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6.4.09 - La politica a una dimensione
Domenico Distilo

9.4.09 - E' morto, anzi è risorto!
Pasquale Cannatà

11.4.09 - Pasqua 2009... passaggio alla verità
Michele Scozzarra

30.4.09 - C'era una volta il Primo Maggio: festa dei lavoratori
Michele Scozzarra

5.5.09 - Dolore innocente e dolore colpevole
Pasquale Cannatà

10.5.09 - Rischio di integralismo? Non mi sembra
Pasquale Cannatà

14.5.09 - Paradossi elettorali
Domenico Distilo

17.5.09 - Don Agostino: a sette anni dalla morte
Michele Scozzarra

20.5.09 - Dubbi e certezze di laici e cattolici
Pasquale Cannatà

3.6.09 - Antropologia del berlusconismo
Domenico Distilo

5.6.09 - Per quale Europa andiamo a votare?
Michele Scozzarra

14.6.09 - A 25 anni dalla scomparsa di Enrico Berlinguer, un comunista democratico
Antonio Sibio

14.6.09 - Lettere dalla sofferenza dei piccoli e degli innocenti
Michele Scozzarra

15.6.09 - L'Italia, Galatro e le elezioni comunali del duemilaundici
Arianna Sigillò

18.6.09 - Le foto di Bartolo, Arianna e i possibili candidati alle elezioni
Biagio Cirillo / Daniele Fenoli

19.6.09 - Non avevamo niente, ma forse avevamo tutto
Pasquale Cannatà

20.6.09 - Ri-viva la DC
Domenico Distilo

22.6.09 - Rileggendo l'articolo su Reitano
Guerino De Masi

23.6.09 - Mica tanto onesti e leali questi ipotetici candidati
Arianna Sigillò

24.6.09 - Convento di Sant'Elia: la profanazione della bellezza
Michele Scozzarra

28.6.09 - Sono indignato nel vedere il Monastero di S. Elia ridotto ad una stalla
Biagio Cirillo





(6.4.09) LA POLITICA A UNA DIMENSIONE (Domenico Distilo) - Qualche anno prima del fatidico 1968 Herbert Marcuse, filosofo tedesco della Scuola di Francoforte trapiantato in California, pubblicava un libro destinato a diventare un cult della contestazione, L’uomo a una dimensione.
La tesi di Marcuse era, in soldoni, che la logica della società industriale avanzata ha trasformato l’uomo occidentale in mero animale da consumo, appunto in uomo a una dimensione.
Negli ultimi venti anni una trasformazione analoga ha riguardato, però solo in Italia, la politica, ridotta alla dimensione della propaganda, dello spot pubblicitario.
E’ dalla fine degli anni Ottanta che in Italia la politica latita, sostituita dalla sua rappresentazione o autorappresentazione televisiva, da un teatro di ombre che tutti scambiano per realtà, come nell’allucinazione collettiva del mito platonico della caverna.
Man mano che va avanti lo spettacolo delle ombre, nelle menti allucinate viene fatto passare di tutto, con la conseguenza dello smarrimento del senso morale, storico, politico e della stessa identità nazionale.
La politica si è ormai ridotta a caricatura di se stessa, ad affrontare qualsiasi problema unicamente dal lato mediatico, sondaggistico, con un rapporto con la realtà sempre più evanescente o del tutto insussistente.
Dall’irrealtà non si uscirà facilmente per una ragione molto semplice: uno dei protagonisti della politica è l’impresario del teatro delle ombre e quando la parte che gli si contrappone prova a fare il suo mestiere, a portare gli affondo al governo (quando è opposizione) o a governare (quando per caso riesce a vincere le elezioni), è ineluttabilmente risucchiata nel teatro, a discutere non di realtà ma di finzioni, di ombre.
E’ l’impresario che decide cosa le ombre debbono sembrare e il martellamento è tale da farle scambiare per realtà, cosicché tutti finiscono per parlarne come se fossero realtà autentica, di cui è perfino folle dubitare.
Prendiamo l’ultima campagna elettorale politica, dominata dal tema della sicurezza. Il problema reale della sicurezza non è stato, nei mesi precedenti le elezioni, diverso da quello che era stato prima e sarebbe stato dopo. I media, soprattutto le televisioni – il teatro dell’impresario - avevano però deciso di porlo al centro dell’attenzione, di trattarlo come se fosse non un problema ma il problema. Ebbene, la sua percezione nell’opinione pubblica si è impennata in pochi giorni, con ritorni immediati per quei partiti del centrodestra – soprattutto la Lega - che lo identificavano con la questione degli immigrati e dei permessi di soggiorno troppo facili.
Ma veniamo a questi giorni, alle risposte governative alla crisi economica. Palesemente inadeguate o inesistenti se non addirittura (vedi la riduzione degli organici della scuola) follemente mirate ad assecondare il ciclo depressivo (non anticicliche ma filo cicliche) . C’è di più: i licenziamenti impazzano, la percentuale di disoccupati aumenta, cala la produzione industriale così come le entrate fiscali. Insomma, uno scenario drammatico che viene fronteggiato con illusionismi come i Tremonti–bond o con scempiaggini quali i prefetti nelle banche e l’incostituzionale piano-casa che avrebbe dovuto far ripartire l’economia al prezzo di un massacro ambientale.
Ciononostante il consenso del governo lievita, si dice, fino al 43 per cento. Un consenso al nulla, dato alle parole e sulla parola, in modo totalmente irrazionale e prescindendo dai fatti.
Ci si chiede come sia possibile. Molti accusano la sinistra che, per colpa della spocchia intellettualistica, non avrebbe capito, non avrebbe saputo e via blaterando.
Effettivamente la sinistra non ha capito, ma per il semplice fatto che non c’è nulla da capire. La razionalità abdica di fronte a un individuo che si rimangia ogni volta le parole accampando che è stato frainteso, che insulta i capi di stato alleati e che all’estero viene considerato per quel che è: il pittoresco emblema dell’ eccentricità italica, un buffone che racconta barzellette.
Ma la razionalità abdica ancora di più quando tutto questo suscita ammirazione, voglia di emulazione, consenso. Quando quasi metà del paese non trova di meglio che il culto della personalità e sta dietro alle ombre, alle finzioni e alla finzione che più di tutte è tale, quella del pericolo rosso, del comunismo incombente e della sinistra che coltiverebbe ancora pulsioni totalitarie.
Se gli italiani stessero ai fatti, se non si facessero suggestionare e non scambiassero le ombre per realtà, non c’è dubbio che non voterebbero più Berlusconi. A quindici anni dalla discesa in campo, dei promessi ed attesi miracoli non si vede, è il caso di dire, neppure l’ombra e non stiamo certo meglio di come stessimo nel 1994, l’anno della prima vittoria elettorale del Caimano, quando l’esperimento da poco iniziato venne interrotto dal “tradimento” della Lega.
La legislatura introdotta dalla vittoria elettorale del 2001 sembrava cominciare sotto migliori auspici. L’attacco alle Torri Gemelle, che ha sorpreso il Cavaliere all’inizio dell’opera, è stato l’alibi per non aver saputo fare altro, in cinque anni, che navigare a vista, peggiorando peraltro i conti pubblici. La sconfitta di misura del 2006 è stata il risultato di un recupero strepitoso che, visto il fallimento del governo, può essere spiegato in un solo modo: con la potenza delle televisioni da cui Berlusconi è tracimato nei due mesi precedenti il voto (con sei televisioni generaliste al suo servizio se lo poteva permettere).
Dopo la parentesi prodiana del 2006-2008 è tornato all’insegna del motto: stavolta niente più Casini, cambiamo davvero l’Italia. Tra capo e collo gli è però capitata la crisi economica (non sarà mica che porta iella? A ogni sua vittoria elettorale tiene dietro una catastrofe mondiale), che sarà pure un altro alibi con cui convincere i gonzi ma le cui cause e la cui dinamica sono un attacco al cuore della favola berlusconiana, all’ideologia mercatistica mutuata da Reagan e condita con l’ottimismo affettato di quella che è stata definita una “psicologia da bar”, da venditore di tappeti.
La Sinistra, ancora irretita negli ideologemi del neoliberismo, fatica ad accorgersene. Ma la crisi mondiale del capitalismo rimette in corso i suoi autori di riferimento, da Marx a Keynes a Rawls e, perché no, agli stessi filosofi della Scuola di Francoforte. In America, epicentro del capitalismo del XXI secolo, lo hanno capito votando Obama, che ha subito chiarito di volere e sapere usare la leva fiscale per spostare ricchezza (è questo, inutile arzigogolare, il cuore del problema). In Italia la gente sta ancora dietro “a questo rappresentante di commercio, questo buffo cavaliere”, come lo definì il compianto ex ministro Berniamino Andreatta ai tempi della nefasta “discesa in campo”.

Nella foto: Domenico Distilo.


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(9.4.09) E' MORTO, ANZI E' RISORTO (Pasquale Cannatà) - In questo tempo pasquale credo sia utile interrompere i commenti che stiamo facendo alla Bibbia seguendone il filo dalla Genesi all’Apocalisse (non vi spaventate, non andremo avanti per decine di anni, perchè i prossimi capitoli comprenderanno non solo poche parole o poche pagine come è stato fino ad ora, ma moltissime pagine alla volta in quanto parleremo solo dei personaggi e degli avvenimenti più significativi!), per dedicare qualche riflessione a quello che è il Fatto fondamentale su cui si basa la nostra fede.
Ricordo che in occasione delle elezioni politiche del 2008 i dirigenti del partito socialista hanno prodotto una campagna pubblicitaria centrata sulla persona di Gesù di Nazareth, presentandolo come il primo e più grande socialista della storia, maestro della non violenza e della fraternità universale: mettendo in evidenza il suo schierarsi dalla parte dei poveri e dei diseredati, credevano forse di accattivarsi il consenso dei cattolici, ma il risultato non li ha premiati perchè il messaggio era privo della componente religiosa, e si sa che il pensiero ateo non accetta Cristo come figlio di Dio.
Anche in quella occasione gli atei si sono rivelati irragionevoli conquistatori del nulla.
Ho letto e sentito parecchie volte da parte di molti grandi esponenti del pensiero di sinistra affermazioni lusinghiere riguardo alla 'filosofia sociale cristiana', ma mi stupisco sempre del fatto che essi non colgano la contraddizione insita nel fare una distinzione tra l'umanità di Gesù (il Gesù storico di Corrado Augias e di altri non-credenti che si vogliono cimentare in analisi del fenomeno che va sotto il nome di Cristianesimo) e la divinità di Cristo: se infatti Gesù è semplicemente un uomo, allora è anche un pazzo, perchè si è sempre proclamato figlio di Dio e Dio lui stesso, ed il suo messaggio non è altro che il vaneggiamento di un folle. Mi si potrebbe obiettare che la pazzia è sopraggiunta alla fine della sua predicazione, e che è stata questa a portarlo ad accettare la morte di croce: il messaggio del Vangelo (secondo loro) era già stato annunciato in tutta la sua grandezza, e gli apostoli che lo avevano seguito ed erano stati testimoni della sua predicazione e delle sue opere ce lo hanno trasmesso. In ogni caso si deve rilevare una grande incoerenza nel fatto che gli atei accettano come autentica la testimonianza dei Vangeli se riferita all'aspetto 'filosofico e sociologico', ma se si parla di miracoli e della divinità di Cristo, allora obiettano di testimonianze tardive, fantasiose e non prodotte da spettatori e protagonisti diretti.
Nei Vangeli si citano persone che erano ancora vive al tempo dell'inizio della predicazione della Buona Novella, e che avrebbero potuto smentire (loro o i loro figli) ciò che di essi veniva raccontato; si citano anche luoghi ed in alcuni casi addirittura l'ora in cui un fatto si era verificato o un discorso era stato pronunciato: si può ben dire che la storicità dei Vangeli non è meno valida dei racconti di Tito Livio ('ab urbe condita' sulla storia di Roma dalla nascita ad Augusto) o di Tacito (gli 'annales' sulle vite degli imperatori romani del I secolo), dell'autobiografia di Cesare o degli scritti di tutti gli altri storici latini e greci di cui viene riconosciuta l'autenticità e su cui si basa la storia antica che conosciamo. Per quanto riguarda i reperti archeologici vale lo stesso discorso: ce ne sono in abbondanza tanto da convalidare per lo meno i dati storici, e di conseguenza anche tutto il resto.
Eccoci dunque al punto cruciale della questione: come dice San Paolo, 'se Cristo non è risorto, vana è la nostra fede'.
Chi non crede nella resurrezione di Cristo dovrebbe chiedersi che cosa ha trasformato Pietro da quell'uomo impaurito che pochi giorni prima aveva rinnegato il suo Maestro, in un testimone dalla fede incrollabile e pronto ad affrontare la morte: lui ha visto la tomba vuota, le bende, ed il sudario non per terra con le bende, ma arrotolato nel medesimo luogo (lo stesso punto cioè dove era prima quando avvolgeva il capo di Gesù). Se il corpo di Gesù fosse stato portato via, non si capisce perchè i trafugatori (che certamente avevano interesse a compiere la loro opera in tutta fretta) avrebbero perso tempo per togliergli le bende, ed in ogni caso mai e poi mai avrebbero potuto lasciare arrotolato ed al suo posto, nella sua posizione originale, il fazzoletto che gli avvolgeva la testa per tenere chiusa la bocca (il sudario): questa circostanza ha scosso Pietro dal suo torpore, gli sono divenuti chiari gli insegnamenti di Gesù Cristo ed infine ha fatto si che egli credesse così fermamente da trasmettere la sua fede a tutti quelli che a suo tempo lo hanno seguito anche nel martirio, e poi a tutte le generazioni che si sono susseguite fino a oggi ed a quelle che verranno fino alla fine dei tempi.


Il luogo probabile del sepolcro di Cristo a Gerusalemme.

Solitamente la delusione per la morte di un profeta mette fine al fervore dei suoi seguaci che si ritirano tristi e sconsolati, come era appunto accaduto ai discepoli di Emmaus: ci suona normale il loro ragionamento «…noi speravamo che fosse lui a liberare Israele … con tutto ciò son passati tre giorni da quando queste cose sono accadute…»; infatti sembrava che tutto fosse finito ed essi andavano via da Gerusalemme: la tristezza ed un opaco pragmatismo oscuravano il loro sguardo, tanto che camminavano insieme al Risorto senza riconoscerlo «ma poi, riconosciutolo, si aprirono loro gli occhi… ed essi si dissero l'un l'altro: 'Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?'». Questo fatto ci incoraggia e ci aiuta a ricordare ed a credere che Dio non ci abbandona mai nelle nostre difficoltà e cammina a fianco a noi anche quando ci sentiamo soli e non Lo riconosciamo, ascolta le nostre storie personali e ce ne fa capire il significato così che a ripensarci, quando il peggio è ormai passato, ci arde il cuore nel petto. Rincuorati da questa presenza e pronti ora ad affrontare qualsiasi avversità, i due discepoli «…partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: 'Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone'.»
E' apparso dunque ai discepoli, che nonostante lo avessero avuto vicino per alcuni anni, ancora non avevano capito chi fosse veramente Gesù e le prime volte che si era manifestato a loro dopo la Resurrezione avevano addirittura avuto paura di Lui, credendo che fosse un fantasma: queste circostanze ed infine l'incredulità di Tommaso sono per noi una grande consolazione, perchè se è stato così difficile per i discepoli avere fede, sappiamo che non dobbiamo scoraggiarci di fronte alla difficoltà che deriva a noi dal 'credere senza avere visto'.
Immagino già qualche commento che potrebbero fare quelli che si rifiutano di avere fede: ' è apparso ai suoi amici, che avrebbero tutto l'interesse a farci credere alla resurrezione di Gesù anche se non fosse vero: non sono credibili!' Invece è apparso anche al più crudele dei suoi nemici, a quel Paolo di Tarso che perseguitava i seguaci di questa nuova religione: egli credette, e fu in seguito il più fervente, convinto e capace tra tutti gli annunciatori della Buona Novella.
Che non sia cosa semplice per chi non ha vissuto da vicino i fatti accaduti (anzi,abbiamo visto che è stato difficile anche per loro) accettare la resurrezione è facilmente riscontrabile già da subito, e San Paolo ne fa esperienza diretta quando cerca di parlare di Gesù risorto, agli ateniesi …Quando sentirono parlare di risurrezione di morti, alcuni lo deridevano, altri dissero: «Ti sentiremo su questo un'altra volta»(Atti 17,32): essi veneravano (oltre ai tanti dei dell'Olimpo) anche un dio sconosciuto, perchè avevano paura della vendetta di un essere potente di cui avessero eventualmente trascurato di prendere in considerazione le qualità, a patto che si inserisse nel contesto del loro 'sistema' che rispetto agli altri stati vicini era molto avanzato culturalmente e sul piano delle istituzioni sociali e dei centri di aggregazione. Ma la nuova religione era ancora superiore alla loro cultura, perchè si basava tra l'altro (oltre che sull'insegnamento diretto di Gesù) sul precetto sabbatico ereditato dagli ebrei (non sono venuto per abolire la legge, ma per completarla) che prevedeva oltre al riposo settimanale dal lavoro, anche un riposo settennale della terra dal suo sfruttamento e la liberazione di schiavi e prigionieri dopo sette anni di servizio: questo istituto si opponeva allo sfruttamento delle classi più povere ed il suo accoglimento doveva portare nei secoli successivi al tracollo economico dell'impero romano, così come ancora più tardi l'abolizione della schiavitù ha messo in crisi l'economia degli stati confederati del sud che hanno lottato contro i nordisti durante la guerra di secessione americana.
Venendo ai nostri giorni, oggi perfino tra i credenti la Pasqua non può competere neppure lontanamente con il Natale: dovrebbe essere la festa delle feste (infatti la ricordiamo ogni Domenica nella Messa) ed invece in questa Domenica di primavera non si fanno addobbi e non si assiste a scambi di regali, ma ci si scambia solo pochi auguri di circostanza e poi si festeggia 'con chi vuoi', mentre (a sottolinearne l'importanza) il Natale va trascorso 'con i tuoi'. Forse ciò è dovuto al fatto che a Natale si ricorda la nascita di un bambino (che è la cosa più naturale di questo mondo e trova cittadinanza anche in una società secolarizzata) e questo suscita sentimenti per i quali ci si illude di essere tutti d'accordo.
La Pasqua invece divide, perchè una tomba vuota, un uomo che risorge, sono cose inaccettabili per persone adulte e ragionevoli: la Pasqua non è accettata neanche come simbolo di vita, di rinascita dopo il buio dell'inverno (morte), perchè la società moderna, scrive Vittorio Messori, è diventata necrofila in quanto esalta l'omosessualità (amore sterile per eccellenza, e quindi morto), la pornografia ( niente è più funereo di un corpo esibito brutalmente nella sua nudità come sul bancone dell'anatomia o di una macelleria) e la caduta della natalità con l'aborto di massa.
La Pasqua, la Resurrezione, sono invece il segno che la vita vince la morte, anzi che l'Amore vince la morte: è morto, anzi E' Risorto! dice San Pietro, volendo sottolineare che è cosa della massima importanza (anzi la sola cosa che conti veramente) sottolineare il fatto che Gesù è risorto, piuttosto che soffermarsi sulla passione e sulla croce.
Chiudo con un'ultima considerazione: anche se alcune culture umane utilizzano all' interno dei loro confini una diversa misurazione degli anni trascorsi (a partire da …), a livello internazionale è universalmente riconosciuta la misurazione del tempo in prima e dopo Cristo, stabilendo come una frattura, una discontinuità: la figura di Gesù Cristo, con il suo insegnamento, ha cambiato il modo di pensare degli uomini delle generazioni successive.
Io vorrei affinare e precisare meglio il concetto, e parlare non di discontinuità, ma di svolta: a parte questo fatto eccezionale della presenza di Dio sulla terra in forma umana, succede spesso che un avvenimento, una nuova idea facciano cambiare radicalmente la percezione delle cose, facendo far loro come una inversione di marcia, e mi pare di poter dire ad esempio che il pontificato di papa Luciani, benchè sia durato solo 33 giorni, abbia cambiato il modo di intendere il papato ed ha consentito l'elezione di Giovanni Paolo II.
Per me Gesù Cristo è il centro del tempo non nel senso di una separazione tra prima e dopo, ma perchè la Sua venuta ha dato una svolta, e penso che adesso passeranno altrettanti anni per il Suo ritorno tra noi di quanti ne sono passati dalla nostra apparizione sulla terra (facciamo l'uomo) alla sua prima manifestazione: la svolta fatta disegna una parabola temporale molto stretta, alla fine della quale gli opposti si congiungeranno e ci saranno Cieli nuovi e terra nuova.
Gesù è, in quanto uomo come noi, al centro dell'universo materiale, come Cristo figlio di Dio al centro del tempo e come Dio lui stesso al centro dell'Amore che è la quinta dimensione della nostra esistenza e che avvolge il nostro mondo limitato e racchiuso nelle quattro dimensioni spazio-temporali.
Anche in base a queste considerazioni, ho scelto di aver fede, auguro a tutti una Buona Pasqua e prego lo Spirito Santo affinché ci guidi in ogni istante della nostra vita, facendoci crescere in amore e sapienza.

Altri autori citati:
A. Casati, «E la casa si riempì del profumo».
Giancarlo Carlini, «Risposta a 'Inchiesta su Gesù di C. Augias»
A. Maria Cenci, «La parola di Dio nel Vangelo di…», vol. 1/4


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(11.4.09) PASQUA 2009... PASSAGGIO ALLA VERITA' (Michele Scozzarra) - “Di questo ci parlerai un’altra volta…”, risposero ironici gli intellettuali di Atene, sulla collina di Ares, a San Paolo che raccontava del Cristo risorto. Eppure quella era gente che dedicava tutto il suo tempo a parlare di qualcosa, oppure ad ascoltare qualche novità: credevano a tutte le divinità e, per non recare offesa a qualche divinità ignota, avevano innalzato anche un altare sul quale campeggiava l’iscrizione: “Al Dio sconosciuto”.
Così come per i saggi dell’Aeropago di Atene, ogni epoca, compresa la nostra, conosce il sorriso di scherno degli intellettuali di Ares, e guarda con sufficienza gli “ingenui” che sognano la libertà di una vita più bella e più vera.
Anche nelle nostre piccole realtà, non è necessario andare lontano per cercare il nuovo Aeropago di oggi, ce ne sono tanti, grandi e piccoli, a cominciare dall’Ares “politico”: nell’ordine di valori stabilito dal potere, il metro “politico” continua a rappresentare il criterio in base al quale viene misurata la vita.
In ultima analisi, si cerca di far passare la convinzione che solo ciò che è politico è reale: dunque è reale solo chi ha il potere e reali sono i “sudditi”, non in quanto uomini, ma perché visti come strumenti e, spesso, come vittime dello stesso potere che li dovrebbe tutelare.
Ogni anno, con i riti della settimana santa, la Chiesa ci offre una grande occasione per “rivedere” lo scontro, inevitabile e ogni giorno più drammatico, tra la menzogna del potere e la vita vissuta nella verità.
La situazione appare in tutta la sua chiarezza, nello scontro che si creò fra Cristo e Ponzio Pilato: al “politico” cui interessava solamente verificare se l’accusato che gli stava davanti fosse o no da considerarsi suo “avversario” (“Dunque tu sei re?…”, chiede Pilato), Cristo risponde rivelandogli tutta la realtà del suo essere “venuto al mondo per rendere testimonianza alle verità”. Al che Pilato, sicuramente disorientato, ribatte con una frase che rimbalzerà nei secoli: “Cos’è la verità?”.
Nella domanda di Pilato, come del “politico”, vi è un senso ambivalente, quasi a significare: “cosa c’entra qui, adesso, la verità? Mi interessa altro, questa faccenda non mi riguarda”. E può anche voler dire: “la questione è teorica, astratta, non è reale”.
Nell’una e nell’altra versione Pilato pronuncia sulla verità una sentenza che resterà, per tutta la durata della storia, il paradigma definitivo, e irrevocabile, dell’atteggiamento politico di fronte al manifestarsi di un ordine di valori che trascende la dimensione politica.
Ma nell’uno e nell’altro caso, Pilato commette un errore “politico” di eccezionale gravità: Pilato è stato così astratto, da non riuscire ad avere, di fronte a Cristo, altro criterio che quello politico, né altra determinazione che quella del potere e questa astrazione lo portò a commettere l’orrendo delitto. Qualcuno potrebbe giustificare Pilato attribuendogli la qualità di “pessimo politico”.
Ma la situazione Cristo-Pilato, anche se a distanza di 2000 anni, si ripete ancora oggi, secondo lo stesso archetipo conflitto di verità e menzogna: ovunque nel mondo gli uomini del potere si scontrano in un conflitto sempre più violento con gli uomini della verità.
La lotta per il diritto alla vita nella verità, e per la conquista di spazi per fatti di vita vera, è diventata oggi la lotta decisiva per la sopravvivenza e, spesso, per la resurrezione dell’uomo.
La menzogna non ha altro mezzo per imporsi che il sopruso, la violenza, la delazione, la vendetta... cioè per imporsi, la menzogna deve operare una manipolazione della realtà…. e quindi della verità!
Da noi, oggi, in tutti quegli ambiti dove “il potere” copre la sua pretesa totalitaria con sempre più scaltre apparenze di rispetto, può sembrare che l’alternativa verità-menzogna non imponga scelte radicali: può trattarsi di un errore di prospettiva, perché mai nella storia del passato e nel presente della politica s’è intravisto che il rispetto per la vita reale dell’uomo non sia stato formale… Occorre che la voce dei “senza potere” si faccia così potente da ricondurre “il potere” dentro i confini che la verità gli assegna.
Solo questa può essere la strada per uscire dalla gravissima crisi che attanaglia la nostra realtà e rischia di sgretolarne i fondamenti morali e culturali.
La Pasqua, presso gli Ebrei, rappresentava la solennità con cui si celebrava la liberazione dalla schiavitù dall’Egitto: il nome viene dalla tradizione biblica e sta per “passare oltre…”. Ecco, anche oggi c’è bisogno di “passare oltre”… oltre la menzogna, la schiavitù, la degenerazione…Nel rispetto della verità e della dignità di ogni uomo, contro ogni menzogna che, giornalmente, lo crocifigge.
Buona Pasqua a tutti!

Nella foto: Michelangelo Merisi (Caravaggio): incredulità di San Tommaso.


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(30.4.09) C'ERA UNA VOLTA IL PRIMO MAGGIO: FESTA DEI LAVORATORI (Michele Scozzarra) - Primo maggio, festa dei lavoratori… una volta il primo maggio era la festa degli operai, una festa che affondava le sue radici nelle battaglie intraprese dal movimento operaio alla fine del secolo scorso; in effetti, la “festa” del primo maggio nasce a Parigi il 20 luglio del 1889 e l’idea venne lanciata al Congresso della Seconda Internazionale: “Una grande manifestazione sarà organizzata per una data stabilita, in modo che simultaneamente in tutti i paesi e in tutte le città, nello stesso giorno, i lavoratori chiederanno alle pubbliche autorità di ridurre per legge la giornata lavorativa a otto ore e di mandare ad effetto le altre risoluzioni del Congresso di Parigi”.
Ora i tempi sono cambiati, non solo perché la festa del primo maggio non è più vista come “la festa degli operai che votavano comunista”… ma perché, negli ultimi anni, sono successi dei mutamenti che hanno portato al progressivo abbandono delle tradizionali forme di celebrazione di questa festa.
Bisogna prendere atto, amaramente, che “il movimento operaio” non esiste più e la festa del primo maggio non è più vista come “la festa degli operai che votavano comunista”
Oggi “la reclame” per la festa del primo maggio, per come abbiamo avuto modo di leggere sulla stampa, è stata di questo tenore: “Sorpresa Vasco. Canterà al concertone del Primo Maggio… per quello che è diventato il più importante appuntamento live della musica italiana… Comunque vada, un buon modo per festeggiare i vent'anni della manifestazione”.
C’è qualcosa che, in tutto questo, non mi torna… si “festeggiano” (cosa c’è poi da festeggiare non l’ho capito!!!) i vent’anni della manifestazione musicale… Praticamente si è mandata al diavolo tutta la bella e nobile tradizione della classe operaia, barattandola con l’interesse per un concerto…
Se riusciamo ad andare indietro con la memoria e “rivedere” i volti delle persone (soprattutto nostri paesani e amici!) che davano il loro tempo per queste feste (e non solo per queste), in questo “nuovo” contesto non posso non spezzare qualche lancia a loro favore…
E, guarda caso, faccio questo proprio io che sono sempre stato catalogato tra gli esponenti più "estremisti dell'integralismo cattolico"!
Di fronte a tanti banchetti con le bandiere rosse e la falce e martello che ancora si ha modo di vedere in qualche, rara e seria, manifestazione, viene da pensare che si tratti di gente coerente che ha il coraggio e la dignità di non mollare…
Perché negare che questi ultimi “mohicani” mi riescono anche simpatici…
Ho riportato, esattamente un anno fa, nel centenario della nascita di Guareschi, un commento di Michele Serra che, in questo momento, sento in piena sintonia con quanto sto scrivendo, e mi piace riprendere: “Quanto alla mia primitiva simpatia per Peppone, posso confermare la piena corresponsabilità di Guareschi. Il vero pericolo, per Guareschi, non era e non poteva essere interno al “mondo piccolo”. Era fuori di esso. Se è indiscutibile che il vero buono è don Camillo, il vero cattivo non è Peppone. Sono gli uomini che arrivano dalla città a scompaginare i ritmi e i valori della campagna, della famiglia patriarcale, del tempo circolare, eterno e ripetitivo, che regola le stagioni e fa crescere, insieme al grano, anche i pali di gaggia da calarsi sul groppone. Il populista Guareschi si servì dell’ideologia di Peppone per sbugiardarla, ma contava molto su Peppone. Per il solo fatto di essere un uomo della Bassa, il compagno sindaco Bottazzi non poteva davvero tradire l’ethos ed i suoi valori antichi…”.
Ora, non m'imbarcherò certamente, da questa pagina a dare lezioni di nessun genere, anche se non credo assolutamente che i ragazzi (e non ragazzi!) neocomunisti di oggi siano degli apologeti dei crimini staliniani o dei nostalgici della tirannia: possono essere dei sognatori, possono anche sbagliare, ma in buona fede e per motivi puliti e degni.
Possono anche essere degli illusi che credono di poter scandalizzare, e quindi scuotere il torpore delle borghesie occidentali con la loro scelta. Ma non facciamo il gioco dei politicanti o degli intellettualastri che, dopo aver costruito le loro comode carriere a cavalcioni del comunismo (quello vero, quello che imprigionava ed ammazzava la gente), ora vorrebbero rifarsi una verginità additando al pubblico lubridio quanti, puliti ed in buona fede, osano ancora inalberare la bandiera rossa. Non scherziamo…
Ed io… da "cattolico integralista", non me la sento di disprezzare il loro sogno: proprio perché è vinto e disperato, ma ha la dignità di non arrendersi. Una dignità che chi è salito precipitosamente sul carro del vincitore dovrebbe invidiare e ammirare...
E se, in nome di non si sa quale ragione (?) si può pensare di barattare la “festa” del movimento operaio con il boom di presenze del concerto di Vasco Rossi… vuol dire che a questo livello, la differenza con il “berlusconismo” più gretto e volgare non esiste, e credo che chi portava al petto, con orgoglio e buona fede, il distintivo con la bandiera rossa… si stia rigirando nella tomba!


Nelle immagini: in alto un corteo a Galatro in occasione del 1° Maggio del 1954; al centro un famoso quadro di Pellizza da Volpedo dal titolo "Il Quarto Stato"; in basso un gruppo di lavoratori a Galatro inneggia alla Repubblica in occasione di un 1° Maggio nei primi anni del dopoguerra.


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(5.5.09) DOLORE INNOCENTE E DOLORE COLPEVOLE (Pasquale Cannatà) - Questo di oggi dovrebbe essere uno degli ultimi commenti della Bibbia (intesa come Antico Testameno) che richiedono uno sforzo di interpretazione e di valutazione degli avvenimenti anche supponendo che non sia letteralmente vero ciò che viene riportato (infatti credo che dalla vicenda di Mosè in poi anche l' A. T. sia storicamente attendibile, perchè il racconto della vita degli ebrei si intreccia con quello delle popolazioni vicine, come l'Egitto, la Persia di Ciro, Babilonia, ecc. e se ne hanno dei riscontri), fermo restando il fatto che la nostra fede si deve basare sulla certezza del Cristo Risorto e non sull' A. T. di cui esistono molte chiavi di lettura con innumerevoli sfumature diverse che possono portare anche ad errori ed eresie: riprendiamo dunque dal punto dove eravamo rimasti, partendo dal diluvio universale.
Mentre abbiamo ancora negli occhi, ad un mese dal terremoto in Abruzzo, le scene strazianti che documentavano il dolore dei sopravvissuti;
mentre abbiamo ancora nelle orecchie il rumore provocato dal crollo dei muri di molti edifici anche per le scosse dei giorni successivi;
mentre sentiamo ancora come fosse sulla nostra pelle la polvere che ha imbiancato il corpo dei soccorritori e nel naso il suo odore;
mentre abbiamo ancora nel cuore il dolore (che condividiamo con chi è sopravvissuto) per la perdita di tante vite umane ed anche dei beni materiali necessari per la vita quotidiana di quelle persone sfortunate, dobbiamo sgombrare il campo dagli equivoci e dalle strumentalizzazioni che immancabilmente si ripropongono in simili tragiche circostanze.
Coloro che si rifiutano di Credere, approfittano infatti di ogni evento funesto (vedi anche guerre, carestie, alluvioni, attentati terroristici, ecc.) per giustificare la loro pigrizia mentale nella ricerca della Verità, alimentare il loro scetticismo e farci la solita domanda: dov'era Dio mentre succedeva questo, perchè ha permesso che ciò avvenisse?
Una risposta semplice e 'laica' per quanto riguarda gli eventi naturali l'hanno data in molti sui giornali ed in TV, a cominciare dal capo della protezione civile Guido Bertolaso, constatando che è solo colpa dell'uomo se non rispetta la natura pur conoscendone i meccanismi di funzionamento che esistono da sempre, e costruisce le proprie case sulle pendici di un vulcano ben sapendo che potrebbe risvegliarsi in qualsiasi momento, o in zone sismiche senza adeguati accorgimenti per le nuove costruzioni e rinforzi sul già esistente, o troppo vicino alle rive dei mari ed ai letti dei fiumi, ecc.; per altri tragici avvenimenti, è solo colpa dell'uomo se invece di lavorare per la pace alimenta l'odio e la violenza verso il prossimo, sia nei rapporti interpersonali che in quelli internazionali, ed è solo colpa dell'uomo se pensa ad accumulare ricchezze invece di condividere i propri beni con le persone più indigenti.
Una risposta di carattere più religioso è invece quella che ha dato una ragazza orfana a causa della tragedia delle Twin Towers alla giornalista Jane Clayson in una intervista della Tv americana, esprimendo questi concetti:
"per molti anni abbiamo chiesto a Dio di andarsene da ogni luogo pubblico togliendo il Crocifisso, e Lui se ne è andato; di andarsene dalle nostre scuole eliminando anche la preghiera di inizio lezioni e l'insegnamento della religione, e Lui se ne è andato; di andarsene dagli ospedali anche allontanando le suore e praticando aborto ed eutanasia, e Lui se ne è andato; di andarsene persino dal presepe (o di non farlo affatto) per non offendere le minoranze, così che nel famoso museo Madame Tussaud di Londra al posto di Maria e Giuseppe hanno messo Beckam e la Spice girl Victoria, e Lui se ne è andato; di andarsene dalle nostre case e dalle nostre vite, perchè ormai la scienza può darci tutto e spiegarci ogni cosa senza bisogno di ricorrere a Lui, e Lui se ne è andato.
Ora ci chiediamo come mai i nostri figli non hanno coscienza e non sanno distinguere ciò che e giusto da ciò che è sbagliato: probabilmente, se ci pensiamo bene, noi raccogliamo ciò che abbiamo seminato.
Buffo come sia semplice, per la gente, gettare Dio nell'immondizia e meravigliarsi perché il mondo sta andando all'inferno. E poi ci chiediamo perchè Dio ha permesso tutto questo?
Dobbiamo chiederci piuttosto: perchè l'uomo lo ha voluto?"
I tragici eventi di cui si parlava prima si possono dividere in due grandi categorie: il 'dolore innocente' di chi non ha fatto nulla per meritare un castigo, e il 'dolore colpevole' di chi il male se lo è cercato con il suo comportamento.
Il diluvio universale rientra in questa seconda categoria, perchè qui (come poi anche per la distruzione delle città di Sodoma e Gomorra) prima che il Signore prenda questa terribile decisione la Bibbia precisa che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e ogni disegno concepito nel loro cuore non era altro che male. Lo stesso avverrà quando gli ebrei, dopo la fuga dall'Egitto, dovranno impadronirsi della 'terra promessa': il Signore li farà aspettare 40 anni nomadi nel deserto sia perchè non voleva che ci entrasse nessuno di quegli ebrei che non avevano avuto fede nelle sue promesse e anche perchè le popolazioni da scacciare non avevano ancora raggiunto il culmine della malvagità che giustificasse la loro sconfitta (l'iniquità degli Amorrei non ha ancora raggiunto il colmo). Dio è Amore infinito ed aspetta sempre con infinita pazienza che i peccatori si convertano, ma non può protrarre oltre un certo limite la punizione dei malvagi, essendo anche Giustizia infinita.
Abbiamo detto che la nostra fede si deve basare sulla certezza del Cristo Risorto, e ciò implica riconoscerlo come figlio di Dio e Dio lui stesso ed in quanto tale capace di compiere miracoli (nulla è impossibile a Dio): chi ha disposto le leggi della natura in un certo modo, può in qualsiasi momento piegarle alla sua volontà per raggiungere uno scopo prefissato. Quanto all’arca (di cui vengono descritte forma e dimensioni) ci saranno entrati animali appena nati, risolvendo così in parte il problema del cibo e dello spazio e il problema dei carnivori (adulti solo gli animali che danno latte, e solo una coppia per ogni specie ; per es. solo una coppia di cani, da cui poi sono derivate tutte le razze e le sottospecie possibili): a suffragare la veridicità dell'evento ci sono ricerche archeologiche (
vedi allegato punto 1) e testimonianze di altre civiltà antiche che lo menzionano. E' quindi accettabile l'idea che si sia effettivamente verificato.
Dopo il diluvio tutto riprende come prima, da singole coppie discenderanno tutti gli esseri esistenti: che bisogno c'era di scriverlo se non fosse successo veramente? Se (come sostengono gli scettici) fosse stato un evento alluvionale di dimensioni eccezionali, ma limitato al territorio tra i fiumi Tigri ed Eufrate e/o alla valle del Nilo dove sono nate le prime civiltà (tutto l'universo allora conosciuto) cambierebbe forse la sostanza dell'insegnamento che ne deriva? Anche per le vicende di Mosè che si verificheranno in seguito, alcuni le spiegano come eventi naturali (migrazioni di cavallette o zanzare ecc. per le piaghe d'Egitto, maree e venti per l'apertura del mar Rosso, manna nel deserto), ma il fatto che si siano verificati nel posto e nel momento giusto è già di per se un miracolo.
Un peccato di genere diverso che viene punito con un diverso castigo è quello dell'orgoglio e dell'arroganza a causa delle quali a Babele volevano costruire una torre che toccasse il cielo; gli uomini volevano raggiungere la dimora di Dio per dimostrare di non essere inferiori a Lui: è la stessa sete di potenza che possiamo riscontrare anche oggi in alcuni aspetti della scienza e della tecnica che vorrebbero fare a meno di Dio. Il Signore non poteva permettere tutto questo ed ha confuso le loro lingue: si potrebbe interpretare questo pensando che i capi di quella città siano andati nelle città vicine per cercare le maestranze necessarie alla realizzazione del progetto, ma lontano dal loro territorio hanno trovato gente che parlava un'altra lingua , non si sono capiti, ed hanno rinunciato.
La nostra lingua deriva dal latino; prima del francese odierno c'erano la langue d'oc e la langue d'oil che sono morte; il greco antico che si studia al liceo era molto diverso da quello moderno che si parla oggi nella patria di Omero, e così via per tutte le altre lingue che andando a ritroso si possono ricondurre ad un unico ceppo. Le più recenti ricerche linguistiche sono giunte infatti alla conclusione che le parole fondamentali di quasi tutte le lingue del mondo hanno la stessa radice comune, che varia per tono ed accento (ricordate come nel gioco del passa-parola sussurrata da un orecchio all'altro alla fine arriva una parola diversa da quella da cui si è partiti?), così come le ricerche genetiche dimostrano che discendiamo da una unica progenitrice, la cosiddetta Eva nera perchè sembra sia vissuta in Africa (vedi allegato punto 2): ognuno di noi può constatare come già nella stessa famiglia alcune parole vengono dette in maniera diversa, e poi cambiano tra famiglie diverse dello stesso paese, per accentuare le differenze tra paesi vicini ed arrivare a dialetti e lingue diversi dilatando lo spazio a regioni e stati lontani tra loro.
Dovrebbe risultare chiaro a questo punto che discendiamo tutti da una stessa famiglia che parlava una sola lingua, e che poi ci si è diversificati in tutto a seconda delle condizioni climatiche diverse (colore della pelle, conformazione degli occhi, e altre differenze somatiche) e delle diverse conquiste culturali (parole nuove in diverse zone del mondo per nuovi concetti di pensiero e nuove realizzazioni tecniche): anche a non voler accettare alla lettera la descrizione biblica (che ha tutte le caratteristiche per essere veritiera), un diverso modus realizzativo non toglierebbe nulla all'essenza della creazione.
Esaminiamo ora il 'dolore innocente' nella cui categoria rientrano le vittime degli eventi di cui abbiamo parlato all'inizio: Dio ha creato l'uomo razionale e libero, e perciò stesso si è sottoposto al suo giudizio, per cui noi uomini gli chiediamo conto di ogni cosa che accade, dimenticandoci che in altri tempi ed in tanti modi avevamo deciso di fare a meno di Lui.
La storia della salvezza è anche la storia dell'incessante giudizio dell'uomo su Dio scrive Messori nell'intervista a G. P. II: ma Dio non è l'Assoluto che sta al di fuori del mondo, che lo domina e lo guida senza esserne coinvolto, è invece l'Emmanuele, il Dio-con-noi che condivide la sorte dell'uomo e partecipa al suo destino. Se nella storia umana è presente la sofferenza (e non per colpa Sua), si capisce perchè l'Onnipotenza di Dio si è manifestata con l'onnipotenza dell'umiliazione mediante la Croce: il Cristo crocifisso è una prova della solidarietà di Dio con l'uomo sofferente.
Dopo averlo crocifisso, gli ebrei gli chiedevano di scendere dalla croce ed avrebbe potuto farlo, ma il fatto che abbia accettato di rimanere fino alla fine gridando addirittura Dio mio, Dio mio, perchè mi hai abbandonato? ci rivela la Sua condivisione delle nostre sofferenze e delle nostre debolezze. Il miracolo non sarebbe stato se fosse sceso, ma lo è stato per il fatto che è rimasto: se fosse sceso, che cosa avrebbe potuto dire a tutti i crocifissi della storia che non possono scendere, a tutti coloro che gridano e non hanno risposta, a tutti coloro che confidano in Dio e non sono liberati? È rimasto a condividere, ha cancellato la distanza e nello stesso tempo ci ha insegnato a confidare nonostante tutto scrive Angelo Casati.
Se è il figlio di Dio lo liberi ora, gridavano sul Golgota: la differenza tra chi crede e chi è scettico sta in questo 'ora'. Vorremmo imporre a Dio l'ora della liberazione, della fine di tutti i mali e delle sofferenze: il figlio di Dio è modello a tutti i giusti sconfitti e lascia a Lui decidere l'ora, ma sa che lo libererà, e questa fede nel Padre lo ha portato alla vittoria sulla morte.
Ha vinto l' Amore.
Un esempio educativo di come si affronta il dolore innocente è stato quello che hanno dato i familiari di quelle persone della mia parrocchia di Padova che sono morte in un incidente stradale in Austria nell'Agosto 2008: è mancato un prof. del liceo che aveva 50 anni e due giovani di 18, per non dire dei feriti gravi che sono ancora in cura. Mentre tutti pensavamo al loro immenso dolore, la vedova del prof. ed i genitori dei ragazzi hanno scritto in un foglietto commemorativo: 'Signore, non Ti chiediamo perchè ce li hai tolti, ma Ti ringraziamo per averceli donati per tutto il tempo che Tu hai ritenuto sufficiente per la loro vita.'
Meravigliosamente un Amore li distingue, tutti, sia quelli che sono rimasti tra noi, che coloro che adesso vivono una vita ' altra '.
La morte dei giovani, le malattie, le sofferenze, forse ci aiutano a tenere i piedi per terra: già l'uomo si sente un Dio, e se non ci fosse il dolore su questa terra a fargli capire la sua limitatezza se non la sua nullità, niente potrebbe frenare la sua ambizione e la sua presunzione di onnipotenza!
Si potrebbe dire che noi siamo come blocchi di pietra dai quali lo Scultore sta tirando fuori il meglio cercando di realizzare un capolavoro: i suoi colpi di scalpello, così dolorosi, sono ciò che ci può aiutare a diventare perfetti se anche noi facciamo la nostra parte.
Anche in base a queste considerazioni, ho scelto di aver fede, e prego lo Spirito Santo affinché ci guidi in ogni istante della nostra vita, facendoci crescere in amore e sapienza.

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(10.5.09) RISCHIO DI INTEGRALISMO? NON MI SEMBRA (Pasquale Cannatà) - All'inizio di questo anno (quando ho espresso il proposito di scrivere una serie di commenti alla Bibbia), avevo auspicato tante critiche al fine di instaurare un dibattito sugli argomenti trattati: fino a ieri non avevo sentito niente, tanto che temevo che l'argomento non interessasse a nessuno.
Finalmente mi è stato mosso un appunto (anche se in sede privata), e benchè non si tratti del contenuto del testo, sono lieto di rispondere: sono rimasto sorpreso dalle affermazioni fattemi sul rischio che io possa cadere nell' integralismo e sul fatto che possa considerare stupido chi non la pensa come me. Non mi sembrava di aver scritto cose che potessero dare adito a simili giudizi, ed allora sono andato a rileggere il mio commento.
Chiedo scusa a tutti i lettori non credenti che forse possono essere stati colpiti negativamente dalle mie parole sulla loro 'pigrizia mentale'.
Tra loro ci sono moltissime persone di cultura (e ne conosco tanti tra i nostri concittadini) che magari hanno una grande sete di conoscenza che li porta a divorare una notevole quantità di libri (e quindi da questo punto di vista sono molto più pigro io che leggo pochissimo), ma non mi sono espresso bene, volendo piuttosto sottolineare il fatto (risaputo e documentato da ricerche di mercato) che mentre un credente legge anche libri che sono contro la fede, avendo sembre bisogno di chiarire i propri dubbi, i laici hanno una certa allergia a frequentare librerie 'cattoliche' e non si preoccupano molto di approfondire queste questioni, avendo le loro certezze.
Qualcuno mi ha anche detto che i miei articoli sono troppo lunghi, e forse per risparmiare qualche rigo a volte sintetizzo troppo e risulto poco chiaro o sono frainteso: ho sempre pensato di essere una persona tollerante ed aperta al dialogo, e mi dispiace aver dato adito all'equivoco di cui abbiamo parlato: rinnovo le mie scuse e saluto tutti cordialmente.


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(14.5.09) PARADOSSI ELETTORALI (Domenico Distilo) - Tra due settimane si celebreranno le settime elezioni dell’Europarlamento. Il clima politico galatrese non sembra però minimamente accennare a scaldarsi per l’evento. I partiti tacciono, nessuno se ne occupa, si preferisce pensare ad altro. Eppure nelle liste sono presenti candidati locali (sia pure non nostri concittadini) che, a differenza di quanto accade per il Parlamento nazionale, dove il Porcellum delega di fatto ai partiti la definizione della rappresentanza, potranno essere eletti con la preferenza.
D’altro canto neppure i candidati sembrano interessati ai voti dei galatresi. Finora non siamo stati visitati da nessuno di loro e non si vedono i megamanifesti che normalmente connotano il paesaggio delle campagne elettorali, con i volti tirati a lucido ed ammiccanti degli aspiranti parlamentari.
La latitanza dei candidati può dipendere da tante cose. Primo: la mancanza di referenti locali; secondo: la scelta di concentrare le attenzioni su piazze numericamente più consistenti; terzo: la consapevolezza di molti di loro di non avere che possibilità oltremodo remote, puramente teoriche, di arrivare a Bruxelles; quarto: la vastità della circoscrizione (comprendente tutto il Sud tranne la Sicilia e la Sardegna) che rende inattendibili i calcoli aritmetici sulle concrete chance di elezione.
E’ particolarmente in queste occasioni che si sente la mancanza dei (vecchi) partiti. I candidati –uscenti e non- ospitati nelle sezioni prima e dopo il rituale comizio, erano un interfaccia della politica vera, che si faceva con proposte concrete che non venivano elaborate per mere esigenze dio propaganda, di marketing elettorale.
Il risultato – paradossale se si considera la crescita esponenziale delle informazioni che possiamo attingere - è che non sappiamo più per chi e per cosa votiamo (anche se crediamo di saperlo), mentre venti o trent’anni fa lo sapevamo perfettamente (anche se credevamo di non saperlo).


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(17.5.09) DON AGOSTINO: A SETTE ANNI DALLA MORTE (Michele Scozzarra) - Ricorre lunedì 18 maggio il settimo anniversario della morte del caro don Agostino Giovinazzo: ciascuno di noi che lo abbiamo conosciuto, porta nel cuore un proprio ricordo, che si fa più vivo e commosso nella ricorrenza della sua morte.
Sarebbe bello avere la possibilità di poter raccogliere i ricordi che tanti nostri parrocchiani conservano, nella profondità dei loro cuori, e tessere un mosaico che delinei i contorni più significativi della figura di don Agostino.
Anch’io custodisco tanti, tantissimi, ricordi di don Agostino, dai quali continuo, ancora oggi, a trarre motivo di attonita commozione: per la sua intelligenza fortemente intuitiva, per il suo animo di una mitezza e di una semplicità e riservatezza sorprendenti e, soprattutto, per il suo grande cuore… un cuore candido, perfino ingenuo come quello di un bambino, un cuore generoso… il cuore di un autentico pastore.
In questa occasione, mi piace ricordare don Agostino, riproponendo quanto ho scritto nel giorno della sua morte.


* * * * *

Sabato 18 maggio, stroncato prematuramente da un male incurabile, è morto in un Ospedale di Verona, don Agostino Giovinazzo, Parroco di Galatro sin dall’ottobre del 1974.
Un lungo rintocco di campane, nella mattinata, ha annunciato ai galatresi che le loro preghiere non erano state esaudite, il Signore aveva chiamato a sé don Agostino, nonostante lui desiderasse di tornare tra la sua gente, così come ha manifestato nelle sue due ultime lettere inviate ai cittadini ed ai parrocchiani: “Spero, con l’aiuto di Dio, di tornare tra di voi sano e pronto a riprendere il lavoro interrotto; se poi ha deciso diversamente, sono sempre pronto a fare la sua volontà... Quando tornerò, vi ringrazierò, uno per uno, con tutto l’affetto possibile, che non potrà mai essere uguale al sostegno fisico e morale che mi avete dato. Se torno guarito, la maggior parte del merito l’avete voi che mi avete sostenuto con le vostre preghiere e poi con affetto e stima: sono stati una meravigliosa sorpresa, non sapevo di avere tanti amici così sinceri e vi chiedo perciò scusa e non me ne sono accorto prima”.
Chi scrive, in questo momento, fatica non poco, tra emozione e dispiacere, ad andare avanti nello scrivere, per il timore di non riuscire a comunicare le cose che vorrebbe, di non essere all’altezza di tessere il vestito più bello: non l’elogio funebre all’amico sacerdote scomparso repentinamente, non la cronaca del dolore di una intera comunità, ma la grande riconoscenza ed il profondo affetto verso l’amico perduto.
In un momento come questo, conoscendo bene don Agostino, il silenzio sarebbe stata la sola scelta naturale, per il suo sacro pudore a comunicare i sentimenti più intimi, teneri e dolorosi, ed anche se, ai nostri occhi, la sua morte può apparire prematura ed ingiusta, questo dolore ha reso evidente il legame profondo, vissuto dai galatresi con il loro Parroco, quando ancora era in mezzo a loro.
Dal Calvario della sua malattia don Agostino ha avuto modo di dire ai suoi parrocchiani: “il Signore mi ha dato una Croce pesantissima, ma col vostro sostegno e conforto l’ho portata e spero di portarla ancora, se è necessario per completare nella nostra carne quello che manca alla Passione di Gesù”; ma ha, soprattutto, avuto parole di affetto ed attenzione per tutti nella lettera inviata la notte di Pasqua: “Carissimi amici ed amiche, dopo 28 anni, purtroppo, non sono con voi a celebrare le gioie della Pasqua. Se il corpo però mi tiene lontano, i miei occhi vi vedono tutti indistintamente. Vedo il coro delle ragazze che tremano ansiose per l’esito dei canti, vedo il gruppo dei Lettori guidati da suor Tommasina, vedo in prima fila le persone che vogliono seguire con maggiore attenzione la funzione liturgica, vedo la Cappella del SS.mo artisticamente addobbata dalla nostra Maestra fioriera, vedo anche i giovani in fondo alla Chiesa che parlano e scherzano con il braciere: siete tutti davanti a me, non mi sfugge nessuno dagli occhi, vi vedo a uno a uno: siete la famiglia di Dio, e se permettete anche la mia famiglia, riunita per la festa e, come in ogni casa, ci sono i figlioli buoni e quelli più discoli... Ringrazio di tutto cuore e con tutto l’affetto possibile il buon don Cosimo che egregiamente mi ha sostituito: la fraternità sacerdotale si dimostra nelle necessità e nel bisogno e lui è stato così bravo che non ha esitato a prendersi cura delle vostre anime... Spero solo che non lo abbiate assillato: aspettate me per assillarmi”.
Anche le parole rivolte al Sindaco, testimoniano una grande sensibilità e una riconoscenza particolare anche verso il Vescovo della Diocesi, Mons. Luciano Bux: “Egregio Signor Sindaco Giovanni Papa, La ringrazio vivamente per avere presenziato il Giovedì Santo le funzioni parrocchiali insieme alla comunità ed al Vescovo... una giornata che per la storia di Galatro deve essere annoverata tra le più belle ed importanti: mai, a memoria d’uomo, si è visto un Vescovo che, in uno dei giorni più solenni della liturgia cattolica, abbia lasciato la Diocesi per recarsi in una parrocchia a sostituire il parroco malato. Avrebbe potuto benissimo mandare un sostituto; invece, con un gesto di nobiltà d’animo verso di me e verso Galatro è stato lui stesso a celebrare la liturgia del Giovedì Santo. E Galatro ne deve essere orgogliosa, ricordandolo con gratitudine”.
Don Agostino Giovinazzo, originario di Cittanova dove era nato nel 1945, era stato ordinato sacerdote l’8 dicembre del 1971 da Mons. De Chiara, vescovo di Mileto, ed era arrivato a Galatro nell’ottobre del 1974, a sostituire il compianto don Rocco Distilo. Oltre ad essere il Parroco di Galatro, da molti anni era docente all’Istituto Superiore di Teologia di Palmi, nonché collaboratore della Cancelleria Vescovile della Diocesi di Oppido-Palmi, dove tutti lo ricordano per le sue grandi doti intellettuali ed umane.
Nel giorno del suo venticinquesimo anniversario di sacerdozio, durante la cerimonia in suo onore, aveva espresso, con semplicità ed umiltà, il profondo attaccamento al popolo di Galatro che gli era stato affidato, e oggi quelle parole, unite alle due lettere inviate durante la sua malattia, rappresentano il suo testamento spirituale: “Un pensiero a Mons. De Chiara che mi ha elevato alla dignità sacerdotale... una cara persona che per me ha avuto atteggiamenti paterni... la domanda più ricorrente di questi giorni è: sono stato all’altezza del compito affidatomi? Ho fatto quanto era in mio dovere fare? Potevo fare meglio e invece non l’ho fatto? Spero che i miei superiori ed il popolo di Galatro, dove ho vissuto la maggior parte dei miei anni, siano benevoli nel giudizio... Ognuno di noi avrà motivo, dentro di sé, per dire grazie a Dio ed io ho un motivo in più per dire grazie anche a voi tutti che questa sera mi onorate in tal modo: Vi dico di tutto cuore grazie e vi chiedo perdono dei miei errori. Pregate il Signore per me”.
L’Amministrazione comunale di Galatro, interprete dei sentimenti del popolo di Galatro verso il loro sacerdote, ha proclamato una giornata di lutto cittadino nel giorno dei funerali, mentre i parrocchiani hanno voluto ricordare don Agostino con una veglia di preghiera.
Certamente, in vita don Agostino non avrebbe amato sentir parlare tanto di sé e, come al solito, mi avrebbe detto: “Lascia perdere...”. Ma, sono sicuro che, in questo momento, non gli spiacerà, perché questo servirà a far riconoscere come buono e vero, ciò che Dio chiede a ciascuno, anche quando si tratta del sacrificio di sé: anche se il dolore continua. Continua prima di tutto nella preghiera: per lui e per le persone che ha incontrato nel corso del suo ministero sacerdotale. Continua nel doloroso umile riconoscimento della nostra nullità, della nostra fragilità e nel nostro doverci riconoscere solo nel disegno tracciato su di noi dal Padre; e questo tanto più, quanto, ai nostri occhi, quel disegno sembra superarci ed essere duro da accettare.
Ma solo accettando questo misterioso disegno, si può continuare a ricordare ed abbracciare l’amico sacerdote che non si potrà dimenticare mai.
Ciao don Agusto... grazie di tutto.

Nelle foto: in alto Don Agostino con la piccola Claudia, nipote di Michele Scozzarra; in basso in concelebrazione con il vescovo Crusco.

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(20.5.09) DUBBI E CERTEZZE DI LAICI E CATTOLICI (Pasquale Cannatà) - Carissimi lettori,
mi scuso se torno ancora sull’argomento, ma vi avevo avvisati ad inizio anno che non sono un bravo scrittore ed avevo chiesto clemenza in anticipo: succede che non avendo una preparazione adeguata, quando scrivo non ho sempre chiaro tutto quello che c’è da dire sul tema trattato e risulto incompleto nell’argomentazione. Mentre per i commenti alla Bibbia programmati ogni 3 o 4 settimane spero di essere esauriente avendo parecchio tempo a disposizione, il
chiarimento sul rischio di integralismo e sui dubbi e le certezze di laici e cattolici fatto di getto in poche righe la volta scorsa, mi sembra ora necessiti di ulteriore analisi e se me lo concedete vado a precisare.
A proposito di integralismo e di fondamentalismo, nella Chiesa oggi militano tante persone che per evitare questa accusa si adattano ai tempi e si definiscono cattolici adulti, come hanno fatto Prodi, la Bindi ed altri, ma Ratzinger ci aveva già messo in guardia con queste parole: "avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare ‘qua e là da qualsiasi vento di dottrina’, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie. Noi, invece, abbiamo un’altra misura: il Figlio di Dio, il vero uomo. É lui la misura del vero umanesimo. ‘Adulta’ non è una fede che segue le onde della moda e l’ultima novità; adulta e matura è una fede profondamente radicata nell’amicizia con Cristo".
Spiega ancora il cardinale Siri: “Gli uomini si ritengono liberi, ed è questa loro opinione, di essere liberi perché è scritto nei testi giuridici, il massimo momento e manifestazione della loro servitù. In realtà molti vivono sotto una dittatura: la dittatura dell’opinione. La prima e fondamentale dottrina del potere di questo mondo è l’affermazione: non c’è verità… La differenza principale tra ‘civitas mundi’ e ‘civitas Dei’ non sta sul contenuto, ma sull’esistenza della verità. Se non c’è nulla di vero, allora l’unico principio che conta è l’utile”
.
Mi sembra lo stesso concetto che esprimevo io a fine gennaio nel primo della serie di commenti alla Bibbia: O vorremmo un Dio obbediente ai nostri comandi (‘scenda dalla croce e gli crederemo!’), che faccia i miracoli su ordinazione? O una Chiesa che si adegui alle mode ed ai costumi del tempo? (Alcuni la riterrebbero più facile da accettare, da seguire, ma non sarebbe più una Chiesa ‘credente’, ne tanto meno credibile).
Peraltro, scrive A. Socci (e penso al teologo Mancuso, ad Augias, Odifreddi, ecc.) “la dittatura dell’opinione in cui viviamo si ripercuote anche nella vita ecclesiastica… Oggi, ogni teologo che passi per iconoclasta, liberatore, innovatore, è subito captato da un’editoria compiacente, che diffonde per tutti i canali dei mezzi di massa questo dissenso confortevole, questa iconoclastia per amor del comodo e del successo. Il divismo di teologi, di scrittori, di figure della protesta: ecco un dolore, una sofferenza per la Chiesa di oggi: coloro che denigrano il passato della Chiesa per affermare che è proprio dal rinnegamento di esso che la Chiesa riemergerà più autentica”.
Ora a me sembra che sia successo per la cultura laica la stessa cosa che è capitata ai sindacati: nati giustamente per porre rimedio ai soprusi degli industriali riguardo ai tempi ed ai metodi di lavoro ed al giusto compenso dovuto agli operai per le mansioni svolte, andando avanti negli anni hanno alzato il tiro delle loro rivendicazioni e molto spesso hanno esagerato nelle richieste contro i 'padroni' rischiando di portare al fallimento le aziende e quindi sul lastrico gli stessi operai che volevano difendere.
Allo stesso modo le sacrosante critiche a quel che facevano alcuni (non fa differenza neanche se sono stati molti o se altri lo fanno ancora oggi) rappresentanti del clero non si sono fermate a quel singolo aspetto, ma hanno dilagato oltremodo, arrivando a rifiutare la Parola che invece mantiene la sua validità: non possiamo non dirci Cristiani, nessuno, ed ogni Diritto Umano comunque e da chiunque sbandierato non esisterebbe senza il Vangelo.
Vittorio Messori ha scritto “nessuno è in grado di dare una risposta ragionevole alla domanda: Perché fare il bene e non il male se facendo il male me ne viene un vantaggio e non sarò punito? Trovo inutile appellarsi alla coscienza, che è una realtà cristiana. Qual è la ‘coscienza’ dell’indigeno antropofago?” e noi potremmo continuare valutando la 'morale' islamica, ecc...
Ci troviamo dunque nella famosa situazione di chi butta via il bambino insieme con l’acqua sporca.
Per quel che riguarda il secondo punto oggetto di questa riflessione, e cioè i dubbi e le certezze, credo che persone di un alto livello culturale (valutate voi, dopo aver letto l’articoletto che allego, in che posizione collocare il giornalista Alessandro Cecchi Paone ed il prof. dott. Umberto Veronesi, ministro della sanità durante il governo Amato 2000/2001) li vivano allo stesso modo, siano essi credenti o atei, ma state sicuri che per la gran parte di questi ultimi che hanno una cultura nella media o più giù, sono attendibili le statistiche che ho citato nel mio precedente articolo riguardanti gli acquisti fatti (su dove e su cosa si compra).
Ad ognuna di quelle persone che ostentano le loro certezze mi sento di dare il seguente consiglio: ‘abbi dubbi’, come cantava Edoardo Bennato, e risolvendoli troverai la strada giusta anche prima di me e di tanti che ci crediamo cattolici ma ci troviamo ancora in mezzo al guado perché pur conoscendo la direzione verso cui andare non abbiamo la forza ed il coraggio di seguire la via che porta alla meta, in quanto è stretta ed irta di ostacoli.
Per quelli che hanno piacere a leggerli, tra 3 o 4 settimane riprenderemo i commenti alla Bibbia, ed essendo arrivati alla torre di Babele con il capitolo 5, il prossimo sarà il sesto e parleremo di Abramo.

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(3.6.09) ANTROPOLOGIA DEL BERLUSCONISMO (Domenico Distilo) - 1. Il berlusconiano tipo
Il berlusconiano tipo è perversamente succube del carisma del Cavaliere. Nel senso che è fortemente ammirato anche, se non soprattutto, dei lati manifestamente negativi della sua personalità e lo assolve da qualsiasi responsabilità morale, rovesciando nel giudizio i disvalori in valori. Ne ammira il denaro, il potere e la fortuna e proietta nell’icona berlusconiana tutti i suoi desideri inappagati, i sogni che non ha potuto realizzare. E’ perfettamente inutile andargli a raccontare della qualità morale del personaggio: se ne ricaverà un di più di ammirazione proprio perché il suo idolo, in qualsiasi modo ci sia riuscito, ha raggiunto il successo. Il fatto è che il berlusconiano tipo è della stessa tempra morale del suo idolo e, se ci fossero ancora i vecchi moralisti usi a lanciare invettive, farebbe parte a pieno titolo della “feccia della Nazione”.
Questa maschera di italiano è quella definita una volta da Francesco De Sanctis “l’uomo del Guicciardini”, in toto ripiegato sul proprio “particulare”e incapace di vedere l’interesse collettivo, tanto meno di slanci ideali.

2. Il berlusconiano già di sinistra
E’ uno che ha militato a sinistra e si dice tuttora di sinistra. Il caposaldo della sua visione del mondo è che la sinistra sia in ritardo sulla storia e per recuperare questo ritardo non vi sia altro modo che andare a destra. Del suo passato di sinistra (vetero) ha conservato la convinzione che ci sia un senso della storia (anche se non dice quale, si capisce). Ha pure conservato una deformazione mentale (tipicamente ideologica) che lo porta, nella sua nuova condizione, a vedere ed enfatizzare i microdifetti della sinistra glissando sui macrodifetti della destra. Il paradosso è che indulge in una visione ideologica proprio nel momento in cui dice di aver preso congedo dalle ideologie.
Tra le sue parole totem c’è “riformismo”, talmente inflazionata che sarebbe il caso (a sinistra) di non usarla più. Per “riformiste” intende tutte quelle politiche che in nome della globalizzazione penalizzano il lavoro riducendone i diritti. Le riforme più riformiste, a suo dire, sono quelle che incidono sulla spesa pubblica (antikeynesiane) e il riformismo più riformista quello che precarizza il lavoro, tanto meglio senza pensare ad ammortizzatori sociali.

3. Il berlusconiano orfano di Craxi
Il refrain di quest’altro tipo berlusconiano è la conseguenza della sua ossessione: la prima repubblica è stata distrutta dal complotto tra comunisti e giudici. Sorvola sulla conquista del Nord da parte della Lega già alla fine degli anni Ottanta, sulla fine della guerra fredda, sui referendum Segni. Tutti secondo lui dettagli trascurabili. Dettagli altrettanto trascurabili sarebbero pure gli errori di Craxi, che dopo aver evocato svolte e cambiamenti si è chiuso a riccio a difesa dell’alleanza con la DC di Andreotti e Forlani, preda dell’ossessione anticomunista che continua a possedere molti ex socialisti, non a caso finiti in Forza Italia, oggi PDL.
A furia di demonizzare ogni cosa che abbia un sia pur vago sentore sinistrorso, questo tipo berlusconiano non soltanto dice ma fa, o perlomeno tenta di fare, cose di destra o perfino di ultra destra, come il ministro Brunetta, etichettato come “economista socialista”.
Quanto al sostantivo, si tratta di una qualifica eccessiva, probabilmente dovuta ad alcuni sproloqui neoliberisti in veste accademica la cui considerazione presso la comunità scientifica internazionale è direttamente proporzionale alla statura fisica del personaggio; quanto all’aggettivo sarà dovuto ai trascorsi craxiani. Ma non sarebbe il primo “fior di reazionario” a dirsi socialista. La storia ne pullula.

4. Quelli che attendono il miracolo
Sono la stragrande maggioranza di quelli che lo votano. E’ da quindici anni che aspettano il miracolo, tetragoni di fronte a quelle che Norberto Bobbio ha definito una volta “le dure repliche della storia”. Ad ogni nuovo governo Berlusconi dicono: ”Ora vedrete cosa farà Silvio” a cui seguono, immancabilmente, un “Non lo lasciano fare, non è colpa sua” e un “Non lo hanno lasciato fare, non è stata colpa sua”, rispettivamente a metà e a fine mandato.
Basterebbe che riflettessero sul fatto che se non può, anche solo perché non lo lasciano, evidentemente non è attrezzato per i miracoli. Se lo fosse, potrebbe, e non ci sarebbe nessuno in grado di “non lasciarlo fare”. Ma è inutile invocare riflessioni: i successi del berlusconismo si fondano sul fatto che molti italiani di fronte a Berlusconi hanno perso il ben dell’intelletto. Chissà se mai lo ritroveranno.

5. Il berlusconiano inerziale
E’ un ex democristiano molto moderato (già più moderato che democristiano) che, piuttosto distrattamente, continua a pensare la sinistra come sinonimo di estremismo. Se la sinistra è, per definizione, estremista, allora la destra è, altrettanto per definizione, moderata. Passando sopra all’estremismo della Lega e ai molti estremisti (di sinistra e di destra) confluiti in Forza Italia.
Questo tipo è berlusconiano per forza d’inerzia ed è il più permeabile dalle fole del sistema mediatico del Cavaliere. Essendo distratto (donde l’inerzia) e tendenzialmente impolitico, beve tutta la falsa antipolitica berlusconiana lasciandosi sopraffare dalla retorica del fare, la più eversiva e pericolosa per la democrazia, perché fondata sull’idea che il Parlamento e tutti i luoghi dove si discute siano inutili, mentre sia utile solo chi decide. A un tipo così non andate a raccontare che la decisione non è necessariamente una buona decisione. Vi risponderebbe che siete sofisti, l’esatto contrario degli “uomini del fare”.

1. Continua...

Nella foto: Berlusconi.


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(5.6.09) PER QUALE EUROPA ANDIAMO A VOTARE (Michele Scozzarra) - E’ sotto gli occhi di tutti come l'Europa di oggi è lacerata da interessi strategici ed economici e deformata in riduttive e precarie unità fondate solo su questi interessi: non si può negare che, nonostante la scadenza elettorale, di Europa si è parlato pochissimo, infatti l'Europa degli ultimi decenni ha sofferto di un forte deficit politico, oltre che democratico, e di questo ne è prova la totale disaffezione dei popoli europei alle istituzioni dell'Unione, in primis al Parlamento Europeo.
Da più parti è arrivata la domanda di come può esserci una autorità politica, in rapporto diretto con gli elettori, se tra essi non vi è nemmeno un'unione linguistica: il Presidente degli Stati Uniti d'America viene eletto da persone che almeno lo comprendono nella lingua, questo non avviene nell'Unione europea. Non è mai esistito al mondo un soggetto politico i cui sudditi, o abitanti, o cittadini, non potessero capirsi reciprocamente. E questo è un problema di non secondaria importanza. Non per spirito di contraddizione, semmai per consapevolezza di profonda amarezza, occorre affermare che la verità da proclamare sull'unità europea (quale Europa è ancora da scoprire!), è tutt'altra da quella che l'arroganza della logica dell'economia e della politica pretendono di imporre sotto gli slogans della propaganda che, mentre parlano di unità, di fatto chiedono il consenso per la divisione.
L'intera costruzione dell'Europa, negli ultimi decenni, è stata fatta su una scommessa: che dall'economia si arrivasse alla politica. Ma questa scommessa è chiaramente fallita, infatti non si riesce a capire qual è, e quale sarà, il volto dell'Europa del XXI secolo: le sfide storiche che si sono profilate negli ultimi anni sono davanti agli occhi di tutti... il terrorismo internazionale, l'imponenza dei flussi migratori, la crisi energetica e, da ultimo, l'inaspettata crisi economica di proporzioni mondiali.
Queste sfide non sono meno ardue di quelle delle origini. Ed è probabilmente ritornando allo spirito delle origini che si può trovare lo slancio per affrontarle.
Nessuno stato europeo può pensare di poter affrontare e risolvere da sé i problemi dell'immigrazione, del terrorismo, dell'energia, della crisi economica. Da questo punto di vista l'Europa non è un'opzione, ma una vera necessità.
Per questo, per poter parlare veramente di Europa bisogna, innanzitutto spostare il dibattito dal piano politico al piano culturale: bisogna avere il coraggio di ritornare a parlare della verità sull'uomo, non homo oeconomicus né homo politicus, ma semplicemente uomo.
L'Europa di oggi è attraversata da correnti, ideologie, ambizioni che hanno svolto un processo che ha portato a costruire sistemi che hanno messo in discussione l'uomo stesso, la sua dignità, la sua sete di assoluto, i suoi valori essenziali.
Per questo, non sono il solo a ritenere che gli europei, per incontrarsi realmente, hanno bisogno di riconciliarsi: questa parola non appartiene né alla logica dell'economia né alla logica della politica, anzi l'una e l'altra la odiano, per questo la censurano e cercano di isolare chi la mette in campo.
Riconciliazione è la parola più radicalmente, ed inesorabilmente, contestatrice dell'assoluto economico e politico, ma è anche la parola che riesplode piena di verità ogni volta che la divisione porta a compimento la sua follia sterminatrice: è la parola esplosa ad Auschiwitz, a Dachau, a Varsavia, dopo che l'uomo ha vinto il terribile mostro della violenza nazista. La vera unificazione dell'Europa si fa nella costruzione di un uomo riconciliato con se stesso e con il mondo...
Parlare così, forse per tanti, suona come qualcosa di astratto, e per come si presentano le cose sembra proprio così, anche se, personalmente, sono convinto che si tratta del più realistico discorso che si possa fare.
Però, mi voglio augurare che quanti ritengono questi discorsi “astratti”, non siano quelli che poi si stupiscono e si scandalizzano quando sui nostri quotidiani non si parla d'altro che di analisi cervellotiche della crisi, di strategie di partito, di politica delle clientele, di corrotti e corruttori, di decisionismo e ostruzionismo e... chi più ne ha più ne metta!
Il tutto per la grande gioia della nostra cultura (?) che, così spassionatamente, continua, sempre di più, a girare a vuoto...

Nelle foto: Michele Scozzarra, autore dell'articolo; l'aula del Parlamento Europeo.


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(14.6.09) A 25 ANNI DALLA SCOMPARSA DI ENRICO BERLINGUER, UN COMUNISTA DEMOCRATICO (Antonio Sibio) - “I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società, della gente; idee, ideali, programmi, pochi o vaghi; sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi. Non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l’iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un boss e dei sottoboss… Hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal governo. Hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la RAI-TV, alcuni grandi giornali.”
28 luglio 1981, intervista rilasciata ad Eugenio Scalfari.

Se non ci fosse la data potremmo pensare che queste parole siano riferite all’attuale situazione politica che c’è in Italia. Una situazione dove la maggioranza pensa solo ai propri affari, ad aiutare i propri “amici” e gli “amici degli amici”, mentre l’opposizione (parlo principalmente del PD) è sempre soggetta ad analisi interne, correnti e fazioni varie che via via la portano ad apparire un’incompiuta. Vedere oggi il PD e pensare che coloro che lo rappresentano sono una parte degli “eredi” di ciò che era il PCI di Enrico Berlinguer mi dà da pensare. Dov’è il coraggio nell’affrontare realmente i problemi dei lavoratori, la voglia di confrontarsi con la gente, l’ideale di rappresentare il Popolo in tutte le sue componenti e di trovare nuove vie all’affermazione dei valori che questo partito dovrebbe rappresentare?!? Se è vero com’è vero che oggi la classe operaia combatte battaglie diverse da quelle di 30-40 anni fa, è anche vero che quella stessa classe operaia oggi vede il PD come un partito di parole vuote, perché fin quando i vari santoni (D’Alema in primis) del partito continueranno a frequentare i salotti e non scenderanno in piazza con il popolo, allora il popolo (di sinistra) continuerà a sentirsi smarrito, non rappresentato. Tutto il contrario di ciò che era il PCI di Enrico Berlinguer…
Fine intellettuale, ma non per questo distante dalla gente. Riflessivo e pacato a tal punto da sembrare assente, nella realtà un uomo che non aveva paura di andare controcorrente se c’era bisogno di difendere gli ideali che rappresentava…
Come quando durante la Conferenza mondiale del ’69 a Mosca pronunziò quello che poi è stato considerato il più duro discorso mai proferito a Mosca da un dirigente straniero (in pratica dichiarava la contrarietà del PCI alla linea d’intervento decisa dal PCUS sulla questione cecoslovacca). Fu il primo leader comunista in Europa a capire che per far si che il socialismo si affermasse nell’Occidente bisognava "sdoganarlo" dalla nube che si portava dietro dai tempi dello Stalinismo. Così decise di aprire il partito alle correnti cattoliche, necessarie per poter avere una base sociale più ampia di quella che la sola classe operaia poteva garantire. E fu questa scelta, favorita anche da un clima più disteso con il Vaticano (a Pio XII, il Papa delle scomuniche, era succeduto Giovanni XXIII, il Papa buono) e con gli U.S.A. (l’ascesa alla casa bianca di J. F. Kennedy), a permettere la crescita di consensi del partito. Ma la sua visione del comunismo non era ristretta all’Italia, all’affermazione entro i confini nostrani. Se Gramsci diceva che “nessuna politica economica è valida in Italia, nessun rinnovamento è possibile se resta irrisolta la questione meridionale”, Berlinguer allargava quel discorso alla dimensione planetaria, affermando che “nessuna politica è valida, nessun avanzamento e rinnovamento è possibile in Occidente se non contiene in sé la soluzione dei problemi del Terzo e Quarto mondo”. Berlinguer aveva sempre in mente l’idea dell’internazionalismo socialista, ma senza imporlo con la forza, la rivoluzione armata, come dichiarava (e purtroppo perpetrava…) il PCUS, ma attraverso lo studio delle situazioni sociali ed economiche nei singoli stati. Non ci poteva essere un’unica soluzione, un’unica strada da seguire adatta per tutti gli stati del mondo. La sua idea di una via italiana al socialismo democratico trovò sempre più consensi. E la stessa linea fu trovata opportuna anche dai partiti comunisti di altri stati occidentali, quali la Francia e la Spagna. Berlinguer, uomo restìo alla pubblicità personale, si trovò così ad essere un punto di riferimento mondiale del comunismo, l’alternativa al modello sovietico. Questa “nuova strada” indicata da Berlinguer prese il nome di eurocomunismo. Purtroppo, però, la situazione mondiale mutò nuovamente nei suoi interpreti. In Vaticano divenne Papa Paolo VI, attivamente schierato in campagna elettorale al fianco della DC, mentre negli U.S.A. si protraeva la chiusura a qualsiasi forma di comunismo, fosse stato di stampo orientale (U.R.S.S.) od Occidentale (Italia appunto). In Italia la gente vedeva in Berlinguer e nel suo partito quella moralità che mancava alla DC, incapace di formare governi stabili (si parla degli anni ’70) e sempre più implicata in scandali di tangenti e clientelismo. Berlinguer fu un innovatore della politica da questo punto di vista, perché era persuaso che la crescita del partito non doveva essere fine a se stessa ma parte integrante della crescita economica, sociale e morale del paese. E fu così che arrivò alla conclusione che senza l’apporto di tutte le correnti presenti nella società civile (cattolica, socialista e comunista) l’Italia non sarebbe riuscita a fare quel salto di qualità di cui il paese aveva bisogno. In pratica la formulazione di quello che passò alla storia col nome di “compromesso storico”. Purtroppo, sempre la storia, ci racconta come poi tutto finì tragicamente…
In ogni caso, la linea di Berlinguer e di conseguenza del partito da lui guidato, fu sempre ferma nell’idea che solo attraverso il dialogo tra i partiti l’Italia avrebbe potuto superare i problemi che si portava dietro dalla fine del fascismo.
Durante un comizio a Padova, il 7 Giugno 1984 in piazza della Frutta, veniva colpito da ictus. Aveva 62 anni. Alle 12 e 45 di lunedì 11 Giugno il suo cuore cessava di battere.
Che fosse un politico amato dal popolo lo si capisce dalla folla immensa presente ai suoi funerali il 13 Giugno. Oltre un milione di persone a gremire piazza San Giovanni a Roma, a rendere omaggio a colui che riuscì a liberare il partito da quella idea di vecchio, di anti-democratico, a volte anche di utopistico. Berlinguer incarnava l’essenza più alta della politica. Pensare alla “questione morale” a lui tanto cara sembra un’eresia osservando la morale di un’ultrasettantenne che organizza festicciole con le diciottenni. E chi se ne frega se non ha avuto rapporti “piccanti”, ci mancherebbe pure! Peccato che la gente non riesca a vedere in quale regime l’Italia stia pian piano scivolando andando dietro alle politiche personalistiche che Berlusconi ed i suoi seguaci (lecchini) stanno seguendo. Ultima vergogna l’approvazione del ddl sulle intercettazioni. Le Mafie ringraziano.
Di Berlinguer ci rimane l’insegnamento che era, e magari lo sarà ancora, possibile trovare una strada democratica per il socialismo. Sempre che la gente abbia ancora voglia di giustizia, pace e libertà, valori che oggi sembrano sostituiti da potere, egoismo e prepotenza.

Nella foto: Enrico Berlinguer.


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(14.6.09) LETTERE DALLA SOFFERENZA DEI PICCOLI E DEGLI INNOCENTI (Michele Scozzarra) - Padre Aldo Trento, 62 anni, quarant’anni di sacerdozio di cui venti di naufragio della vocazione e della salute sprofondate nel nero gorgo della depressione, esercita il diritto e compie il dovere di scandalizzare mostrando ed esaltando il contenuto provvidenziale della sofferenza dei piccoli e degli innocenti: le sue lettere, le terribili e toccanti lettere in cui descrive la sofferenza dei suoi moribondi e l’amore che lo sospinge continuamente ai loro capezzali, là nell’Ospedale della missione di San Rafael in Paraguay, trasmettono una verità che non lascia scampo, che va contro quella tendenza che vuole eliminare il crocefisso dai luoghi pubblici perché eliminando quel simbolo si pensa di eliminare tutto ciò che ci ricorda il dolore… dimenticando che il dolore è l’inevitabile condizione per la bellezza, perché uno possa incontrare il Mistero.
In una sua lettera padre Aldo scrive: “Dicono che sono folle perché curo gli incurabili, ma vorrei che la piantassero di parlare a priori e venissero a vedere la vita dei miei rifiuti umani… Da parte mia, non conosco stanchezza né un orario per rispondervi, per dirvi i miracoli che vedo tutti i giorni. Vi auguro solo di essere semplici e di non avere paura della vostra umanità e di non cercare mai i mediocri, gli "intellettuali", gli "esperti" o i "direttori spirituali", cioè quelli che vi ricevono solo su appuntamento per darvi consigli… cercate uomini veri…”.
Con la sua voce rauca padre Aldo trasmette una verità impressionante: “Sapete che mi dicono le cento persone che lavorano nella nostra clinica… mi dicono: Padre non possiamo più lasciare questo luogo, perché siamo noi che tutti i giorni torniamo a casa più arricchiti, più umani”.
Una delle ultime lettere di padre Aldo, che riporto integralmente, contiene una fotografia, come testimonianza della bellezza della vita, anche attraverso il dolore: “Amici, guardateli che belli. Solo un miracolo può strapparli alla morte. Ma sono contenti. Il cancro niente può contro di loro perché in loro è chiaro ciò che muove la mia povera vita: Io sono Tu che mi fai. Wilson, 15 anni, metastasi dappertutto. I suoi giorni sono contati… ma da Gesù. Domenica gli darò la Cresima. Saturnino, la mia età: anche lui qui per morire. Ma dove sono i segni della morte! Nei loro volti c’è già la certezza della risurrezione… è proprio bella la realtà, vissuta con quello sguardo. Ciao da Padre Aldo”.
A noi resta lo stupore, la commozione come davanti ad un grande Mistero… possiamo solo dire: “Grazie padre Aldo…”.



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(15.6.09) L'ITALIA, GALATRO E LE ELEZIONI COMUNALI DEL DUEMILAUNDICI (Arianna Sigillò) - Dopo questo mio lungo periodo di "letargo" rieccomi. Ci sono un paio di argomenti su cui vorrei dibattere, ma per adesso credo che mi limiterò a dire la mia sulla politica del nostro paese (l'Italia). Innanzitutto se la chiamano "Il bel paese" un motivo, e anche più di uno, c'è. La legge funziona poco e anche male, procedure legali troppo lunghe, molto spesso archiviate per prescizione. Poi, la legge è uguale per tutti... ma dove? Sull'incisione presente nelle aule di tribunale.
Entra un ladro in casa, si hanno due possibilità: farsi rapinare tranquillamente e magari anche pestare, seviziare e perchè no, anche sparare tanto poi provvederà "la legge", "le autorità"; oppure cercare di reagire, magari tentando di attaccare per primi la controparte qualora ce ne fosse la possibilità. In qualche modo bisogna pur difendersi verrebbe da pensare. E invece no, entrambe le situazioni vanno a scapito della mal capitata vittima: nel primo caso, qualora le autorità riescano ad acciuffare il o i colpevoli, li arrestano ma senza giusta condanna perchè, vuoi l'amnistia, vuoi la buona condotta o anche i domiciliari, saranno sempre liberi di poter "operare di nuovo"; nel secondo caso se si è fortunati a colpirli, e magari ferirli, si viene arrestati per "tentato omicidio". Allora mi chiedo: quale giustizia?
Allora penso che probabilmente con l'evolversi del "pensiero sociale" si è evoluto, magari cambiato ma, perchè no, annullato completamente il reale significato di tale parola! Inutile qualsiasi paragone con qualsiasi altro stato europeo: troppi deputati, troppi senatori e onorevol vari. Sono loro la principale causa del malessere, se così lo vogliamo chiamare, della nostra società multietnica che mai come oggi ha avuto bisogno di una stabilità politica al momento inesistente.
Parlano di crisi, Berlusconi invita i cittadini a spendere, in Abruzzo crolla tutto e lui dichiara a "Matrix" di aver speso 100.000 euro per ospitare una settimana in albergo (ora non ricordo ben chi) con i suoi collaboratori, fatti venire in Italia con jet privato ovviamente! E' questo il giusto modo di fare politica? E' giusto che di fronte ad un disagio cosi forte dei cittadini italiani i nostri politici continuino a percepire salari esorbitanti, a non pagare di tasca propria voli, viaggi, pranzi (ufficiali e non) e persino 5000 euro di dentista a carico della popolazione?
E' giusto che gli stessi prodotti per bambini venduti in Italia costino tre volte di più che in molti altri stati? E' giusto che il prezzo del greggio al barile andava dimnuendo, sia diminuito e in Italia il prezzo della benzina era ed è rimasto invariato? E'giusto che lo Stato fornisca enormi quantità d'euro per finanziare opere pubbliche nelle varie regioni, o per i vari progetti, e che poi se ne disinteressi completamente senza accertarsi che quanto finanziato sia andato in porto? E' giusto che lo stato dia carta bianca alle banche in tutte le loro operazioni senza garanzie vere né tutele alcune nei confronti dei cittadini?. Hanno proprio ragione, è proprio un bel paese l'Italia!
Non avrei mai pensato che un giorno io potessi dire queste parole, ma mi trovo molto d'accordo con Domenico Distilo circa "i berlusconismi", esauriente descrizione della situazione politica attualmente vigente in Italia, anche se mio malgrado non posso fare a meno di notare una certa "somiglianza" con la situazione politica "vigente" a Galatro. Da svariati anni, all'incirca quindici?, anche qui si continua a credere alla Befana e, come ad ogni fine mandato quinquennale, anche qui si vuole pensare: "Non l'hanno lasciato fare", "non ha potuto perchè...". Allora vorrei ricordare: cambiano i "pupi" ma a manovrare i fili sono sempre le stesse persone!
Ho sentito vociferare, un po' qua, un po' là qualcosa circa le future elezioni comunali che si andranno a svolgere nel 2011 a Galatro, qualche informazione riguardante alcuni dei membri di una possibile lista. Ancora ora nel pensarci mi viene da ridere, ma nulla di più posso fare dato che di certo non vi è nulla e per le prossime elezioni mancano ancora 2 anni all'incirca.
Indipendentemente dalle ideologie politiche che possano essere di destra, di sinistra, bianchi o rossi, tromba o pala e via discorrendo, siccome un po' tutti sembrano accorgersi del "periodo buio" che sta attraversando Galatro di questi tempi limitandosi a "dire" tante "belle parole" ma nessuno a metterle in atto in maniera concreta, io penso che una svolta in positivo si possa avere, perciò vorrei fare una proposta (se l'interesse per far riemergere Galatro è reale): creare una futura lista elettorale con capogruppo Rino Dell'Ammassari, il professore Galluzzo in vice, il marito di Zina Mandaglio (di cui, chiedo scusa, ma non ne ricordo il nome) e il cognato Sergio, un Luigi Scozzarra, magari un Fortunato Lucia per esempio e, come unica donna (a mio avviso) a Galatro in grado di fare una politica intelligente, con del carisma e una cultura eccezionale, potrebbe essere la professoressa Concetta Manduci.
Qualora ciò potesse mai realizzarsi, per partire, o comunque si potrebbe provare e chi lo dice che non si potrebbe dare (finalmente) una svolta positiva al nostro caro paesello? Così magari il pensiero generale passerebbe dal pensare "chiru\a è antipaticu\a" a "l'importanti è mu faci cosi boni pe 'u paisi".
Spero non rimanga solo un lontano ricordo quello di Galatro in festa a carnevale, per esempio, della Termestate fatta come si deve dove noi ragazzi organizzavamo le serate in piazza, nella speranza che anche l'Oratorio possa di nuovo essere un posto di ritrovo per i giovani senza interessi "dietro", dato che in tanti ci siamo dati da fare per ripristinarlo e inaugurandolo con una splendida messa nell'ormai lontano 2005.
Non resta alro che sperare (purtroppo) ma "verba volant" (perdonate il mio pessimo latino). E' ora di passare ai fatti!

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(18.6.09) LE FOTO DI BARTOLO, ARIANNA E I POSSIBILI CANDIDATI ALLE ELEZIONI (Biagio Cirillo / Daniele Fenoli) - Bartolo Furfaro sei stato un grande, con il tuo pensiero delle foto di Galatro hai commosso tutti, anche se qualcuno si è lamentato che non sei passato oltre i fiumi. Sappi che io condivido con te le foto e rimango del pensiero che la zona di Montebello è la parte più caratteristica del nostro paese.
Anche io a Pasqua ho avuto il tuo stesso pensiero, cioè di fotografare il paese in lungo e in largo lasciando in sospeso due rioni: “Pecuredju e i vecchi Casi Populari" non certo per mia volontà, ma per mancanza di tempo, ma del quartiere Montebello ho fotografato quasi tutto. Così facendo ho attraversato delle viuzze che solo in giovane età avevo percorso ma non con gli stessi occhi. Anche io come te volevo pubblicarle ma sei arrivato prima tu e sono felice, quindi prendi tutti i complimenti perché li meriti a pieni voti. Bravi anche gli amici della Redazione per aver montato il tutto per noi.
Vorrei fare i complimenti anche ad Arianna Sigillò. Sai, anche io stimo tantissimo le persone di cui tu hai fatto nomi e cognomi come possibili candidati, anzi aggiungerei Pino Pangallo, Michele Scozzarra e Domenico Distilo, tutti loro sono persone favolose, intelligenti e oneste, capacissime a mio avviso di cambiare le cose nel nostro paese ma, messe insieme, tante teste buone rischierebbero di rovinarsi, e poi di partito diverso, perché nel nostro paese si guarda il colore del partito e non la persona e le idee.
Biagio Cirillo

Condivido in pieno il tuo articolo Arianna... ma non condivido i nomi per una futura lista per Galatro. Ma ci provo io a dare qualche nome:
in primo luogo Galatro non ha mai avuto un primo cittadino donna... magari il futuro primo cittadino si può chiamare, perché no, "Arianna Sigillò".
Poi si può pensare ad una lista dai 40 in giù. Allora perché non mettiamo i figli di coloro che tu hai proposto? Per Luigi e Fortunato penso che i loro figli non siano maggiorenni.
Non me ne voglia nessuno, ma è giusto fare un cambio generazionale.
Daniele Fenoli

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(19.6.09) NON AVEVAMO NIENTE, MA FORSE AVEVAMO TUTTO (Pasquale Cannatà) - Se avrò la fortuna di diventare nonno, ai miei nipotini potrei raccontare la storia della mia vita coniugale iniziando così: la nonna ed io, quando ci siamo sposati tanti anni fa, non avevamo niente. Facevamo un lavoro precario e siamo andati ad abitare in affitto su un monolocale arredato, ma forse, a ben pensare, avevamo tutto quello che è veramente indispensabile per una vita felice e serena: l’Amore (che ripeto è lo stesso che meravigliosamente distingue anche ognuno di voi) e la Speranza.
La mia Speranza, la Fede che ogni situazione si debba sempre risolvere per il bene, deriva certamente anche dal fatto che quando ero bambino mi è capitato di sentire moltissime volte questo discorso tra i miei genitori: Vicenzina, diceva mio padre, domani ndi scadi na tratta e no ndavimu i sordi mu a pagamu; mia madre rispondeva: non ti proccupari, Roccu, vidi ca mò arriva corchi provvidenza; e puntualmente arrivava a saldare il conto o a dare un anticipo sul debito contratto nelle settimane precedenti, qualcuno dei tanti clienti che compravano il necessario nel nostro negozio di generi alimentari a cridenza con la libretta, pagando quando ricevevano il compenso per un lavoro svolto o per la vendita dei prodotti dei campi.
Madre Teresa di Calcutta non si preoccupava mai di come avrebbe potuto provvedere a tutte le necessità delle istituzioni che aveva fondato: lavorava nella vigna del Signore e Lui avrebbe provveduto a tutto; prima di iniziare la giornata di lavoro e poi anche la sera a conclusione delle sue fatiche, pregava insieme alle sue sorelle e immancabilmente arrivavano da ogni parte del mondo ed in ognuna delle sue fondazioni le Provvidenze necessarie (che continuano a non mancare ancora oggi con le offerte di molti benefattori).
Della Fede, della Speranza contro ogni umana evidenza ad essa contraria, ci è di esempio e maestro Abramo: egli lasciò tutto il suo mondo fatto di certezze e di benessere conquistato giorno dopo giorno con il suo lavoro, per andare in una terra sconosciuta, tra gente che sarebbe stata certamente a lui ostile, inseguendo il miraggio della promessa che avrebbe avuto una grande discendenza fattagli da una misteriosa voce interiore. Sua moglie Sara e lui stesso erano avanti negli anni, non avevano figli e questa mancanza di eredi lo turbava molto: le usanze di quel tempo gli avrebbero consentito di avere altre mogli con le quali dare alla luce dei bambini, ma lui amava solo Sara ed era disposto a restare senza figli piuttosto che accostarsi ad altre donne. Se la voce che aveva sentito era veritiera, avrebbe potuto realizzare il suo desiderio senza scendere a compromessi: credette e partì insieme a suo nipote Lot.
Massimo Picasso (quello famoso del gemello di Dio) si è scandalizzato del fatto che Abramo, per evitare di avere problemi con gli egiziani a causa della bellezza di sua moglie, dice loro che Sara è sua sorella, ma il motivo di questo comportamento è ampiamente spiegato, ed è chiarito al capitolo 20 che hanno lo stesso padre e quindi sono fratelli anche se nati da una diversa madre. Allo stesso modo, se inquadrato nella mentalità di quel tempo e di quei popoli, dovrebbe essere comprensibile anche il comportamento di Lot (altro motivo di stupore per il nostro amico): egli aveva ospitato in casa sua per la notte alcune persone straniere, e per questo si sentiva responsabile della loro incolumità. Gli abitanti della città di Sodoma volevano abusare dei suoi ospiti, e Lot era disposto a sacrificare le sue figlie pur di salvarli: infatti gli usi ed i costumi dei sodomiti erano giunti ad un tale grado di depravazione da giustificare la decisione del Signore di sterminarli con il fuoco.
Ma torniamo ad Abramo.
Dopo essere andato via dalla sua terra, recatosi e poi uscito dall’Egitto, affrontato pericoli e ascoltato ancora molte volte la voce che rinnovava la promessa, purtroppo questa tardava a realizzarsi, ed allora Sara propose ad Abramo di unirsi ad una sua schiava per avere quel figlio che per la legge di allora sarebbe stato considerato come nato dalla padrona: forse era questa la strada da seguire? Ma una volta rimasta incinta, la superbia si impossessò del cuore di Agar (la schiava di Sara) che cominciò a menar vanto della sua condizione che le consentiva di poter dare al patriarca quel figlio tanto desiderato ed a disprezzare Sara volendo prendere il suo posto nel cuore di Abramo, così che quest’ultimo la scacciò via su richiesta della stessa Sara: la nascita di Ismaele non avviene dunque sotto i migliori auspici, ma anche da lui che è figlio di Abramo avrà inizio una grande discendenza, quella del popolo arabo.
In seguito Dio rinnova ancora la sua promessa ad Abramo, lui continua a credere nonostante sia evidente agli occhi di tutti la situazione fisica sua e di sua moglie Sara, e la fede di quest’uomo è così gradita al Signore che quando passa in forma umana dal suo accampamento per recarsi a distruggere Sodoma e Gomorra accetta la sua intercessione che tende ad evitare l’annientamento di quelle città: è da notare che egli non chiede di salvare solo suo nipote Lot che abitava in mezzo a quelle genti, ma intercede anche per i peccatori che vorrebbe fossero salvati tutti per amore di quei pochi giusti, e anche in questo atteggiamento sta la grandezza della bontà di Abramo.
Finalmente è giunto il tempo che la promessa si realizzi, e Sara concepisce e da alla luce un figlio che sarà chiamato Isacco, il quale passa i suoi primi anni di vita insieme al fratello nato da Agar che nel frattempo era stata riaccolta in famiglia; ma i giochi di Ismaele si rivelano sempre più violenti nei confronti del piccolo, e Sara ha paura che con il passare del tempo possano prevalere nel giovane sentimenti di odio verso Isacco a causa della successione ad Abramo, e che per questo possa fargli del male. Si spiega così la richiesta di Sara di allontanare una seconda volta Agar e quindi anche suo figlio Ismaele, ed Abramo capisce le preoccupazioni della moglie e (seppure a malincuore) acconsente a separasi per sempre da quei suoi cari.
Passano altri anni, Isacco cresce e naturalmente i suoi genitori invecchiano ancora di più, quand’ecco che ad Abramo viene richiesta una suprema, incomprensibile, inaccettabile prova di obbedienza: sacrificare, e quindi uccidere quello che ormai era rimasto il suo unico figlio.
Molto spesso noi uomini vediamo le nostre azioni sottoposte al giudizio degli altri, e c’è sempre qualcuno che le disapprova, per cui è nato il detto qualsiasi cosa fai, sbagli: nel caso di Abramo credo che qualsiasi cosa avesse fatto a seguito della prova che gli era stata richiesta non avrebbe sbagliato.
Egli si era dimostrato sempre obbediente e fedele al Signore, giusto e buono con tutte le persone che avevano avuto a che fare con lui, per cui alla voce che gli chiedeva il sacrificio di Isacco avrebbe potuto rispondere: il Dio che mi ha fatto uscire da Ur dei Caldei per darmi una discendenza numerosa come le stelle del cielo e più della sabbia del deserto, è un Dio buono e giusto che non vuole sacrifici umani e la morte di un innocente. Tu non sei il mio Dio, tu mi vuoi ingannare facendomi compiere un’azione malvagia ed io non ascolterò la tua voce. E così facendo si sarebbe comportato in maniera irreprensibile e gradita al Signore.
Avendo sperimentato l’onnipotenza di Dio, Abramo poteva inoltre pensare che se anche gli avesse fatto compiere un’azione così crudele, il Signore gli avrebbe dato un altro figlio: ma conoscendo la Sua infinita bontà e giustizia si avviò invece verso il luogo indicato per il sacrificio, sapendo che alla fine, fermandolo all’ultimo momento o facendo resuscitare Isacco (se proprio voleva portare la prova fino alle estreme conseguenze e non fare a meno che lui lo colpisse), il Signore non lo avrebbe privato di quel figlio che gli avrebbe dato la discendenza promessa. E così è stato, Dio ha constatato che la fede di Abramo non aveva limiti ed ha bloccato la sua azione: l’uomo da Lui scelto si era dimostrato degno di godere della Sua amicizia e dei Suoi favori.
Anche da questi insegnamenti ho dedotto la massima che ho trasmesso ai miei figli, che ad essere bravi c’è sempre da guadagnare, perché si crea un circolo virtuoso che porta buoni frutti: se si studia si hanno buoni voti che ti aiutano poi a trovare un lavoro importante; se si lavora con profitto si può avere il guadagno necessario a sostenere le spese che consentano di mantenere una vita dignitosa; se ci si comporta bene con i compagni di scuola e poi con i colleghi di lavoro ci si crea un gruppo di amici con cui divertirsi e su cui contare in eventuali momenti di bisogno; se …. , se … , se …
Si può spiegare in questa ottica anche la storia dei due figli che nascono da Isacco, Esaù e Giacobbe: mentre il primo non si cura di rispettare le regole dettate da Abramo e prende alcune mogli tra gli Hittiti che abitavano in quella regione, vende la primogenitura al fratello e compie altre azioni che, dice la Bibbia ‘furono causa di intima amarezza per Isacco e per Rebecca’, il secondo si comporta sempre in maniera corretta ed anche se riceve la benedizione del padre in modo rocambolesco, bisogna ricordare che ne aveva acquisito il diritto in seguito all’episodio della vendita della primogenitura della cui importanza Esaù non si era reso conto o forse non gliene importava niente. I meriti di Giacobbe che si era rivelato capace di dirigere gli affari della famiglia mentre Esaù pensava solo ad andare a caccia, lo autorizzano ad essere titolare del primo posto nella genealogia dei nati da Abramo: per questo ancora oggi gli ebrei identificano il loro Signore come Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, mentre avrebbe potuto essere il Dio di Esaù se solo lo avesse voluto (o forse pensava che tutto gli fosse dovuto senza metterci almeno un po del suo?).
La discendenza spetta dunque a Giacobbe da cui nascono i dodici figli che saranno i capi delle dodici tribù di Israele (che è il nuovo nome che Dio ha poi dato a Giacobbe): leggiamo di seguito come e perché anche lui andò a prendere moglie tra i suoi parenti nella terra di origine allo stesso modo che aveva fatto suo padre Isacco; come e perché ha dovuto, a dispetto delle sue buone intenzioni che lo portavano a fare il contrario, prendere più di una moglie; come e perché infine condusse tutti ad abitare in Egitto, paese nel quale suo figlio Giuseppe aveva raggiunto una posizione di comando e di prestigio tale da poterli ospitare senza problemi; come e perché dopo quattrocento anni erano finiti in schiavitù e non avevano raggiunto la terra promessa ad Abramo (ricordiamo che Dio, oltre che Amore è anche Giustizia infinita, ed aspettava che l'iniquità degli Amorrei raggiungesse il colmo prima di consentire che venissero scacciati dalla loro terra per lasciare il posto al popolo ebraico).
Avrete senz’altro notato che mentre in precedenza a volte abbiamo speso parecchie pagine per spiegarci il senso di poche parole, a chiusura di questo capitolo abbiamo utilizzato poche parole per sintetizzare il contenuto di molte pagine: andando avanti nel commento che ci siamo prefissati di fare sarà sempre più spesso così, perché non serve analizzare tutti i fatti, le cronache degli avvenimenti che chi vuole può andarsi a leggere nel testo, ma conviene soffermarci su questioni che possono essere poco chiare. A questo proposito avevo chiesto l’intervento dei lettori che segnalassero punti per loro oscuri (che magari io ho saltato analizzando solo quelli che all’inizio erano poco chiari a me) su cui gradirebbero qualche parola che io potrei dare senza pretese teologiche, ma solo esponendo il mio punto di vista e riportando quanto letto sul risultato di studi fatti da esperti se sarò riuscito a reperirli.
Vorrei solo far notare in chiusura che nelle pagine saltate vengono elencati anche fatti di nessuna importanza e persone che non hanno dato alcun contributo alla storia della salvezza, ma che lo scrittore ha riportato per il semplice motivo che i fatti sono avvenuti e che quelle persone sono esistite, mentre non vengono nascosti episodi negativi e peccati anche gravi commessi dai protagonisti (vedremo a suo tempo che non vengono tralasciati neppure quelli di David, che è stato il re più amato ed osannato dagli ebrei): questo a conferma che la Bibbia non nasconde nulla e che se fosse stata scritta per celebrare la gloria di un personaggio e di una nazione (come è successo per l’eneide che si prefigge di dare prestigio alla dinastia dei cesari di Roma) sarebbe piena solamente di episodi edificanti.
Anche in base a queste considerazioni, ho scelto di aver fede, e prego lo Spirito Santo affinché ci guidi in ogni istante della nostra vita, facendoci crescere in amore e sapienza.

Nella foto: Pasquale Cannatà, autore dell'articolo.


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(20.6.09) RI-VIVA LA DC (Domenico Distilo) - Nei primi anni Novanta i referendum Segni, provocando il cambiamento della legge elettorale da proporzionale in maggioritaria, contribuirono in misura notevole, se non decisiva, alla crisi del sistema politico imperniato sui vecchi partiti e sulle quote di potere determinate sulla base dei suffragi ottenuti.
Il maggioritario avrebbe dovuto, negli intendimenti dei fautori, semplificare il quadro politico-parlamentare consentendo la formazione di governi stabili, in grado di durare un’intera legislatura. La stabilità dei governi, si sottendeva, avrebbe generato l’omogeneità delle maggioranze che li sostenevano, il tutto quale inevitabile, ed auspicato, corollario della legge maggioritaria.
A sedici anni di distanza quel che salta agli occhi è che il maggioritario è fallito, sia sotto il profilo della stabilità che dell’omogeneità.
I governi del centrodestra sono sì apparsi finora più stabili di quelli espressi dal centrosinistra, ma si tratta, appunto, di stabilità solo apparente, dovuta a un fattore per sua stessa natura eccezionale e contingente qual è la leadership personale berlusconiana. Sono sotto gli occhi di tutti le difficoltà causate ad ogni piè sospinto dalle torsioni estremistiche di un partito come la Lega e dalle uscite clownesche dello stesso premier, che rappresenta sì la sintesi della coalizione dal lato mediatico-elettorale, ma il cui profilo politico è, dal lato della realtà, assolutamente insignificante, non avendo egli legato il suo nome neppure alle pseudoriforme architettate per proteggerne gli interessi e garantirne l’immunità.
Il condizionamento che sul centrodestra esercitano le sue componenti estremistiche è dunque spropositato, inimmaginabile e inaccettabile in qualsiasi altro paese occidentale; quanto al centrosinistra, l’illusione veltroniana che il PD possa vincere da solo è stata duramente frustrata dalle urne. Per vincere è necessario, a sinistra come a destra, mettere assieme le componenti radicali e quelle moderate, condizione questa che rende poi problematica, se non impossibile, la prova di governo.
Rebus sic stantibus, la conclusione che se ne può trarre è una sola: il sistema elettorale maggioritario è strutturalmente inadatto all’Italia, per la regione evidentissima che le ali estreme della sinistra e della destra non sono e non sono mai state numericamente (e dunque elettoralmente) irrilevanti e condizionano pesantemente governi e maggioranze che vogliano dirsi soltanto di sinistra (moderata) o soltanto di destra (moderata).
Questo è vero non da ora, ma addirittura dall’Italia preunitaria, quando nel Piemonte degli anni Cinquanta del secolo XIX Camillo Cavour e Urbano Rattazzi, a capo rispettivamente della destra e della sinistra moderate, inventandosi il “connubio” (così spregiativamente definito dagli avversari), neutralizzarono gli estremisti dei due campi rendendo possibile la prosecuzione dell’esperienza di governo liberale e costituzionale avviata alcuni anni prima, nel 1848, con la concessione dello Statuto albertino.
La storia dell’Italia postunitaria è in gran parte leggibile in questa chiave: tutte le volte che non è stato possibile mantenere la barra al centro ne sono derivati disastri, vere e proprie tragedie nazionali. E’ stato così quando Crispi ha preso il posto di De Pretis e più tardi quando il fronte estremista antigiolittiano (facente capo a D’Annunzio, non a caso definito il Giovanni Battista del fascismo) travolse le resistenze del moderatismo innescando il processo che avrebbe portato prima alla partecipazione alla guerra e poi alla dittatura.
Per converso, i migliori governi che l’Italia abbia avuto, da Cavour a Giolitti a De Gasperi a Fanfani-Moro, fino all’ultimo Prodi nonostante il forte condizionamento radicale, sono stati di centro-sinistra, espressione cioè di un centro capace di aggregare la sinistra moderata.
Quando si esce da questo schema si va, invariabilmente, verso l’avventura, verso forme di “originalità” politica di cui, visti i disastri di cui sono state e sono foriere, dovremmo imparare a fare a meno (fascismo e berlusconismo sono entrambi fenomeni originalmente italiani: non è un caso che per il secondo sia stata rispolverata la definizione di “autobiografia della nazione” già usata per il primo).
Il fatto è che gli estremismi si alimentano dell’antipolitica, cioè del sentimento popolare di ripulsa nei confronti della politica generato dall’enfatizzazione mediatica della corruzione, enfatizzazione resa possibile dalla democrazia. Il paradosso è, però, che la democrazia finisce per essere sostituita da regimi cento volte più corrotti, unendo al danno la beffa.
Questa è, più o meno, la piega che le cose hanno (ri)preso in Italia, a cui si dovrebbe trovare ora il modo di rimediare, cosa non facile per una serie di motivi che sarebbe lungo anche solo enumerare.
Quel che dovrebbe succedere, in breve, è che settori del PDL rinsaviscano e si stacchino dal ricatto dell’estremismo leghista e dal culto della personalità clownesca del Capo per aggregarsi all’UDC. Questa dovrebbe poi allearsi col PD per ridar vita all’unica forma di governo possibile in Italia: il centro-sinistra (rigorosamente col trattino). Diciamo: l’unica forma di governo possibile per motivi storico-antropologici, prima che politici.
A meno che non si voglia a furia di inseguire il modello anglosassone continuare ad avvitarsi nel suo contrario: le repubbliche delle banane.

Nella foto: Domenico Distilo, autore dell'articolo.


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(22.6.09) RILEGGENDO L'ARTICOLO SU REITANO (Guerino De Masi) - Sollecitato da una breve, semplice e cordiale conversazione con Michele Scozzarra nell’oramai onnipresente Facebook, mi sono trovato a rileggere alcune belle pagine dell’archivio. Oltre le soavi poesie di Biagio Cirillo e altri eccellenti articoli, mi sono riletto questo su Mino: Reitano, testimone di una Calabria di Massimo Distilo.
Stamattina, ho incontrato “Gegè”, il fratello batterista del "clan Reitano". A seguito di lavori eseguiti in casa di suo genero, abbiamo stretto una cordiale amicizia di rispetto e simpatia, vuoi forse per il fatto che siamo calabresi in Agrate!
Nel bar di sua figlia, in centro di Agrate, campeggia una bella foto di Mino. Nei vari locali che Gegé ha gestito, bar o ristoranti, non sono mai mancate foto ricordo di avvenimenti canori e musicali che hanno visto i fratelli Reitano protagonisti. La chioma ed il baffo di Gegè sono forse tinti, ma sono caratteristici del gruppo di cui faceva parte. Ma le foto di Mino, ai tempi degli esordi, nella sua genuina posa sorridente e su palchi d’Europa e oltre… sono emozionanti.
Al funerale, c’ero anch’io con i miei dipendenti. La chiesa è a pochi passi dal mio ufficio. Sotto vi propongo alcune foto.
Vi confesso che, oltre l’emozione, c’era anche la voglia di rivolgermi a tutto quel mondo televisivo presente e chiedergli se non ci fosse un po' di ipocrisia, visto che per tanto tempo avevano fatto di Mino un personaggio su cui sfoggiare la loro presunta superiorità con atteggiamenti che ponevano in ridicolo la genuinità del compianto Mino.
Non posso dimenticare quel duetto (mi vergogno a chiamarlo così) dove Bossi cantava "Padania" e Mino inneggiava "Italia Italia"! E questo con il compiacimento del Pippo nazionale!
Troppo spesso, onori ed elogi sono elargiti quando la persona non c’è più. Meglio sarebbe rispettare ed onorare da vivi e se c’è da dissentire, che sia anche dopo morti.






Nelle foto: vari momenti dei funerali di Mino Reitano.

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(23.6.09) MICA TANTO ONESTI E LEALI QUESTI IPOTETICI CANDIDATI (Arianna Sigillò) - Caro Biagio Cirillo, mi fa piacere sapere che esiste un galatrese propenso ad un qualche cambiamento, peccato la distanza! Su alcuni dei nomi che hai fatto mi trovi abbastanza in accordo con te ma, per quanto riguarda l'onestà, l'essere favoloso o magari anche leale, nutro forti dubbi, pur non conoscendo bene la persona che magari è, ma è un fattore "epidermico", non so, è come un idrorepellente... magari mi sbaglio (spero).
Non ti conosco personalmente, ma conosco Marianna e tua madre e mi sembrano delle brave persone. Conosco Manuele, un bravissimo ragazzo, perciò se i presupposti sono questi ne potrei dedurre che "buon sangue non mente". E poi le tue poesie, davvero molto molto carine, e poi in dialetto davvero tanto emozionanti. Sai, ti confesso che la lingua dialettale nostra letta in poesia mi emoziona particolarmente, e mi rende fiera di essere "terrona" purosangue. Davvero tanti complimenti. Perchè (rimanendo in tema) non ne scrivi una per invogliare i nostri compaesani al "cambiamento"?

Caro Daniele Fenoli, purtroppo i buoni propositi, le belle idee e tanta buona volontà non possono essere sufficienti per svolgere un ruolo di "primo cittadino". Per questo serve un minimo di esperienza, qualche buona conoscenza (che non guasta mai) ma, più di tutto, un leader non può essere "smaliziato".
Parli di giovani, ma purtroppo una lista "baby" c'è già stata ma senza successo. Sento spesso dire: largo ai giovani... sì, ma non nel senso buono della parola, ma nel senso: largo largo, levatevi dai piedi! Oggi capisco molte più cose e col tempo ne comprenderò delle altre, e mi rendo conto che chi diceva "non si può fare tirocinio a palazzo S. Nicola" non sbagliava, perchè chi arriva lì deve davvero sapere dove "mettere le mani".
Ad ogni modo spero davvero che le persone da me menzionate prendano anche minimamente in considerazione "la cosa" perchè in fondo "tentar non nuoce" e poi "cchiù scuru da menzannotti"!

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(24.6.09) CONVENTO DI SANT'ELIA: LA PROFANAZIONE DELLA BELLEZZA (Michele Scozzarra) - Appena ho visto la firma di Salvatore Sorrentino sotto la foto del Convento di Sant’Elia, avevo subito provato quel piacevole, sottile, gusto di stare per addentrarmi in un piccolo viaggio sulle tracce della bellezza che caratterizza il territorio del nostro piccolo paese.
Pensavo di gustare, attraverso i reportages fotografici che Salvatore ci offre ad ogni escursione organizzata dall’Associazione Gente in Aspromonte, un qualcosa di magico che emana da un territorio pieno d’incanto quale è quello galatrese…
Ma… la vista di quelle foto è stata peggio della caduta di un macigno sulla testa… per un attimo si è fermato tutto… niente rabbia, niente recriminazioni, niente accuse… niente di niente…
Per un attimo ho provato solamente l’infelice compito di mettermi nei panni di Salvatore, cioè nei panni di un galatrese che porta degli amici, amanti della cultura, per far gustare le bellezze del nostro territorio in un posto che racchiude una pagina di storia molto significativa non solo per la gente di Galatro… e si trova nella merda!
Non voglio neanche provare a immaginare questa scena (penso che ogni galatrese che ha visto quelle foto, anche se non ha scritto un rigo di protesta a riguardo!, si sarà sentito ribollire il sangue)… ma è una scena già vista.
In una tiepida mattina del dicembre del 1999 l’amico Umberto Di Stilo ha portato al Convento di Sant’Elia Padre Nilo e Padre Cosmas, due monaci basiliani artefici della riscoperta, in Calabria, del mondo spirituale greco-bizantino-ortodosso. Non me ne voglia l’amico prof. Umberto se, in questa occasione, indebitamente, mi approprio di parte di un suo scritto della visita al Convento con i due monaci, perché proprio in quel suo articolo si appalesava già il “sacrilegio” che si sta perpetrando da anni al Convento e, lo stesso articolo si rivela, oggi, di una sorprendente attualità, riletto dopo la visione del servizio pubblicato da Salvatore Sorrentino:

Nei giorni scorsi di ritorno dal convegno studi su Barlaam … quasi ad imitare San Cono, un “pellegrinaggio” spirituale hanno voluto compiere padre Nilo e padre Cosmas, non più per genuflettersi davanti alla tomba di Sant’Elia (della quale si ignora l’esatta ubicazione) ma per “raccogliersi in preghiera davanti a quei ruderi che rappresentano una delle più importanti testimonianze del mondo greco-bizantino” perché come sottolineava padre Nilo “ogni minuscola pietra di questo Convento, per chi, come noi, affonda le radici in quel mondo e in quella cultura, è come un altare”.
Siamo saliti sull’altipiano insieme ai due padri greci e, appena giunti sulla collina, insieme a loro abbiamo avvertito un istintivo impeto di ribellione nel constatare che, contrariamente a quanto accade in altre zone, quell’antica testimonianza di civiltà e di spiritualità versa nel più completo abbandono, tanto che in questo ultimissimo periodo, tra la totale indifferenza di amministratori locali e Soprintendenza, sia le celle del piano terra che il chiostro sono stati arbitrariamente trasformati in una immensa stalla ed il letame ha invaso quegli stessi ambienti in cui fino ai primi anni dell’Ottocento diversi eruditi frati hanno vissuto la loro vita monastica.
Nessuno ha mai cercato di tutelare questo vecchio Monastero che nel corso degli anni è stato oggetto di continue devastazioni. Pietre e marmi istoriati sono andati a finire in musei privati; diverse pietre bugnate del portale principale sono state utilizzate come contrappeso nei palmenti dell’altipiano mentre in queste ultimissime settimane, quelle poche che da anni erano accantonate per terra sono scomparse: pare con destinazione verso uno dei paesi vicini e più precisamente verso l’abitato di un privato cittadino. E nessuno frena questa continua devastazione, come nessuno mai, in passato, si è preoccupato di bloccare chi, per costruire la sua casetta colonica, ha pensato bene di usare le pietre e ogni altro materiale edilizio recuperabile dalle pareti diroccate del convento. Una situazione di incuria, insomma, che offende l’intelligenza, calpesta la cultura, ignora la storia e che si sta perpetrando negli anni grazie al totale disinteresse degli amministratori galatresi che hanno sempre sottovalutato la necessità di conservare nel tempo una così importante e concreta testimonianza storica probabilmente perché “distratti” dai diversi problemi di vita amministrativa… La cultura e la salvaguardia delle proprie radici, invece, interessa solo pochissime persone…
Quale che sia, comunque, la genesi di questa atavica insensibilità essa cozza con il “religioso” interesse di quei due frati che hanno percorso alcune centinaia di chilometri, sotto la spinta propulsiva della voglia di conoscere quanto realizzato da chi in questa zona interna della Piana li ha preceduti oltre dieci secoli addietro. Conoscere per valorizzare e tramandare…


Nelle foto: in alto una parte dello scempio perpetrato al convento S. Elia; in basso Umberto Di Stilo.

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(28.6.09) SONO INDIGNATO NEL VEDERE IL MONASTERO DI S. ELIA RIDOTTO AD UNA STALLA (Biagio Cirillo) - Tempo fa mi lamentavo della questione "vandalismo" nella stradina d’accesso di casa mia, pubblicando delle foto in merito. Da qualche paesano, senza fare nomi, sono stato ripreso, e mi è stato detto che sbaglio a mettere queste foto sul sito perché la gente che vede l’articolo chissà cosa pensa di Galatro.
La cosa è finita lì. Fatto sta che nessuno in Comune si è mai preoccupato di questo e quando sono sceso a Pasqua ho trovato di peggio, cioè uno schifo. Ho avvisato chi di dovere ma con scarsi risultati.
Adesso guardando le foto di Salvatore Sorrentino su uno dei pochissimi patrimoni galatresi, il "Convento di S.Elia”, sono veramente indignato nel vedere un luogo che tanta gente ci invidierebbe, ridotto ad una stalla.
Nei luoghi dove vivo io dalle vecchie stalle fanno ristoranti di lusso, luoghi di ritrovo, piccoli musei e tant’altre cose, da noi il contrario: dai conventi fanno stalle.
Non pensate che ci dobbiamo vergognare tutti di questo? Non pretendevo che si facesse un luogo turistico, ma nemmeno che si ignorasse l’esistenza e si lasciasse come una capanna abbandonata.
Nei giorni successivi mi piacerebbe trovare sul nostro sito un commento in merito dal Sindaco, o dal Vicesindaco, Assessore, Consigliere, uno qualunque dell’Amministrazione Comunale e ci spiegasse che futuro vogliamo dare a questo patrimonio galatrese che forse è la parte di storia più importante di Galatro.
Non voglio accusare nessuno di tutto questo ma semplicemente dire a tutti salviamo il salvabile e, invece di distruggere, creiamo.

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