Del mio incontro con Vincenzo Fusco e del tempo trascorso con lui quando eravamo entrambi docenti di filosofia e storia del liceo scientifico “Guerrisi” di Cittanova ho già detto nell’articolo pubblicato online, su Galatro Terme News, alcuni giorni dopo la sua scomparsa. Per cui eviterò di ripetermi, soffermandomi invece su una personalità il cui tratto non comune, starei per dire la cui unicità, consisteva, essenzialmente, nel tradurre in stile di vita, in atteggiamenti improntati all’ironia e manifestati con nonchalance, idee che si era venuto formando con uno studio severo, decisamente d’altri tempi – dei suoi tempi -, integrando l’originaria base classico-umanistica con vaste e approfondite conoscenze filosofico-giuridiche. Col risultato, non certo dappoco, di riuscire a piegare anche i più astrusi tecnicismi – con cui, va ricordato, doveva fare i conti in ragione del suo ufficio di Giudice di pace, allorché redigeva sentenze anche stilisticamente impeccabili - a una sapienza che mai avrebbe potuto attingere se le sue conoscenze avessero avuto la forma e la sostanza di competenze soltanto tecniche.
Un esclusivo tecnicismo sarebbe stato, del resto, difficilmente armonizzabile con l’ironia che lo connotava e che portava sempre con sé, non quale arma da sfoderare o abito da indossare estemporaneamente, ma quale attributo di un carattere che non poteva fare a meno della leggerezza neppure quando, magari, “sferzava” l’interlocutore; neppure quando gli argomenti delle discussioni erano per natura “gravi” ed apparivano inadatti a un approccio all’insegna della leggerezza. In questi casi Fusco ti dimostrava che l’apparenza non era la realtà e che ogni approfondimento non sarebbe stato tale se non fosse stato condotto con leggerezza e, preferibilmente, attorno a una tavola imbandita. Tavola che aveva fatto diventare col tempo una vera e propria officina filosofica, al punto che non fu per nulla un caso se proprio a tavola mi resi conto di aver compreso, senza però mai dirglielo, in che modo si fossero fuse ed amalgamate le diverse componenti della sua formazione culturale.
Compresi come alla base, nel senso di prima di tutto, ci fosse il cattolicesimo popolare “respirato” nella fanciullezza-adolescenza e mai dismesso, che da adulto avrebbe tenuto bene al riparo da forme e formule che apparissero anche solo di vaga sostanza dogmatica; poi venivano il latino e il greco studiati al liceo, che si guardava bene dall’ostentare ma che era chiaro come in lui rappresentassero il tessuto connettivo non solo e non tanto di un bagaglio culturale, ma di un’intera personalità. Bagaglio culturale e personalità alla cui formazione avrebbe contribuito in misura significativa Benedetto Croce, che Fusco lesse nelle edizioni Laterza e che gli trasmise la fede nella libertà, destinata a diventare il leitmotiv, la sostanza delle sue lezioni di filosofia nei licei di Cittanova; infine il socialismo, non certo in versione marxista, tantomeno comunista-leninista, ma declinato come aspirazione ad un ideale che trovava i suoi mentori in personaggi la cui cultura poteva dirsi di chiara matrice liberalsocialista e, in prospettiva, azionista e radicale, tra tutti il profeta della non violenza Aldo Capitini, il Gandhi Italiano, al quale non c’è dubbio che si possa e si debba affiancare lo storico preside del liceo classico “Gerace” di Cittanova, Ugo Arcuri.
Un aspetto che potrebbe apparire, se non paradossale sicuramente un po’ fuori posto nel profilo filosofico di Fusco, è la predilezione per Kierkegaard, il fondatore dell’esistenzialismo contemporaneo, nel quale si trovano condensate le implicazioni più coerenti ma nel contempo più ostiche, per chiunque abbia un retaggio culturale proprio di un paese meridionale e cattolico, della Riforma protestante. Orbene, mi disse una volta Vincenzo Fusco che Kierkegaard, un autore per molti, me compreso, illeggibile non solo perché danese, per molti versi molto più faticoso di Hegel, gli serviva a bilanciare quanto di gesuitico era inevitabilmente entrato nella sua cultura-formazione ma che spesso non sopportava, ritenendolo incompatibile con una moralità degna del nome e compiutamente laica. Ognuno interpreti come vuole questa sua ambascia, o se vogliamo contraddizione, vera o apparente che sia.
Una curiosità mi affligge: tra le carte di Fusco dovrebbero trovarsi dei componimenti poetici, endecasillabi sciolti se non ricordo male, da lui concepiti e vergati con cura su fogli di rubrica in vista delle uscite didattiche che facevamo ogni anno con le classi terze a Stilo nei luoghi campanelliani, componimenti fatti recitare ai ragazzi perché, diceva, l’armonia dei luoghi e dei versi ispirasse loro gli ideali della pace, della bellezza e della sintesi di entrambe nella giustizia, giustizia che, teneva a precisare, non avrebbe potuto dirsi tale se non fosse stata sociale, ragion per cui la realizzazione passava necessariamente, come del resto in Campanella, e come già in Platone, attraverso la politica.
Politica che se lo faceva addolorare allorché cadeva nelle mani dei politicanti, lo ispirava e gli dava fiducia quando era interpretata da figure di riferimento quali per lui erano Sandro Pertini, nel Gotha nazionale, e Girolamo Tripodi in quello locale, Tripodi per il quale non esitò a dichiararmi una volta, expressis verbis, di aver sempre votato, perché la giustizia sociale perseguita con le lotte bracciantili e poi nella carica di sindaco riscattava ogni possibile lacuna, ogni possibile critica che gli si sarebbe potuta rivolgere riguardo alla quotidiana pratica amministrativa.
C’è un’altra componente fondamentale nella vita e nella cultura di Vincenzo Fusco, componente, com’era nel suo stile, nel suo modo d’essere, né mai ostentata né mai dissimulata, il patriottismo che muoveva da Mazzini scendendo per li rami e abbracciando la piccola quanto la grande patria, Polistena, a cui dedicò alcuni dei suoi scritti più significativi, e l’Italia che una volta su un autobus a Londra – correva il ’93 ed eravamo in gita scolastica nonché nel pieno di quella vicenda sempre più controversa che fu Tangentopoli - difese con rabbia ed orgoglio dagli apprezzamenti che giudicò volgari di un inglese troppo poco sir.
Vincenzo Fusco, questo è certo, è tra le figure più significative che Polistena e la Piana abbiano espresso negli ultimi decenni. E’ certo che non lo dimenticheremo, come non lo dimenticheranno le generazioni di studenti che ha contribuito in misura notevole a formare nei molti anni di insegnamento nei due licei di Cittanova. Ai quali era legato nella stessa identica misura, essendo troppo intelligente e troppo colto per indulgere in insulse beghe di campanilismo scolastico e compreso com’era, del resto, della necessità di quell’umanesimo scientifico o scientismo umanista, insomma, della sintesi tra le due culture, senza concessioni a suggestioni di primato dell’una o dell’altra, anche se, ripeteva, è giusto che il liceo classico resti liceo classico, perché rappresenta una tradizione e un valore da non disperdere.
Questa non è una recensione perché qui mi interessa la fatica. La fatica fisica di scrivere e, ancor di più, la fatica mentale della riflessione. Provate a immaginarlo, Umberto, piegato sulle carte per anni a leggere, annotare: la ricerca storica nasce dalla passione, e dalla volontà/capacità di resistere al lungo lavoro di documentazione, alla vita che lo studio “pre-tende” e si porta via.
Questa non è una recensione perché qui mi interessa il tempo. Il tempo che Umberto ha dedicato a Galatro. Immaginatelo, giovanissimo, alla stazione di Rosarno mentre parte per inseguire un’idea, un progetto; alla stazione ferroviaria mentre si avvia, carico di attese, verso gli archivi storici di Napoli, di Roma... Mi raccontò molti anni fa: “Volevo sapere, Angelo, conoscere qualcosa del Paese in cui vivo.” Molti parlano dell’assassinio del socialista Pronestì, ma come si svolsero i fatti? Chi commise l’omicidio? Perché? Ed ecco che il giornalista-scrittore-storico indaga, cerca tracce, scrive per portare alla luce un “frammento” della storia politica di Galatro. E’ come se Umberto, fatta una promessa a se stesso, abbia voluto mantenerla, contro gli habitué della bugia (“Prometti pe’ certu e manchi pe’ sicuru”, “Vocabolario del dialetto”…, p. 354). Umberto non ha mancato l’appuntamento col suo libro e con la sua promessa.
Questa non è una recensione perché qui mi interessa lo spazio. Lo spazio in cui Umberto ha accumulato per anni i documenti trascritti, o fotocopiati quando è stato possibile; lo spazio (anche dell’anima) in cui ha raccolto migliaia di testi, carte, foto, dagli archivi di Stato: non solo Napoli, Roma; è stato a Reggio, Catanzaro, Palmi… all’archivio segreto Vaticano, all’Abazia di Grottaferrata… a Nicotera, Mileto, Laureana. Una ricerca costante. Seria. Meticolosa. Lunga. Occorre saperne di più - pensa - dello “Stabilimento Termale” (Buda nei primi mesi del 1891 anticipa un “consistente importo finanziario” per “la costruzione di un fabbricato”, pp. 104-138); saperne di più del “Complesso bandistico”; delle alluvioni (Metramo “apparentemente lento e sonnacchioso… ha causato immani disastri e luttuosi avvenimenti”, p. 58); della “Chiesa dei Santi Gregorio ed Elia”; dei “Galatresi nella Guardia Nazionale”. Saperne di più: per mantenere la promessa: “Ogni promissa è debbitu” (cit. p. 355).
Questa non è una recensione perché qui mi interessa l’autore. Che si è dato il compito di ricostruire - trascurando a volte la famiglia (accade) - una parte importante della “Storia di Galatro”, anche quella lontana nel tempo (“I Sindaci nel periodo Comunale”; “I Podestà”) e, con metodica precisione, le vicende del “Convento di Sant’Elia” (“Come documentato dall’atto del notaio Leonardo Morano, il 24-8-1730 è iniziata…”). Eccetera. Cos’è un uomo privo di memoria? Nulla. E un Paese senza memoria? Umberto recuperando frammenti del passato dà dignità storica e sociale (e lustro e orgoglio) a una Comunità. Umberto fa opera giusta. E non da oggi: l’amore per Galatro è presente in ogni suo testo (anche nelle “Raccolte di proverbi”, nei “Racconti”, in “Fiori di campo”) e anzitutto in “Bozzetti galatresi”, “Il mio Natale”, “Vocabolario del dialetto di Galatro”. E’ un amore corrisposto?
Questa non è una recensione perché qui mi interessa dire che il grande amore di Umberto per Galatro non è corrisposto da quanti non leggono i suoi libri; dagli apatici; dagli indifferenti; dagli amministratori comunali che, colpevolmente, hanno permesso che un libro d’interesse storico su Galatro fosse pubblicato a proprie spese dall’autore. Va detto con chiarezza, il testo di Umberto resterà nel tempo: dentro c’è la fatica della ricerca, la serietà della documentazione, il cercare tracce, testimonianze, resoconti… e il lavoro complesso dell’interpretazione; che, nel Nostro, è “attenzione ai contesti” e capacità di “tenere insieme presente e passato in una fusione di orizzonti”. Bene. Fate uno sforzo, galatresi, cercatelo il testo di Umberto, annotate le pagine più belle, gratificate l’autore interessandovi alla sua opera, che, da oggi, “è” opera della Comunità. Leggerla significa “accostarsi” alle nostre radici: conoscere/conoscersi. Una Comunità è tale se ha coscienza del proprio passato.
Sono interessato da questo articolo e molto umilmente vorrei dare il mio contributo.
Purtroppo, molti parlano della Bibbia, e ora anche del Corano, ma pochi conoscono la Bibbia e forse ancora meno il Corano. Infatti, l’esperimento riesce facilmente proponendo la lettura di un versetto estrapolato della Bibbia facendolo passare per Corano. Ma Sono convinto che anche l’inverso funzionerebbe. Già, perché c’è una ignoranza generalizzata per quanto riguarda le Scritture. Comunemente, si ha conoscenza di quello che altri dicono con, ovviamente, le loro opinioni ed interpretazioni.
Ora, Gesù stesso incoraggiava la lettura e lo studio delle Scritture in quanto si viene a conoscenza della verità e che questa verità ci fa essere liberi! Inoltre Egli affermava che le Scritture testimoniano di Lui.
Per essere dunque liberi, conoscendo la verità, e per conoscere Gesù stesso, è indispensabile leggere e studiare le Scritture. La Bibbia, in primo luogo per chi si definisce (“alla leggera”) un cristiano, e poi anche il Corano (ovviamente la traduzione in italiano, a meno che non si conosca l’arabo, indispensabile secondo il musulmano), se si vuole avere una chiara linea della dottrina musulmana.
A me risulta, purtroppo, che tutto venga confuso e le spiegazioni che si trovano on line, anche qui su Galatro Terme News, non aiutano ad avere una conoscenza effettiva di questi libri di cui si sta parlando.
Fa effetto leggere questo articolo e tanti, di fatto, equiparano la Bibbia al Corano, con la differenza che nella Bibbia c’è anche il Nuovo Testamento e nel Corano solo i moderati abbiano compiuto quel certo processo innovatore e calmante della modernità “moderata” che si irrita nel leggere di violenze, morte e vendette. Le cose non stanno affatto così. Una corretta e sana esegesi porta senza il minimo dubbio ad una comprensione ben diversa dal comune dire e pensare.
Tutto il Vecchio Testamento è propedeutico al Nuovo. La sua lettura mette davanti all’uomo la perfetta giustizia di Dio che non può essere calmierata o sminuita. La giustizia divina è assoluta come lo è anche il suo amore. Le qualità e gli attributi di Dio non sono a reparti stagni, ma fanno tutt’uno del suo Essere. Dio è totalmente giusto come è altrettanto e totalmente amore. Totalmente omnisciente come è anche onnipotente. Immanente e anche presente in ogni singola parte e situazione. Il messaggio “evangelico” trova posto già nei primi capitoli della Genesi (protovangelo), e la Legge divina non viene annullata ma confermata da Gesù Cristo stesso che afferma: «Il cielo e la terra passeranno ma la parola di Dio rimane in eterno.»
In questa prospettiva va letto tutto il messaggio biblico senza contraddizioni e senza cambiamenti e/o evoluzioni. Dio è sempre lo stesso, così come è sempre lo stesso il suo messaggio per l’uomo peccatore.
Cosa diversa è del Corano. Senza citarne Sure e versi estrapolati, la sua introduzione è una chiara dichiarata guerra agli ebrei e ai cristiani, colpevoli d’aver falsificato il messaggio di Allah (non di Dio, in quanto Allah era il capostipite di una pletora di divinità, appunto pagane).
Cercare un compromesso, o diluire la violenza espressa dal Corano è a mio modestissimo parere, un errore madornale che mina (anche inconsapevolmente) l’autenticità, l’autorità e l’affidabilità delle Scritture (la Bibbia che per definizione è una raccolta di scritti sacri).
Infatti, la conclusione dell’articolo, accomuna “quelli che hanno una malattia nel cuore”. Di fatto sta accumunando credenti nella Bibbia e credenti nel Corano. E per fare questa equazione viene citato Matteo: «Molti verranno nel mio nome per trarvi in inganno, ma è necessario che ciò avvenga.»
Sono parole che Cristo ha pronunciato e che mettono in guardia da quelli che pretendono parlarci da parte di Dio ma non lo sono. I falsi profeti. Gli anticristo. I nuovi messia di turno. Non tutto fa brodo. E non tutto quello che si ritiene sacro lo è. L’islam si sintetizza con “sottomissione”. Il Cristianesimo si sintetizza con “libertà”.
Scusate se è poco.
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RISPOSTA Pasquale Cannatà
Gentile sig. Guerino,
nel mio articolo sottolineavo il fatto che mentre Gesù ci ha invitati a separare la vita civile dai problemi di Fede e, parlando in parabole, lascia spazio alla libera interpretazione sempre col metro dell'amore verso tutti, l'islam interpreta alla lettera il Corano. Tuttavia a ben leggere quel testo per loro sacro, ci sarebbe spazio per interpretarlo con amore se si volesse mettere in pratica il versetto 7 della sura 3 (...il Corano contiene versetti espliciti, che sono la Madre del Libro, e altri che si prestano ad interpretazioni diverse) e quello 8 della sura 5 («Non vi spinga all'iniquità l'odio per un certo popolo. Siate equi: l'equità è consona alla devozione»).
Come l'Antico Testamento contiene resoconti di azioni di guerra e regole di vita quotidiana poi superate dalle parole di Gesù, così molti versetti del Corano dovrebbero essere visti come relativi a quei primi anni per poi dare spazio alle indicazioni contenute nei suddetti due versetti.
REPLICA Guerino De Masi
Con tutto il rispetto dovuto, non condivido la sua sintesi. Se per la Bibbia si concorda comunemente la necessità di una buona esegesi, così non è per il Corano che non ammette interpretazioni. Le consiglio di ascoltare un intenditore di Corano per averlo studiato e vissuto per molti anni: si tratta del dr. Magdi Cristiano Allam.