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17.7.19 - I pericoli del cyberspazio
Giorgio Fucà

7.8.19 - Heisenberg e il diavolo

Pasquale Cannatà

12.8.19 - OSC Innovation e l'invasione aliena nei cieli di Giffoni


18.8.19 - Due memorabili concerti di Nicola Sergio


26.8.19 - Un disco spiazzante di Antonio Ardizzone: Inosiyou


12.9.19 - Il successo della Compagnia Teatrale "Valle del Metramo"


23.9.19 - "Il segreto" di Alfredo Distilo


28.10.19 - Non riposano in pace

Pasquale Cannatà

15.11.19 - Intorno alla valutazione del marchio

Francesco Orlando Distilo

21.12.19 - Natale: se meditare l'incarnazione è una questione bizantina!

Pasquale Cannatà

23.12.19 - Consegnate al Comune le tele vincitrici dell'Estemporanea di pittura

25.12.19 - Galatro, pagine di storia di Umberto Di Stilo





(17.7.19) I PERICOLI DEL CYBERSPAZIO (Giorgio Fucà) - Già dagli ultimi anni del secolo scorso, si è cercato di dare una definizione unica per lo spazio cibernetico, meglio noto con il termine anglosassone “cyberspace”.

Citando le parole del Prof. Daniel T. Kuehl nella sua pubblicazione “From Cyberspace to Cyberpower: Defining the Problem, in Cyberpower and National Security”, egli descrive lo spazio cibernetico come:

“Un dominio globale all'interno dell'ambiente informatico il cui carattere distintivo e unico è caratterizzato da un uso dell'elettronica e dello spettro elettromagnetico per creare, memorizzare, modificare, scambiare, e sfruttare le informazioni attraverso sistemi interdipendenti e interconnessi che utilizzano le tecnologie delle informazioni e delle comunicazioni”.

La peculiarità del cyberspace è essenzialmente dovuta al fatto che il dominio cibernetico è una realtà che possiamo definire “ibrida” e non global common puramente naturale come tutti gli altri, ovvero terra mare cielo e spazio. Ne consegue che alla sua formazione concorrono sia elementi naturali che virtuali. Questa particolare caratteristica rende molto difficile a chi ci lavora di poter circoscrivere la propria area di competenza nella quale far rientrare le azioni ed operazioni condotte nel e tramite il cyberspace.

La continua evoluzione del suddetto dominio, quindi, nell’ampliare la superficie di attacco, ha parallelamente comportato una pronunciata diversificazione ed un affinamento dei vettori della minaccia. Tattiche, tecniche e procedure si sono caratterizzate, infatti, per diversi livelli di capacità offensiva: dalla negazione di servizio alla violazione di sistemi I.C.T. (Information and Communication Technology), attraverso operazioni, spesso silenti, anche riconducibili alle tecniche di social engineering (studio del comportamento individuale al fine di carpire informazioni utili a ricostruire reti e strutture), finalizzate a compromettere risorse di cui assumere il controllo, così da acquisire le informazioni in esse contenute. Assume sempre maggiore rilevanza, pertanto, la necessità di conseguire la più ampia consapevolezza e sensibilità tra i diversi produttori e consumatori di informazione.

Il dominio cibernetico, in cui si collocano i social network e la posta elettronica, continua a costituire uno spazio privilegiato per attività ostili, di diversa matrice, condotte in danno di target tanto pubblici che privati e con differente livello di strutturazione, a partire dal singolo individuo fino ad arrivare alla più complessa organizzazione istituzionale o aziendale, la cui esposizione alla minaccia è riconducibile alla crescente pervasività degli strumenti di comunicazione elettronica e di digitalizzazione delle informazioni oltre che dei processi.

Senza rendersene conto, chiunque potrebbe essere un bersaglio per i criminali informatici. Il computer, i dispositivi mobili, gli account e le informazioni personali hanno per loro un valore straordinario. Dopo aver violato un qualsiasi dispositivo, i criminali informatici, possono installarci dei programmi che catturano ogni tasto che viene premuto e scoprire quindi un’elevata mole di informazioni sensibili quali nomi utente e password. Queste informazioni possono essere utilizzate per accedere agli account online di qualsiasi natura, come ad esempio conti bancari, dove possono rubare o traferire soldi; iCloud, Google Drive o Dropbox e rubare dati personali; Amazon ed iTunes e simili per comprare prodotti a nome del malcapitato di turno; account di corrieri tipo UPS, SDA, con cui spedire merci rubate sempre utilizzando identità sottratte fraudolentemente. Se ci si ferma a pensare alle caselle email, ci si rende conto di quante informazioni possiamo trovare al loro interno tra la posta inviata e quella ricevuta. A tutti almeno una volta è capitato di inviare un documento personale in allegato ad una pratica, inviare le coordinate bancarie per poter ricevere un pagamento o ricevere la fatturazione di un utenza dove sono presenti oltre all’indirizzo fisico anche dati conosciuti solo dalla compagnia e dal cliente. Molto più pericolose sono le email di conferma registrazione ad alcuni siti internet che ci vengono recapitate con le credenziali di accesso in chiaro. I malintenzionati che riescono in qualche modo ad accedere alla casella di posta, possono avere accesso a questo patrimonio informativo non indifferente, raccogliere informazioni da rivendere a terzi, come le email personali o di lavoro inclusi anche nomi, indirizzi e numeri di telefono dei contatti; possono copiare e rubare i “beni virtuali” e rivenderli a terzi quali identità online (es. piattaforme di gioco) o qualunque licenza software o chiavi di attivazione dei sistemi operativi.

Una volta che la propria identità online è stata violata, i cyber-criminali possono rubarla per commettere frodi o rivenderla a terzi e questo include gli account di Facebook, Twitter, Instagram, LinkedIn ed infine account di instant messaging e telefonia online. Ultimo ma non ultimo possono trasformare il dispositivo infetto in un server web in modo da essere utilizzato per operazioni criminali come siti web di phishing usati per rubare altri nomi utente e password, strumenti di attacco per violare altri computer, distribuzione di materiale pedopornografico, video piratati o musica rubata.

Poco più di due anni fa abbiamo assistito alla diffusione del ransomware “WannaCry” il quale crittografava tutti i dati chiedendo un riscatto per avere la chiave di decodifica. Molto verosimilmente potrebbero prendere il controllo del pc e della webcam, ad insaputa dell’utente, per scattare foto da remoto o monitorando e registrando tutti i siti web che lo stesso visita in modo da poter estorcere del denaro per non diffondere questo materiale al pubblico della rete o agli amici stessi.

L’evoluzione tecnologica oltre a contribuire a produrre nuovi stili di vita ha ridefinito il modo di comunicare e di relazionarsi. Ne sono un esempio più che significativo i social network, piattaforme di comunicazione attraverso le quali vengono veicolate informazioni e instaurate relazioni sociali, la cui rilevante peculiarità è costituita dalla capacità di generare informazioni, condivisibili anche a livello globale ed aperte a tutti. Gli assetti informativi vengono ora ridefiniti in senso orizzontale e veicolati attraverso un processo di condivisione talmente diffuso da divenire incontrollato e impersonale. Ne consegue che, quotidianamente, miliardi di dati, immagini, e più genericamente contenuti, vengono generati e disseminati all’interno di una rete di piattaforme social che le rende un catalizzatore di informazioni fruibili.

Premesso questo, ben si comprende come questi siano dei validissimi strumenti di acquisizione, utili e capaci di svelare sia le semplici tendenze individuali che i ben più complessi cambiamenti epocali.?In tale ambito, le organizzazioni Intelligence operano attraverso un percorso di raccolta informativa denominata, appunto, Social Media Intelligence (SOCMINT) o, più genericamente Open Source Intelligence (OSINT). Il valore informativo che emerge dall’uso massivo dei social network e della posta elettronica, la mancanza di filtri e la tendenza a proiettare nelle piattaforme social ogni aspetto del reale, lascia ben intendere come la tutela del patrimonio informativo decade.

Facebook è stato lanciato nel 2004 ed in breve tempo ha raggiunto un enorme successo, con oltre due miliardi di utenti attivi mensilmente, arrivando a cambiare profondamente molti aspetti legati al modo in cui gli individui socializzano ed interagiscono, sia sul piano privato che economico e commerciale. A differenza degli altri principali social, LinkedIn, invece, è orientato al business e focalizzato sul networking. Questo ha contribuito alla sua crescente popolarità; tuttavia, più la rete è popolare, più essa è potenzialmente soggetta a problemi di sicurezza e/o attività di social engineering descritte sopra. Instagram, infine, è uno dei social network più recenti, ma sta incontrando una grandissima crescita: solo negli ultimi 12 mesi ha raddoppiato i propri utenti, superando gli 800 milioni di utenti mensili ed i 500 milioni di utenti attivi su base giornaliera. Il punto di forza consiste nella possibilità di condividere fotografie georeferenziate, ricercabili e visibili a tutti attraverso i cosiddetti hashtag, ovvero un tipo di etichetta utilizzato su alcuni servizi web e social network come aggregatore tematico, la sua funzione è offrire agli utenti una soluzione più facile per trovare messaggi su un tema o contenuto specifico, questo però renderebbe i profili particolarmente vulnerabili.

È possibile tutelare privacy e sicurezza sui social network ed aumentare il livello di riservatezza dei propri dati, regolando al meglio le impostazioni relative alle proprie informazioni personali. In particolare, si raccomanda di scegliere password sicure, abilitare l’autenticazione a due fattori, nascondere la lista dei propri amici/contatti, vietare che le altre persone possano trovarci nelle ricerche online o pubblicare post e foto in cui ci “taggano”, non accettare richieste di collegamento da parte di sconosciuti, disattivare la condivisione dati con applicazioni di terze parti.

L’evoluzione dello scenario cyber ha cambiato completamente la prospettiva. Per prima cosa le minacce informatiche sono adesso indirizzate sia al mondo IT che ad una moltitudine di oggetti forniti di “intelligenza” (ovvero software): sistemi industriali, ad esempio le infrastrutture informatiche dei grandi fornitori di servizi vitali (provider, aziende energetiche ecc.), smartphone, sistemi di allarme e videosorveglianza, il mondo dei sistemi IoT. Tutte queste realtà si stanno dimostrando vulnerabili agli attacchi che hanno finora riguardato il mondo IT. In caso di attacco riuscito, gli impatti potrebbero essere devastanti e, a dimostrazione di tale criticità, gli stessi governi e le autorità internazionali (NATO, Unione Europea ad esempio) si stanno attivando per coordinare le metodologie di difesa fra i vari stati, in collaborazione anche con il mondo delle imprese.

Queste ultime si trovano però a dover affrontare (spesso con risorse molto limitate) minacce sofisticate e pervasive, su una superficie d’attacco assai più estesa che in passato.

Alcuni esempi recenti: nel 2010 è stato identificato un virus (“Stuxnet”), creato per attaccare i sistemi di un impianto di arricchimento del combustibile nucleare in Iran. Nel 2013 un hacker ha preso il controllo dei sistemi di scarico di una diga a nord di New York. Un attacco informatico ad una grande azienda di vendita al dettaglio (“Target”, 2013), che ha provocato un danno di oltre 160 milioni di dollari, è iniziato violando il software dei sistemi di condizionamento delle loro sale server. Nel dicembre del 2015 un attacco informatico coordinato in Ucraina ha messo fuori uso l’erogazione di corrente, per oltre 80.000 abitazioni, per molte ore.

Cosa potrebbe accadere se qualche cyber-criminale violasse i sistemi di sicurezza e gestione della diga sul Metramo come avvenuto a New York?


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(7.8.19) HEISENBERG E IL DIAVOLO (Pasquale Cannatà) - Quando su internet trovo un articolo che mi piace lo copio e lo incollo su un file di appunti, così da poterlo consultare e citare nel caso in cui l’argomento sia attinente a quello che sto scrivendo in quel momento: ho riletto giorni fa un post scritto su facebook da mio nipote Rocco a proposito del “principio di indeterminazione di Heisenberg”, e ve lo ripropongo quasi integralmente con l’aggiunta di qualche osservazione magari presa da altri articoli.

Rocco scrive che sul piano epistemologico tale principio è stato ritenuto ‘diabolico’, e spiega questa sua affermazione partendo dalla constatazione che mentre nei tempi antichi si attribuiva a Dio ogni fenomeno naturale, oggi si crede che la scienza abbia tutte le risposte: insomma, la scienza è “il mito dei nostri tempi”, un mito che corrisponde al bisogno di certezze dell’essere umano.

La scienza è progredita nei secoli con Newton, Galileo e tutti gli altri che hanno spiegato la natura delle cose in fisica, biologia ecc. fino a quando la teoria della relatività illustrata da Einstein ha fatto conoscere al mondo che le leggi della meccanica classica non sono valide se applicate alle dimensioni infinitamente grandi dell’universo (vedi la curvatura dello spazio per effetto della forza di gravità), e fino a quando la meccanica quantistica di Schrodinger e Heisenberg ha fatto lo stesso per quel che riguarda l’infinitamente piccolo delle particelle subatomiche: il principio di indeterminazione afferma che una particella (materiale) non è diversa da un’onda (immateriale) e che questo stato di ambiguità permane finché qualcosa non le osserva, non le misura. L’ambiente misura costantemente il mondo subatomico, condensando il potenziale in una realtà solida. Per quanto sembri impossibile, è vero. Verificato e riverificato. Gli elettroni esistono in uno stato costante di onda e particella, finché qualcosa non li misura. La misurazione dell'elettrone ne forza la condensazione in una realtà o nell'altra.

Proprio come aveva previsto Heisenberg. Le particelle subatomiche che costituiscono gli atomi operano in base alle regole indistinte del mondo dei quanti, ma all'esterno si espandono nel mondo di miliardi di atomi che costituiscono gli oggetti concreti che conosciamo. Quegli atomi si scontrano, si spintonano e interagiscono, misurandosi reciprocamente, forzando il potenziale in una realtà fissa.

Rocco continua affermando che è proprio la scienza a concludere che ci sono settori della realtà che non le sono accessibili, che non può determinare e misurare con l’osservazione perché l’azione stessa dell’osservare modifica e stravolge l’oggetto che si intende osservare: quindi per alcune cose nessuna conoscenza è possibile perché applicando l’osservazione l’osservato viene stravolto. Il paradosso epistemologico che ne deriva è che la razionalità (su cui si fonda la scienza) afferma scientificamente lo “scacco” della ragione: Heisenberg a suo modo non scopre qualcosa sul funzionamento della realtà esterna, ma scopre i limiti naturali di ogni strumento di indagine (comprese la razionalità e l’intelligenza). Per esempio rimane indeterminata l’origine stessa della razionalità, per cui la ragione (che spiega le cose) non sa dare ragione di se stessa: come diceva Tommaso d’Aquino, è essa stessa un dono di Dio. Se Dio è l’ordine e la conoscibilità della natura, il diavolo è l’inconoscibilità delle cose, anche se poi chi crede in Dio crede pure che il diavolo sia stato creato da Lui: così è sempre Dio che ha creato ogni scienza e ogni limite alla scienza; l’accesso conoscitivo a certezze assolute e l’impossibilità diabolica di assurgere ad altre certezze assolute, a verità ultime e definitive. Heisenberg riporta quindi la scienza nel medioevo.

Fin qua Rocco, ma io vorrei riproporre alcuni concetti già espressi in precedenti articoli.

La logica che potremmo definire pratica, porta a dover scegliere tra due posizioni: vero o falso; una cosa o è dura o è tenera, o è chiara o è scura, una legge fisica sperimentata per situazioni e oggetti che tocchiamo con mano deve essere valida anche per oggetti estremamente piccoli o eccessivamente grandi (abbiamo detto prima come quest’ultima affermazione sia stata smentita da Einstein e Heisenberg).

Questa ragione logica basata sull’aut-aut, su una visione del mondo limitata a ciò che si vede e si tocca, spinge gli atei a negare quello che invece la fede cristiana propone come verità e che lo scrittore Vittorio Messori indica come “la logica enigmatica del cristianesimo”, che è sempre quella del et-et non quella dell’aut-aut.

Per il cristiano, Dio è Uno, ma anche tre Persone; la bibbia è di ispirazione divina, ma è scritta da uomini con il loro linguaggio e la cultura del loro tempo (non è immutabile da applicare alla lettera in ogni tempo come il corano, si può interpretare mantenendone però lo spirito); Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo così come la materia fatta di elettroni è onda e particella; la Chiesa è santa in quanto sposa di Cristo e anche peccatrice in quanto composta da fragili uomini.

Per dirla con le parole dello scrittore G.K. Chesterton “il credente è un uomo che (pur vivendo nel mondo concreto, fatto di cose tangibili) accetta il miracolo se a questo lo obbliga l’evidenza; il non credente è un signore che non accetta neppure di discutere di miracoli (neanche se evidenti, in quanto sostiene che un domani la scienza sarà progredita e sarà in grado di spiegare anche ciò che oggi non conosciamo) perché a questo lo obbliga la dottrina che professa (la religione materialista) e che non può smentire”.

Ancora: secondo Messori, il cristiano, con il suo et-et vuole tutto, possiede tutto, non è costretto a scegliere (tra materia e spirito, tra ciò che potrebbe sembrare illusione e la realtà concreta che si vede e si tocca)!

Spirito e materia, illusione e realtà sembrano inconciliabili tra loro e destinati a non incontrarsi mai, così come gli
infinitesimi di Heisenberg e gli infiniti di Einstein, che sembrerebbero separati da distanze incolmabili. L’uomo è riuscito a calcolare le misure infinitesime che chiamiamo “quanti”, ma non può andare oltre tali limiti, così come non potrà mai calcolare quantità infinite perché come diceva già Aristotele l’infinito è sempre in potenza, mai in atto; un esempio di questa impossibilità è il fatto che non potremo mai indicare il numero più grande possibile perché esiste sempre il suo successivo aggiungendone uno: sappiamo dunque che i numeri sono infiniti, ma non lo sono in modo tangibile, in atto, ma solo potenzialmente. Lo stesso discorso vale per l’universo, che è illimitato, incommensurabile, infinito in potenza, ma come diceva sant’Agostino l’infinito in atto è un attributo esclusivo di Dio: siccome con il big-bang sono nati contemporaneamente lo spazio ed il tempo (alcuni scienziati affermano che “lo spazio è una questione di tempo”) potremmo concludere che la luce inaccessibile abitata da Dio prima del big-bang (questione di tempo) è la stessa che Egli abita oltre i confini dell’universo (questione di spazio) perché noi oggi vediamo arrivare da una distanza potenzialmente infinita la luce emessa un infinitesimo dopo il big-bang.

Gli infinitesimi di Heisenberg e gli infiniti di Einstein, che sembrerebbero separati da distanze incolmabili si incontrano invece nella luce inaccessibile abitata da Dio.

E mentre per noi il tempo scorre, in quel punto di luce inaccessibile all’uomo abita Uno per cui attimo ed eternità non sono distinti, Uno per cui un punto e l’immensità sono la stessa cosa, Uno che possiede una incommensurabile energia potenziale (fatta di onde e non di particelle, di energia e non di materia, di pensiero potremmo dire) e che osservando in se stesso l’universo da Lui pensato la trasforma in ogni istante nel mondo reale a cui apparteniamo. In sostanza noi siamo un “pensiero di Dio”.

San Paolo, parlando della “luce inaccessibile” ci ha fornito la chiave giusta per aprire la porta oltre la cui soglia si scopre ineluttabilmente la presenza di Dio.

In conclusione, contrariamente a quanto afferma Rocco sul fatto che la scienza più avanzata ci riporta al medioevo, potremmo dire che già 2000 anni fa l’apostolo delle genti ci aveva anticipato quanto afferma oggi la scienza più avanzata (fisica quantistica), e cioè che ci sono cose che esistono ma che l’uomo non potrà mai misurare (capire?) nonostante si applichi nella ricerca con tutte le sue forze (ragione, intelligenza, …).

Non è un pensiero nuovo, perché già nel V secolo a.c. Socrate affermava di “sapere di non sapere” perché era consapevole del fatto che, come avrebbe scritto molti secoli dopo William Shakespeare nel suo Amleto, «ci sono più cose in cielo e in terra di quante ne sogni la filosofia» ed io aggiungerei, la scienza.

* * *

Articoli attinenti
03.04.2007 - Egli abita una luce inaccessibile
01.08.2016 - Infinitesimi e infiniti: il paradosso di Achille e della tartagura

Nella foto in alto: Heisenberg e il principio di indeterminazione.

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(12.8.19) OSC INNOVATION E L'INVASIONE ALIENA NEI CIELI DI GIFFONI - OSC Innovation ha realizzato di recente un nuovo entusiasmante progetto che segna un'importante rivoluzione per l'uso dei droni a controllo remoto nel campo dell'entertainment. Il progetto ha avuto un grande successo ed è stato il primo realizzato in Italia per il lancio di una pellicola, ma ancor più in generale il primo per un brand. OSC Innovation l'ha realizzatto direttamente per Warner Bros. Italia Entertainment in collaborazione con l'agenzia xister Reply.

Si è trattato in pratica di una sorta di invasione aliena nei cieli di Giffoni Valle Piana per il lancio di Men In Black: International in occasione del Giffoni Film Festival. Uno sciame di 100 droni ha illuminato il cielo con uno show spettacolare e imponente. Immagini create in cielo larghe 150 metri e alte 80.

L'invasione, realizzata da OSC Innovation rivoluziona l'uso dei droni nell'entertainment e apre le porte a innumerevoli sviluppi futuri. Dietro tutto questo naturalmente c'è il galatrese Saverio Ceravolo, CEO e Creative Technology Director di OSC Innovation.

Già dalla sera del 16 luglio, giorno in cui iniziano i primi test di volo a Giffoni Valle Piana, in rete appaiono subito i primi articoli che parlano di strani avvistamenti in cielo -
Strano avvistamento nel cielo di salerno - e come sempre vengono fatte le ipotesi più svariate. C'è chi parla di aironi e gabbiani che con la luna piena si evidenziano tantissimo, chi di lanterne cinesi e chi invece teme l'arrivo degli UFO.

Dopo i primi avvistamenti alieni la proiezione della pellicola Men In Black: International ha aperto venerdì 19 luglio la 49esima edizione del Giffoni Film Festival. In occasione della proiezione del film, presentato in anteprima nazionale, ha avuto luogo uno speciale evento legato al tema principale del festival: ‘Aria’. Gli alieni di MIB hanno illuminato il cielo della valle di Giffoni con uno spettacolo sorprendente, realizzato da OSC Innovation, factory all'avanguardia nel campo dell'innovazione tecnologica applicata al mondo dell'entertainment, in collaborazione con la digital creative agency xister Reply.

I partecipanti hanno potuto assistere all’evento a partire dalle 22.45 nell’area concerti del Festival, quando 100 droni hanno illuminato il cielo creando delle coreografie di luce imponenti, circa 150 metri di larghezza per 80 d'altezza, attraverso la raffigurazione del logo del Giffoni Film Festival, di un disco volante in movimento e infine del logo del film, il tutto perfettamente in sync con la musica.

Lo sciame di droni autonomi dotati di luce e interfaccia di connessione on board con la possibilità di comunicare tramite GPS con i satelliti, ha dotazioni hardware e software all’avanguardia per sicurezza e precisione di posizionamento ed è controllato da terra da un sistema centralizzato che gestisce in tempo reale tutti i parametri della flotta. Inoltre il software sviluppato ad hoc consente di sincronizzare perfettamente le coreografie dello sciame con la regia audio e luci on stage, dando vita ad uno spettacolo coinvolgente e unico nel suo genere mai realizzato prima per il lancio di un film in Italia.

«Appena mi è stata proposta questa idea ho subito pensato: è questo l’evento giusto! Come Warner Bros e team dedicato Sony al suo interno, non ci accontentiamo mai e ricerchiamo sempre nuovi modi innovativi di promuovere i film. Men In Black è icona cinematografica di comicità, tecnologia e fantascienza: quale modo migliore di un drone show per comunicarne il ritorno? L’UFO nel cielo poi era il pezzo forte dello show» ha dichiarato Donatella Marra, digital manager di Warner Bros. Entertainment.

Prosegue Saverio Ceravolo, CEO e Creative Technology Director di OSC Innovation:

«Quando abbiamo iniziato a pensarlo sapevamo che avremmo avuto di fronte una grande sfida, per nulla semplice. Infatti oltre alle complessità tecniche e alla scelta dell'area di starting point, dalla quale far decollare e atterrare i droni, tutto in una zona di safety abbastanza ampia da stare al sicuro in caso di perdita di controllo, abbiamo dovuto affrontare la parte burocratica con l'Ente Nazionale per l'Aviazione Civile (ENAC) per ottenere l'autorizzazione al volo. In Italia come in tutta Europa infatti non c'è ancora una normativa che regolamenta eventi di questo tipo. Ad oggi è previsto che un pilota possa controllare un solo drone e questo in scenari differenti, la nostra esigenza invece era quella di far volare 100 droni con un unico sistema a controllo remoto, un software evoluto.
Sin dalla prima analisi quindi il progetto ha richiesto uno speciale protocollo come "Sperimentazione" e la formazione di un team di 4 persone nominate dall'ENAC per seguire la nostra richiesta e valutarne la fattibilità. Dopo quasi 2 mesi di lavoro a stretto contatto con gli ingegneri del team per lo studio di tutta la documentazione sui droni, sul sistema di pilotaggio (la vera innovazione) e sul piano di volo per lo show, per ottenere l'autorizzazione a decollare, come ultimo step, c'è stato chiesto di effettuare un test ad hoc con 80 droni a Giffoni Valle Piana alla presenza dei tecnici dell'ENAC per mostrare le capacità del software e soprattutto del sistema di sicurezza.
I droni infatti hanno un doppio security system, il primo mobile fencing che permette di atterrare in automatico in caso di alterazioni o forti raffiche di vento e l'altro geofencing che limita il volo all'interno di uno spazio virtuale creato da noi, in questo caso 300 metri di lunghezza per 150 d'altezza e 60 di profondità. Se per qualunque motivo un drone esce da quest'area si attiva immediatamente il pilota automatico che lo riporta al punto di decollo (RTH).
Il test è andato benissimo e l'autorizzazione è stata rilasciata.
Contemporaneamente abbiamo richiesto e ottenuto la riserva di spazio aereo dall'Ente Nazionale per l'Assistenza al Volo (ENAV) e informato la prefettura e tutti gli organi competenti per la sicurezza.
Infine lo show che è stato un grande successo. Siamo molto soddisfatti del lavoro fatto e ringraziamo la Warner Bros. Entertainment per l'opportunità che ci ha concesso.»

www.oscinnovation.it

Ecco alcune delle testate che hanno parlato dell'evento:

SkyTG24

Mondofox

Comingsoon

Ed ecco il
VIDEO SHOW DRONI COMPLETO

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(18.8.19) DUE MEMORABILI CONCERTI DI NICOLA SERGIO - Il pianista jazz galatrese Nicola Sergio, nella sua recente puntata estiva in Calabria con due importanti appuntamenti a Galatro ed a Scilla, rispettivamente il 2 e il 12 agosto, ha ottenuto un grande successo illuminando le due calde serate con la sua musica, sia in piano solo che nel collaudato duo col grande sassofonista Michael Rosen.

A Galatro Nicola che, come molti sanno vive e lavora da tanti anni a Parigi, ha emozionato il pubblico sera del 2 agosto rivisitando in chiave jazz molto personale noti motivi della canzone italiana riconducibili a nomi quali Mia Martini, Lucio Dalla, i Nomadi, Claudio Baglioni, Pino Daniele, Lucio Battisti e altri.

L'impatto sul pubblico che è accorso numeroso alla serata, introdotta dal giornalista Enzo Romeo, è stato assolutamente sorprendente ed ha strappato i più calorosi consensi. Le note canzoni, immerse nell'atmosfera impastata del nuovo genere, ricalcando le orme di un grande pianista jazz quale Danilo Rea che ha rivisitato nei suoi concerti moltissime canzoni di Fabrizio De Andrè, sono apparse in una nuova luce pur conservando il loro scheletro inconfondibile.





Due momenti del concerto di Galatro


A Scilla, il 12 agosto, Nicola si è presentato invece in coppia nel collaudato duo col sassofonista Michael Rosen rievocando, nella sua canzone che porta come titolo "Scilla" l'intramontabile mito della ninfa innamorata trasformata in terribile mostro che mette in pericolo chiunque si avvicini alla costa calabra.

Il concerto si è svolto nello scenario unico per bellezza ed atmosfere del cortile del Castello Ruffo e il numeroso pubblico ha subito captato che sarebbe stata una grande serata di musica. Nel corso del concerto si è avuto modo di ascoltare i brani “Parfum” e “Il poeta romantico”, composizione quest'ultima dedicata a Enrico Pierannunzi che Nicola Sergio definisce “papà artistico”. Anche in questa occasione ci stono stati due omaggi alla melodia italiana: “Mi sono innamorato di te” di Luigi Tenco e "Almeno tu nell’Universo” di Mia Martini.

Il brano “Nemesis”, nato dai frammenti di note recuperate da pergamene dall’università di Oxford, è un'anteprima di quello che dovrebbe portare ad un disco, una produzione reggina per quintetto. Anche a Scilla un successo meritato, ottenuto grazie alla qualità della musica che riesce a schiudere nuovi mondi all'anima di chi ascolta.





Due momenti del concerto a Scilla


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(26.8.19) UN DISCO SPIAZZANTE DI ANTONIO ARDIZZONE: INOSIYOU - La sorpresa è la regola quando si ha a che fare con le produzioni di Antonio Ardizzone, che stavolta ha dato vita a dieci spiazzanti brani raccolti in un cd dal titolo Inosiyou.

Echi post-cantautorali riconducibili al primo Faber, all'ultimo Tenco, o al medio Concato, nonsense da Panella-Battisti al crepuscolo, filovernacolismo provocatorio, sublimazione psicoanalitica della ribellione sono gli ingredienti che rendono questo lavoro utile all'orecchio di chi lo ascolta con spirito anticonvenzionale o, per meglio dire parafrasando lo stesso Ardizzone di Ergu io, "coli" 'aricchi di cu' senti.

I testi e le musiche del disco sono di Antonio Ardizzone (assonante con Artistone), tranne il brano "Ergu Io" che si rifà a una composizione in vernacolo dell'abate Antonio Martino messa in musica da Claudio Dell'Ammassari il quale ha anche curato tutti gli arrangiamenti. Uno dei brani (It's like Boh!?) è stato eseguito da Alessandro Ocello e Alessandro Dell'Ammassari. L'editing è opera dello Studio Geko di Sandro Distilo. Nei cori è presente anche la voce di Debora Fonte, mentre Rossella Panetta ha realizzato l'artwork della confezione che si rifà ad un acquerello dell'autore con dei fiori di Giulia Ardizzone.

Ci sembra utile proporre ai lettori brevi spezzoni di alcuni brani che rendono l'idea dell'opera:

Ti tocca un fiore

Il paradosso fondamentale

Vola

Ergu Io

Annestu

It's like Boh!?

Per ascoltare invece il disco per intero il link è il seguente:

antonioardizzone.bandcamp.com/album/inos-you


* * *

Articoli attinenti:
26.08.2018 - Invito alla lettura: Anime amorali di Antonio Ardizzione
25.07.2018 - Antonio Ardizzone in: Concerto sentetico korybantesco per anime amorali

Nelle foto: in alto la copertina del cd di Antonio Ardizzone, in basso il cd in una installazione dell'autore.

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(12.9.19) IL SUCCESSO DELLA COMPAGNIA TEATRALE "VALLE DEL METRAMO" - La Compagnia Teatrale Valle del Metramo ha presentato quest’anno un testo di Girolamo Ventra riadattato da Raffaele Ruggeri, Carmela Pronestì e Rosetta Scinica - Prometti pe certu e manca pe sicuru - sul tema del rapporto tra politici e cittadini, i cui rispettivi punti di vista, non sempre, anzi, quasi mai armonizzabili, fanno nascere equivoci d’ogni sorta. Equivoci che, si sa, rappresentano la materia prima di ogni commedia fin dai tempi dei modelli greco-romani e continuano ad alimentare il genere, ancora oggi, particolarmente nella sua fattispecie brillante e vernacola.

La vicenda, ambientata negli anni Settanta, si dipana piacevolmente tra gag e sia pur prevedibili colpi di scena, fino al sostanziale e generale riconoscimento delle “ragioni” del sindaco, che afferma il diritto del politico che fa promesse di non essere “preso alla lettera”, cioè di dire (in campagna elettorale) di poter fare (nel corso del mandato) ciò che sa di non poter fare, lasciandosi andare in promesse che sa di non poter mantenere (donde il titolo).

Ma mentre il sindaco (interpretato da Raffaele Ruggieri con la dovuta attenzione a rendere efficacemente il tipo, rifuggendo da caratterizzazioni che sarebbero state superflue) si presenta impegnato in un mai intermesso e faticoso esercizio di realismo, le coppie di coniugi che gli si rivolgono per chiedere (del tutto a modo loro e, scenicamente, indulgendo inevitabilmente nel caricaturale) il mantenimento delle promesse della campagna elettorale, sono il distillato, la quintessenza - oltreché la caricatura, è ovvio - del cittadino che vede la politica unicamente quale opportunità di soluzione dei propri problemi personali e familiari, all’insegna di quel “familismo amorale” che, secondo opinioni molto autorevoli ed accreditate, rappresenta la peggiore delle nostre tare storiche.

C’è da dire che gli attori visti all’opera - da Peppe Romeo a Marianna Furfaro (che si è cimentata nell’interpretazione di due personaggi) ad Anna Maria Liotti Raschellà a Michele Furfaro a Raffaele Ruggieri (che ha curato anche la regia) a Rocco Ruggieri - si possono ormai considerare a presa sicura, padroni del palcoscenico e della parte o delle parti che sono chiamati ad interpretare, grazie ad una ormai pluriennale esperienza che l’occhio dello spettatore esercitato non può non cogliere in taluni passaggi che correrebbero altrimenti il rischio di apparire banali (per caratteristiche strutturali della sceneggiatura se non addirittura del genere commedia brillante).

Non possiamo perciò, da parte nostra, che ringraziarli per averci fatto divertire, in attesa delle prossime rappresentazioni.


Locandina della commedia


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(23.9.19) "IL SEGRETO" DI ALFREDO DISTILO - Esce il terzo volume della saga galatrese di Alfredo Distilo dal titolo "Il segreto". Questa volta viene affrontato il tema dell'amore e la storia è incentrata sulla passione di una coppia, Natalia e Vittorio, che si dipana in un clima di rapido mutamento dei costumi sociali dell'Italia e della Calabria nello specifico. Di contorno altri episodi, sempre su tema amoroso, nel quale si affacciano molti personaggi, tra colpi di scena e racconti alla Jack London.

Riportiamo integralmente la prefazione di Franco Tomasi.


* * *

Con Il segreto, ideale terzo capitolo di quella che è diventata una piccola saga galatrese, Alfredo Distilo affronta il tema dell’amore, visto tanto come ingenuo e ancora acerbo incontro con l’altro sesso nell’età adolescenziale, quando è tutto ancora circonfuso di speranze e timidezze, quanto come passaggio più complesso e problematico, specie nel momento in cui quel sentimento deve fare i conti con le rigide convenzioni sociali. Alla gioia colorata dei primi appuntamenti tra ragazzi segue infatti la necessità, spesso assai poco romantica, della vita, quando il multiforme universo dei sentimenti giovanili si trova a confrontarsi con un mondo, quello adulto, non sempre incline a seguire le pulsioni emotive.

Ma, si sa, l’amore è una passione potente e non facile da controllare, non a caso gli antichi lo avevano rappresentato come un ragazzetto impertinente e capriccioso, capace, con i suoi scherzi, spesso imprevedibili, di mettere in scacco, con le sue temibili frecce, gli uomini e persino gli dei. Quando entra in scena Eros, infatti, tutto viene sconvolto, scoppiano le guerre, si tradiscono gli amici, si può scegliere volontariamente la morte pur di non rinunciare alla persona amata.

E così accade, salvo che per le guerre, anche nel romanzo di Alfredo Distilo, centrato sull’intensa e complessa storia della passione di una coppia, Natalia e Vittorio, narrata con partecipazione e ironia dagli anni del primo innamoramento per giungere, attraverso mille ostacoli e impedimenti, alla conclusione, che non anticipiamo per non togliere al lettore il piacere di scoprire i tanti colpi di scena che punteggiano il racconto.

Ma la storia di Natalia e Vittorio, grazie alla quale sullo sfondo Alfredo Distilo ci permette di vedere il rapido mutamento dei costumi sociali dell’Italia e, in particolare, della Calabria, si intreccia ad altri episodi, sempre centrati sul tema amoroso, che fanno da corollario alla storia principale e permettono al narratore di descrivere un universo plurale di personaggi che grazie alla passione cambiano il corso delle loro esistenze.

Forse il passaggio più significativo, quello che offre in cifra allegorica il senso dell’intero romanzo, si trova nel capitolo V (Il viaggio a Messina), quando ai giovani galatresi in viaggio per affrontare la visita militare, alla scoperta, per la prima volta, di un mondo di cui sino a quel momento avevano solo sentito parlare, viene raccontata da alcune donne di Bagnara la tecnica della pesca del pesce spada. Con tratti che ricordano i racconti di caccia di Jack London, nei quali troviamo l’uomo immerso in una natura selvaggia e ostile che deve saper dominare con coraggio e intelligenza, viene narrato come i pescatori uccidano i tenaci pesci spada approfittando del rapporto viscerale che lega i maschi con le femmine. Sapendo che il maschio non vuole abbandonare la sua compagna, i pescatori infatti la catturano per prima, spingendo così il maschio a combattere furiosamente per salvarla, salvo poi, quando comprende che non c’è più nulla da fare, a farsi uccidere.

Così il sentimento che lega Vittorio e Natalia, ma con loro molti dei personaggi del romanzo, nella sua radice ultima è tanto potente e viscerale da spingerli a scontrarsi con coraggio contro le regole, persino compiendo scelte che possono apparire, agli occhi altrui, poco sensate o, addirittura, sbagliate.

Franco Tomasi

Nella foto: la copertina del libro "Il segreto" di Alfredo Distilo.


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(28.10.19) NON RIPOSANO IN PACE (Pasquale Cannatà) - Ho letto tempo fa una frase che mi è tornata in mente in questo periodo in cui la Chiesa ci invita a ricordare i nostri defunti: quasi tutti credo ricordiamo spesso durante tutto l’anno i nostri cari che ci hanno lasciato, ma nel mese di novembre, a cominciare in special modo già dai primi due giorni, siamo stimolati a pensarli con maggiore intensità ed a far visita ai loro resti mortali. Nella suddetta frase viene espresso il concetto che tutti noi vivremo, dopo la morte, finchè ci sarà in terra qualcuno che si ricorderà di noi. È questa l’eternità?

Potrebbe esserlo per i personaggi famosi come Socrate, Giulio Cesare, Dante, Leonardo da Vinci, Giuseppe Verdi, ecc., ma non è possibile sia così per tutti, perché per esempio io penso molto spesso a mio padre e mia madre, agli zii ed agli amici passati a miglior vita, ho anche un ricordo un pò sbiadito dei nonni e di alcuni anziani vicini di casa, ma quando non ci sarò più, i miei figli si ricorderanno di me e dei loro nonni, ma non dei miei nonni che non hanno conosciuto e delle persone con cui solo io nella mia famiglia sono entrato in contatto: per questi ultimi, quando nessun altro dei loro parenti e conoscenti li ricorderà, la vita sarà finita?

Che dire poi dei non-credenti: vivranno anche loro finchè qualcuno li ricorderà, o saranno subito un mucchio di ossa e polvere come sostengono con ferma convinzione?

Per chi crede in Gesù Cristo esiste un’eternità che non si limita al ricordo di chi ci ha amato, ma si estende per un tempo infinito, per sempre.

Un’eternità in più dimensioni:

  • La dimensione beatifica cui hanno accesso direttamente quelli che hanno vissuto secondo i 10 comandamenti che Gesù ha poi sintetizzato nell’unico che li racchiude tutti: ama Dio e il prossimo tuo come te stesso. Se ami Dio Lo ascolti e parli con Lui in qualsiasi posto ed in ogni momento che vuoi, ma Lo vai anche a cercare in chiesa dove è presente in special modo sotto le spoglie sacramentali: infatti a tutti noi piace avere un incontro personale con gli amici, e per esempio mia figlia che si collega quasi tutte le sere con noi in video e voce con skype dall’Austria dove lavora, torna a Padova per le vacanze e noi andiamo spesso a Linz in altri periodi dell’anno. Se ami il prossimo non lo derubi, non lo uccidi, tratti con rispetto tutte le donne, ecc. Personalmente credo che il Paradiso non consista solo nel pregare e adorare Dio, ma in quella dimensione ognuno di quelli che avranno avuto il merito di potervi accedere avrà in maniera completa ed assoluta tutte le qualità e le conoscenze che in modo embrionale aveva sulla terra, portando a pieno compimento il suo “essere”. Nel frattempo i non-credenti saranno diventati un mucchio di ossa e polvere!

  • Nella dimensione di chi non ha amato Dio e il prossimo “ci sarà pianto e stridore di denti”, ci sarà il “fuoco eterno” che brucerà le anime di chi ha peccato. Ma essendo quella sopra descritta una condizione abitata da esseri incorporei, il pianto, il fuoco che brucia dentro di loro e tutte le altre pene e sofferenze descritte nella Bibbia consisteranno nel constatare con sommo rimpianto l’impossibilità di godere della “visione” di Dio e di potersi realizzare compiutamente come abbiamo detto prima. Nel frattempo i non-credenti saranno diventati un mucchio di ossa, ma se il loro corpo si ridurrà in polvere (e questo avviene anche per i credenti), lo spirito (la loro anima che sostengono di non avere) soffrirà perchè non potrà più riavere il proprio corpo come sperano i credenti nella risurrezione.

  • Facendo un paragone con quanto avviene nelle scuole, la prima condizione corrisponde a quella dei ragazzi promossi, la seconda a quella dei bocciati, e la terza a quella dei rimandati con delle materie da ristudiare: ci sarà un periodo di tempo (non si sa quanto lungo, perché per Dio “Un giorno è come mille anni, e mille anni sono come il giorno di ieri che è passato”) durante il quale le anime di quei defunti dovranno “ristudiare” il libro della loro vita, ma non più da soli come durante la loro esistenza terrena, bensì con il sostegno di alcuni “professori” che verranno in loro aiuto. Si tratta della Comunione dei Santi che consiste nelle preghiere che ognuno di noi ancora vivi possiamo fare per farli avanzare lungo la linea del tempo che li separa dalla dimensione beatifica (ogni preghiera potrebbe essere un giorno in meno da passare in quel luogo di mezzo, che sembra lungo mille anni, ma in effetti è come il giorno di ieri che è passato, cioè è “adesso”). Mentre noi preghiamo per loro, i nostri cari intercedono per noi affinchè possiamo migliorare sempre più la nostra condotta di vita. Nel frattempo i non-credenti saranno diventati un mucchio di ossa e polvere, e non sarà loro possibile migliorare la propria condizione non perché manchi la misericordia Divina che c’è sempre e per tutti, ma per il fatto che hanno commesso quel “peccato contro lo Spirito Santo” che è l’unico che non può essere perdonato perché consiste nel rinunciare a chiedere il perdono in quanto non si crede in Dio o si crede che non sia possibile ottenerlo. Questo è il peccato commesso da Giuda che non ha creduto che la Misericordia Divina potesse perdonare il suo tradimento, mentre Pietro che Lo ha rinnegato tre volte si è pentito ed è diventato il Suo più grande testimone e capo della Chiesa. Quelli che si trovano nella seconda delle dimensioni ultraterrene sopra accennate non potranno attraversare quel “grande abisso” di cui si parla nel Vangelo e che la divide dalle altre due: non potranno attraversarlo perché quella frattura se la sono costruita da soli con il loro libero arbitrio che Dio non vuole togliere a nessuna delle sue creature anche se “soffre” per la loro decisione di allontanarsi da Lui.

  • Per i nostri defunti noi credenti recitiamo “l’eterno riposo” chiedendo a Dio di farli riposare in pace, ma ai funerali del padre di un mio vicino di casa ho sentito il sacerdote affermare che i nostri cari che ora sono nell’aldilà NON RIPOSANO IN PACE.

    Secondo lui, per effetto della Comunione dei Santi, il loro amore per noi li spinge a pregare incessantemente per la salvezza della nostra anima riflettendo verso di noi la luce perpetua che con le nostre preghiere speriamo possano ottenere. È un circolo virtuoso che porta ognuno dei partecipanti a questa “giostra” ad un livello spirituale più alto. Certamente nell’aldilà io non abiterò la prima dimensione, ma se nonostante tutti i miei difetti riuscirò a non cadere nel “grande abisso” sono sicuro che per le preghiere di quelli che mi vogliono bene, in mille anni o in un solo giorno (che poi sono la stessa cosa se confrontati con l’eternità) riuscirò a raggiungere quella
    LUCE INACCESSIBILE di cui parla San Paolo in una delle sue lettere apostoliche.

    Se riuscirò ad avere in qualche modo un barlume di “luce perpetua” lavorerò con forza per rifletterla totalmente su quelli che hanno bisogno di maggior chiarezza per seguire la giusta via nella loro vita, perché il riposo eterno che noi auspichiamo per i nostri cari non è passivo, cioè dormire e nutrirsi di sogni, ma un riposo attivo come quello di chi seduto in poltrona con gli occhi chiusi medita e progetta opere da realizzare. Sono sicuro che Rocco e Vincenzina, così come tutti i genitori che hanno la possibilità di farlo, stanno lavorando incessantemente e con forza per illuminare la strada che stiamo percorrendo noi loro figli, affinchè dopo averci dato una vita mortale possano regalarci una vita eterna.

    * * *

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    06.12.2016 - Dicono che è solo letteratura

    Nella foto: il Purgatorio, dalla Divina Commedia di Dante Alighieri.

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    (15.11.19) INTORNO ALLA VALUTAZIONE DEL MARCHIO (Francesco Orlando Distilo) - Di recente mi sono dovuto occupare della valutazione del marchio in chiave fallimentare. Considerato che il marchio è un bene immateriale a cui i consumatori danno più o meno forza e quindi un proprio valore intrinseco, con questo mio intervento vorrei condividere le problematiche che potrebbero nascere intorno ad un marchio.

    Secondo la disciplina civilistica, il marchio viene indicato alla voce B.I.4 dell’Attivo dello Stato patrimoniale, unitamente a concessioni, licenze e i diritti simili. Secondo lo IAS 38, può essere iscritta in bilancio solo l’attività immateriale:
    - che genererà probabili benefici economici futuri;
    - il cui costo sia individuabile in modo attendibile.

    In sostanza, l’iscrivibilità del marchio nello Stato patrimoniale è vincolata al preventivo accertamento della sua utilità futura.
    In pratica, affinché abbia luogo la capitalizzazione, deve trattarsi di una spesa che:
    - non esaurisce la propria utilità nell’esercizio di sostenimento;
    - manifesta una capacità di produrre benefici economici futuri.

    In altri termini, il costo del marchio può essere capitalizzato se esiste un rapporto causale tra i costi e l’utilità futura attesa dalla società. In caso contrario, deve essere imputato a Conto economico nell’esercizio di sostenimento.

    Sul piano fiscale il marchio, quale segno distintivo dell’azienda, è un bene immateriale.
    Tra i marchi possiamo trovare quelli registrati, quelli non registrati (a cui è riconosciuta una tutela specifica in caso di preuso), quelli prodotti internamente o acquisiti a titolo derivativo.
    Appare significativo esaminare, quindi, la valutazione del marchio nei sui termini complessivi.
    Il marchio è un segno suscettibile di essere rappresentato graficamente, che permette di distinguere la provenienza commerciale di determinati prodotti o servizi.
    Esso è uno strumento essenziale di comunicazione tra imprese e consumatori e svolge diverse funzioni:

    - di indicatore di provenienza o di origine. Il marchio individua un prodotto o servizio come proveniente da una determinata impresa, consentendo al consumatore di distinguere i prodotti di quel soggetto da quelli degli altri concorrenti sul mercato;

    - di garanzia di qualità, ossia di simbolo delle qualità associate dai consumatori a determinati beni e servizi e di garanzia che i beni e servizi siano all’altezza delle aspettative;

    - pubblicitaria ed evocativa, legata alla capacità del segno-marchio di catturare l’attenzione del consumatore e di orientarla all’acquisto di un prodotto piuttosto che di un altro.

    In base al bene che si intende contraddistinguere e alla specifica funzione che di volta in volta assume maggiore rilievo, i marchi possono essere variamente classificati. Le modalità di classificazione più comuni sono le seguenti:

    1. marchi generali, ossia marchi che contraddistinguono la generalità della produzione dell’impresa (ad es. il marchio Fiat);

    2. marchi speciali, ossia marchi che vengono usati, accanto a quelli generali, per contraddistinguere specifiche tipologie di beni o prodotti (si pensi ad es. al marchio Panda);

    3. marchi di prodotto, ossia marchi che contraddistinguono un prodotto (ad es. il marchio Twix delle barrette di cioccolata);

    4. marchi di servizio, ossia marchi che contraddistinguono un servizio (ad es. il marchio TIM per la telefonia);

    5. marchi di fabbrica, ossia marchi che indicano un determinato produttore;

    6. marchi di commercio, ossia marchi che individuano il soggetto che si occupa della commercializzazione di quel prodotto. Tale segno può essere aggiunto a quello del produttore;

    7. marchi di raccomandazione o di selezione, ossia i marchi appartenenti a soggetti che li utilizzano per comunicare che determinati prodotti di terzi sono stati da loro selezionati e vengono quindi raccomandati al pubblico.

    Tra i marchi possiamo trovare quelli registrati, quelli non registrati (a cui è riconosciuta una tutela specifica in caso di preuso), quelli prodotti internamente o acquisiti a titolo derivativo.
    Le immobilizzazioni immateriali devono essere iscritte in bilancio al costo di acquisto o di produzione, ex art. 2426 comma 1 nr. 1) del codice civile.
    Per quanto riguarda la realizzazione interna (acquisto a titolo originario), i costi sono rappresentati essenzialmente dai costi diretti interni ed esterni, sostenuti per la produzione del segno distintivo. Se viene ottenuto tramite l’acquisizione di azienda o di un suo ramo, il marchio è valutato separatamente ed iscritto in bilancio in base al suo valore corrente.
    A prescindere dalla modalità di acquisizione, il valore di iscrizione delle immobilizzazioni immateriali trova un limite superiore nel c.d. “valore recuperabile”, definito dal principio contabile n. 24 pari al maggiore tra il valore d’uso e il suo valore equo (fair value).
    In particolare l’OIC 24 dispone:

    “…Il valore d'iscrizione (al costo) delle immobilizzazioni immateriali non può eccedere il valore recuperabile, definito come il maggiore tra il presumibile valore realizzabile tramite alienazione ed il suo valore in uso.

    Il valore realizzabile dall'alienazione è definito come l'ammontare che può essere ricavato dalla cessione dell'immobilizzazione in una vendita contrattata a prezzi normali di mercato tra parti bene informate e interessate, al netto degli oneri diretti da sostenere per la cessione stessa.

    Il valore in uso è definito come il valore attuale dei flussi di cassa attesi nel futuro derivanti o attribuibili alla continuazione dell'utilizzo dell'immobilizzazione, compresi quelli derivanti dallo smobilizzo della stessa al termine della sua vita utile. La determinazione del valore d’uso comporta normalmente: - la stima dei flussi di cassa positivi e negativi originati dall’utilizzo della immobilizzazione e dalla sua eventuale cessione;…”.


    Al fine di meglio interpretare le disposizioni del principio contabile n. 24 è opportuno evidenziare quanto di seguito esposto:

    Per valutare un bene intangibile oggetto di stima si dovrà provvedere ad acquisire determinate informazioni al fine di perseguire un risultato razionale, oggettivo e non inquinato. Le suddette informazioni risultano finalizzate a:
    - identificare il bene immateriale oggetto di stima e le caratteristiche dello stesso;
    - ricostruire la storia trascorsa del bene immateriale;
    - analizzare i diritti, siano essi legali piuttosto che di commercializzazione, e le limitazioni relative al bene intangibile;
    - identificare, nel caso sussistano, eventuali accordi di licenza in essere ed eventuali controversie;
    - effettuare una stima con riferimento alla vita economica residua e legale del bene immateriale;
    - valutare le potenzialità future del bene immateriale.

    Acquisite le informazioni descritte, occorrerebbe applicare almeno uno dei criteri di valutazione previsti dai Principi Italiani di Valutazione (PIV) emanati dall’Organismo Italiano di Valutazione e Principi Internazionali di Valutazione (IVSC – International Valuation Standards Council). E’ preferibile, comunque, che i criteri di valutazione siano due, da cui ricavare il valore del marchio come espressione della media aritmetica.

    Per le imprese in decozione sarebbero utile, inoltre, le Linee guida per la valutazione di aziende in crisi, emanate congiuntamente dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili e dalla Società Italiana dei Docenti di Ragioneria ed Economia Aziendale (SIDREA).

    In accordo a tali principi, la stima del valore corrente di un bene immateriale può essere compiuta facendo riferimento ad una delle seguenti metodiche (in ordine di importanza): i) mercato; ii) reddito; iii) costo.

    L’approccio di mercato si basa su un mercato attivo di cui si conoscono i prezzi di riferimento ovvero su indicatori empirici che risalgono al valore economico tramite moltiplicatori di grandezze legate da una relazione causale con il bene stesso (ad es. il fatturato). Tali metodologie trovano il loro fondamento nei dati espressi da transazioni di mercato che abbiano riguardato beni similari a quello oggetto di stima.
    Con l’approccio reddituale si stima il bene tramite i redditi differenziali rispetto ad aziende comparabili ma prive della forza del marchio. Dal reddito differenziale va in ogni caso depurato l’effetto dovuto a fattori diversi dalla notorietà, quali la migliore qualità intrinseca del prodotto o una superiore organizzazione interna.

    L’approccio reddituale viene di solito applicato attraverso i metodi del premium pricing e dei tassi di royalty.
    Il “metodo del premium pricing” misura l'extra reddito rispetto ad un prodotto anonimo. I benefici della presenza del marchio vanno considerati sia come maggiorazione al prezzo di vendita, sia come incremento o stabilità nei volumi di vendita. Dall'incremento di fatturato vanno poi sottratti i costi richiesti per il sostenimento del marchio (pubblicità, promozioni, provvigioni), nonché gli assestamenti per effetti diversi dalla notorietà.
    Il “metodo dei tassi di royalty” determina il valore del marchio in base alle royalty che un terzo sarebbe disponibile a pagare per ottenere la licenza d’uso del marchio. In primo luogo viene selezionato un tasso di royalty praticato sul mercato, mediante l’analisi di transazioni commerciali comparabili per tipologia merceologica dei beni e per forza del marchio. Dopodiché, il tasso di royalty viene applicato al fatturato che si prevede possa essere originato dai prodotti contrassegnati dal marchio.

    I metodi basati sui costi possono essere classificati in base alla configurazione di riferimento: costo storico, costo di riproduzione e costo di sostituzione.

    Il “costo storico rivalutato” si basa sui costi storici associabili al bene immateriale, rivalutati per tener conto meramente del fenomeno inflattivo.

    Il “costo di riproduzione e di sostituzione” presuppongono la capacità di identificare il piano di investimenti necessario ad una azienda anonima per ottenere un effetto di reputazione paragonabile a quello attuale. Normalmente per arrivare al costo di riproduzione si procede alla rivalutazione delle spese in conto capitale, cioè non ordinarie, sostenute per creare e promuovere il bene immateriale. Il costo di sostituzione prevede invece la stima dei costi di ricomposizione di un bene di utilità equivalente.

    L'azione professionale mi ha fatto imbattere, invece, nella valutazione di un marchio mediante il “metodo Interbrand”. Esso si basa su ricerche di mercato e su metodologie statistiche evolute da applicarsi, secondo l’approccio dei multipli, alle misure di performance dell’azienda.

    I metodi delle ricerche di mercato, definiscono, primariamente, una serie di criteri essenziali per la stima, per i marchi, in particolare, si ricerca la forza della marca.

    Con il metodo Interbrand la stima del valore del marchio è data dal prodotto del flusso generato dal bene intangibile (brand profit) per un moltiplicatore indicativo della sua forza (brand strength score).

    Valore = Brand Profit * (Price/Earning * Brand strength score).

    Il brand profit è dato dalla differenza tra l’Ebit1 prodotto dall’azienda e l’Ebit di aziende simili che operano con marchi diversi.

    Le differenze si calcolano sugli ultimi tre anni: in particolare dopo aver ri-espresso i valori a prezzi correnti, si calcola la loro media ponderata per i pesi attribuiti agli anni di riferimento.

    A questo valore si sottrae la remunerazione del capitale investito nel brand.

    La brand strength score è definita dalla media delle seguenti variabili:

    1. leadership,

    2. stabilità,

    3. mercato di riferimento,

    4. internazionalità,

    5. trend,

    6. supporti di marketing,

    7. protezione.

    Ad ogni variabile viene attribuito un punteggio specifico, si calcola quindi la media ponderata per il peso assegnato ai vari fattori.

    Il coefficiente che si determina in questo modo viene applicato al Price/Earning moltiplicato per il brand profit.

    Un marchio forte con un punteggio alto dovrebbe generare elevati profitti e quindi avrà un tasso piccolo di sconto.

    Un marchio più debole avrà un tasso di sconto più alto, che riflette il maggior rischio associato ai suoi guadagni futuri.

    In ogni caso il riconoscimento della capacità del marchio di produrre flussi differenziali di reddito è sostanzialmente il presupposto fondamentale per l’applicazione di tale metodo.
    2

    Sul sito, inoltre, l’azienda Interbrand spiega la metodologia utilizzata, partendo però da alcuni prerequisiti, il brand deve essere (Interbrand Methodolgy):

    - GLOBALE: Almeno il 30% delle entrate deve provenire dall'esterno rispetto alla nazione di origine del marchio;
    - VISIBILE: Il marchio deve avere una presenza significativa in Asia, Europa e Nord America nonché una vasta copertura geografica nei mercati emergenti.
    - TRASPARENTE: Devono essere disponibili dati pubblici sufficienti sulla performance finanziaria del marchio
    - IN CRESCITA: Ci si aspetta che il profitto economico a lungo termine sia positivo e fornisca un rendimento superiore al costo del capitale del marchio.
    - Il marchio deve avere un profilo pubblico e deve essere riconoscibile in tutte le principali economie del mondo.

    Nella valutazione del marchio, occorre, altresì, tenere presente le indicazioni dell’OCSE, riguardo alla cessione di beni immateriali. Secondo l’OCSE per determinare il prezzo di libera concorrenza3 in caso di trasferimento di beni immateriali, e ai fini della comparabilità, occorre considerare sia il punto di vista del cedente che quello del cessionario. Dal punto di vista del cedente, per applicare il principio di libera concorrenza bisognerebbe ricercare il prezzo al quale un'impresa indipendente comparabile sarebbe disposta a trasferire il bene. Dal punto di vista del cessionario, un’impresa indipendente comparabile può o meno essere disposta a pagare un determinato prezzo per quel bene.4

    NOTE
    1 EBIT è l'acronimo di “Earnings Before Interest and Tax”, definito anche come risultato operativo e rappresenta il risultato della gestione aziendale prima che vengano considerati gli interessi e le tasse. È un margine che misura il profitto aziendale derivante dalla sola gestione tipica-caratteristica.
    2 Piergiorgio Valente, Patent Box e gestione dei beni immateriali, IPSOA Editore, pp. 36-37.
    3 Quando imprese indipendenti pongono in essere tra di loro delle transazioni, le condizioni dei loro rapporti commerciali e finanziari (per esempio, il prezzo dei beni trasferiti o dei servizi forniti e le condizioni di tale operazione) sono generalmente determinati dalle forze di mercato. Quando imprese associate effettuano transazioni tra di loro, i loro rapporti commerciali e finanziarie potrebbero non essere direttamente influenzati allo stesso modo da forze di mercato esterne, sebbene le imprese associate tendano spesso a riprodurre le dinamiche delle forze di mercato nelle loro transazioni.
    4 Linee Guida dell’OCSE sui prezzi di trasferimento per le imprese multinazionali e le amministrazioni fiscali, p. 216.


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    (21.12.19) NATALE: SE MEDITARE L'INCARNAZIONE E' UNA QUESTIONE BIZANTINA! (Pasquale Cannatà) - Ricordo una scena del film “Il nome della rosa” tratto dall’omonimo romanzo di Umberto Eco in cui alcuni frati francescani si domandavano se Gesù era proprietario della tunica che indossava: secondo loro, essendo Egli povero tra i poveri, non avrebbe dovuto possedere neppure quella!

    Mi sembra che questo sia un classico esempio di bizantinismo, cioè di una discussione futile fatta mentre ci si dovrebbe occupare di problemi più importanti, allo stesso modo in cui alcuni teologi, mentre Costantinopoli era sotto assedio da parte degli arabi nel 674, si chiedevano se Gesù, alla destra di Dio, fosse seduto o in piedi, oppure si interrogavano su quale fosse il sesso degli Angeli.

    Non sono propriamente questioni bizantine, ma non centrano il cuore del problema, le argomentazioni di quegli atei che negano l’esistenza di Dio perché nel mondo esiste il Male e per il fatto che molti sacerdoti e vescovi non testimoniano la fede con la loro vita: sarebbe invece importante, si centrerebbe cioè il cuore del problema, domandarsi (prima di condannare il cristianesimo facendo le pulci ai vari dogmi della fede) se è più ragionevole credere all’esistenza di un Dio creatore dell’universo o che questo sia nato dal nulla per puro caso.

    Infatti, per quel che riguarda la teoria su come è cominciata la vita sulla terra, autorevoli scienziati hanno calcolato che anche se si è riusciti a riprodurre in laboratorio alcuni aminoacidi (che sono i mattoni con cui si costruiscono le proteine, le prime e più piccole forme di vita in grado di auto replicarsi) partendo da materia non organica, è estremamente improbabile, e cioè praticamente impossibile, che questi si siano concatenati per caso nel numero minimo (32) e nel giusto ordine necessario a dare origine ad una proteina. Tale probabilità è valutata in 10 elevato alla 41a potenza, una probabilità ancora più difficile da verificarsi di quella che avrebbe una scimmia che messa davanti ad una macchina da scrivere componesse la divina commedia senza alcun errore battendo a caso sui tasti.

    - Blaise Pascal dava il 50% di possibilità alla fede, ma il suo cuore era per il si alla creazione;

    - Joseph de Maistre chiedeva ai suoi ospiti: «Si può concepire il pensiero come accidente di una sostanza che non pensa?», e dando una risposta negativa spostava la bilancia dalla parte di Dio;

    - Da parte mia, lo splendore della Verità annunciata nei Vangeli e la ragione scientifica che include l’argomento prima accennato a proposito della nascita della vita sulla terra mi spingono a credere nell’esistenza di Dio.

    Dopo questa considerazione sul nocciolo del problema, possiamo addentrarci in qualche punto particolare che magari qualcuno potrebbe giudicare un bizantinismo.

    - Per prima cosa riporto in sintesi un articolo di Vittorio Messori su quando nacque Gesù.

    “Anche grazie ai documenti di Qumran, potremmo essere in grado di stabilire con precisione che Gesù è nato proprio un 25 dicembre e che la nostra festa non sostituisce semplicemente quella pagana della rinascita del Sol invictus. Una scoperta veramente straordinaria e che non può essere sospettata di fini apologetici cristiani, visto che la dobbiamo a un docente, ebreo, della Università di Gerusalemme. Vediamo di capire il meccanismo, che è complesso ma affascinante. Il Vangelo di Luca si apre con la storia dell’anziana coppia, Zaccaria ed Elisabetta, ormai rassegnata alla sterilità, una delle peggiori disgrazie in Israele. Zaccaria apparteneva alla casta sacerdotale e, un giorno che era di servizio nel tempio di Gerusalemme, ebbe la visione di Gabriele (lo stesso angelo che sei mesi dopo si presenterà a Maria, a Nazareth) che gli annunciava che, malgrado l’età avanzata, lui e la moglie avrebbero avuto un figlio. Luca ha cura di precisare che Zaccaria apparteneva alla classe sacerdotale di Abia e che quando ebbe l’apparizione “officiava nel turno della sua classe”. In effetti, coloro che nell’antico Israele appartenevano alla casta sacerdotale erano divisi in 24 classi che, avvicendandosi in ordine immutabile, dovevano prestare servizio liturgico al tempio per una settimana, due volte l’anno. Sapevamo che la classe di Zaccaria, quella di Abia, era l’ottava, nell’elenco ufficiale. Ma quando cadevano i suoi turni di servizio? Nessuno lo sapeva. Ebbene, utilizzando anche ricerche svolte da altri specialisti e lavorando, soprattutto, su testi rinvenuti nella biblioteca essena di Qumran, ecco che l’enigma è stato violato dal professor Shemarjahu Talmon che, come si diceva, insegna alla Università ebraica di Gerusalemme. Lo studioso, cioè, è riuscito a precisare in che ordine cronologico si susseguivano le 24 classi sacerdotali. Quella di Abia prestava servizio liturgico al tempio due volte l’anno, come le altre, e una di quelle volte era nell’ultima settimana di settembre. Dunque, era verosimile la tradizione dei cristiani orientali che pone tra il 23 e il 25 settembre l’annuncio a Zaccaria. Una catena di eventi che si estende su 15 mesi: in settembre l’annuncio a Zaccaria e il giorno dopo il concepimento di Giovanni; in marzo, sei mesi dopo, l’annuncio a Maria; in giugno, tre mesi dopo, la nascita di Giovanni; sei mesi dopo, la nascita di Gesù. Con quest’ultimo evento arriviamo giusto al 25 dicembre. Giorno che, dunque, non fu fissato a caso: dopo tanti secoli di ricerca accanita i Vangeli non cessano di riservare sorprese. Dettagli apparentemente inutili (che c’importava che Zaccaria appartenesse alla classe sacerdotale di Abia? Nessun esegeta vi prestava attenzione) mostrano all’improvviso la loro ragion d’essere, il loro carattere di segni di una verità nascosta ma precisa.”

    - Mentre i cristiani credono che il Dio onnipotente si sia incarnato in Gesù Cristo, gli atei, pur sapendo che noi piccole creature abbiamo inventato la “realtà virtuale” per mezzo della quale possiamo “entrare” in un gioco e muoverci in un mondo diverso da quello in cui viviamo materialmente, non credono possibile che esista un Dio che può entrare nel nostro mondo da Lui creato. A chi volesse obiettare che quando l’uomo opera nella realtà virtuale è in effetti ben piantato su questa terra (il corpo del giocatore che respira e la sua mente che agisce al di fuori di esso, nella macchina con cui gioca, sono una cosa sola), ricordo che, quando Gesù Cristo afferma che “alcune cose le conosce solo il Padre”, ci ha già resi partecipi del fatto che anche e prima di tutto in Dio esiste questa dualità di quelli che potremmo definire “livelli operativi”, ribadendo però che “Lui e il Padre sono una cosa sola”: Gesù è vero Dio e vero uomo, così come il giocatore della realtà virtuale è vero uomo e vero personaggio del gioco.

    - Alcuni si rifiutano di credere perché ritengono impossibile che Dio possa ascoltare 24 ore su 24 le preghiere di tutte le persone vive sulla Terra e conoscerle una per una. Vorrei far presente a questi non credenti che ormai la tecnica consente di costruire computer portatili con processori di una potenza di calcolo anche maggiore di 4,2 Ghz, capaci quindi di fare più di 4 miliardi di operazioni algebriche al secondo! Non parliamo poi dei supercalcolatori, che sono un insieme di processori organizzati in modo da gestire un totale di carichi di lavoro eccezionale e sono in grado di superare i 1.000 Ghz, cioè di fare più di mille miliardi di operazioni al secondo! E allora, mentre i cristiani credono che esista Dio e che Lui ci conosce uno per uno e ci ascolta tutti, gli atei, pur sapendo che noi esseri umani siamo in grado di creare oggetti che operano centinaia di miliardi di volte al secondo e sono capaci di tenere in memoria altrettanti miliardi di informazioni, non concepiscono un Dio che ogni istante può conoscere tutto di pochi miliardi di creature che vivono in questo mondo da Lui creato ed interagire con loro: può un oggetto creato dall’uomo, fatto di plastica, metallo e silicio, essere più potente di Dio che ha fatto l’uomo, il silicio, il metallo e tutto quello che l’uomo usa per le sue creazioni? Che abbia ragione il matematico Piergiorgio Odifreddi quando afferma che solo un cretino può dirsi cristiano, o non è possibile che i cristiani abbiano saputo da sempre quello che l’analogia prima illustrata tra le nostre creazioni tecnologiche e “la Creazione” rende oggi più credibile, e che lui insieme a tutti gli altri atei si ostinano a continuare a negare?

    Ogni volta poi che sento parlare della filosofia buddista e del concetto di ‘compassione’ praticato dai suoi seguaci e che molti ammirano, subito mi viene in mente questa parabola del Vangelo:

    “Salito su una barca, Gesù passò all’altra riva e giunse nella sua città. Ed ecco, gli portarono un paralitico steso su un letto. Gesù, vista la loro fede, disse al paralitico: “Coraggio, figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati”. Allora alcuni scribi cominciarono a pensare: “Costui bestemmia”. Ma Gesù, conoscendo i loro pensieri, disse: “Perché mai pensate cose malvagie nel vostro cuore? Che cosa dunque è più facile, dire: Ti sono rimessi i peccati, o dire: Alzati e cammina? Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere in terra di rimettere i peccati, alzati disse allora al paralitico, prendi il tuo letto e và a casa tua”. Ed egli si alzò e andò a casa sua.”

    La compassione umana non può che limitarsi a cercare di alleviare le sofferenze con la medicina ed a stare psicologicamente vicino al paziente, ma L’AMORE VA OLTRE e pensa anche alla sola cosa che conta veramente: si preoccupa della salvezza dell’anima.

    Con il NATALE infine, L’AMORE è andato OLTRE ciò che la mente umana è in grado di comprendere e di accettare: l’INFINITO si è racchiuso dentro un guscio, nel seno della Vergine Maria, per poi nascere da lei, venire alla luce, nuovo sia la luce, secondo big-bang, per farsi come noi e permetterci di diventare come Lui.

    - Il primo sia la luce è opera di Dio Padre, creatore del cielo e della terra e della prima umanità in Adamo, sorta dal nulla;

    - il secondo sia la luce è il frutto dell’azione combinata del Dio Spirito e della Vergine Maria che ha accettato di dare alla luce Gesù, una seconda umanità libera dal peccato originale e segno vivente di quella nuova alleanza che Dio vuole stipulare con l’Uomo: con la sua disubbidienza, l’uomo (da libero che era) si è voluto rendere servo, ma Dio dimentica il peccato, e non solo ci libera dal male, ma ci dà anche la possibilità di diventare suoi figli se viviamo il Vangelo di Cristo Gesù;

    - il terzo sia la luce avviene grazie a Gesù stesso, il Dio Figlio, che nella sua Morte e Risurrezione, nel suo tornare alla luce dopo l’agonia della croce, ci prefigura la terza umanità che sorgerà alla fine dei tempi, quando ci saranno cieli nuovi e terra nuova: sarà quello il regno di Dio, che, come si legge nella Bibbia, è un regno di giustizia, di amore e di pace, di verità e vita, di santità e grazia.

    Dio è Uno, ma noi cogliamo un diverso aspetto del suo ESSERE TRINITARIO a seconda del tempo in cui si manifesta.

    Notate infine come nel descrivere il regno di Dio si passa da valori umani, via via a valori sempre più spirituali: è questo il percorso che ognuno di noi è chiamato a fare, anche se abbiamo appena intrapreso la via della giustizia e della pace, siamo ancora lontani da quella dell’Amore, e per le altre probabilmente ci sarà da aspettare i cieli nuovi e la terra nuova.

    Ancora sul Natale ho letto che “nel creare l’uomo, Dio si è perdutamente innamorato di lui! e lo ama così tanto che ha voluto vivere anche Lui le stesse sensazioni che prova la sua creatura dal concepimento alla morte”, mentre don Angelo Casati ha scritto:

    - il congiungimento tra terra e cielo che l’uomo voleva realizzare con la torre di Babele è avvenuto non con la tecnologia umana, ma perché Dio è sceso sulla terra con il Natale;

    - Gesù è stato adagiato su una mangiatoia, ma questo termine indicava anche la cesta nella quale i pastori mettevano il cibo (ciò che serve per mangiare, da cui il nome mangiatoia) che si portavano al pascolo: è bello pensare, dice don Angelo, a un Dio che portiamo con noi tra le cose umili e necessarie alla nostra vita, ad un Dio alimento per il nostro cammino; ed io aggiungerei che oltre ad essere nella cesta insieme al pane ed al vino per il nostro nutrimento materiale, questo essere adagiato nel posto in cui si metteva il cibo, al posto del pane e del vino, prefigura il fatto che si farà Lui stesso pane e vino, cibo per la nostra anima.

    Sulla questione dell’incredulità degli atei, i quali sostengono che si deve fare a meno di Dio perché la scienza oggi può spiegare tutto e tutto risolvere, mi sia consentito usare le parole con le quali il professor Domenico Distilo interpreta il mio pensiero:

    “Tra la fede e la moderna ragione scientifica non c’è incompatibilità e neppure dissonanza ma pieno accordo, sì che non è possibile, se non si è… in malafede o dominati da un pregiudizio ateistico o antiteistico, addurre argomenti razionali contro la fede. La vecchia formula di Tertulliano, credo quia absurdum, risulta così completamente rovesciata: si crede perché, alla luce dei fatti e della interpretazione razionale di essi, è assurdo non tanto credere quanto non credere e sarà l’ateo a pronunciare, debitamente parafrasandola, la formula tertullianesca, non potendo altro dire che non credo quia absurdum (non credo, anche se questo mio non credere in Dio è assurdo)”.

    Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza” dice Dio come ultimo atto della Sua creazione: se è vero che l’immagine non è uguaglianza e che la somiglianza non è identità (e ne consegue che l’uomo non è uguale a Dio!) è anche vero che le realizzazioni sempre più grandi fatte dall’uomo possono per analogia farci capire come sia sempre più credibile che Dio abbia fatto tutto l’universo con la “parola della Sua potenza”.

    La conclusione la vorrei esprimere con una frase di sant’Agostino: «Non occorre capire per credere, ma occorre credere per capire».

    Nella foto: la sacra tunica di Gesù conservata nel duomo di Treviri in Germania.


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    (23.12.19) CONSEGNATE AL COMUNE LE TELE VINCITRICI DELL'ESTEMPORANEA DI PITTURA - La recente consegna al Comune delle tele dei vincitori dell’Estemporanea di pittura, organizzata dal gruppo Testimoni di unità nell’ambito dell’Estate galatrese e svoltasi lo scorso 7 agosto, rappresenta un’occasione per ammirare le opere e rivolgere un plauso ai promotori della manifestazione, che hanno riassunto nel nome prescelto – si direbbe: “nomen, omen” - un programma che non si può non condividere: ricercare ciò che ci unisce al di là delle divisioni di ogni tipo e natura che, dopo aver dominato nel passato, continuano ad aduggiare il presente.

    Nutrita è stata la partecipazione, con ben 21 artisti provenienti da tutta la Calabria e tre giovani partecipanti fuori concorso. Le opere sono state passate al vaglio di una giuria di esperti costituita dalla professoressa Iole Marazzita, docente di Storia dell’Arte presso il Liceo Classico e Artistico “Gerace” di Cittanova, dalla professoressa Piera Cutrì, docente nello stesso istituto e presidente dell’associazione “Ritrovarci nell’archetipo” di Gioia Tauro, nonché dal noto artista Nato Randazzo.

    Le tre opere prime classificate, che per regolamento avrebbero dovuto essere consegnate agli organizzatori, sono state destinate alla sala consiliare, essendo stato peraltro il Comune a patrocinare la manifestazione assieme alla Pro Loco. Ma anche altri artisti hanno lasciato le opere perché venissero esposte nella sala consiliare. Tra questi Ambra Miglioranzi, veneziana trapiantata a Rosarno, Francesca Minasi da Melicucco, Gregorio Procopio di Reggio Calabria, il nostro concittadino Carmelo Longo, Francesco Giovinazzo da Vibo Valentia e il piccolo artista Angelo Scozzarra, anch’egli nostro concittadino.

    I primi tre classificati sono risultati, rispettivamente, Antonio Fortebraccio, Francesco Mangialardi e Domenico Mauro. Premi speciali sono stati assegnati ad Antonio Oliva per la tecnica di esecuzione, a Giorgio Digifico per l’interpretazione e a Silvestro Bonaventura per il linguaggio espressivo. I componenti la giuria sono stati premiati con un’opera in ferro battuto dell’artigiano galatrese Marcello Sorrenti.

    A nome degli artisti Ambra Miglioranzi ha ringraziato gli organizzatori e la giuria per l’ottima riuscita della manifestazione. In basso tre opere vincitrici:


    La tela di Antonio Fortebraccio



    La tela di Franco Mangialardi



    La tela di Domenico Mauro


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    (25.12.19) GALATRO, PAGINE DI STORIA DI UMBERTO DI STILO - Com’è ormai tradizione, Umberto Di Stilo regala a Galatro e ai galatresi, per Natale, un nuovo frutto delle sue fatiche di storico e di studioso. Galatro, Pagine di storia, Edidisum pp. 424, € 30 dovrebbe essere il botto finale (ma crediamo e speriamo che abbia un seguito) di una lunga attività cominciata nei primi anni del secondo dopoguerra, quando il nostro autore era ancora un ragazzo ma si era già scoperto e preso a coltivare la vocazione della ricerca e del racconto (da storico e da letterato) su uomini e avvenimenti del passato e del presente del suo paese natio.

    Queste lontane ricerche l’autore, come dichiara nella prefazione, a un certo punto ha deciso di riportare alla luce (provvidenzialmente aggiungiamo noi) e raccogliere in un nuovo volume, che sottrae al mito e alla tramandata (e incontrollata) oralità le vicende del complesso bandistico, dello stabilimento termale, dell’uccisione del socialista Pronestì, del convento Sant’Elia, del tempio della Naiadi, della chiesa dei santi Gregorio ed Elia, dei galatresi nella Guardia nazionale, dei sindaci e commissari succedutisi dal XVI secolo…

    (Note tratte dalla recensione di Domenico Distilo di prossima pubblicazione sul nostro giornale)





    Nelle foto: copertina e quarta di copertina del volume di Umberto Di Stilo "Galatro, pagine di storia".


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