(17.5.09) DON AGOSTINO: A SETTE ANNI DALLA MORTE (Michele Scozzarra) - Ricorre lunedì 18 maggio il settimo anniversario della morte del caro don Agostino Giovinazzo: ciascuno di noi che lo abbiamo conosciuto, porta nel cuore un proprio ricordo, che si fa più vivo e commosso nella ricorrenza della sua morte.
Sarebbe bello avere la possibilità di poter raccogliere i ricordi che tanti nostri parrocchiani conservano, nella profondità dei loro cuori, e tessere un mosaico che delinei i contorni più significativi della figura di don Agostino.
Anch’io custodisco tanti, tantissimi, ricordi di don Agostino, dai quali continuo, ancora oggi, a trarre motivo di attonita commozione: per la sua intelligenza fortemente intuitiva, per il suo animo di una mitezza e di una semplicità e riservatezza sorprendenti e, soprattutto, per il suo grande cuore… un cuore candido, perfino ingenuo come quello di un bambino, un cuore generoso… il cuore di un autentico pastore.
In questa occasione, mi piace ricordare don Agostino, riproponendo quanto ho scritto nel giorno della sua morte.
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Sabato 18 maggio, stroncato prematuramente da un male incurabile, è morto in un Ospedale di Verona, don Agostino Giovinazzo, Parroco di Galatro sin dall’ottobre del 1974.
Un lungo rintocco di campane, nella mattinata, ha annunciato ai galatresi che le loro preghiere non erano state esaudite, il Signore aveva chiamato a sé don Agostino, nonostante lui desiderasse di tornare tra la sua gente, così come ha manifestato nelle sue due ultime lettere inviate ai cittadini ed ai parrocchiani: “Spero, con l’aiuto di Dio, di tornare tra di voi sano e pronto a riprendere il lavoro interrotto; se poi ha deciso diversamente, sono sempre pronto a fare la sua volontà... Quando tornerò, vi ringrazierò, uno per uno, con tutto l’affetto possibile, che non potrà mai essere uguale al sostegno fisico e morale che mi avete dato. Se torno guarito, la maggior parte del merito l’avete voi che mi avete sostenuto con le vostre preghiere e poi con affetto e stima: sono stati una meravigliosa sorpresa, non sapevo di avere tanti amici così sinceri e vi chiedo perciò scusa e non me ne sono accorto prima”.
Chi scrive, in questo momento, fatica non poco, tra emozione e dispiacere, ad andare avanti nello scrivere, per il timore di non riuscire a comunicare le cose che vorrebbe, di non essere all’altezza di tessere il vestito più bello: non l’elogio funebre all’amico sacerdote scomparso repentinamente, non la cronaca del dolore di una intera comunità, ma la grande riconoscenza ed il profondo affetto verso l’amico perduto.
In un momento come questo, conoscendo bene don Agostino, il silenzio sarebbe stata la sola scelta naturale, per il suo sacro pudore a comunicare i sentimenti più intimi, teneri e dolorosi, ed anche se, ai nostri occhi, la sua morte può apparire prematura ed ingiusta, questo dolore ha reso evidente il legame profondo, vissuto dai galatresi con il loro Parroco, quando ancora era in mezzo a loro.
Dal Calvario della sua malattia don Agostino ha avuto modo di dire ai suoi parrocchiani: “il Signore mi ha dato una Croce pesantissima, ma col vostro sostegno e conforto l’ho portata e spero di portarla ancora, se è necessario per completare nella nostra carne quello che manca alla Passione di Gesù”; ma ha, soprattutto, avuto parole di affetto ed attenzione per tutti nella lettera inviata la notte di Pasqua: “Carissimi amici ed amiche, dopo 28 anni, purtroppo, non sono con voi a celebrare le gioie della Pasqua. Se il corpo però mi tiene lontano, i miei occhi vi vedono tutti indistintamente. Vedo il coro delle ragazze che tremano ansiose per l’esito dei canti, vedo il gruppo dei Lettori guidati da suor Tommasina, vedo in prima fila le persone che vogliono seguire con maggiore attenzione la funzione liturgica, vedo la Cappella del SS.mo artisticamente addobbata dalla nostra Maestra fioriera, vedo anche i giovani in fondo alla Chiesa che parlano e scherzano con il braciere: siete tutti davanti a me, non mi sfugge nessuno dagli occhi, vi vedo a uno a uno: siete la famiglia di Dio, e se permettete anche la mia famiglia, riunita per la festa e, come in ogni casa, ci sono i figlioli buoni e quelli più discoli... Ringrazio di tutto cuore e con tutto l’affetto possibile il buon don Cosimo che egregiamente mi ha sostituito: la fraternità sacerdotale si dimostra nelle necessità e nel bisogno e lui è stato così bravo che non ha esitato a prendersi cura delle vostre anime... Spero solo che non lo abbiate assillato: aspettate me per assillarmi”.
Anche le parole rivolte al Sindaco, testimoniano una grande sensibilità e una riconoscenza particolare anche verso il Vescovo della Diocesi, Mons. Luciano Bux: “Egregio Signor Sindaco Giovanni Papa, La ringrazio vivamente per avere presenziato il Giovedì Santo le funzioni parrocchiali insieme alla comunità ed al Vescovo... una giornata che per la storia di Galatro deve essere annoverata tra le più belle ed importanti: mai, a memoria d’uomo, si è visto un Vescovo che, in uno dei giorni più solenni della liturgia cattolica, abbia lasciato la Diocesi per recarsi in una parrocchia a sostituire il parroco malato. Avrebbe potuto benissimo mandare un sostituto; invece, con un gesto di nobiltà d’animo verso di me e verso Galatro è stato lui stesso a celebrare la liturgia del Giovedì Santo. E Galatro ne deve essere orgogliosa, ricordandolo con gratitudine”.
Don Agostino Giovinazzo, originario di Cittanova dove era nato nel 1945, era stato ordinato sacerdote l’8 dicembre del 1971 da Mons. De Chiara, vescovo di Mileto, ed era arrivato a Galatro nell’ottobre del 1974, a sostituire il compianto don Rocco Distilo. Oltre ad essere il Parroco di Galatro, da molti anni era docente all’Istituto Superiore di Teologia di Palmi, nonché collaboratore della Cancelleria Vescovile della Diocesi di Oppido-Palmi, dove tutti lo ricordano per le sue grandi doti intellettuali ed umane.
Nel giorno del suo venticinquesimo anniversario di sacerdozio, durante la cerimonia in suo onore, aveva espresso, con semplicità ed umiltà, il profondo attaccamento al popolo di Galatro che gli era stato affidato, e oggi quelle parole, unite alle due lettere inviate durante la sua malattia, rappresentano il suo testamento spirituale: “Un pensiero a Mons. De Chiara che mi ha elevato alla dignità sacerdotale... una cara persona che per me ha avuto atteggiamenti paterni... la domanda più ricorrente di questi giorni è: sono stato all’altezza del compito affidatomi? Ho fatto quanto era in mio dovere fare? Potevo fare meglio e invece non l’ho fatto? Spero che i miei superiori ed il popolo di Galatro, dove ho vissuto la maggior parte dei miei anni, siano benevoli nel giudizio... Ognuno di noi avrà motivo, dentro di sé, per dire grazie a Dio ed io ho un motivo in più per dire grazie anche a voi tutti che questa sera mi onorate in tal modo: Vi dico di tutto cuore grazie e vi chiedo perdono dei miei errori. Pregate il Signore per me”.
L’Amministrazione comunale di Galatro, interprete dei sentimenti del popolo di Galatro verso il loro sacerdote, ha proclamato una giornata di lutto cittadino nel giorno dei funerali, mentre i parrocchiani hanno voluto ricordare don Agostino con una veglia di preghiera.
Certamente, in vita don Agostino non avrebbe amato sentir parlare tanto di sé e, come al solito, mi avrebbe detto: “Lascia perdere...”. Ma, sono sicuro che, in questo momento, non gli spiacerà, perché questo servirà a far riconoscere come buono e vero, ciò che Dio chiede a ciascuno, anche quando si tratta del sacrificio di sé: anche se il dolore continua. Continua prima di tutto nella preghiera: per lui e per le persone che ha incontrato nel corso del suo ministero sacerdotale. Continua nel doloroso umile riconoscimento della nostra nullità, della nostra fragilità e nel nostro doverci riconoscere solo nel disegno tracciato su di noi dal Padre; e questo tanto più, quanto, ai nostri occhi, quel disegno sembra superarci ed essere duro da accettare.
Ma solo accettando questo misterioso disegno, si può continuare a ricordare ed abbracciare l’amico sacerdote che non si potrà dimenticare mai.
Ciao don Agusto... grazie di tutto.
Nelle foto: in alto Don Agostino con la piccola Claudia, nipote di Michele Scozzarra; in basso in concelebrazione con il vescovo Crusco.
(20.5.09) DUBBI E CERTEZZE DI LAICI E CATTOLICI (Pasquale Cannatà) - Carissimi lettori,
mi scuso se torno ancora sull’argomento, ma vi avevo avvisati ad inizio anno che non sono un bravo scrittore ed avevo chiesto clemenza in anticipo: succede che non avendo una preparazione adeguata, quando scrivo non ho sempre chiaro tutto quello che c’è da dire sul tema trattato e risulto incompleto nell’argomentazione. Mentre per i commenti alla Bibbia programmati ogni 3 o 4 settimane spero di essere esauriente avendo parecchio tempo a disposizione, il chiarimento sul rischio di integralismo e sui dubbi e le certezze di laici e cattolici fatto di getto in poche righe la volta scorsa, mi sembra ora necessiti di ulteriore analisi e se me lo concedete vado a precisare.
A proposito di integralismo e di fondamentalismo, nella Chiesa oggi militano tante persone che per evitare questa accusa si adattano ai tempi e si definiscono cattolici adulti, come hanno fatto Prodi, la Bindi ed altri, ma Ratzinger ci aveva già messo in guardia con queste parole: "avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare ‘qua e là da qualsiasi vento di dottrina’, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie. Noi, invece, abbiamo un’altra misura: il Figlio di Dio, il vero uomo. É lui la misura del vero umanesimo. ‘Adulta’ non è una fede che segue le onde della moda e l’ultima novità; adulta e matura è una fede profondamente radicata nell’amicizia con Cristo".
Spiega ancora il cardinale Siri: “Gli uomini si ritengono liberi, ed è questa loro opinione, di essere liberi perché è scritto nei testi giuridici, il massimo momento e manifestazione della loro servitù. In realtà molti vivono sotto una dittatura: la dittatura dell’opinione. La prima e fondamentale dottrina del potere di questo mondo è l’affermazione: non c’è verità… La differenza principale tra ‘civitas mundi’ e ‘civitas Dei’ non sta sul contenuto, ma sull’esistenza della verità. Se non c’è nulla di vero, allora l’unico principio che conta è l’utile”.
Mi sembra lo stesso concetto che esprimevo io a fine gennaio nel primo della serie di commenti alla Bibbia: O vorremmo un Dio obbediente ai nostri comandi (‘scenda dalla croce e gli crederemo!’), che faccia i miracoli su ordinazione? O una Chiesa che si adegui alle mode ed ai costumi del tempo? (Alcuni la riterrebbero più facile da accettare, da seguire, ma non sarebbe più una Chiesa ‘credente’, ne tanto meno credibile).
Peraltro, scrive A. Socci (e penso al teologo Mancuso, ad Augias, Odifreddi, ecc.) “la dittatura dell’opinione in cui viviamo si ripercuote anche nella vita ecclesiastica… Oggi, ogni teologo che passi per iconoclasta, liberatore, innovatore, è subito captato da un’editoria compiacente, che diffonde per tutti i canali dei mezzi di massa questo dissenso confortevole, questa iconoclastia per amor del comodo e del successo. Il divismo di teologi, di scrittori, di figure della protesta: ecco un dolore, una sofferenza per la Chiesa di oggi: coloro che denigrano il passato della Chiesa per affermare che è proprio dal rinnegamento di esso che la Chiesa riemergerà più autentica”.
Ora a me sembra che sia successo per la cultura laica la stessa cosa che è capitata ai sindacati: nati giustamente per porre rimedio ai soprusi degli industriali riguardo ai tempi ed ai metodi di lavoro ed al giusto compenso dovuto agli operai per le mansioni svolte, andando avanti negli anni hanno alzato il tiro delle loro rivendicazioni e molto spesso hanno esagerato nelle richieste contro i 'padroni' rischiando di portare al fallimento le aziende e quindi sul lastrico gli stessi operai che volevano difendere.
Allo stesso modo le sacrosante critiche a quel che facevano alcuni (non fa differenza neanche se sono stati molti o se altri lo fanno ancora oggi) rappresentanti del clero non si sono fermate a quel singolo aspetto, ma hanno dilagato oltremodo, arrivando a rifiutare la Parola che invece mantiene la sua validità: non possiamo non dirci Cristiani, nessuno, ed ogni Diritto Umano comunque e da chiunque sbandierato non esisterebbe senza il Vangelo.
Vittorio Messori ha scritto “nessuno è in grado di dare una risposta ragionevole alla domanda: Perché fare il bene e non il male se facendo il male me ne viene un vantaggio e non sarò punito? Trovo inutile appellarsi alla coscienza, che è una realtà cristiana. Qual è la ‘coscienza’ dell’indigeno antropofago?” e noi potremmo continuare valutando la 'morale' islamica, ecc...
Ci troviamo dunque nella famosa situazione di chi butta via il bambino insieme con l’acqua sporca.
Per quel che riguarda il secondo punto oggetto di questa riflessione, e cioè i dubbi e le certezze, credo che persone di un alto livello culturale (valutate voi, dopo aver letto l’articoletto che allego, in che posizione collocare il giornalista Alessandro Cecchi Paone ed il prof. dott. Umberto Veronesi, ministro della sanità durante il governo Amato 2000/2001) li vivano allo stesso modo, siano essi credenti o atei, ma state sicuri che per la gran parte di questi ultimi che hanno una cultura nella media o più giù, sono attendibili le statistiche che ho citato nel mio precedente articolo riguardanti gli acquisti fatti (su dove e su cosa si compra).
Ad ognuna di quelle persone che ostentano le loro certezze mi sento di dare il seguente consiglio: ‘abbi dubbi’, come cantava Edoardo Bennato, e risolvendoli troverai la strada giusta anche prima di me e di tanti che ci crediamo cattolici ma ci troviamo ancora in mezzo al guado perché pur conoscendo la direzione verso cui andare non abbiamo la forza ed il coraggio di seguire la via che porta alla meta, in quanto è stretta ed irta di ostacoli.
Per quelli che hanno piacere a leggerli, tra 3 o 4 settimane riprenderemo i commenti alla Bibbia, ed essendo arrivati alla torre di Babele con il capitolo 5, il prossimo sarà il sesto e parleremo di Abramo.
(15.6.09) L'ITALIA, GALATRO E LE ELEZIONI COMUNALI DEL DUEMILAUNDICI (Arianna Sigillò) - Dopo questo mio lungo periodo di "letargo" rieccomi. Ci sono un paio di argomenti su cui vorrei dibattere, ma per adesso credo che mi limiterò a dire la mia sulla politica del nostro paese (l'Italia). Innanzitutto se la chiamano "Il bel paese" un motivo, e anche più di uno, c'è. La legge funziona poco e anche male, procedure legali troppo lunghe, molto spesso archiviate per prescizione. Poi, la legge è uguale per tutti... ma dove? Sull'incisione presente nelle aule di tribunale.
Entra un ladro in casa, si hanno due possibilità: farsi rapinare tranquillamente e magari anche pestare, seviziare e perchè
no, anche sparare tanto poi provvederà "la legge", "le autorità"; oppure cercare di reagire, magari tentando di attaccare per primi la controparte qualora ce ne fosse la possibilità. In qualche modo bisogna pur difendersi verrebbe da pensare. E invece no, entrambe le situazioni vanno a scapito della mal capitata vittima: nel primo caso, qualora le autorità riescano ad acciuffare il o i colpevoli, li arrestano ma senza giusta condanna perchè, vuoi l'amnistia, vuoi la buona condotta o anche i domiciliari, saranno sempre liberi di poter "operare di nuovo"; nel secondo caso se si è fortunati a colpirli, e magari ferirli, si viene arrestati per "tentato omicidio". Allora mi chiedo: quale giustizia?
Allora penso che probabilmente con l'evolversi del "pensiero sociale" si è evoluto, magari cambiato ma, perchè no, annullato completamente il reale significato di tale parola! Inutile qualsiasi paragone con qualsiasi altro stato europeo: troppi deputati, troppi senatori e onorevol vari. Sono loro la principale causa del malessere, se così lo vogliamo chiamare, della nostra società multietnica che mai come oggi ha avuto bisogno di una stabilità politica al momento inesistente.
Parlano di crisi, Berlusconi invita i cittadini a spendere, in Abruzzo crolla tutto e lui dichiara a "Matrix" di aver speso 100.000 euro per ospitare una settimana in albergo (ora non ricordo ben chi) con i suoi collaboratori, fatti venire in Italia con jet privato ovviamente! E' questo il giusto modo di fare politica? E' giusto che di fronte ad un disagio cosi forte dei cittadini italiani i nostri politici continuino a percepire salari esorbitanti, a non pagare di tasca propria voli, viaggi, pranzi (ufficiali e non) e persino 5000 euro di dentista a carico della popolazione?
E' giusto che gli stessi prodotti per bambini venduti in Italia costino tre volte di più che in molti altri stati? E' giusto che il prezzo del greggio al barile andava dimnuendo, sia diminuito e in Italia il prezzo della benzina era ed è rimasto invariato? E'giusto che lo Stato fornisca enormi quantità d'euro per finanziare opere pubbliche nelle varie regioni, o per i vari progetti, e che poi se ne disinteressi completamente senza accertarsi che quanto finanziato sia andato in porto? E' giusto che lo stato dia carta bianca alle banche in tutte le loro operazioni senza garanzie vere né tutele alcune nei confronti dei cittadini?. Hanno proprio ragione, è proprio un bel paese l'Italia!
Non avrei mai pensato che un giorno io potessi dire queste parole, ma mi trovo molto d'accordo con Domenico Distilo circa "i berlusconismi", esauriente descrizione della situazione politica attualmente vigente in Italia, anche se mio malgrado non posso fare a meno di notare una certa "somiglianza" con la situazione politica "vigente" a Galatro. Da svariati anni, all'incirca quindici?, anche qui si continua a credere alla Befana e, come ad ogni fine mandato quinquennale, anche qui si vuole pensare: "Non l'hanno lasciato fare", "non ha potuto perchè...". Allora vorrei ricordare: cambiano i "pupi" ma a manovrare i fili sono sempre le stesse persone!
Ho sentito vociferare, un po' qua, un po' là qualcosa circa le future elezioni comunali che si andranno a svolgere nel 2011 a Galatro, qualche informazione riguardante alcuni dei membri di una possibile lista. Ancora ora nel pensarci mi viene da ridere, ma nulla di più posso fare dato che di certo non vi è nulla e per le prossime elezioni mancano ancora 2 anni all'incirca.
Indipendentemente dalle ideologie politiche che possano essere di destra, di sinistra, bianchi o rossi, tromba o pala e via discorrendo, siccome un po' tutti sembrano accorgersi del "periodo buio" che sta attraversando Galatro di questi tempi limitandosi a "dire" tante "belle parole" ma nessuno a metterle in atto in maniera concreta, io penso che una svolta in positivo si possa avere, perciò vorrei fare una proposta (se l'interesse per far riemergere Galatro è reale): creare una futura lista elettorale con capogruppo Rino Dell'Ammassari, il professore Galluzzo in vice, il marito di Zina Mandaglio (di cui, chiedo scusa, ma non ne ricordo il nome) e il cognato Sergio, un Luigi Scozzarra, magari un Fortunato Lucia per esempio e, come unica donna (a mio avviso) a Galatro in grado di fare una politica intelligente, con del carisma e una cultura eccezionale, potrebbe essere la professoressa Concetta Manduci.
Qualora ciò potesse mai realizzarsi, per partire, o comunque si potrebbe provare e chi lo dice che non si potrebbe dare (finalmente) una svolta positiva al nostro caro paesello? Così magari il pensiero generale passerebbe dal pensare "chiru\a è
antipaticu\a" a "l'importanti è mu faci cosi boni pe 'u paisi".
Spero non rimanga solo un lontano ricordo quello di Galatro in festa a carnevale, per esempio, della Termestate fatta come si deve dove noi ragazzi organizzavamo le serate in piazza, nella speranza che anche l'Oratorio possa di nuovo essere un posto di ritrovo per i giovani senza interessi "dietro", dato che in tanti ci siamo dati da fare per ripristinarlo e inaugurandolo con una splendida messa nell'ormai lontano 2005.
Non resta alro che sperare (purtroppo) ma "verba volant" (perdonate il mio pessimo latino). E' ora di passare ai fatti!
(18.6.09) LE FOTO DI BARTOLO, ARIANNA E I POSSIBILI CANDIDATI ALLE ELEZIONI (Biagio Cirillo / Daniele Fenoli) - Bartolo Furfaro sei stato un grande, con il tuo pensiero delle foto di Galatro hai commosso tutti, anche se qualcuno si è lamentato che non sei passato oltre i fiumi. Sappi che io condivido con te le foto e rimango del pensiero che la zona di Montebello è la parte più caratteristica del nostro paese.
Anche io a Pasqua ho avuto il tuo stesso pensiero, cioè di fotografare il paese in lungo e in largo lasciando in sospeso due rioni: “Pecuredju e i vecchi Casi Populari" non certo per mia volontà, ma per mancanza di tempo, ma del quartiere Montebello ho fotografato quasi tutto. Così facendo ho attraversato delle viuzze che solo in giovane età avevo percorso ma non con gli stessi occhi. Anche io come te volevo pubblicarle ma sei arrivato prima tu e sono felice, quindi prendi tutti i complimenti perché li meriti a pieni voti. Bravi anche gli amici della Redazione per aver montato il tutto per noi.
Vorrei fare i complimenti anche ad Arianna Sigillò. Sai, anche io stimo tantissimo le persone di cui tu hai fatto nomi e cognomi come possibili candidati, anzi aggiungerei Pino Pangallo, Michele Scozzarra e Domenico Distilo, tutti loro sono persone favolose, intelligenti e oneste, capacissime a mio avviso di cambiare le cose nel nostro paese ma, messe insieme, tante teste buone rischierebbero di rovinarsi, e poi di partito diverso, perché nel nostro paese si guarda il colore del partito e non la persona e le idee. Biagio Cirillo
Condivido in pieno il tuo articolo Arianna... ma non condivido i nomi per una futura lista per Galatro. Ma ci provo io a dare qualche nome:
in primo luogo Galatro non ha mai avuto un primo cittadino donna... magari il futuro primo cittadino si può chiamare, perché no, "Arianna Sigillò".
Poi si può pensare ad una lista dai 40 in giù. Allora perché non mettiamo i figli di coloro che tu hai proposto? Per Luigi e Fortunato penso che i loro figli non siano maggiorenni.
Non me ne voglia nessuno, ma è giusto fare un cambio generazionale. Daniele Fenoli
(22.6.09) RILEGGENDO L'ARTICOLO SU REITANO (Guerino De Masi) - Sollecitato da una breve, semplice e cordiale conversazione con Michele Scozzarra nell’oramai onnipresente Facebook, mi sono trovato a rileggere alcune belle pagine dell’archivio. Oltre le soavi poesie di Biagio Cirillo e altri eccellenti articoli, mi sono riletto questo su Mino: Reitano, testimone di una Calabria di Massimo Distilo.
Stamattina, ho incontrato “Gegè”, il fratello batterista del "clan Reitano". A seguito di lavori eseguiti in casa di suo genero, abbiamo stretto una cordiale amicizia di rispetto e simpatia, vuoi forse per il fatto che siamo calabresi in Agrate! Nel bar di sua figlia, in centro di Agrate, campeggia una bella foto di Mino. Nei vari locali che Gegé ha gestito, bar o ristoranti, non sono mai mancate foto ricordo di avvenimenti canori e musicali che hanno visto i fratelli Reitano protagonisti. La chioma ed il baffo di Gegè sono forse tinti, ma sono caratteristici del gruppo di cui faceva parte. Ma le foto di Mino, ai tempi degli esordi, nella sua genuina posa sorridente e su palchi d’Europa e oltre… sono emozionanti.
Al funerale, c’ero anch’io con i miei dipendenti. La chiesa è a pochi passi dal mio ufficio. Sotto vi propongo alcune foto.
Vi confesso che, oltre l’emozione, c’era anche la voglia di rivolgermi a tutto quel mondo televisivo presente e chiedergli se non ci fosse un po' di ipocrisia, visto che per tanto tempo avevano fatto di Mino un personaggio su cui sfoggiare la loro presunta superiorità con atteggiamenti che ponevano in ridicolo la genuinità del compianto Mino.
Non posso dimenticare quel duetto (mi vergogno a chiamarlo così) dove Bossi cantava "Padania" e Mino inneggiava "Italia Italia"! E questo con il compiacimento del Pippo nazionale!
Troppo spesso, onori ed elogi sono elargiti quando la persona non c’è più. Meglio sarebbe rispettare ed onorare da vivi e se c’è da dissentire, che sia anche dopo morti.
Nelle foto: vari momenti dei funerali di Mino Reitano.
(23.6.09) MICA TANTO ONESTI E LEALI QUESTI IPOTETICI CANDIDATI (Arianna Sigillò) - Caro Biagio Cirillo, mi fa piacere sapere che esiste un galatrese propenso ad un qualche cambiamento, peccato la distanza! Su alcuni dei nomi che hai fatto mi trovi abbastanza in accordo con te ma, per quanto riguarda l'onestà, l'essere favoloso o magari anche leale, nutro forti dubbi, pur non conoscendo bene la persona che magari è, ma è un fattore "epidermico", non so, è come un idrorepellente... magari mi sbaglio (spero).
Non ti conosco personalmente, ma conosco Marianna e tua madre e mi sembrano delle brave persone. Conosco Manuele,
un bravissimo ragazzo, perciò se i presupposti sono questi ne potrei dedurre che "buon sangue non mente". E poi le tue poesie, davvero molto molto carine, e poi in dialetto davvero tanto emozionanti. Sai, ti confesso che la lingua dialettale nostra letta in poesia mi emoziona particolarmente, e mi rende fiera di essere "terrona" purosangue. Davvero tanti complimenti. Perchè (rimanendo in tema) non ne scrivi una per invogliare i nostri compaesani al "cambiamento"?
Caro Daniele Fenoli, purtroppo i buoni propositi, le belle idee e tanta buona volontà non possono essere sufficienti per svolgere un ruolo di "primo cittadino". Per questo serve un minimo di esperienza, qualche buona conoscenza (che non guasta
mai) ma, più di tutto, un leader non può essere "smaliziato".
Parli di giovani, ma purtroppo una lista "baby" c'è già stata ma senza successo. Sento spesso dire: largo ai giovani... sì, ma non nel senso buono della parola, ma nel senso: largo largo, levatevi dai piedi! Oggi capisco molte più cose e col tempo ne comprenderò delle altre, e mi rendo conto che chi diceva "non si può fare tirocinio a palazzo S. Nicola" non sbagliava, perchè chi arriva lì deve davvero sapere dove "mettere le mani".
Ad ogni modo spero davvero che le persone da me menzionate prendano anche minimamente in considerazione "la cosa" perchè in fondo "tentar non nuoce" e poi "cchiù scuru da menzannotti"!
(24.6.09) CONVENTO DI SANT'ELIA: LA PROFANAZIONE DELLA BELLEZZA (Michele Scozzarra) - Appena ho visto la firma di Salvatore Sorrentino sotto la foto del Convento di Sant’Elia, avevo subito provato quel piacevole, sottile, gusto di stare per addentrarmi in un piccolo viaggio sulle tracce della bellezza che caratterizza il territorio del nostro piccolo paese.
Pensavo di gustare, attraverso i reportages fotografici che Salvatore ci offre ad ogni escursione organizzata dall’Associazione Gente in Aspromonte, un qualcosa di magico che emana da un territorio pieno d’incanto quale è quello galatrese…
Ma… la vista di quelle foto è stata peggio della caduta di un macigno sulla testa… per un attimo si è fermato tutto… niente rabbia, niente recriminazioni, niente accuse… niente di niente…
Per un attimo ho provato solamente l’infelice compito di mettermi nei panni di Salvatore, cioè nei panni di un galatrese che porta degli amici, amanti della cultura, per far gustare le bellezze del nostro territorio in un posto che racchiude una pagina di storia molto significativa non solo per la gente di Galatro… e si trova nella merda!
Non voglio neanche provare a immaginare questa scena (penso che ogni galatrese che ha visto quelle foto, anche se non ha scritto un rigo di protesta a riguardo!, si sarà sentito ribollire il sangue)… ma è una scena già vista.
In una tiepida mattina del dicembre del 1999 l’amico Umberto Di Stilo ha portato al Convento di Sant’Elia Padre Nilo e Padre Cosmas, due monaci basiliani artefici della riscoperta, in Calabria, del mondo spirituale greco-bizantino-ortodosso. Non me ne voglia l’amico prof. Umberto se, in questa occasione, indebitamente, mi approprio di parte di un suo scritto della visita al Convento con i due monaci, perché proprio in quel suo articolo si appalesava già il “sacrilegio” che si sta perpetrando da anni al Convento e, lo stesso articolo si rivela, oggi, di una sorprendente attualità, riletto dopo la visione del servizio pubblicato da Salvatore Sorrentino:
Nei giorni scorsi di ritorno dal convegno studi su Barlaam … quasi ad imitare San Cono, un “pellegrinaggio” spirituale hanno voluto compiere padre Nilo e padre Cosmas, non più per genuflettersi davanti alla tomba di Sant’Elia (della quale si ignora l’esatta ubicazione) ma per “raccogliersi in preghiera davanti a quei ruderi che rappresentano una delle più importanti testimonianze del mondo greco-bizantino” perché come sottolineava padre Nilo “ogni minuscola pietra di questo Convento, per chi, come noi, affonda le radici in quel mondo e in quella cultura, è come un altare”.
Siamo saliti sull’altipiano insieme ai due padri greci e, appena giunti sulla collina, insieme a loro abbiamo avvertito un istintivo impeto di ribellione nel constatare che, contrariamente a quanto accade in altre zone, quell’antica testimonianza di civiltà e di spiritualità versa nel più completo abbandono, tanto che in questo ultimissimo periodo, tra la totale indifferenza di amministratori locali e Soprintendenza, sia le celle del piano terra che il chiostro sono stati arbitrariamente trasformati in una immensa stalla ed il letame ha invaso quegli stessi ambienti in cui fino ai primi anni dell’Ottocento diversi eruditi frati hanno vissuto la loro vita monastica.
Nessuno ha mai cercato di tutelare questo vecchio Monastero che nel corso degli anni è stato oggetto di continue devastazioni. Pietre e marmi istoriati sono andati a finire in musei privati; diverse pietre bugnate del portale principale sono state utilizzate come contrappeso nei palmenti dell’altipiano mentre in queste ultimissime settimane, quelle poche che da anni erano accantonate per terra sono scomparse: pare con destinazione verso uno dei paesi vicini e più precisamente verso l’abitato di un privato cittadino. E nessuno frena questa continua devastazione, come nessuno mai, in passato, si è preoccupato di bloccare chi, per costruire la sua casetta colonica, ha pensato bene di usare le pietre e ogni altro materiale edilizio recuperabile dalle pareti diroccate del convento. Una situazione di incuria, insomma, che offende l’intelligenza, calpesta la cultura, ignora la storia e che si sta perpetrando negli anni grazie al totale disinteresse degli amministratori galatresi che hanno sempre sottovalutato la necessità di conservare nel tempo una così importante e concreta testimonianza storica probabilmente perché “distratti” dai diversi problemi di vita amministrativa… La cultura e la salvaguardia delle proprie radici, invece, interessa solo pochissime persone…
Quale che sia, comunque, la genesi di questa atavica insensibilità essa cozza con il “religioso” interesse di quei due frati che hanno percorso alcune centinaia di chilometri, sotto la spinta propulsiva della voglia di conoscere quanto realizzato da chi in questa zona interna della Piana li ha preceduti oltre dieci secoli addietro. Conoscere per valorizzare e tramandare…
Nelle foto: in alto una parte dello scempio perpetrato al convento S. Elia; in basso Umberto Di Stilo.
(28.6.09) SONO INDIGNATO NEL VEDERE IL MONASTERO DI S. ELIA RIDOTTO AD UNA STALLA (Biagio Cirillo) - Tempo fa mi lamentavo della questione "vandalismo" nella stradina d’accesso di casa mia, pubblicando delle foto in merito. Da qualche paesano, senza fare nomi, sono stato ripreso, e mi è stato detto che sbaglio a mettere queste foto sul sito perché la gente che vede l’articolo chissà cosa pensa di Galatro.
La cosa è finita lì. Fatto sta che nessuno in Comune si è mai preoccupato di questo e quando sono sceso a Pasqua ho trovato di peggio, cioè uno schifo. Ho avvisato chi di dovere ma con scarsi risultati.
Adesso guardando le foto di Salvatore Sorrentino su uno dei pochissimi patrimoni galatresi, il "Convento di S.Elia”, sono veramente indignato nel vedere un luogo che tanta gente ci invidierebbe, ridotto ad una stalla.
Nei luoghi dove vivo io dalle vecchie stalle fanno ristoranti di lusso, luoghi di ritrovo, piccoli musei e tant’altre cose, da noi il contrario: dai conventi fanno stalle.
Non pensate che ci dobbiamo vergognare tutti di questo? Non pretendevo che si facesse un luogo turistico, ma nemmeno che si ignorasse l’esistenza e si lasciasse come una capanna abbandonata.
Nei giorni successivi mi piacerebbe trovare sul nostro sito un commento in merito dal Sindaco, o dal Vicesindaco, Assessore, Consigliere, uno qualunque dell’Amministrazione Comunale e ci spiegasse che futuro vogliamo dare a questo patrimonio galatrese che forse è la parte di storia più importante di Galatro.
Non voglio accusare nessuno di tutto questo ma semplicemente dire a tutti salviamo il salvabile e, invece di distruggere, creiamo.