(27.12.15) CONSIDERAZIONI DOPO LA LETTURA DEL LIBRO "RICORDI DI UN RAGAZZO PORTIERE" (Giuseppe Ramunno) - La lettura del libro Ricordi di un ragazzo portiere di Alfredo Distilo, dedicato con grande tenerezza al suo paese, Galatro (RC),e alle persone della sua adolescenza/giovinezza, è l’occasione per ricordare all’autore alcuni momenti relativi agli anni in cui ci siamo conosciuti nel mio paese, S. Paolo di Civitate (Foggia) e poi, succintamente, per scrivere, senza pretese di giudizio, una qualche impressione/opinione sul suo libro.
Mi chiamo Giuseppe (Peppino) Ramunno, classe ’54 (19 di marzo), sono di S. Paolo di Civitate (Foggia), paese di 5.000 abitanti circa di cui la maggior parte sono braccianti agricoli, molti i contadini - come i miei genitori - poche le “famiglie dei ricchi”, comunque legati alla terra, qualche nobile decaduto e pochi gli artigiani ormai, oggigiorno, quasi del tutto scomparsi.
S. Paolo, 183 m/slm, a 30 Km dal mare (sia di Chieuti che di Marina di Lesina), dista 12 Km da S. Severo, la città più importante (oltre 50.000 abitanti) per il suo tessuto economico, tra quelle con i cui territori confina (Torremaggiore, Serracapriola, Chieuti, Apricena, Poggio imperiale, Lesina) ed è attraversato dalla vecchia Strada Statale 16, dalla quale, in passato, traeva molta vitalità. A S. Paolo, negli anni 1970-71-72-73 (come tuttora), non c’era alcun Istituto di Scuole medie superiori, mentre a S. Severo, oltre a “niente di meno che” la Standa (Alfredo si ricorderà!) e ad un bellissimo Teatro, c’erano (e ci sono) tutte le Scuole medie superiori diversamente frequentate da noi studenti sampaolesi: molti agli Istituti professionali e agrari, le ragazzine soprattutto alle Magistrali, pochi allo Scientifico e pochissimi, me compreso, al Classico. Giungevamo ai diversi Istituti a piedi, dopo che due autobus regionali, “la corriera” (SITA) e/o un autobus privato, avevano trasportato la nostra chiassosa orda studentesca di S. Paolo, dalla Piazza del Paese a S. Severo, “scaricandoci” in Piazza Plebiscito o alla Stazione ferroviaria.
Già questo tragitto per alcuni di noi è stato galeotto, ha favorito incontri, simpatie, storie, amori ecc. lontano dagli occhi vigili dei familiari nel nostro Paese. A S. Severo, al contrario, ci si sentiva un po’ più liberi (diciamo, più sinceramente, che le ragazze si sentivano un po’ più libere e, comunque, più predisposte ad occasioni di incontro che nel Paese erano loro negate o rese difficili).
In questo contesto, abbastanza simile a Galatro, forse, diciamolo, solo un po’ più aperto quanto a incontri “di socializzazione” con le ragazze (anche perché i fatti raccontati dall’autore nella sua testimonianza di affetto per il suo paese e per i personaggi, sportivi e non, della sua infanzia in Calabria, risalgono a qualche anno o almeno ad un decennio prima rispetto al suo breve soggiorno, come Geometra, in Puglia, tra San Severo e, in particolare, San Paolo), in questo contesto, dicevo, ho conosciuto Alfredo Distilo, ‘u Calabbrés, di qualche anno maggiore di me, quindi nei miei anni di gioventù, a cavallo degli ultimi anni di Liceo (1971/72) e l’inizio degli studi di Medicina, fuori, a Bologna (1972/73).
Dunque, il segmento temporale durante il quale ci siamo conosciuti e frequentati con Alfredo è stato, in fondo, veramente molto breve ma, come si dice, se i rapporti di amicizia sono sinceri, autentici, è la loro intensità che conta e che li fa durare. Niente altro. Per questo, ancora oggi, nonostante viviamo abbastanza lontani (lui tornato alla sua Galatro, sposato con la sua fidanzata di allora, Rinuccia Cannatà e io che vivo in Molise, a Termoli, sposato con la fidanzata di sempre, Annarita), nonostante tanto tempo sia trascorso, io mi sento un amico vero di Alfredo e, ne sono certo, anche lui pensa lo stesso di me. Non so se riesco a esplicitare quello che voglio dire. Nonostante la lontananza e la non frequentazione per motivi che solo il destino conosce, ognuno di noi due sa che può contare sull’altro per ogni evenienza: che si trovi di passaggio (personalmente, o un proprio familiare stretto, o un amico) e/o che voglia fermarsi per un po’ di tempo, e/o che abbia bisogno nel territorio di vita dell’altro, di un suggerimento, un’indicazione, una qualsiasi cosa... ecco, io e Alfredo sappiamo reciprocamente di poter contare l’uno sulla disponibilità dell’altro. La proprietà transitiva applicata fuori dei canoni della matematica. E questo a distanza di oltre 40 anni!
Allora, Alfredo lavorava e condivideva l’alloggio “foggiano” con un certo Paolo di Forlimpopoli, molto diverso da lui, non proprio ben visto dagli amici comuni di S. Paolo (un settentrionale, tutto io qua, io là...) mentre Alfredo per educazione, riservatezza e, come dire, “compostezza comportamentale” fu subito ben voluto da quei tre/quattro “personaggi” giusti sampaolesi che, poi, con grande facilità, lo introdussero, nel giro delle conoscenze e della “buona società” sampaolese, delle feste private (mi riferisco, tra gli altri, per esempio a Elio Reale, Gino Manes, Ottavio Delle Vergini...).
Dico io (ma è fatto oggettivo) che, allora, Alfredo era un bel ragazzo, moro, mediterraneo, semplice ma di una eleganza pulita e piaceva molto... alla gente; inoltre, dicevano gli altri (e qualcuno dice ancora oggi), che anch’io, allora, avevo le carte in regola per essere simpatico, diciamo un po’ “apripista” a “belle” conoscenze ma anche “buone”, nel senso di generose, di livello, conoscenze che, insomma, incarnavano il ben noto principio greco del kalòs kagathòs. Quando si dice la ricerca della cultura che ha sempre caratterizzato noi meridionali, mediterranei! Una coppia di amici niente male, sempre alla ricerca di un miglioramento interiore, culturale!
Avevamo due caratteri molto diversi: Alfredo molto schivo, riservato, a tratti introverso, con un tantino di diffidenza (che non guasta fuori del proprio ambiente) ma propenso, comunque, al confronto e al dialogo, una volta appurata la correttezza di un soggetto, mentre io molto più aperto, estroverso, molto più socievole, un po’ più avventuroso, a tratti sfacciato e loquace. Quest’ultima caratteristica (la mia facilità di parola più che loquacità) non esattamente confacente al carattere di un calabrese come Alfredo, giovanissimo professionista, già fuori casa in cerca di un futuro che la sua terra, amata e difficile, allora non poteva garantirgli ma sempre con il sogno di tornarci e metterci famiglia con l’amata Rina, non impedì l’instaurarsi, tra me e Alfredo, di un feeling epidermico di amicizia basato sul fatto, tacito, che certo chi non parla (lui) non puo’ sbagliare ma se uno parla (io) ma non dice cavolate, puo’ essere altrettanto meritevole di considerazione, certo dopo dimostrazione da parte del più giovane di essere corretto e all’altezza, in ogni situazione.
Succedeva così, come succede in ogni paese, quanto più è piccolo, che i ragazzi della mia età, solo se svegli, pur se di età minore, fossero presi a ben volere da quelli un po’ più grandi di età che “se li portavano” con sé, anche perché loro, i più grandi, e, dunque, anche Alfredo (classe 1947, accortamente mai menzionata nel suo libro), in genere avevano la macchina, l’autovettura, (Alfredo aveva una Fiat 128, rossa, un bolide), mezzo incredibile di socialità locale (del paese e… appena fuori) ed extralocale (proprio fuori paese: Gargano, San Nicandro, S. Severo...). Questa amicizia consolidatasi pian piano e veramente di reciproca stima, complicità e sincerità, tra me e Alfredo, culminò nella sua richiesta di fine luglio 1973 di fargli io da testimone insieme con Ottavio Delle Vergini, altro grande amico di Alfredo, anche lui di S. Paolo di Civitate, tuttora bravissimo Chef, al suo matrimonio con Rina che si sarebbe dovuto celebrare, come si è celebrato (ma con le modalità di un “giallo” di cui dirò appresso), a Galatro, il 16 di settembre del 1973.
Io, ovviamente, accettai, onorato, con molto piacere l’invito e partimmo per Galatro con l’auto di Alfredo con Gino Manes e Ottavio Delle Vergini, non ricordo se uno o due giorni prima; sicuramente c’era un’altra vettura per il ritorno ma non ricordo con precisione. In realtà per me fu la seconda volta a Galatro, perché, già precedentemente, Alfredo mi ci portò, facendomi conoscere la sua famiglia che mi ospitò alla nota maniera dei molti calabresi che ho conosciuto nella mia vita (mi rimane ancora impresso il volto carismatico del padre, che dopo tutta una serie di discorsi - più miei - sentenziò: ”Simpatico questo ragazzo...”) e Rina, la fidanzata, promessa sposa e qualche membro della famiglia di lei. Non vi dico le mangiate (e le bevute), con quell’ospitalità incredibile.
Finalmente arriva il 16, il gran giorno. Grande colazione a casa Distilo. Di Alfredo, nemmeno l’ombra. Per discrezione io, Ottavio e Gino non chiediamo nulla. Tutti già vestiti da cerimonia, usciamo, ci facciamo una passeggiata in paese, una sigaretta, qualche caffè, la sensazione di essere un po’ additati come forestieri, sì forestieri ma amici della famiglia Distilo e Cannatà (quanto bastava per stare tranquilli), ritorniamo verso casa Distilo. Bussiamo: non risponde nessuno. Ci chiediamo se non sia successo qualcosa, ma non osiamo fare domande. Ritorniamo in giro e, ben presto, si fanno le 12.30/13.00 e, non avendo altro riferimento in paese che casa Distilo, ci ritorniamo e troviamo Alfredo, appena scaraventato giù dal letto e rimbrottato dalla madre con la casa in subbuglio per il ritardo.
Io non riesco a immaginare cosa successe, nel frattempo, a casa di Rina Cannatà, prossima Signora Distilo, presa sicuramente, con tutto l’entourage di circostanza di parenti e amiche, con i preparativi nuziali precerimonia. Fatto sta che la cerimonia iniziò alle ore 16,00 con il Parroco e lo sposo sull’altare ad “attendere” la sposa. E qui, come se non fosse bastato tutto quel ritardo, successe l’altro fatto incredibile. Sposi a posto, prete celebrante in paramenti d’occasione a posto, testimoni a posto, parenti e invitati a posto, addobbi a postissimo.
Inizia la funzione, scambio delle fedi, pronuncia del parroco: “Vi dichiaro marito e moglie, secondo il rito di santa Romana Chiesa”, firma dei testimoni, ”Prego i testimoni di avvicinarsi e darmi i documenti di riconoscimento”, dice il Parroco. Ottavio Delle Vergini esibisce la sua patente: tutto a posto. Io esibisco la mia carta di identità e di colpo il celebrante assume nel viso un’espressione turbata e dice: “Alt, qua non si puo’ fare niente”. Panico mio e, penso, di tutti. Io dico con meraviglia: “Cosa non si può fare?" "Tu sei minorenne per la Chiesa perché non hai ancora 21 anni, ne hai solo diciannove”, mi risponde lui. Fu allora che capii la prima volta che il diritto canonico vedeva diversamente le cose dal diritto civile di Stato. “E allora?”, dissi io con un po’ di sfacciataggine. “Occorre assolutamente trovare un altro testimone maggiorenne altrimenti...” disse con malcelata pacatezza il parroco, sicuramente anche per l’ora che s’era fatta. Così, in un secondo (ecco una delle tante vendette degli uomini di Chiesa nei miei riguardi), come si può immaginare, fui spiazzato e sostituito da Gino Manes il quale aveva già appena compiuto i 21 anni e a cui, obtorto collo, dovetti lasciare il posto di compare di nozze di Alfredo. Così il matrimonio, con santa pace di tutti, venne “puntualmente” e compiutamente celebrato.
Certo, il commento di qualche invitato, scocciato per l’ora come il parroco, sarà stato: “Ma Alfredo, questi testimoni, come se li è andati a cercare, con il lanternino?" Poche volte, dopo che Alfredo tornò a vivere in Calabria con Rina e i figli che vennero dopo – Nuala (spiccicata al padre), Paola e Sandro -, ci siamo rivisti, fino a scoprirci, di recente, su FB (i miracoli della rete!) e, così, riprendere un dialogo interrotto solo a parole e mai nella mente e nei ricordi di una stima e di un’amicizia, la nostra, sempre viva.
Una volta ci vedemmo a Nicotera dove con la mia famiglia passai una bella settimana di vacanza in un villaggio turistico del posto ed una volta ci vedemmo a Termoli dove Rina, Alfredo e, allora, solo Nuala vennero a trovarmi con Ottavio Delle Vergini e la moglie Filomena dai quali erano ospiti a S. Paolo di Civitate, il mio paese. E non restarono a Termoli. Poi il contatto su FB, il libro di Alfredo dedicatomi in doppia copia (anche questa una storiella niente male) come occasione di queste considerazioni sulla nostra amicizia, più che l’occasione di un giudizio, meglio di un’opinione “letteraria" sul libro di Alfredo.
Che dire? Parandosi dietro quell’aria di chi scrive senza pretese, un po’ schivo, di chi, con pudore, scrive cose che forse altri avrebbero scritto con il linguaggio ed il piglio del vero scrittore, il nostro Alfredo, invece, riesce con efficacia a far risaltare, a tutto tondo, direi anche con baldanza, un mondo sincero e primitivo palpitante di luoghi, strade, botteghe, bar, spiazzi, vicoli, case, di personaggi, di amicizie, di sguardi di intesa, di primi amori, di rivalità, con un animo che trasuda i sentimenti elementari e atavici (ecco perché primitivo) del vivere di una comunità in cui anche il calcio, ma quello descritto da Alfredo, giocato con la passione di esserci a giocarlo, succeda quel che succeda, a discapito di tutto e di tutti, quello che aveva il sapore del riscatto per un gruppo di ragazzi di cui Alfredo era un pezzo importante e per la comunità, quella galatrese, che quel gruppo si sentiva fortemente investito di rappresentare.
Ecco perché anche i riferimenti ai grandi portieri, campioni inarrivabili e perciò modelli di vita, non suonano come retorici ma sono espressione di valori ricercati e coltivati sin dall’adolescenza. La porta inviolata, l’impegno dell’ultimo difensore, la salvezza o la promozione o la retrocessione della squadra ecc… come se tutti questi eventi fossero legati solo alla figura del “portiere”. E tutto ruota intorno alla squadra di calcio, anche l’intreccio del ricordo dei primi amori con la partita, la bella figura da fare agli occhi di qualcuno che ti guarda giocare, come se l’impegno espletato sul campo di calcio misurasse, in qualche modo, le capacità, un domani, di saper tenere le redini, per decisioni più importanti, in una parola la capacità di essere uomo.
Il resto è un po’ più espositivo e piuttosto convenzionale: mi riferisco, per esempio, alla dichiarata “passione” per il ciclismo. La chiamerei più tifo per l’uno o per l’altro campione di turno e di moda. E non è sufficiente praticare, anche con buone prestazioni, certamente in funzione dell’età, lo sport della bicicletta, dichiarato dal nostro caro Alfredo come seconda passione, per tirar fuori quanto, invece, in modo più spontaneo, pur giocando sempre con una stessa divisa e con un pallone di cuoio che gli spellava le mani senza guanti se lo bloccava male, aveva saputo fare da portiere del Galatro, anche sbagliando clamorosamente e prendendo goals ma sempre con la voglia di riscattare l’errore e fare sempre meglio, per se stesso, senza antagonismo, certo con sana rivalità, da vero numero 1.
Un abbraccio, caro Alfredo, a te, a Rina, sicuramente grande donna al tuo fianco, ai tuoi figli e ai tuoi nipoti tutti ed un augurio di buone feste. Ti lascio con la speranza di poterci vedere quanto prima. Con l’amicizia di sempre... Peppino Ramunno
Nelle foto: in alto la copertina del volume pubblicato recentemente da Alfredo Distilo "Ricordi di un ragazzo portiere"; in basso un'altra grande passione di Alfredo, la bici da corsa.