ideate da “Peppino” possano suscitare in ciascun visitatore la tendenza ad avvicinarsi con fede e amore a Colui che è Amore. Colui che ci ha amato a tal punto da farsi come noi: mistero inconcepibile e incomprensibile se ci facciamo possedere dalla presunzione di dover spiegare tutto con il metro umano ma, al contrario, fonte di vita e di salvezza se avremo la forza, l’umiltà e la fede di credere. Forza, umiltà e fede dimostrata da Maria con il suo sì, da Giuseppe con la sua ubbidienza al volere dell’Altissimo, dai pastori accorsi ad adorare il Salvatore del mondo.
    Il mio augurio di Buon Natale a tutti i lettori di Galatro Terme News è che ciascuno di noi possa avere come modello da imitare Maria, Giuseppe, i pastori, piuttosto che questo o quel falso profeta; allora, senz’altro, avremo costruito un mondo migliore.

















    Nelle foto: il presepe del 2010 nella chiesa matrice di San Nicola e il suo realizzatore Peppino Trimboli.


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    (29.12.10) SUCCESSO A POLISTENA PER IL NICOLA SERGIO TRIO (Massimo Distilo) - Pubblico delle grandi occasioni per il concerto del Nicola Sergio Trio tenutosi sera del 27 Dicembre all'Auditorium di Polistena nell'ambito dell'Autunno Jazz organizzato dall'Amministrazione Comunale in collaborazione con l'Associazione Musicale "Nosside" presieduta da Domenico Calopresti.
    Il pianista galatrese, coaudiuvato da Fabio D'Isanto alla batteria e da Igor Spallati al contrabbasso, ha mirabilmente esposto al suo strumento alcuni suoi temi di collaudato successo - presenti fra l'altro nel suo recente cd Symbols - assieme a nuovi brani, un buon numero dei quali ispirati alla visione di opere pittoriche presenti nel museo del Louvre a Parigi.
    Nella capitale francese Nicola vive infatti da diversi anni e reminiscenze della città che è considerata anche la capitale della cultura europea era inevitabile che finissero nelle sue armonie jazz. Così come era inevitabile che ci finissero i colori del paesaggio calabrese - ad esempio nel brano Scilla - ed i ritmi del folclore meridionale mixati ad alcuni pilastri della formazione musicale del pianista (vedi il mirabolante brano conclusivo che può quasi essere definito una sorta di "Taranta-Chopin" in chiave jazz). Molto coinvolgente anche il brano ispirato ad un noto tema melodico del cantautore napoletano Pino Daniele.
    Positivo l'innesto nella band, in occasione del brano Song for Beatrice, del giovane sassofonista esordiente Giosuè Greco, studente del Liceo Musicale di Cinquefrondi e recente vincitore di una borsa di studio alla Berkeley School of Music.
    Il Nicola Sergio Trio ha saputo catturare per quasi due ore l'attenzione di un pubblico numeroso, attento ed entusiasta che alla fine ha anche reclamato e ottenuto un bis da parte del pianista.
    Prossimo impegno per Nicola Sergio all'Auditorium di Rizziconi Mercoledì 5 Gennaio 2011, alle ore 18.00, in duo col sassofonista Javier Girotto.

    www.myspace.com/nicolasergio

    Nella foto: Nicola Sergio.

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