(1.7.13) "SUCCEDE TUTTO PER CASO", IL NUOVO ROMANZO NOIR DI ROCCO COSENTINO (Domenico Distilo) - La seconda prova noir di Rocco Cosentino dopo il successo di Niente di cui pentirsi (Succede tutto per caso, Luigi Pellegrini editore, collana la Ginestra, Cosenza, Maggio 2013, pp. 398, € 16), si presenta come un perfezionamento della prima non solo sotto gli aspetti, diciamo così, più tecnici – ampliamento fenomenologico e approfondimento sociologico degli ambienti criminali ed investigativo; cifra stilistica più disinvolta e cruda - ma in ordine ad una visione del mondo che pur ribadendo senza infingimenti ed eufemismi l’inestirpabile presenza del male nella società (com’è proprio, del resto, del noir), l’assoggetta tuttavia alle imprese di un “giustiziere solitario” che, non potendo fare altro, anche per non uscire dalle convenzioni del genere letterario, che perseguire il male attraverso il male, uccide per alimentare una sorta di aspirazione esistenziale – generata da un trauma infantile: è stato vittima di un sequestro lampo - ad un mondo che non si potrebbe definire né diverso né migliore, solo un po’ meno ingiusto.
L’incipit, il fatto da cui si dipana la vicenda, è un omicidio di difficile decifrazione, tanto più difficile quanto più lo stile di vita della vittima appare normale, perfettamente integrato in una cittadina di provincia, Bellaria, la cui superficiale, anonima piattezza, cede il campo, con l’avanzare della macchina narrativa, a un sottotraccia fitto di misteri in cui ognuno ha qualcosa da nascondere e nessuno è come appare o si sforza di apparire. Così il capitano De Angelis, rappresentante della Benemerita con notevolissime referenze nell’opinione generale oltreché marito e padre esemplare, coltiva inclinazioni sessuali non ortodosse; così addirittura il ministro dell’interno, donna, intrattiene una relazione sentimentale che ne determina un pesante quanto occulto conflitto d’interessi; così tra un lui e una lei sostituti procuratori nascono affinità elettive che i due, per tutta una serie di più o meno comprensibili ragioni, riluttano a rendere pubbliche.
Ma la cosa che più sconcerta non è tanto il contrasto in sé tra sostanza e forma, essere e apparire – che potrebbe pensarsi come una condizione universale e non particolare - quanto che nessuna cosa sia o venga fatta come dovrebbe, con motivazioni autentiche ed intrinseche, e che questo scostamento sia tanto più marcato quanto più si sale nella gerarchia delle forze dell’ordine e della magistratura. E’ sconcertante, per dire, che ai vertici di entrambe ci si preoccupi decisamente meno della sostanza che dell’immagine, più delle cerimonie e degli incontri con gli studenti delle scuole che dell’efficacia delle indagini. Non ci vorrebbe molto a farsi tornare in mente l’ormai datata polemica di Leonardo Sciascia contro i cosiddetti “professionisti dell’antimafia”, gli inquirenti che secondo lo scrittore di Racalmuto costruivano carriere con un’interpretazione essenzialmente propagandistico–retorica e una sapiente gestione mediatica del ruolo di magistrati d’accusa.
Sennonché, nel caso di Cosentino non si tratta di una polemica dettata da situazioni contingenti e suggestioni estemporanee, bensì della messa a fuoco di una tara strutturale, come si può evincere dalle battute al vetriolo contenute nelle considerazioni a commento della conferenza stampa congiunta, a conclusione delle indagini sulla strage di una famiglia borghese collusa con la criminalità, del procuratore capo della repubblica e del colonnello dei Carabinieri: “avrebbero illustrato i particolari dell’operazione e risposto alle domande dei giornalisti tutti coloro il cui contributo effettivo alle indagini era stato pari a zero. A partire da tutti i capoccioni graduati in divisa e a finire con decrepiti organi di vertice della procura, il cui ricordo di come si fa un’indagine era pari a quello dell’ultima volta in cui erano riusciti a soddisfare sessualmente le proprie mogli” (p.376).
Si tratta sì di una previsione circa quel caso, ma è chiaramente pleonastico che riguardi tutti i casi giudiziari: ogni volta, sistematicamente, viene rifilata alla pubblica opinione una versione dei fatti tanto più distante dalla verità quanto più funzionale agli equilibri di potere da non turbare e all’immagine da salvaguardare ad ogni costo, prendendo in giro in primo luogo le regole che dovrebbero presiedere ad una democrazia non aduggiata dagli arcana imperii.
A questo punto il lettore non può però fare a meno di chiedersi se il “giustiziere solitario”, non sia il simbolo dell’impotenza della giustizia amministrata dallo stato democratico a essere, appunto, giusta, inficiata com’è dal garantismo della procedura penale, irrinunciabile in uno stato di diritto. La risposta è senz’altro affermativa ma incompleta. Incompleta perché quell’impotenza, quando sarà completo l’outing - da parte di un personaggio chiave - con cui si conclude il romanzo, sarà sì, ancora, da imputare a istituzioni inefficienti ed apparati deviati. Solo però in via secondaria e derivata, essendo essi null’altro che epifenomeni del “male radicale” che, così come il bene, è la sostanza stessa dell’universo e per combattere il quale è necessario che intervenga altro male, cioè “il male fatto a fin di bene” da individui le cui vite, così come tutte le altre, procedono “col pilota automatico innestato”, vale a dire determinato dal Fato o, che è lo stesso, dal Caso. Infatti... Succede tutto per caso, così che non c’è proprio... Nulla di cui pentirsi.
La visione del mondo dell’autore, la sua filosofia emersa al debutto e da noi allora riscontrata trova così una sua compiuta configurazione. Sulle implicazioni esistenziali e politico-pragmatiche di essa sarebbero tante le considerazioni da fare. Crediamo però che sia più interessante farlo in un’intervista che Rocco Cosentino ci vorrà concedere.
Rocco Cosentino è nato nel 1974 a Taurianova (RC), dove risiede. Laureatosi in giurisprudenza nel 1996, è entrato in magistratura nel 1999. Attualmente è in servizio presso la procura della Repubblica di Reggio Calabria con le funzioni di sostituto procuratore distrettuale antimafia. Nel 2008 il suo racconto “Terra di nessuno”, pubblicato dalla Rizzoli nell’ebook “Italians, una giornata nel mondo”, è stato il più votato dai lettori nell’omonimo concorso online organizzato dal sito Corriere.it. Nel 2011 esordisce con il romanzo noir “Niente di cui pentirsi” (Pellegrini Editore).
“Succede tutto per caso” è la sua nuova fatica letteraria, seconda tappa della tetralogia del “male necessario”.
(10.8.13) UN LIBRO DI FILOSOFIA PER GLI ADOLESCENTI: ORSU', ORSA' E I GRANDI ENIGMI (Domenico Distilo) - La filosofia, stando a un luogo comune spesso avallato dagli addetti ai lavori, non può, a pena di snaturarsi, separarsi da uno stile grave e greve, farcito di un lessico tecnico al quale si avviluppa una sintassi arcigna o del tutto impenetrabile.
Per fortuna, però, le smentite non si contano. Talvolta da parte di grandi maestri, da Platone a Russel, il cui valore è universalmente riconosciuto; talaltra da bravi cultori dalle preziose e impagabili attitudini divulgative.
E’ quest’ultimo il caso del libro di Massimo Bargagli, Orsù, Orsà e i grandi enigmi, I libri di Emil, Bologna 2013, pp. 263, € 17 (già da noi presentato in precedenza), che unisce due qualità, o se vogliamo due esigenze, assolutamente non facili da conciliare: chiarezza espositiva e precisione concettuale, geometrica esattezza delle definizioni e fruibilità letteraria.
La finalità dell’autore è fondamentalmente pedagogica, essendo il libro pensato per un pubblico di bambini e adolescenti, nonché di adulti che vogliono tornare tali. E’ così inevitabile che la modalità letteraria sia la narrazione, con le avventure di viaggio dei protagonisti che prendono la forma di avventure del pensiero, cioè di strumento per elevarsi al sapere, come accade – si parva licet… - nella Fenomenologia dello Spirito di Hegel. A differenza di Hegel, però, Bargagli non racconta un viaggio attraverso i tempi, ma nell’unico tempo storico che gli appare congeniale agli obiettivi pedagogico–divulgativi che persegue: il Medioevo.
E’ sullo sfondo del Medioevo che si staglia la figura dell’eroe, Giovanni senza paura, che accompagna i due bambini e i loro amici animali in un viaggio pieno di avventure, di pericoli e – chi l’avrebbe mai detto? - di opportunità di riflessione filosofica e culturale, opportunità che però si offrono per la maggior parte all’ombra del sapere contemporaneo, novecentesco, con la conseguenza inevitabile del presente che si erge – anche se in modo garbato e mai saccente o altezzoso, semmai quasi sempre dissimulato - a criterio di giudizio del passato, finendo per trascinare il lettore in un relativismo sincretistico comunemente scambiato per il fondamento irrinunciabile dell’educazione alla democrazia.
E’ questo, per dirla senza indulgenze, il solo neo di un lavoro per il resto ben fatto e che sarebbe stato anche stilisticamente perfetto se la punteggiatura fosse stata disseminata lungo il testo con maggiore parsimonia. Ma tant’è! I peccati veniali sono, appunto, veniali. Quanto a quello sostanziale, dell’enfatizzazione del presente e dell’assenza di una reale prospettiva storica – attenzione: non storicistica - , è da imputare non all’autore, ma al clima culturale nel quale ormai da anni siamo precipitati e rispetto al quale egli non ha, magari, ancora sviluppato efficaci anticorpi, clima connotato dalla superficialità degli approcci, dalle letture veloci di compendi ed abstract, da un insegnamento dal quale è sempre più assente, in primo luogo nella scuola, ogni verace finalità formativa, sostituita dal puro e semplice addestramento alla prestazione e, in campo umanistico, da una sempre più stantia retorica della democrazia e della legalità. Ma questo è un altro discorso, da farsi a parte.
(3.9.13) NUOVI RACCONTI DI UMBERTO DI STILO: "BOZZETTI GALATRESI" (Domenico Distilo) - Ne Il mio Natale Umberto Di Stilo aveva raccontato la quotidianità galatrese degli anni Cinquanta/Sessanta; in Bozzetti galatresi (Luigi Pellegrini Editore 2013, pp. 197 € 15) va indietro di tre decenni, nella Galatro degli anni Venti/Trenta, con strumenti che non possono essere solo la trasposizione letteraria dei ricordi, la nostalgia soffusa e l’attitudine a calarsi nei personaggi e nel loro tempo. Queste sono condizioni sì necessarie, certo però non sufficienti: non essendo stati, quelli che rivivono in Bozzetti, per ovvie ragioni anagrafiche, anni vissuti dall’autore, la buona riuscita del lavoro non poteva basarsi solo sull’amarcord. E’ evidente, allora, che essa ha richiesto parecchio di più, un di più che è da ricercare nella dimestichezza con le diverse tipologie di fonti (documentarie, iconografiche, orali e quant’altro) e nella capacità d’integrarle e fonderle nel bozzetto. Per intenderci: come già in altri racconti storici Umberto Di Stilo avrà sicuramente attinto alla miniera di cui dispone, ai materiali raccolti in una vita di studi e ricerche per la realizzazione di quella Storia di Galatro che aspettiamo da non so quando senza accorgerci che l’autore ha preferito centellinarla, che si tratta di un’opera in gran parte già scritta e pubblicata.
Ma poiché le qualità di scrittore e di storico di Umberto Di Stilo non dovevamo certo aspettare questo nuovo libro per scoprirle, è ora su altro che è il caso di soffermarsi, in particolare su ciò che, in sé, non è il racconto, o bozzetto, ma passa attraverso esso, cioè attraverso un genere letterario adatto alla rievocazione nostalgica, simpatetica, idillica del passato. Questo altro avrebbe ben potuto costituire un saggio di storia o antropologia culturale o, se si fa riferimento, in particolare, a I forgiari i Galatru, di storia delle tecniche artigianali, ma sarebbe stata materia per specialisti, arida ed ostica per definizione. La diluizione artistico -letteraria lo mette invece alla portata di tutti e di ciascuno, al punto che riesce naturale suggerire l’uso scolastico di Bozzetti galatresi, quanto mai opportuno per sottrarre gli adolescenti all’appiattimento nel presente digitale tentando di instillare in menti unidimensionali il senso della storicità, del passato che pervade il presente e dell’accelerazione del tempo che è il principale connotato degli ultimi decenni.
E’ infatti impossibile, leggendo i bozzetti di Umberto, non avere la sensazione di calarsi in un tempo, a differenza del nostro, immobile, il tempo della civiltà contadina-artigianale le cui vicende, nell’immaginazione dell’autore e probabilmente nella realtà accadute negli anni Trenta del secolo scorso, sarebbero potute accadere anche uno o tre secoli prima. Se, per dire, Marefrancisca, la protagonista dell’omonimo bozzetto – registrata all’anagrafe proprio come “Marefrancisca”: era la paradossale e forse goliardica precisione di quello che viene comunemente pensato come una sorta di “mondo del pressappoco”, in cui si andava alla buona - se Marefrancisca, dicevo, fosse vissuta sotto la dominazione spagnola o sotto i Borboni, avrebbe fatto le stesse esperienze e provato gli stessi sentimenti, così come gli stessi sarebbero stati i rapporti sociali nella loro dimensione orizzontale e verticale e nello stesso identico modo sacro e profano si sarebbero mischiati nelle occasioni tristi e liete della vita.
Ma se è vero che la Galatro degli anni Trenta è uguale a quella di cento o duecento anni prima al punto che individui e società sarebbero perfettamente fungibili o sovrapponibili, lo stesso non si può dire del presente, separato da una distanza siderale dal passato anche di solo pochi decenni fa. Quello che è accaduto a partire dalla fine della Seconda guerra mondiale non ha infatti assolutamente riscontro nelle epoche precedenti e ha definitivamente liquidato, con la civiltà contadina, l’essenza della vecchia Galatro. E’ un fatto che ciò che era peculiare e tipico, o anche solo debolmente connotativo, non esiste più, travolto dall’uniformità dei consumi di massa e dal loro principale portato, uno stile di vita apolide, cioè privo di una qualsiasi dimensione locale, propriamente patriottica, al punto che quella che si potrebbe definire la “galatresità” – al pari, del resto, di tutte le altre culture ed identità localistiche - in chi ha meno di trent’anni è ormai del tutto inapprezzabile. Si tratta del prezzo, se di un prezzo si tratta, pagato al progresso che, consistendo nell’avanzamento sociale degli individui in un contesto di tumultuosa crescita sociale ed economica, appariva al protagonista di A menza canna – a differenza degli altri bozzetti ambientato tra i Cinquanta e i Sessanta, in pieno boom economico -, probabilmente a causa di certe ricadute magari percepite come sgradevoli sul piano dei rapporti personali ed umani, segno di ubris, di dismisura, per rimediare ai quali egli – vissuto prevalentemente in un’epoca di rapporti e gerarchie sociali statici - invocava, appunto, “a menza canna”, che non era poi altro che il criterio in forza del quale l’individuo si identificava con un ordine sociale che considerava naturale e perciò immodificabile ed eterno.
Non è un caso che la psicologia dei personaggi di Bozzetti anche quando, nella maggior parte dei casi, sono decisamente caratterizzati, è all’insegna della coralità, senza scarti e/o divergenze rispetto al loro tempo e al loro ambiente. Si direbbe che ognuno reciti la sua parte senza aspirare ad averne un’altra e non avendo mai nulla da ridire non solo di fronte a una quotidianità di fatiche e stenti, ma neanche alle tragedie della vita, rispetto alle quali fa da ammortizzatore la cristiana rassegnazione, senz’altro incoraggiata da una chiesa ancora lontana dagli empiti giovannei. Sia il protagonista di A menza canna che Marefrancisca, colta dall’autore negli atteggiamenti e nelle certezze della terza età ancora prima di raccontarne le vicende tormentate dell’infanzia e della fanciullezza, sono in fondo, certo in modi diversi, figure paradigmatiche del proverbiale fatalismo calabrese, per il quale l’individuo non può fare nulla per partecipare in modo meno passivo al dispiegarsi ineluttabile della storia. Così Marefrancisca, in età ormai avanzata, è convinta di essere stata semplicemente fortunata a conoscere e vivere il progresso; don Agostino Albanese, che sembra opporsi a quella che per lui è la deriva dei tempi, in buona sostanza vi è rassegnato: la “menza canna” è destinata a restare riposta e negletta nel suo sottoscala.
L’arte, però, prescinde da considerazioni di questo tipo: così come è chiaro, per rendere l’idea, che il piacere procuratoci dalla lettura de I Promessi sposi non ha nulla a che fare con il giudizio che diamo sulla società lombarda del Seicento, allo stesso modo il giudizio storico sulla società contadino-artigianale della Galatro di ieri non ha nulla a che fare con il fatto inoppugnabile che la lettura di Bozzetti ci induce a immedesimarci con i personaggi e a calarci nel loro tempo.
Nella foto: copertina del libro "Bozzetti galatresi" di Umberto Di Stilo.
(5.9.13) PASQUINO CRUPI E LA FEDE (Domenico Distilo) - L’interpretazione dell’articolo del 2008 di Pasquino Crupi, riproposto su Galatro Terme News da Michele Scozzarra, che, a una prima e superficiale lettura, si sarebbe portati a dare non è quella giusta. Il tema dell’articolo non è infatti puramente e semplicemente la fede, magari vissuta con risvolti drammaticamente esistenziali; ma la fede nel suo radicamento e nella sua espressione popolari, nonché il modo proprio degli intellettuali calabresi di rapportarsi ad essi.
In altri termini: non fa differenza che l’articolo Pasquino Crupi l’abbia scritto da credente o da ateo, non essendo la sua fede personale la res de qua, ma Polsi e le masse popolari che vi si recano in pellegrinaggio. Polsi è però niente altro che un pretesto per un attacco agli intellettuali calabresi che secondo lui non capiscono, non possono capire perché non vivono e non hanno mai vissuto con il popolo, non ne hanno mai condiviso le gioie e i dolori, non ne hanno mai sperimentato, appunto, la fede, che assurge, secondo uno schema scolastico – fides quaerens intellectum - che suona oltremodo strano in un intellettuale dichiaratamente marxista, a presupposto di ogni comprensione razionale.
Nell’articolo, pur con tutta la buona volontà, non si scorge nulla di nuovo, originale, inedito. Solo un vecchio tòpos –il distacco tra scrittori e popolo nella storia d’Italia in generale e della Calabria in particolare- della cultura di sinistra, tòpos risalente al Gramsci dei Quaderni del carcere e variamente ripreso e rimodulato nel Dopoguerra da Togliatti, Asor Rosa, Bobbio (con profili diversi) e non pochi altri. Negli anni esso è servito ad alimentare la critica marxista del Risorgimento e dello Stato unitario e viene brandito, oggi, dai neoborbonici. Non è un caso, del resto, che Crupi sparasse sempre ad alzo zero contro quella che dal suo punto di vista era stata la colonizzazione-spoliazione-depredazione del Sud perpetrata dai piemontesi, con un’esasperazione polemica, tipica del personaggio, che lo ha portato, in più d’un’occasione, a tessere uno strumentale elogio della fede, solo perché la Chiesa era stata, a suo tempo, all’opposizione dello Stato post risorgimentale, laico e liberale.
L’articolo su Polsi, senz’altro ben costruito in chiave retorica, riesce magari suggestivo. Ma non deve portarci a perdere di vista l’essenziale: Crupi era il rappresentante di un meridionalismo che, anche quando dice di stare a sinistra e di ancorarsi al marxismo, è fondamentalmente se non esclusivamente recriminatorio, con un cupo fondo reazionario. Non c’è da sorprendersi che, per esigenze polemiche, in qualche occasione non abbia avuto remore a “comprendere” finanche il cardinale Ruffo e il suo esercito della santa fede.
Abbiamo già sottolineato l'importante funzione del nostro giornale, ormai attivo da quattordici anni. In questo periodo la nostra testata ha ospitato articoli che portano in calce ben 140 diverse firme. Abbiamo fatto informazione su argomenti di cronaca, cultura, spettacolo, politica, sport; abbiamo ospitato interventi che hanno espresso opinioni sui temi più diversi, a volte con la denuncia di inefficienze in vari settori, contribuendo così alla presa di coscienza di certe situazioni e alla sollecitazione di interventi atti a risolvere problemi che in precedenza passavano sotto silenzio. D'altronde Galatro Terme News è da tempo un punto di riferimento fondamentale per tutti i galatresi, unica testata giornalistica galatrese regolarmente registrata e riconosciuta, spesso accreditata nei principali eventi che si svolgono nella nostra regione.
Che dire poi dei puntuali interventi dei nostri opinionisti sui temi della politica e della cultura locale e nazionale? Basta fare i nomi di Domenico Distilo e di Michele Scozzarra che svolgono una funzione preziosa all'interno del nostro giornale con la pubblicazione di centinaia di articoli che animano il dibattito politico e culturale, con la loro partecipazione a convegni, presentazioni di libri ed altro.
Altro aspetto importante che da sempre il nostro giornale ha curato è quello della evidenziazione dei numerosi risultati accademici che i giovani galatresi conseguono in ogni dove, a volte anche all'estero. I laureati hanno ormai superato quota 200, numero che in rapporto alla popolazione ha davvero dell'incredibile se confrontato con i dati dei paesi limitrofi.
Si può parlare dunque di "primavera culturale" per Galatro negli ultimi anni. Esaminiamo i vari settori.
In campo musicale diversi giovani si sono affacciati alla ribalta. Basta citare i nomi di Nicola Sergio, che attualmente vive a Parigi ed è un affermato pianista nel campo del jazz internazionale, con all'attivo l'incisione di diversi dischi e attività concertistica in varie parti del mondo.
C'è poi il gruppo dei Karadros di Mario Correale che ottiene successi sempre più importanti nel campo della musica popolare in molte piazze della regione e che ha già realizzato due dischi.
Ottime cose, sempre nella folk music, ha fatto di recente anche Francesco Cortese, cantante e musicista di sicure doti che ha inciso a sua volta vari dischi.
Di rilievo inoltre l'attività musicale di Sandro Distilo, messosi in evidenza come compositore di musiche da film (ha vinto il premio per la miglior colonna sonora nel Festival di Orte).
Da sempre notevole anche l'attività musicale di Biagio Cirillo, specializzatosi da tempo nella direzione di coro. Dopo aver portato ad ottimi livelli il coro parrocchiale di Galatro, che sotto la sua guida ha realizzato importanti performance ed è arrivato ad avere ben 60 elementi, si occupa ora del coro parrocchiale di Feroleto della Chiesa.
Da molto tempo è inoltre attivo Massimo Distilo, pianista, didatta e musicologo. Dottore di ricerca in filosofia e teoria della musica, ha curato di recente un volume sul musicista e editore napoletano Guglielmo Cottrau ed ha relazionato in importanti convegni, anche presso la Scuola Normale di Pisa. Diversi musicisti galatresi affermatisi negli ultimi anni hanno iniziato gli studi sotto la sua guida.
Ma l'attività culturale dei galatresi non si ferma qui. C'è stato di recente un fiorire di pubblicazioni di libri di varia natura e sui più diversi argomenti. Recente è quello di Greta Sollazzo dal titolo La luce in fondo al tunnel, presentato anche su RaiUno a "La vita in diretta" e su RaiTre.
Da segnalare inoltre la notevole produzione di Angelo Cannatà, da molti anni trasferitosi nel Lazio, che collabora con testate locali e nazionali (Il Quotidiano della Calabria, Il Fatto Quotidiano) ed ha pubblicato di recente importanti volumi tra cui, per citarne solo uno, Eugenio Scalfari e il suo tempo. Pasquale Cannatà, da molti anni in Veneto, ha pubblicato molti articoli a sfondo teologico sul nostro giornale e di recente ha dato alle stampe un volume dal titolo Conquistadores del... nulla.
Aggiungiamo il nome di Nuala Distilo, dottore di ricerca all'Università di Padova, che qualche tempo fa ha pubblicato un "Commento critico-testuale all’Elettra di Euripide".
Da sempre attivo inoltre come autore di poesie, e non solo, il compianto prof. Francesco Distilo, scomparso di recente, vincitore di numerosi premi letterari: citiamo solamente i suoi volumi "I jochi i na vota", "Personaggi tipici galatresi", "Storia del calcio a Galatro".
Nota da sempre anche l'attività giornalistica del prof. Umberto Di Stilo che ha curato la pubblicazione di vari volumi di carattere storico, linguistico e letterario. Basta citare i recenti Bozzetti galatresi, Vocabolario del dialetto di Galatro e Il culto della Madonna del Carmine a Galatro. Anche lui vincitore di numerosi premi.
Interessante inoltre l'attività poetica di Biagio Cirillo da Bolzano, in gran parte svoltasi negli ultimi anni sul nostro giornale con la pubblicazione di bellissime liriche in vernacolo che hanno toccato il cuore di molti lettori.
Ma ci sono anche opere di pubblicazione postuma, come il libro di Piero Ocello "Diario di prigionia", uscito a cura di Mina Buonfiglio Ocello e presentato a Galatro.
Anche i nostri grandi della letteratura del passato si fanno sempre sentire e li ritroviamo abbastanza di frequente rievocati in opere attuali. Citiamo solamente il libro "Terroni" di Pino Aprile (grande record di vendite) che riprende una poesia di Antonio Martino, o il libro di Giorgio Bocca "Aspra Calabria", ristampato di recente da Rubettino, che cita altri versi dello stesso poeta.
Pure in settori specialistici come quello dell'astronomia i galatresi hanno di recente detto la loro grazie all'attività di Michelangelo Penticorbo che, per la sue iniziative culturali in Svizzera, è stato nominato Cavaliere dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Sue interviste su temi astronomici sono andate in onda qualche tempo fa su RaiDue.
In campo pittorico è poi da sempre nota l'attività di Aldo Cordiano il cui linguaggio si è positivamente evoluto nel corso degli anni, raggiungendo un'espressività intrisa di contaminazioni figurative e stilizzanti che danno un'impronta assolutamente originale ai suoi quadri dai titoli sempre molto poetici.
Sono attivi anche i nostri galatresi d'oltreoceano. Negli ultimi anni (2007 e 2012) due nostri concittadini di Buenos Aires hanno vinto il prestigioso premio "Calabria America". Si tratta dell'avvocato Bruno Zito, titolare di uno dei più importanti studi legali di Buenos Aires, e di Raffaela Cuppari, già docente presso la facoltà di Scienze Economiche dell'Università di Buenos Aires.
Il settore fotografico ha fatto registrare interessanti novità grazie soprattutto all'attività di Roberto Raschellà che da Londra opera intensamente, ritraendo nei suoi scatti concrete situazioni cittadine, sfumate atmosfere campestri, grandi divi come Madonna e tanti altri soggetti interessanti.
Negli ultimi tempi ad attività fotografiche si è dedicata anche Diana Manduci con notevole successo per le sue immagini della Via Crucis e non dimentichiamo il ben noto e sempre molto visto e rivisto Come io vedo Galatro di Bartolo Furfaro.
Neanche il teatro è stato tralasciato. Il Gruppo Teatro dell'Oratorio e la Compagnia Teatrale "Valle del Metramo" mietono costantemente successi sia a Galatro che in giro per la Calabria. Ultimamente lo spettacolo U figghiu masculu della Compagnia "Valle del Metramo" ha svolto una importante tournée risultando particolarmente apprezzato dal pubblico e dalla critica.
E nello sport? Sembra questo un settore in crisi a Galatro ma in realtà negli ultimi anni abbiamo ottenuto nel calcio, sotto la presidenza di Gaspare Sapioli, lo storico risultato della promozione della Società Sportiva Galatro in Prima Categoria.
Che dire poi delle tante imprese sportive degli atleti della Cricca delle Maratone che nelle gare podistiche ottengono in giro per l'Italia grandi risultati e premi sulle più diverse distanze e nelle più diverse categorie?
Ultimamente anche il settore della danza ha conosciuto successi galatresi grazie alla piccola Giorgia Ferraro che ha ottenuto due primi posti a Rimini nei campionati italiani di danza sportiva.
Ovviamente non siamo in grado di citare tutto ciò che i galatresi hanno fatto in campo culturale, artistico, sportivo, etc. Sicuramente ci sono tante cose di cui non abbiamo notizia o che in questo momento ci sfuggono (e di questo ci scusiamo con gli interessati), ma come non ricordare velocemente le attività negli ultimi anni dell'Associazione Ados, o quelle della rinata Pro Loco (che non vive però oggi momenti facili), o dei Giovani dell'Oratorio, dell'Associazione Giovani Galatro, o il mondo dell'escursionismo che fa riferimento a Salvatore Sorrentino e alla sua Associazione Escursionistica "Galatro Terme", o le attività degli Amici di San Rocco, o il premio vinto tempo fa da Romualdo Lucà nel concorso "Il volo di Pegaso", o l'ingegnere Salvatore Romeo cui fu dedicato un servizio su RaiTre per le sue applicazioni informatiche a dispositivi mobili, o le rubriche dedicate al nostro paese in riviste a diffusione nazionale e internazionale quali Focus e La Settimana Enigmistica... e così via.
Siamo sicuri che tutto ciò di cui abbiamo or ora raccontato è solo una parte di quanto i galatresi producono quotidianamente in giro per il mondo. Per quanto si disponga oggi di un'informazione che deborda da tutte le parti, alla fine tanti eventi finiscono per passare indenni attraverso le maglie della rete. Questo non significa ovviamente che abbiano meno rilevanza. Ad ogni modo una cosa di cui si può essere assolutamente certi è la grande vivacità di tanti nostri concittadini nei vari settori di cui abbiamo trattato. Sono queste le cose che danno lustro al nostro piccolo e caratteristico paese e che ci fanno sentire fieri - da vicino o da lontano - di farne parte.
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Concludiamo con un piccolo (ed incompleto) elenco di prodotti culturali galatresi reperibili sul web:
Nelle foto, dall'alto in basso: Galatro in una tela del pittore Franco Camillò; un quadro di Vladimir dedicato a Galatro; una tela di Nato Randazzo su Galatro.
(24.10.13) I "BOZZETTI GALATRESI" DI UMBERTO DI STILO (Michele Scozzarra) - Quando Umberto Di Stilo mi ha regalato il suo ultimo libro, “Bozzetti Galatresi”, la prima cosa che ho sentito di fare è di dirgli “grazie” per questo suo ulteriore prezioso tassello che si va ad incastonare nella composizione di quel meraviglioso mosaico della storia di Galatro che, piano piano, sta completando con ogni sua nuova opera. Questo suo nuovo libro, come per incanto, ci rende attuale il richiamo divertito, serio, drammatico, culturale, di un tempo che, solo in una lettura superficiale della realtà, sembra non abbia più nulla da dire, testimoniare, insegnare.
Che cosa avrà scritto stavolta l’amico Umberto, mi chiedevo mentre sfogliavo le pagine del libro? E, man mano che le pagine scorrevano, provavo a immaginare cosa i Galatresi, di non oltre i quaranta anni, avrebbero percepito in queste pagine, cosa avrebbero colto e come avrebbero interpretato questi “bozzetti” di vita galatrese di tanti anni fa.
Ma leggendo l’introduzione al libro, in tante domande hanno trovato risposta nella presentazione che fa lo stesso Autore: “Solitamente si sostiene che col passare degli anni, per uno strano fenomeno collegato all'avanzare dell'età, si dimenticano gli avvenimenti recenti e, prepotenti, tornano alla memoria episodi del passato. Anche quello morto. Episodi che, evidentemente, il tempo non solo non ha offuscato, ma restituisce alla memoria arricchiti di particolari e abbelliti dal magico alone del ricordo che tutto rende più bello e poetico. Capita allora, che episodi e particolari che un tempo sembravano del tutto insignificanti, a distanza di anni, se rivissuti nel ricordo, acquistino la suggestione e i contorni delle favole e, non di rado, si riscoprano anche dell'abito travolgente della nostalgia. Magia del ricordo e degli anni che, passando, ovattano di fascino ogni cosa. … Ed allora sullo schermo della memoria sono tornate ad animarsi non soltanto immagini in bianco e nero di persone care che mi sono state vicine, ma anche diversi episodi dell'infanzia e della gioventù... Figure di persone familiari, dunque, ma anche di semplici conoscenti, sono tornate nitide alla memoria e, insieme a loro, nel magico mondo onirico, hanno ripreso forma e consistenza alcuni episodi di vita cittadina dei quali loro stessi sono stati protagonisti. Si tratta di persone del popolo che all'interno della comunità hanno vissuto la loro quotidianità in maniera discreta e che oggi meritano il massimo apprezzamento per la loro grande dignità e per i sentimenti di solidarietà e collaborazione che hanno contraddistinto la loro vita anche quando, in alcuni determinati periodi storici, le condizioni socio-economiche della comunità erano particolarmente proibitive”.
In nessuna pagina dei “Bozzetti Galatresi” Umberto Di Stilo concede spunto all’estetismo, nel senso che non cerca di farci capire com’era bella (o brutta) la vita dei Galatresi nel periodo dell’immediato dopoguerra; ma molto più “piacevolmente” ci fa vedere la verità di quella vita, cioè la totalità di una cultura che oggi è totalmente scomparsa e, non solo non c’è più, ma non potrà mai più tornare ad esserci, e proprio in questo sta il valore profondo di racconti di questa opera letteraria.
Il grande realismo (anche se preferisco dire “la grande verità”) che esplode in tutti i “racconti-bozzetti” non può essere definito solo con un giudizio estetico o con le suggestioni particolari che si ri-vivono nei vari racconti, perché questo libro, a mio avviso, non è “realista”… è “profondamente e realmente vero!”. E, sotto questo aspetto, possiamo dire che ci troviamo davanti ad un “qualcosa” che può rappresentare “l’osso più duro da masticare”: Umberto Di Stilo con questa sua opera ci porta a chiederci come sia possibile, in una società schizofrenica e instabile come la nostra, che si possa ancora apprezzare una simile testimonianza di valori e di affetti.
Una realtà dove la povertà, il dolore, la fatica, i rimpianti, gli scherzi, le consuetudini, il lavoro dei nostri artigiani, esprimono un giudizio sul modo di concepire e di vivere l’esistenza che ci supera di molte lunghezze. Non so quanti nel libro hanno colto la limpida immagine della laboriosità della nostra gente, che ha guidato la genialità creativa del nostro popolo. La descrizione della realtà che si presenta davanti al giovane Saverio, appena entra a Galatro è, a mio avviso, una delle pagine più belle dei “Bozzetti Galatresi”, ed è sorprendente, almeno per me, che questa immagine venga rappresentata e ricordata a noi galatresi del 2013, quando ormai di quanto raffigurato non rimane neanche il ricordo.
Almeno grazie alla letteratura possiamo conoscere e rivivere i segni dell’antica laboriosità, professionalità, vitalità del nostro popolo: “Come per incanto, quando dopo l'ultima curva gli fu improvvisamente di fronte il panorama di Galatro con il calvario in cima alla bianca collina e le abitazioni che, attaccate le une alle altre quasi per vicendevole protezione, sembra vogliano dar vita ad un naturale grande presepe, sia pure in maniera sfumata, ricordò il paese. Si accorse che le abitazioni poste in fondo alla valle presentavano le ferite prodotte dalla furia devastatrice delle acque e che poco più avanti del palazzo nel quale ricordò di avere abitato insieme alla nonna, qua e là erano ancora ammassati cumuli di macerie. Erano i resti delle case, del frantoio e dell'albergo che il fiume aveva demolito dalle fondamenta o aveva squarciato buona parte delle pareti perimetrali. Incuriosito si fermò ad osservare con attenzione ed ebbe l'impressione di trovarsi improvvisamente in un grande quartiere. Ovunque operai a lavoro. A sinistra notò che si stava procedendo alla costruzione di un grande muro di contenimento perché sul pianoro soprastante era in avanzato stato di realizzazione un rione di case popolari destinate ai danneggiati dell'alluvione di due anni prima; poco più avanti procedevano spediti i lavori del mastodontico ponte che avrebbe garantito l'attraversamento del fiume che non scorreva più libero tra i campi e le case del paese, come lo aveva visto anni prima, ma lo stavano dotando di nuove briglie e di
robusti argini anch'essi in avanzato stato di costruzione. Donne con grosse pietre o secchi pieni di sabbia in testa, uomini che spalavano nel fiume, muratori che accatastavano pietre su pietre, carpentieri che inchiodavano tavole e preparavano i cassoni per le prossime gettate di cemento; sul letto del fiume scalpellini indaffarati a preparare i grossi blocchi di granito da utilizzare per l'arco del ponte... Un fervore di opere ed un gran numero di operai che lavoravano in più punti ed altri che si spostavano da una parte all'altra... una situazione di grande operosità che impressionò Saverio. Sono arrivato in un grande cantiere, pensò guardandosi intorno...”.
Come posso non ringraziare Umberto Di Stilo per avermi fatto rivivere, anche se solo con il racconto, la storia che ho sempre sentito ripetere da mia madre riguardante il mio bisnonno Francesco Cuppari e tutta una generazione di famiglie di fabbri che ci hanno lasciato un patrimonio “artistico e culturale” che ancora oggi, in tanti posti, è possibile ammirare: “... qui a Galatro tutti i fabbri si cimentano in vere creazioni artistiche. Sai, i fratelli Macrì, che hanno la bottega poco più sotto, in questa stessa strada, col ferro riescono a fare anche delle bisce che sembrano vere e tanti altri lavori di grande precisione... quelle bisce sono così perfette che quando le stringi nella mano, hai l'impressione di avvertire anche la loro viscida essenza. E poi abbiamo il più grande artista del ferro battuto: mastro Ciccio Cuppari, zio del mio maestro. Da qualche anno si è trasferito ad Oppido ma nelle migliori famiglie galatresi e della zona ha lasciato opere di grande gusto artistico e, proprio perché la sua arte del ferro battuto ha varcato i confini comunali, è stato incaricato di realizzare tutti i lavori in ferro che abbelliscono l'interno della cattedrale di Oppido. Quei lavori per la loro bellezza artistica e per la loro impeccabile esecuzione sono stati molto apprezzati da tutti, tanto è vero che le loro fotografie sono state pubblicate sui giornali...”.
Credo che Umberto Di Stilo, con i “Bozzetti Galatresi”, ci abbia fatto scoprire ed incontrare un pezzo di storia del nostro paese sconosciuta a molti, una storia non scritta, legata a persone che hanno pensato, vissuto, operato, creato tante belle cose, anche se, il più delle volte è stato tramandato neanche il loro nome. Bisogna ringraziare Umberto Di Stilo perché ha reso possibile uno “scavo” nella memoria galatrese ed ha fatto rivivere la storia di uomini e donne legati in maniera inscindibile alla storia del nostro paese… ha “fotografato” la verità di certe storie legate alle persone, al nostro paesaggio, al nostro ambiente, alla nostra cultura, mediante racconti tramandati soprattutto oralmente, che Umberto ha ritenuto di dover trasmettere alle generazioni future, come lui stesso dice nell’introduzione al libro “Nello sfondo dei semplici racconti, tutti ispirati a fatti realmente accaduti, spero di essere riuscito a far emergere anche la indiscussa e riconosciuta eccellenza dell'artigianato galatrese, un universo che, oltre al mio ricordo, meriterebbe maggiore attenzione soprattutto dalle istituzioni...”.
Diceva Cesare Pavese “prima dei libri ci furono le favole, le immagini, ci furono i canti e le feste”: Umberto Di Stilo con i “bozzetti” non intende fare l’elegia di un tempo che ormai non c’è più, ma rievoca un patrimonio vivente, conosciuto direttamente, ma anche attraverso il parlare con tante persone, attraverso molti incontri e dialoghi, ascoltando le voci di chi queste storie le ha vissute. Perché non potremo mai più tornare indietro, riportare “ai giorni nostri” tutto quel mondo ormai andato... Ma, dalla lettura del libro appare chiaro che possiamo e dobbiamo senz'altro riconsiderare tutti i valori che, all'interno di quella società e di quelle persone, avevano trovato un equilibrio ed una maestranza che permetteva al nostro piccolo borgo di essere considerato come la culla dei più grandi maestri artigiani: “... A quei tempi a Galatro era ancora assai fiorente l’artigianato e da tutto il circondario si guardava al suggestivo paese edificato sulle sponde del Metramo come alla culla dei più grandi maestri artigiani. Le botteghe non erano solo luoghi di lavoro, veri templi consacrati alla fatica, ma anche punti di incontro, di discussione e, a volte, anche si scherzi e di innocenti passatempo. Nei ritagli di tempo libero nei saloni si giocava a dama o si suonava il mandolino,
nelle sartorie si discuteva di dogmi e si suonava la fisarmonica, nelle falegnamerie, tra un colpo di martello e uno di pialla, le fazioni di Coppi e Bartali discutevano animatamente di ciclismo, nelle forgie si parlava do politica e nelle calzolerie si predisponevano scherzi… All’epoca tutti i laboratori artigianali erano popolati da apprendisti perché l’artigianato, insieme all’agricoltura, dava solide garanzie di lavoro e costituiva le colonne portanti della locale economia. Non era soltanto artigianato maschile perché accanto ai sarti, ai calzolai, ai falegnami ed ai fabbri c’erano le provette sarte, le esperte ricamatrici e le brave tessitrici che contribuivano a tenere alto il buon nome dell’artigianato artistico galatrese. I ragazzi, già in tenera età, se non andavano in campagna insieme ai genitori contadini, venivano avviati ad una bottega artigianale per apprendere il mestiere per il quale si sentivano più portati e che in futuro avrebbe loro garantito il necessario per vivere. I figli degli artigiani, sin da piccoli, solitamente cominciavano a lavorare nella bottega di papà, per cui da una generazione all’altra, in quelle famiglie, tutti i componenti, praticavano lo stesso mestiere. Era sarto il figlio del sarto, e il figlio del calzolaio, il figlio del falegname e il figlio del fabbro avrebbero continuato a fare il mestiere dei loro genitori. Tutto ciò perché, come recitava un antico precetto l’arti du’ tata è menza ‘mparata …”.
Con i “Bozzetti Galatresi” Umberto Di Stilo ha consegnato, non solo alla Storia del nostro paese un bel ritratto della vita com’era a Galatro più di mezzo secolo addietro, ma è anche riuscito, ancora una volta, a presentare delle persone vere e concrete, rispettandone fino in fondo ogni semplice e peculiare caratteristica: ha ricordato e descritto dei personaggi galatresi indimenticabili, riuscendo a ridare volto, memoria e vita agli amici che ormai non ci sono più, facendo rivivere conoscenti di un tempo ormai remoto, il cui ricordo non si è ancora spento. Ci ha messo davanti delle persone vive, protagoniste di un mondo semplice e reale, che si staglia sullo sfondo di una Galatro ricca di valori e di sentimenti, nonostante ci si trovi nel difficile periodo del dopoguerra, dove la povertà e la fame erano delle realtà con le quali bisognava fare i conti giornalmente.
Per il lettore che si ritrova a leggere di don Agostino Albanese, di ‘Ntoni Librandi, dei Forgiari di Galatro, di Marefrancisca, di mastro Rocco Distilo, di Giuseppe Panetta, di Mastru Vicenzu, don Aurelio Lamanna, Ciccillo, Rosina… è come trovarsi dentro un racconto di un mondo ormai lontano, dal quale siamo presi ed imbrigliati, sin dalla lettura delle prime pagine, per il riaffiorare di un qualcosa che “sentiamo” di avere dentro e Umberto ci svela di cosa si tratta.
E, grazie alla sua prodigiosa memoria, alla sua inarrestabile creatività, Umberto Di Stilo ci presenta dei personaggi che nascono dalla sovrapposizione di infiniti dettagli, di storie e personaggi che hanno dell’incredibile: non un mondo idilliaco, non la ricerca del tempo perduto, ma la memoria di una tradizione ancora capace di trasmettere il fascino e l’immagine di un mondo del quale dobbiamo riconsiderare il modo di concepire la vita in tutta la sua verità e bellezza.
Per questo nuovo tassello che Umberto Di Stilo ha realizzato, per completare la composizione finale del grande mosaico che sta realizzando sulla nostra storia, sui nostri beni artistici, sulle nostre tradizioni… all’esplosione del “grazie” iniziale, non può non seguire la domanda: a quando il prossimo tassello?...
Nelle foto: scene di vita galatrese di tanti anni fa e in basso la copertina del libro "Bozzetti galatresi".
(30.10.13) UNA NUOVA FASHION APP DI ONSCREEN COMMUNICATION PER SIAMOISES - Annalisa Masi dell'ufficio stampa di Onscreen Communication, azienda del cui management fa parte il nostro concittadino Saverio Ceravolo, ci informa dell'ideazione e dello sviluppo di una nuova app in realtà aumentata.
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(1.11.13) UN SALUTARE TUFFO NEL NOSTRO PASSATO (Pasquale Cannatà) - Ho gustato con molta ingordigia il piatto che Umberto Di Stilo ci ha offerto con i suoi “Bozzetti Galatresi”, e le dieci pietanze che ha portato alla mia tavola si sono rivelate dolci da gustare in ogni loro boccone.
La lettura del suo libro ha prodotto in me un piacevolissimo riaffiorare di ricordi della mia gioventù che ancora si rispecchiano nei personaggi descritti, nei loro usi e costumi, nella forte personalità che emana dalla loro descrizione. E non potrebbe essere diversamente, visto che non di personaggi si tratta, ma di persone vere e proprie che lui ha conosciuto personalmente o di cui ha sentito raccontare la storia: io ci ho ritrovato mio padre e mio nonno nel loro negozio e nell’affitto delle camere ai bagnanti, i miei vicini di casa della famiglia Lamanna, i momenti ludici nella vicina sartoria di Pasquale Distilo alla sera, finita la giornata lavorativa, e tante altre situazioni di vita paesana.
Delle persone descritte è messa in rilievo non solo la capacità nel lavoro ma anche, o forse innanzitutto, sono evidenziati i principi morali che li distinguevano: tipica già nel primo bozzetto, come succoso antipasto e prefigurazione di ciò che ci si poteva aspettare nel resto del libro, la figura di Agostino Albanese che ci insegna ad essere umili ed avere il senso dei nostri limiti nel confronto con gli altri.
Le usanze e le tradizioni nei rapporti tra fidanzati, tra genitori e figli, tra marito e moglie e con i datori di lavoro sono descritte dettagliatamente e fanno immaginare le vicende come se anche noi fossimo li presenti: mi sono ritrovato a battere il ferro incandescente insieme ai “forgiari i Galatru”, ad accudire i bachi da seta insieme a nonna Maria Stella, a percorrere mulattiere insieme a ‘Ntoni, a scalare “u maju” insieme a mastru Vicenzu ed a fare tante altre cose che ho visto fare da ragazzo.
Dulcis in fundo mi sono rivisto alla ricerca della “canna di nuvolati”, ma "u trattenimentu" che ho ricevuto dalla lettura del libro è stato concreto e realissimo.
Bello, bello, bello.
Nelle foto: in alto Pasquale Cannatà, in basso "A strata a menzu" in un disegno di Angelo Formica.
(22.11.13) QUEL MONDO SCOMPARSO SALVATO DALLA LETTERATURA (Angelo Cannatà) - Confesso che non ho letto molti libri di scrittori calabresi. Corrado Alvaro, Leonida Rèpaci, Saverio Strati, Fortunato Seminara…, certo, e qualche intellettuale lucido, intrigante - Lombardi Satriani, Vito Teti (ottimo Il patriota e la maestra)... Pochi autori. Perché il tempo è tiranno e l’istinto mi ha portato in altre direzioni.
Se Philip Roth ti guarda dallo scaffale come resistere? E’ tutta colpa di Pastorale americana, Nemesi, Zuckerman, La macchia umana… e di Coetzee, Yourcenar, Pamuk, Grossman... Ci sono anche gli italiani, naturalmente: Alessandro Baricco, Ammaniti, Lucarelli… E poi i grandi vanno riletti: riapro Sartre, Camus, de Beauvoir, ogni tanto, per ritrovare l’ebbrezza, la “cotta” – si può dire? – lo stordimento dei vent’anni per i francesi. Mi fermo. La letteratura calabrese l’ho trascurata, come tante cose – ahimè – della mia terra. E’ una perdita dolorosa. Ma anche una scelta, che mostra, adesso, la sua assoluta arbitrarietà.
E se fosse, paradossalmente, una certa idea di letteratura, il modo in cui si manifesta - il romanzo storico, il racconto neorealista… - a dirci qualcosa di noi? Sento le obiezioni: “Dopo Joyce cambia la forma-romanzo… il racconto…” Giusto. Eppure. Eppure prendi in mano Bozzetti galatresi di Umberto Di Stilo (Luigi Pellegrini editore), e senti che gli schemi, le costruzioni critiche e letterarie saltano. E’ un testo che sembra scritto nell’Ottocento e piace proprio perché sa di antico; perché quel mondo non c’è più e non c’è quel linguaggio che lo raccontava. Un paradosso? Forse. Ma se il libro intriga che importanza ha?
“ ’A basata. Al bacio pubblico l’innamorato ricorreva quando non era accettato dalla ragazza”, o “quand’erano i genitori a non accettare il fidanzamento e alla fuga d’amore – ’a fujitina – preferisse il più teatrale bacio all’uscita della messa.” Altri tempi. Che dicono – nella distanza da ciò che siamo – gli innumerevoli mutamenti. Le trasformazioni. Nessun rimpianto ovviamente per i costumi antichi. Ma da lì veniamo e se sacche di medioevo permangono nel nostro tempo (anche nelle forme più torbide), Di Stilo ci aiuta a decodificarle.
Certe pagine valgono più di un trattato di sociologia: “- Vedi Marefrancisca, il matrimonio non è come una giacca che se non ti veste bene la riporti alla sarta, l’aggiusta, toglie i difetti e te la fa stare bene addosso… Il matrimonio è sacro, non si aggiusta e comu ti cadi hai mu tu teni.” E’ la fotografia di un mondo. Che non c’è più, per fortuna. Nell’epoca in cui Papa Francesco apre ai divorziati - con le cautele tipiche della Chiesa -, suonano lontani anni luce le parole amorevoli (nel contesto narrativo hanno questo senso) dette a Marefrancisca. Ma proprio qui sta il valore di Bozzetti galatresi: mostra come le verità – anche le più grandi – siano soggette all’inesorabile trascorrere del tempo. Si chiama relativismo; Di Stilo evidenzia situazioni, gesti, modi di sentire delle generazioni passate in pagine semplici e chiare. Nessuno dei personaggi è il vero soggetto del libro, nemmeno del piccolo spazio (il bozzetto) in cui è narrata la sua vita. Il vero soggetto è “la memoria”. E “il tempo che ci trasforma”: come eravamo, come vivevamo, come pensavamo. Fellini lo chiamava Amarcord (i ricordi personali – ’A menza canna... – si alternano nel testo a storie vissute, per così dire, narrativamente elaborando le trame delle fonti orali, I forgiari ’i Galatru…).
Il lettore troverà, leggendo, anche valori antichi la cui scomparsa non è – questa volta – segno di progresso. E’ l’altro aspetto interessante del volume: mostra, pagina dopo pagina, cosa abbiamo perso col tramonto della civiltà contadina e cosa conquistato col cosiddetto progresso: “S’ammazzau ’u mulu ’i ’Ntoni Librandi. La notizia, di bocca in bocca, in pochi minuti si diffuse in tutto il paese. E i commenti furono di unanime commiserazione per il giovane che da pochi mesi, dopo un fidanzamento in famiglia di circa due anni, era andato a nozze con Catuzza Demasi.” E’ l’incipit di un racconto (il volume ne contiene 10), in cui emerge la solidarietà umana - qualità fondamentale della vecchia Comunità - verso il protagonista colpito da una sventura. Poche pennellate, attraverso le quali le nostre affollate solitudini di uomini post-moderni mostrano (tutto) il loro miserabile limite. Basterebbe questo “gioco”, questo confronto – storico, sociologico, filosofico – tra ieri e oggi, per giustificare la lettura di Bozzetti galatresi. Italo Calvino scrive: “Già nella vetrina della libreria hai individuato la copertina col titolo che cercavi. Seguendo questa traccia visiva ti sei fatto largo nel negozio attraverso il fitto sbarramento dei Libri Che Non Hai Letto che ti guardano accigliati dai banchi e dagli scaffali cercando d’intimidirti. Ma tu sai che non devi lasciarti mettere in soggezione, che tra loro s’estendono per ettari ed ettari i Libri Che Puoi Fare A Meno Di Leggere, i Libri Fatti Per Altri Usi Che la lettura…” (Se una notte d’inverno un viaggiatore). Ecco, il libro di Umberto Di Stilo è fatto per essere letto. Nella volatile anarchia delle nostre vite dice – col tono leggero che sanno avere le cose profonde – da dove veniamo: un passo fondamentale per muoverci, con qualche strumento in più, verso il futuro. Per una volta, facciamoli aspettare i Roth, i Sartre, i Baricco. Bozzetti galatresi diverte e aiuta a pensare. E’ un’esperienza che può fare ogni lettore (i paesi della Calabria si somigliano: Galatro, Squillace, Dipignano…); ognuno troverà qualcosa del suo passato: un luogo della memoria, una storia, un aneddoto, una Comunità, un proverbio, un’idea che l’ha influenzato. E la fatica di vivere, la voglia di farcela, la povertà, la miseria, l’orgoglio. Sono piacevoli questi Bozzetti. E utili. Non è poco.
Articolo apparso su "Il Quotidiano della Calabria" del 16 Novembre 2013
Nelle foto, dall'alto in basso: Angelo Cannatà, Umberto Di Stilo, muli impiegati per il trasporto di tronchetti (foto tratta dal libro).
P.S. - Giulio Mantovani scrive su "giornale.it":
Joseph de Maistre, a cavallo tra il Sette e l’Ottocento, nelle Serate di Pietroburgo chiedeva ai suoi ospiti: « Si può concepire il pensiero come accidente di una sostanza che non pensa?». Questo mi spingeva a rigettare la teoria evoluzionista, ma non volevo accrescere la divisione, o la guerra tra le due teorie, ma trovare la risoluzione nell’accettare, in campo accademico, tutte e due le ipotesi: cioè l’evoluzione non è altro che una continua creazione nel tempo.
L’ultima teoria (detta delle stringhe) accreditata in ambiente scientifico mondiale, dice che fu un suono o una “vibrazione” che ha innescato il “Big Bang”, il fenomeno da cui ha avuto inizio la creazione di tutto l’universo. Ecco un punto in comune: credo fermamente che sia stato il suono della Parola di Dio, come è scritto all’inizio della Genesi: « – Sia la luce!. – E la luce fu» . Ed i primi versetti del Vangelo di Giovanni: «In principio era il Verbo… Egli era in principio presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui…». Senza contare che nel libro della Sapienza era già stato scritto: «Grande è il Signore che tutto ha creato e disposto con misura, numero, ordine e peso». Proprio ciò che ci stanno rivelando le sonde spaziali!
La conclusione la vorrei esprimere con una frase di sant’Agostino: «Non occorre capire per credere, ma occorre credere per capire».
Nelle foto, dall'alto: le locandine dei film "Matrix" e "Avatar" e un'icona della chiesa ortodossa rappresentante l'Incarnazione.
(4.12.13) DOPO OLTRE MEZZO SECOLO TORNA LA PROCESSIONE DELL'IMMACOLATA (Umberto Di Stilo) - Dopo oltre mezzo secolo, e a distanza di qualche settimana dalla proclamazione ufficiale di Galatro “città mariana”, la piccola statua lignea dell’Immacolata, domenica prossima, lascerà la chiesa parrocchiale per essere portata in processione lungo le vie principali del paese. L’evento, così come è stato presentato, assume i connotati dell’avvenimento storico. Soprattutto per le giovani generazioni per le quali la programmata processione è una novità. Non lo è, però, per chi ha i capelli innevati dal tempo e il ricordo di quella processione, recuperato improvvisamente dalla memoria, provoca un vortice di sentimenti impastati di nostalgia proprio come il tuffo nel passato che genera il casuale rinvenimento di una fotografia di famiglia che, seppur leggermente sfuocata ed ingiallita dal tempo, riesce a dare vigore alle immagini di tante persone care che ci hanno lasciato. L’annuncio della processione che domenica prossima si snoderà per le vie del paese subito dopo la messa solenne, in molti dei fedeli “anziani” che si trovavano in chiesa al momento dell’avviso del parroco, ha improvvisamente riportato alla memoria l’immagine della piccola statua che, seguita da molti fedeli, nei difficili anni del secondo conflitto mondiale, attraversa le strade della parrocchia accompagnata dal canto “mira il tuo popolo” e dalle allegre note di una marcia eseguita dal locale complesso bandistico.
Qualche volta la processione ha interessato soltanto le viuzze dei rioni Pecorello e Ceramidìo, perchè le condizioni atmosferiche minacciavano pioggia e il parroco non voleva impedire che la Madonna portasse il suo materno saluto almeno agli anziani e agli ammalati di quelle stradine che, come in un ideale abbraccio, da sempre cingono la chiesa. Contrariamente a quel che qualche giovane potrebbe pensare, a Galatro la mariana devozione verso l’Immacolata Concezione è antichissima. Infatti è da far risalire agli ultimi decenni del 1400 allorchè a Lei venne dedicato un artistico e ben addobbato altare della Chiesa di Santa Maria della Neve (successivamente divenuta chiesa dell’Immacolata) uno dei più antichi luoghi di culto che i fedeli avevano costruito nei diversi rioni del paese. Su quell’altare i fedeli avevano l’opportunità di contemplare le fattezze fisiche della “Concezione” nel dipinto di Antonello da Messina, opera che ha avuto modo di ammirare estasiato il vescovo Del Tufo in occasione della sua visita del 1586 e che andò perduta nel terremoto del 1783.(1) La devozione alla Concezione, quindi, era radicata tra i galatresi molto prima che Papa Pio IX, l’8 dicembre del 1854, proclamasse il “dogma dell’Immacolata”. Se antichissima, dunque, è la devozione altrettanto antichissima è la processione per le vie del paese che, soprattutto nei secoli passati, è stata un appuntamento fisso per tutti i fedeli locali.
Il corteo devozionale si è continuato a svolgere regolarmente anche nel “nuovo” centro abitato (quello costruito dopo il terremoto del 1783) quando la statua processionale lignea della Madonna (la stessa che attualmente i fedeli venerano nella chiesa San Nicola) dissotterrata dalle macerie del tempio a Lei dedicato, è stata trasferita nella nuova parrocchiale. Inoltre, a dimostrazione che in paese la devozione all’Immacolata era molto diffusa e radicata tra i fedeli, basterebbe ricordare che a Lei volevano dedicare la ricostruita chiesa del rione “San Nicola” (l’attuale chiesa della Montagna). Il sindaco del tempo, Michelangelo Fazzari, infatti, insieme ad un nutrito gruppo di fedeli, nell’agosto del 1796, scriveva al vescovo Mons. Enrico Capece Minutoli per comunicargli che “ritrovandosi in q.(uest)a terra di Galatro, e propriamente di là del fiume Metramo, antico sito di d.(ett)a terra, eretta una chiesa Economale a spese dell’individui di d.(ett)o Galatro, la quale non ancora ha nome né titolo; pertanto volendosi da questo pub.(blic)o appellarsi chiesa dell’Immacolata Concezzione (sic!), sup.(plic) a la bontà di V. S. Ill.ma e R.(everen)dissima benignarsi con suo decreto appellarla Chiesa dell’Immacolata Concezzione col permesso ancora a questo Economo Curato d. Dom.(eni)co Mandùci che facci trasportare la statua dell’Immacolata che rettrovasi nella Parrocchia in d.(ett)a chiesa Economale”.
Successivamente 98 fedeli dimoranti nell’antico quartiere, insieme ad alcuni esponenti della borghesia locale, sollecitarono ripetutamente la dedicazione della chiesa all’Immacolata Concezione.
Il Vescovo prese tempo; disse di volersi rendere personalmente conto allorquando sarebbe venuto a Galatro per la visita pastorale. E, col passare del tempo, l’idea sfumò e la chiesa, com’è a tutti noto, alcuni anni dopo, con l’arrivo da Garopoli della delorenziana statua della Madonna della Montagna e con la devozione a Lei che di mese in mese andava sempre più diffondendosi tra i fedeli di quel Quartiere, fu dedicata alla Madonna di Polsi, ovvero alla Madonna della Montagna.
Per decenni nelle chiese di Galatro è esistita una sola statua dell’Immacolata: quella “antica“ posta al culto dei fedeli nella chiesa parrocchiale.(2) Poi, nel 1937, il parroco don Antonio Teti ha pensato di dotare la sua chiesa di un’altra statua con la quale ha pure programmato di fare la processione nel giorno della festa. La cosa non è stata gradita all’arciprete Bruno Antonio Marazzita che il 1° ottobre si è affrettato ad indirizzare al Vescovo una lettera di disapprovazione nei confronti del collega parroco che aveva portato a Galatro “una seconda statua dell’Immacolata, dimenticando che sin da antichi tempi è sempre esistita in questa chiesa” di san Nicola che annualmente organizzava semplici festeggiamenti con processione per le vie del paese. Non risulta, però, che dai successori del parroco Teti sia stata mai programmata la processione dell’Immacolata in quella parrocchia.
Va, infine, ricordato che nel dicembre 2004 il parroco Don Cosimo Furfaro, ripristinando l’antica tradizione che diversi anni prima era stata interrotta per la concomitante festività del santo Patrono, ha voluto che per la novena dell’Immacolata la statua fosse tolta dall’altare, ove è esposta al culto dei fedeli, e collocata sulla sua “vara” processionale in prossimità dell’abside. Per i fedeli quel semplice gesto è stato ricco di valori interiori. Dopo molti anni, infatti, la Mamma celeste, ricolma d’amore e di attenzioni, tornava fisicamente a stare in mezzo ai suoi figli per sentirli più vicini e per soddisfare le loro richieste.
Adesso, per iniziativa del parroco Don Giuseppe Calimera, in quest’anno mariano parrocchiale che si concluderà nel prossimo agosto con l’incoronazione della Madonna del Carmine, dopo molti decenni, la settecentesca statua dell’Immacolata, domenica prossima, tornerà a lasciare nuovamente la chiesa e, pellegrina d’amore, andrà a far visita a tutti i suoi figli ed a riscaldare i loro cuori con la fiamma della Fede.
NOTE (1) Su questa pregevolissima opera, rimando il lettore desideroso di maggiori notizie al capitolo “Dipinto della Concettione”, inserito nel mio volume “Il cinquecentesco trittico marmoreo…”, pag. 129-135. (2) La statua che i fedeli trovano nella chiesa parrocchiale, è opera dello scultore Domenico Delorenzo che l’ha realizzata per la chiesa galatrese nel 1768. Nel 1958 è stata restaurata da Alfonso Montagnese “a divozione della signora Maria Adelaide Ferrari in Pascarelli”. Per ulteriori notizie storico-artistiche sulla statua, si rimanda il paziente lettore al capitolo “Statua lignea dell’Immacolata”, inserito nel mio volume “Il cinquecentesco trittico marmoreo…”, pag. 253–260.
(27.12.13) CONCERTO PER IL NUOVO ANNO A POLISTENA CON NICOLA SERGIO E ALTRI ARTISTI - Nel Salone delle Feste di Polistena, Lunedì 30 dicembre, alle ore 18.30, si svolgerà un concerto omaggio (ingresso gratuito) e di buon auspicio per il nuovo anno, patrocinato dal Comune di Polistena. Sarà presentata al pubblico una nuova realtà associativa: LYRIKS – Laboratorio Interdisciplinare di Ricerche Artistiche.
Tra i fondatori dell'associazione il pianista galatrese Nicola Sergio che si esibirà nell'occasione assieme ad altri artisti, presentando anche tre pezzi del suo recente progetto dal titolo "Migrants".
In programma una serie di brani in prima assoluta che toccheranno la musica contemporanea, il jazz, il canto lirico e che saranno accompagnati da proiezioni video e dall’anteprima dei progetti in fase di produzione che porteranno il marchio di LYRIKS: Migrants, Suoni in Aspromonte, Flotte di pace.
Una serata all’insegna dell’innovazione che si fa teatro, opera, musica, lirica di suono e immagine in grado di coinvolgere e promuovere il territorio nella sua interezza e nella sua concezione culturale più ampia.
LYRIKS è una factory che guarda alla multidisciplinarità delle arti, alla musica contemporanea, al jazz, alla lirica. Studia i ritmi dell’oggi ma non tralascia la musica di tradizione orale, le sue contaminazioni e le possibili sperimentazioni con il teatro, il cinema, l'arte contemporanea. Le forme d’avanguardia e i gesti di “innovazione” che generano le nuove visioni di un mondo fatto di suono e immagini.
Musica non solo da ascoltare ma anche da vedere con il supporto di strumenti innovativi in grado di proiettare l’ascoltatore nella visione. Un nuovo scenario in cui i componenti della neonata associazione si muovono con professionalità, ricerca e spirito di appartenenza al territorio di origine. Per questo LYRIKS si presenta come uno straordinario strumento di lettura e indagine del passato e del presente.
Francesco Anile, Nino Cannatà, Tony Capula, Sergio Coniglio, Nelly Creazzo, Girolamo Deraco, Caterina Francese, Salvatore Insana, Nicola Sergio i protagonisti della serata del 30 dicembre prossimo. Loro i fondatori e componenti di questa nuova compagine culturale. Personalità che legano i loro nomi all’arte e alla ricerca storico-letteraria, operatori culturali con un comune denominatore: nati in Calabria e cittadini ed esportatori della cultura nel mondo.
LYRIKS è, dunque, un network, è "luogo" di produzione, promozione e formazione. Quest’ultima rivolta soprattutto ai più giovani per una crescita adeguata e coerente con la cultura radicata nei territori propri del mediterraneo.
LYRIKS vuole essere una realtà in bilico tra due epoche: il '900 e il futuro, un’opportunità per una rinascita critica e produttiva che faccia della cultura il proprio centro di dialogo e cooperazione. Un nuovo modo di fare con uno sguardo che si muove tra innovazione e tradizione per sostenere produzioni altrimenti impossibili. Tutto questo diventa possibile grazie ad una rete di professionalità disponibili a costruire un nuova realtà culturale in un territorio ricco di storia passata e che guarda alla qualità come possibile sostegno e sviluppo del bene comune.
«Un gruppo di professionisti, la cui motivazione nasce dalla consapevolezza di essere figli di una terra-madre, le cui radici magnogreche sono fonte di ispirazione e di carattere identitario, la cui storia non può essere calpestata dalla trascuratezza e la cultura sovrastata dalla non conoscenza; per questo LYRIKS nasce come progetto culturale diffuso, nasce dal centro del mediterraneo per abbracciare l’internazionalità di cui siamo capaci, migranti come siamo», così si esprime il neo presidente di LYRIKS, il tenore Francesco Anile a pochi giorni dal concerto inaugurale «che - continua - vuole essere un saluto al nuovo anno ed un augurio per il pubblico e per i nostri progetti, che hanno l’obiettivo di generare impulsi positivi per il nostro territorio. Partiamo da noi, dalla nostra identità storico-culturale che aspetta solo di essere conosciuta e valorizzata.»
(dal comunicato stampa di Pia Tucci)
Nelle foto: in alto Nicola Sergio, in basso un momento della conferenza stampa di presentazione di Lyriks (da sinistra Marco Policaro, Michele Tripodi, Francesco Anile, Domenico Lazzari, Nelly Creazzo).
Nella foto, dall'alto: Umberto Di Stilo; interno della chiesa matrice di San Nicola in Galatro durante una celebrazione; esterno della stessa chiesa; la quattrocentesca statua di San Nicola in marmo alabastrino ivi conservata.